Il perdono è possibile

Redazione Web

Il perdono è possibile

Incontro con Gemma Calabresi Milite

Rimini, 23 agosto 2022 – Il XLIII Meeting di Rimini ha ospitato Gemma Calabresi Milite; un incontro-testimonianza sulla vita di una donna profondamente segnata dal dolore, presentata dal giornalista Marco Bardazzi.
Accenna sempre ad un sorriso luminoso, Gemma che si è sentita chiamare per anni “la vedova Calabresi” anche dopo il secondo matrimonio. Il perdono è un cammino. E Gemma Calabresi ce lo testimonia con il percorso che per 50 anni ha segnato la traiettoria della sua vita che dal rancore, dalla rabbia e dal desiderio di vendetta l’ha portata ad una pace che si nutriva della certezza di essere amata. In questo modo è riuscita ad abbracciare tutta la propria storia. Dopo il delitto del marito e tanti processi che hanno segnato anche la storia del nostro Paese, il percorso di Gemma e della sua famiglia è stato verso il perdono, nella pienezza di una vita che non ha censurato nulla, nemmeno la rabbia iniziale. Grazie alla fede in Gesù.

Parlare di perdono per Gemma non è parlare di un sentimento o fare un ragionamento, ma è una esperienza che ha generato una umanità cambiata. «Ho voluto scrivere questo libro a distanza di cinquant’anni avendo fatto un cammino di fede e di perdono. Ad un certo punto ho desiderato condividerlo con gli altri e testimoniarlo. Non pensavo di scriverlo, hanno insistito i miei figli. Facevo delle testimonianze già in giro per l’Italia, però non pensavo di scrivere; condividere invece è una grande cosa e poi nel mio caso voleva dire affidarsi, come dire: aiutatemi a non scivolare più indietro. Sono certa che questa è la strada giusta perché nel Vangelo ci viene detto in tutti i modi che si deve perdonare».

«Come ha affrontato quei momenti di tristezza dopo l’attentato?», le chiede Bardazzi. «Ho fatto da subito la scelta di insegnare la gioia di vivere ai miei figli, poi magari la sera a letto piangevo», risponde Gemma. «Ho sempre pensato che non deve esserci spazio per odio e rancore. Ho insegnato ai miei figli ad avere il senso del dovere, a fidarsi degli altri e ho sempre pensato che fosse più facile incontrare il bene che il male».

Richiamata su quanto sia stato importante il suo lavoro coi bambini a scuola nel cammino verso il perdono, racconta: «Mi sono messa ad insegnare e questo è stato fondamentale. I bambini sono trasparenti. Spesso con loro parlavamo delle loro famiglie e insegnavo loro a non tenere dentro il dolore. Parlare e chiarirsi era la strada giusta. Però io mi dicevo che insegnavo qualcosa che da adulta non sapevo fare. Poi ho capito. Dio nella sua infinita Misericordia ci redimerà per il bene compiuto e non per il male. Allora ho iniziato a pensare che anche gli assassini (così li chiamavo) non sono solo determinati da quella cosa che hanno fatto. Io avevo visto durante il processo come erano premurosi con i loro figli, e allora mi dicevo: come si fa a inchiodare una persona in quell’atto che non ti è piaciuto, per sempre? Ci saranno anche molte altre cose. Improvvisamente li ho visti in altro modo, ho ridato loro la loro dignità di persone e non li ho più chiamati assassini e responsabili della morte».

«A tutti i giovani che sono in sala», ha continuato, «dico di non prendere mai il pacchetto preconfezionato. Informatevi, vivete e sappiate riconoscere chi avete davanti, dopo farete la vostra scelta. Questo modo di guardare è stato fondamentale per me per guardare solo in avanti.

«Che tu hai deciso di non chiamarli più assassini, è l’esatto opposto che ho sperimentato in USA», osserva Bardazzi. «Ci sono uomini che stanno 20 anni in prigione e al ventunesimo ven-gono comunque giustiziati, per chiudere la questione, dicono lì; il familiare di chi è stato ucciso aspetta di chiudere solo dopo che questo avviene. La tua storia è il contrario. Come spiegheresti che quella non è la croce che devono aspettare?». «Intanto», replica Gemma, «così non dai la possibilità di compiere un cammino. La pena di morte va abolita e quanto più amore potrebbe circolare e qualcuno riuscisse a compiere questo cammino! Andando al carcere di Padova, mi chiedevo come una persona che aveva commesso omicidio potesse poi riabbracciare la fede. Uno di loro aveva anche pensato di uccidersi, ma poi hanno sentito una domanda che era quella sensazione della presenza di Dio. Era come era stato per me. Loro mi racconta-vano che pregavano per chiedere perdono».

«Dicevi di una certezza su Dio», riprende Bardazzi, «e credo sia legato a quello che scrivi: pre-gare è diventato una parte importante nella vita. Ma cos’è per te preghiera e quanto aiuta nel cammino del perdono?». Per Gemma Calabresi Milite «è stato fondamentale, perché pian piano ho scoperto che la preghiera che rivolgiamo al cielo mette in circolo una fratellanza tra noi e un amore che poi sale al cielo. Quando Dio vede, già sa, ma è questo che vuole: un atto di fede. Un giorno ero al lago di Como e mi viene incontro un signore che mi dice: “Mi sembra di incontrare una mia cara amica, e però non ti ho mai vista prima. Il giorno che ci siamo spo-sati siamo rimasti sconvolti dalla tua storia e abbiamo deciso di portarla con noi nella pre-ghiera; da allora preghiamo per lei tutti i giorni, e ora le dico, che ce l’abbiamo fatta”!».

Conclude Bardazzi: «Il perdono fa parte della miglior cultura italiana. “I Promessi Sposi” è il romanzo del perdono, il meglio che abbiamo nella nostra cultura. Ora siamo in un momento estremamente complesso della nostra storia. Mi piacerebbe chiederti: a chi guardare per ri-cordarci chi Siamo?». «Vorrei risponderti», dice Gemma, «che dovremmo saper cogliere gli avvenimenti, saperli leggere. Parlando coi miei figli capiamo che uno che ha avuto una trage-dia (c’è chi balla senza braccia, e lo fa meravigliosamente) vorrei dire che Dio lo infiamma. Loro mi dicono: “Ma non credi che sia piuttosto la forza dell’Umanità”? E certo che è la forza dell’umanità, rispondo, ma questa forza ce la dà Gesù, io ne ho la certezza».

(M.B.)

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