Rimini, mercoledì 19 agosto – Nell’incontro con Scott Gilbert tenutosi ieri per il ciclo “Essere viventi”, in collaborazione con Camplus, l’affermazione iniziale e finale è stata che «Ogni organismo diviene sè stesso grazie a ciò che è altro da sé». Oggi Tommaso Bellini, professore di Fisica Applicata all’Università degli Studi di Milano, e Giorgio Dieci, professore di Biochimica all’Università di Parma, ambedue membri di Euresis, documentano ulteriormente il tema fondamentale dell’interdipendenza, guidando gli ascoltatori nell’intricato quanto affascinante contesto della vita.
Bellini parte da una domanda: perché le pitture rupestri di 32000 anni fa rappresentano gli animali, e non altri soggetti plausibili come uomini o armi? Perché sono uniti a noi: il loro essere è nella qualità di “vivente”.
«Oggi», prosegue Dieci, «possiamo osservare e indagare la vita, ma questa è uno stato che esperiamo, un orizzonte in cui siamo immersi. Quindi vorremmo mostrarvi scenari che meritano stupore. Ma ad essi corrisponde uno stato di essere soggetti vivi, che vogliono dare e ricevere senso in una prospettiva nel mondo e sul mondo, cosa impossibile senza altri viventi», come ha brillantemente mostrato Gilbert.
I due accademici si alternano nella presentazione degli elementi costitutivi dello stato vivente, in una articolata rassegna divulgativa che parte dalle proteine e dagli acidi nucleici, e ne analizza le funzioni alla luce del concetto di interdipendenza. Il dato dimostrabile è che non si tratta solo di chimica: nei viventi, è una chimica che non procede alla cieca ma secondo istruzioni, formando molecole specializzate e selettive rispetto alla interazione reciproca in opportuni contesti. Il materiale chimico viene assemblato, destrutturato e riutilizzato, ma le proteine mantengono sempre la loro identità. Perciò ogni vivente si identifica, più che con la materia di cui è fatto, con un processo dinamico che si automantiene.
Noi tendiamo a pensare i viventi come qualcosa di statico, ma non è così. Basta considerare i processi di crescita e di sviluppo a tutti i livelli, micro e macroscopico.
E qui interviene un altro ordine di funzioni, quelle relative alla forma e alla trasformazione. Con parola greca, metabolè, da cui metabolismo. Esso comprende anche la trasformazione tra varie forme di energia, ma è solo un aspetto. Si può invece parlare di trasformazione di porzioni di mondo secondo una coreografia. Ed un elemento di questa coreografia è che gli esseri viventi si autocostruiscono, a differenza delle macchine.
Cosa governa quindi la trasformazione di migliaia di proteine con decine di migliaia di reazioni chimiche? Con l’annesso problema della struttura meccanica risultante? È il momento di parlare di enzimi, che implementano la selettività del sistema metabolico delle proteine, simultaneamente in circa centomila miliardi di cellule che costituiscono un organismo umano adulto. È un enorme impianto metabolico, e la domanda se tramite gli enzimi obbedisca a poche e semplici regole è ancora aperta.
Ma tale enorme impianto, che ha come teatro la cellula, ci costringe ad un’altra evidenza. Le reazioni cellulari mettono in gioco forze molto tenui, e tuttavia la cellula non finisce mai di costruire sè stessa, o di replicarsi in copie funzionanti, mentre gli enzimi continuano a realizzare un poderoso ma delicatissimo sistema di controllo. Molte cose possono andare male, e tutto sembra un processo molto fragile. In effetti, nota Dieci, «c’è una fragilità nella sintesi delle proteine. Il ciclo di sintesi-degradazione-risintesi-degradazione è intrinsecamente fragile». Ma è la biochimica. «Altrimenti questi processi non sarebbero così ampiamente controllabili». Ribadisce Bellini: «La vita è intrinsecamente fragile, non è un errore di progettazione. È necessario che la vita sia un processo dinamico, modificabile, evolvibile. Il prezzo è la fragilità».
Ultimo aspetto trattato, i meccanismi di autocostruzione del sistema vivente. Il codice genetico affranca dalla casualità, ma DNA e RNA non bastano. Si parla di epigenetica, o in altre parole di «un processo semiotico, che usa adattatori semiotici in combinazioni selettive» (T-RNA e M-RNA). Anche in questo caso, la domanda se si possa fare ordine con poche e semplici regole in uno stuolo così delicato e complesso di fenomeni è aperta. Ma le risposte potrebbero essere più semplici del previsto. Afferma Dieci: «Nei vertebrati la vita media dipende solo dalle dimensioni dell’individuo adulto».
Dove ci ha portati l’interesse rupestre per il vivente? Ci rende diversi da trentaduemila anni fa? Non sostanzialmente. Abbiamo scoperto il gran numero di fattori interdipendenti, e qualcosa iniziamo a capire sulla loro organizzazione complessiva. Molto è da distillare. Lo stupore ci aiuterà.
(A.C.)