Macchinizzazione dell’uomo e umanizzazione della macchina

Redazione Web

Macchinizzazione dell’uomo e umanizzazione della macchina
«L’ascensore non sale e non scende, è l’uomo che gli dà il senso della sua funzione»

Rimini, 25 agosto 2022 – C’è un punto di irriducibilità dell’umano o siamo condannati a di-ventare come macchine, visto che le macchine non potranno mai essere come l’uomo sep-pure divengano sempre più indispensabili? Questa è la suggestione con cui Marco Aluigi, vi-cedirettore & congress manager della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS, ha introdotto l’avvincente dialogo con Paolo Benanti, docente alla Pontificia Università Gregoriana di Roma ed esperto di bioetica, etica delle tecnologie e human adaptation, e Miguel Benasayag, filosofo e psicanalista argentino naturalizzato francese.
L’incontro ha avuto una prefazione originale con la lettura dal vivo di un dialogo tratto dal film “Ex-Machina”, e si è poi sviluppato svolgendo sei temi proposti da Aluigi. A partire da “l’essere umano è in crisi?” per poi passare a “artefatto e tecnica”, a “realtà e immaginazione”, “conflitto e società”, “singolarità e trascendenza” e infine “un’alleanza per l’umano”, le riflessioni dei due studiosi hanno ripercorso la storia dello sviluppo tecnico che ha portato alla potenza attuale del mezzo tecnico che ha oggi l’ambizione di essere come l’uomo.
Dice Benanti: «La rivoluzione industriale introduce la sfida tra macchina e uomo in senso muscolare, fare delle cose; ma l’avvento dell’informazione portata da Shannon determina uno strappo epocale: da allora la macchina non ha più solo muscolo ma anche scopo e finalità intelligente. Nel 1982 Times elegge il Computer come uomo dell’anno: è l’inizio di una nuova era. Da allora la domanda non è più a cosa serve la macchina ma: chi è l’uomo?».
Prosegue Benasayag: «Siamo così affascinati dalla macchina che dimentichiamo cosa è la no-stra singolarità; ma non possiamo vedere il futuro con lo specchio retrovisore. Il vivente de-ve comprendere come può convivere con questa nuova potenza». E aggiunge: «La macchina funziona perfettamente, ma la questione è che il vivente non ha solo lo scopo di funzionare ma di esistere, dunque di sapere perché siamo qui. L’uomo ha una falla strutturale, una feri-ta, che la macchina non ha. Notiamo che la macchina digitale è contraddistinta dal software che non ha corpo né spazio, niente a che fare con l’uomo».
E sul linguaggio, ancora Benasayag dice: «Il linguaggio è espressione del senso e significazio-ne, nulla a che fare con l’informazione che produce la macchina. Allora se la macchina ci schiaccia è colpa dell’uomo, perché la macchina non desidera e non ha volere. Per esempio corriamo il rischio di delegare troppo alla macchina, che ci rende meno capaci di cogliere la realtà e di immaginare: un esperimento sull’utilizzo dei Gps dimostra che il suo uso estremo porta ad atrofizzare parti neurocorticali del cervello. Chiediamoci allora come usare la macchina senza perdere funzioni del vivente». E sottolinea: «L’ascensore non sale e non scende, questa azione che esso fa è il senso che gli dà l’uomo, non se lo dà da sé!».
E Benanti aggiunge: «La macchina può essere spenta e riaccesa, l’uomo no. La coscienza dell’uomo è un’attività continua – anche quando dorme – e dunque non è assimilabile alla macchina».

Interessante il tema della vita della nostra società ai tempi dei social, che sempre più fanno emergere rabbia e cattiveria. Dice Benasayag: «È normale essere rabbiosi in questa epoca, perché abbiamo paura del futuro. Noi da giovani speravamo in un futuro fantastico, oggi il futuro è pura minaccia ed è normale che generi rabbia e odio. Crearsi un nemico è il migliore ansiolitico che esista, perché trovi un bersaglio definito e ti togli l’angoscia dell’ignoto». Su questo Benanti approfondisce: «La nascita dei social ha esattamente questa genesi, fare soldi sulla voglia di rivalsa e l’invidia che sono sentimenti naturali ma andrebbero gestiti; i social guadagnano inquinando il mondo con la conflittualità, andrebbero tassati come le fabbriche del Novecento che inquinavano l’ambiente!».
Infine, il tema della trascendenza e di come aiutare l’umano a vivere il tempo delle macchine così potenti. Dice Benasayag: «La vita senza limite non è vita; si pensa a una vita senza limiti, ma è come la colomba che pensa che senza l’aria può volare meglio, invece senza l’aria – che è un limite – si schianterebbe a terra. Nella nostra epoca i limiti sono da abolire. Dobbiamo invece rientrare in amicizia con questo limite che protegge il vivente. La trascendenza non è da vivere nell’aldilà, ma nell’immanenza, è il possibile qui ed ora. Dobbiamo rifare il test di Turing: la macchina deve essere stupida come noi! Se si arrivasse a questo, allora quel giorno sarà inquietante».
Come ripensare allora i processi educativi, per rispondere all’umano in crisi? Benasayag qui è netto e provocatorio: «Dobbiamo dimenticare le utopie dell’amore universale: abbiamo pensato che l’umano poteva lasciarsi alle spalle la sua stupidità e i suoi difetti, ma è possibile la convivenza buona solo se pensiamo che non è un valore assoluto. Cerchiamo l’essere umano vero, che è amore e amicizia ma anche odio e conflitto. Assumiamo in modo maturo l’essere umano in modo completo senza tagliare nessun pezzo». «È assumere il dramma del peccato!», chiosa Benanti. Conclude Aluigi: «Desideriamo la Passione per l’Uomo. “Passione” ha etimologia comune di “patire”, di “sofferenza”, ma anche di “pazienza”. La pazienza porta all’impegno di esserci, rimanere e stare in piedi: questo costruisce l’amicizia che cambia il mondo».
(G.F.)

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