Giovanni Testori

Traduzione della I lettera ai Corinti di San Paolo

 

Lunedì 26, ore 21.15

Lettura di:

Franco Branciaroli

Introdotta da:

Emanuele Banterle

Luca Doninelli

 

Banterle: Questa sera parleremo della più recente opera di Giovanni Testori, la Traduzione della Prima lettera ai Corinti, che Testori ha composto quest’anno, e che è stata pubblicata da poco in contemporanea con un’altra opera scritta per il teatro, Sdisorè, che è un’interpretazione nuova del mito di Oreste. È una caratteristica di Testori quella di lavorare su più opere contemporaneamente, magari creando linguaggi completamente diversi, però che nascono da un unico momento.

Luca Doninelli, scrittore e critico letterario.

Doninelli: Posso riflettere un attimo sul perché Testori ha fatto questa cosa assolutamente anomala, che è appunto la Traduzione della Prima Lettera ai Corinti. Antigone a un certo punto dice: "Tutto riequilibra il divino", la giustizia divina si presenta innanzitutto come qualcosa che ripaga i torti subiti. In Testori, come in san Paolo, è l’esatto contrario. Non è di una giustizia riequilibratrice ciò di cui si parla, ma di una novità che viene data altrove. Nell’intervista che precede il libro Testori dice che la ragione della Traduzione della Prima lettera ai Corinti è la parola carità. La parola carità che a noi dovrebbe richiamare l’idea di gratuità è la forza di un dono, di una chiamata a cui non si può non rispondere e tutta la forza che emana da questa cosa straordinaria sta in questo Dio che non è un riequilibratore ma è qualcosa che sconvolge completamente i piani e l’idea di giustizia, l’idea di equilibrio.

Io credo che si possa trovare un filo nella drammatica produzione letteraria di Testori negli ultimi dieci anni, che è il problema del perdono. In Testori emerge molto il tema dell’ateismo, non tanto nel segno della bestemmia, perché come dice Testori la bestemmia non ha nulla di ateo nel momento in cui è affermazione di un rapporto; l’ateismo è quando certi personaggi di Testori nelle sue poesie dicono a Dio: "Avrei dovuto essere tuo, ma non ci sono riuscito; avrei dovuto fare come tu mi chiedevi ma non l’ho fatto, non ce l’ho fatta. Quindi io mi autocondanno, me ne vado". Ed è interessante il fatto che Testori abbia lavorato contemporaneamente su questa Traduzione della Prima lettera ai Corinti e su uno strano, meraviglioso e anche divertentissimo rifacimento dell’Orestiade di Eschilo in cui una parola, perdono, che racchiude in sé la parola dono, sconvolge l’andamento classico della tragedia di Eschilo per creare un altro finale, un altro esito, ma dirò di più: per creare un’altra struttura umana. Quest’opera è l’incontro con qualcosa che è l’opposto della giustizia greca, è qualcosa di completamente diverso dal concetto di Dio come è stato immaginato dalla giustizia, come è stata immaginata dall’uomo. È una novità, è un’altra cosa.

La seconda osservazione è che non si tratta di una traduzione che tenda a riportare il testo di san Paolo alle sue origini. La Traduzione di Testori è l’esatto contrario anche di questo, è la testimonianza di un uomo per il quale l’equazione della vita è risolta da un altro, da un’altra cosa, da qualcosa di completamente diverso dal nostro concetto di giustizia, di equità, dal nostro concetto di Dio. Un’altra cosa che è Gesù Cristo, il Verbo fatto carne, che si è fatto lui carne, nessuno l’ha fatto, nessun uomo ha inventato questa cosa: è un evento. E il perdono, la parola perdono, che coglie a mio avviso, tutto il senso del lavoro di Testori in questi anni, giunge qui a un crocevia, nel senso che Testori porta alla cattedrale di san Paolo (paragonando il testo paolino a una chiesa) la sua testimonianza personale, di uomo che esiste, che è. Noi siamo qui per la stessa ragione, per testimoniare che l’equità della vita ha questa risoluzione che è la grazia, che è il perdono, che è la carità.