Il cambiamento della pubblica amministrazione al tempo del coronavirus. Iniziare processi più che occupare spazi

Redazione Web

Rimini, sabato 22 agosto – In un settore ostico al cambiamento come la pubblica amministrazione (p.a.), il coronavirus ha imposto grandi transizioni. «L’obiettivo di questo webinar, dunque, è quello di aprire un confronto alla luce delle nuove consapevolezze maturate in questo periodo» esordisce il moderatore, Salvatore Taormina, coordinatore Dipartimento Pubblica Amministrazione della Fondazione per la Sussidiarietà – dirigente regionale.

Dopo un saluto introduttivo da parte di Andrea Simoncini, vice presidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, apre la discussione Alberto Gambescia, amministratore unico di Studiare Sviluppo (MEF), editore Rivista Italiana di Public Management. «La pandemia», dice, «ha azzerato le retoriche sulla p.a. e ora impone di guardare a questo settore in maniera diversa, sfruttando appieno il potenziale della tecnologia». Auspica quindi che il Recovery fund possa essere usato per raggiungere nuovi orizzonti economico-gestionali, coerenti con le esigenze del Paese: «Siamo di fronte ad un’occasione straordinariamente favorevole per cominciare a riflettere sui livelli essenziali di assistenza anche nei servizi offerti dalla p.a., garantendo ai cittadini procedure e tempi certi sull’erogazione delle prestazioni».
«Per far questo è necessario ripensare la formazione del personale delle p.a.», continua quindi Paola Severino, vice presidente Luiss. «Se i sussidi rappresentano il Pronto Soccorso, le riforme strutturali saranno le cure efficaci che ci permetteranno di uscire dalla crisi». Invita quindi a porre particolare attenzione alla formazione dei managers pubblici, così come alla selezione del personale di base, «sviluppando l’ingegno là dove c’è, e sfruttando appieno le capacità e il potenziale dei NEET».

«Non si tratta, però, soltanto di avviare processi nuovi; bensì di portare a compimento quelli già avviati», fa eco Ernesto Belisario, avvocato, esperto in Diritto delle Tecnologie e Innovazione nella Pubblica Amministrazione. Osserva infatti come le riforme per la digitalizzazione della p.a. lanciate negli anni Novanta, nel tempo abbiano dato risultati ben più modesti di quanto ci si sarebbe attesi. «Serve quindi non ripetere gli errori del passato» continua. E conclude: «Abbiamo bisogno di una p.a. che metta al centro il cittadino e i suoi diritti digitali, garantendo supporto ai Comuni piccoli e piccolissimi e promuovendo una logica improntata all’incentivo, piuttosto che alla sanzione».
Tornando a ragionare sulla formazione, Luigi Fiorentino, capo di Gabinetto Ministero dell’Istruzione, coeditor Rivista Italiana di Public Management, osserva come serva anche pensare a nuovi profili professionali per la p.a.: «È necessario superare la monocultura della pubblica amministrazione, per trasformarla in un sistema sensibile alle esigenze della contemporaneità». E continua: «È una transizione lenta perché implica un processo di evoluzione culturale. Per questo bisogna mettere al centro l’impatto delle politiche, sfruttando la tecnologia là dove una miglior gestione dei dati possa assicurare una risposta più chiara ed efficiente ai bisogni dei cittadini».«L’Italia, in questo, soffre un grave ritardo culturale», prosegue Gianni Riotta, giornalista de La Stampa. «La persona, pertanto, deve essere al centro di questa trasformazione, investendo sulla formazione e l’educazione. E in questo gli intellettuali di punta non debbono ricorrere né inutili resistenze né futili atteggiamenti snob, favorendo invece quando più possibile l’inclusione di tutti nella rivoluzione tecnologica».

Bernardo Giorgio Mattarella, professore di Diritto Amministrativo presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma, pone quindi l’accento sui condizionamenti normativi che si incontrano nell’intraprendere questo percorso di cambiamento. «L’inflazione normativa, di cui il nostro Paese soffre», sottolinea, «si traduce molto spesso in svalutazione normativa». E continua: «È dunque necessario attuare le norme che ci sono, ragionando adeguatamente sull’analisi e la verifica del loro impatto. E per far questo bisogna anche procedere ad un riordino normativo; compito in cui l’apporto della tecnologia potrebbe essere significativo».
«Una trasformazione della p.a. basata soltanto sulla riforma della normativa, però, è un obiettivo ambiguo e limitante», osserva Elisa Pintus, professoressa di Economia Aziendale, coeditor Rivista Italiana di Public Management. La formazione, infatti, spesso si focalizza solo sulle novità introdotte dalle riforme normative e non invece sulle esigenze specifiche del singolo contesto. Per questo è necessario promuovere sistemi aperti e dialoganti, favorendo la collaborazione tra le diverse amministrazioni e la partecipazione degli attori economici e sociali. «Serve ripensare la p.a. come realtà aperta al dialogo e all’ascolto, attenta ai bisogni della società».

La parola passa allora a Maria Chiara Carrozza, già ministra della Repubblica: «La ricerca, in questa trasformazione, ha un ruolo essenziale. Non si tratta infatti solo di innovazione dei processi, ma di innovazione degli strumenti. E lo Stato, per avere un ruolo protagonista in questo, deve favorire nuovi modelli formativi (come, per esempio, nuovi dottorati industriali all’interno delle p.a.) e ripensare la scuola e i programmi educativi perché il sistema possa essere al passo con la rivoluzione 4.0».
L’invito, dunque, è quello a riscoprirsi «cercatori di senso», anche nel lavoro e nell’economia ­– riprende Vittorio Pelligra, professore di Politica economica presso l’Università degli Studi di Cagliari. «La pandemia», osserva, «ha definito nuove gerarchie di lavoro e nuovi valori relazionali. In questa fase di mutamento, dunque, urge riflettere non tanto e non solo sul know-how, ma sul know-why: sulla domanda di significato che il cambiamento porta con sé». E continua: «Il 25% delle persone oggi ritengono che il proprio lavoro, di fatto, non abbia un’utilità effettiva. Questo ci dice che il lavoratore non può essere trattato come mero homo economicus, perché il sistema prestazione-compenso erode la motivazione e così la qualità dei servizi».

A concludere l’incontro è quindi l’intervento di Paola Pisano, ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione. Ripercorrendo l’itinerario tracciato dai contributi che l’hanno preceduta, quest’ultima invita a rifuggire i miti e le infatuazioni culturali legati alla digitalizzazione della p.a., sposando invece un approccio più realistico e pragmatico. «L’Italia deve arrivare attrezzata meglio di fronte alle sfide poste dalla competizione internazionale, per fare in modo che tutti i suoi cittadini possano fruire di quelle garanzie sociali che hanno reso grande il Paese. E questo vale anche e soprattutto per quanto riguarda i diritti digitali». Riflettendo quindi sul valore delle infrastrutture di telecomunicazione, l’autonomia di cloud e data center dall’egemonia delle big tech extra-europee, incoraggia quindi i privati a contribuire attivamente alla conversione digitale della p.a., così da mettere a frutto il «fattore umano» (Giussani) riscoperto in questi mesi di emergenza sanitaria.

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