Ciò che abbatte i muri immateriali

Sofia Bronzetti

CONFRONTO TRA DUE STORICI TRENT’ANNI DOPO L’EVENTO CHE HA RICOMPOSTO LA GRANDE FRATTURA D’EUROPA.

MA CHE NON HA GENERATO LA «FINE DELLA STORIA»

 

Rimini, 20 agosto – «C’è un paradosso: quando è caduto il muro di Berlino in Europa c’era sedici recinzioni nel mondo a dividere i vari paesi. Oggi più di sessanta». Che cosa è successo nel frattempo? Come è stato possibile che quel sogno di libertà che si stava miracolosamente avverando in quei giorni «abbia lasciato il posto alle inquietudini, alle paure di oggi?». Sono i temi su cui, a trent’anni dalla caduta del muro, si sono confrontati nell’Arena Internazionale A3 Giovanni De Luna, docente di Storia alla Scuola di Studi Superiori Ferdinando Rossi dell’Università degli Studi di Torino, e Agostino Giovagnoli, docente di Storia Contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, introdotti dal giornalista e conduttore Massimo Bernardini.

È stato chiaro il focus del dialogo: «quando a novembre le televisioni celebreranno questo evento con enfasi retorica», ha detto in chiusura lo stesso Bernardini, «ricordatevi di quanto è emerso in questo incontro». La chiave non è stata, infatti, semplicisticamente celebrativa, bensì volta a capire quale eredità quei momenti abbiano lasciato al mondo oggi. «All’epoca si parlò di “fine della Storia”; si pensava cioè che la caduta del muro avrebbe aperto ad un’epoca di pace perpetua, prodotta dal connubio tra democrazia e capitalismo, espanso ovunque dalla globalizzazione. Si tentava di eliminare la parola “guerra” dal lessico della politica, almeno nella sua accezione di distruzione» ha affermato De Luna.

Eppure oggi il mondo non è quel luogo edenico che sembrava dovesse finalmente scaturire dal “travaglio” del Novecento. «C’è una differenza fondamentale tra il muro di allora e quelli di oggi. Quello della DDR era fatto per impedire di uscire, di andare nel mondo del benessere, della libertà. Era un muro che serviva a mantenere, sia pure con una mostruosa deformazione, il consenso. Oggi, invece, i muri si fanno per impedire di entrare. Sono i muri dei ricchi, delle cittadelle del benessere, della sicurezza», è stata la sottile analisi di Giovagnoli. «Esistono muri immateriali, molto più preoccupanti, anche all’interno della stessa società», ha proseguito De Luna.  Che cosa ha prodotto questo? «La separazione tra valori e interessi»,       ha continuato lo storico, «il fatto che gli interessi siano diventati tout-court i valori da difendere. Una delle micce fondamentali del desiderio di libertà dell’Europa dell’est era il benessere». Che oggi, una volta raggiunto, ha creato la paura di perderlo. Quello che sembrava il processo di apertura dell’Europa si è trasformato nel processo di chiusura del mondo. Essenziale e lungimirante, in questi crocevia storici, è stata la voce dei Papi che li hanno vissuti, che hanno sempre, instancabilmente rivolto al mondo parole capaci di guardare in profondità a ciò che origina i problemi: «Giovanni Paolo II aveva chiaro che il punto fosse non tanto innescare rivoluzioni politiche, ma ridestare le coscienze, perché, come diceva, la forza del regime è la paura». Parole che echeggiano in quelle di papa Francesco, che afferma la necessità di lavorare per costruire una cultura dell’incontro, «capace di far cadere tutti i muri del mondo. Servono ponti e non muri».

In fondo, ciò che emerge è che non esiste un processo storico che, una volta innescato, porti automaticamente alla generazione di un mondo governato dal bene. Occorrono persone libere, accese, desiderose di costruirlo.

 

(T.G.)

 

Responsabile Comunicazione Eugenio Andreatta tel. 329 9540695 eugenio.andreatta@meetingrimini.org

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