Sabato 25 agosto

PROMISED LAND, TERRA PROMESSA

Partecipano:

Jude Dougherty

decano della facoltà di filosofia della Catholic University of America, Washington (Usa)

Rafael Reyes Abadie

docente di storia contemporanea dell’università di Montevideo (Uruguay)

Guzman Carriquiry

direttore dell’Ufficio informazione e documentazione della Conferenza episcopale latino-americana (Celam) di Roma; membro del pontificio Consilium pro Laicis

Tema della tavola rotonda è una ricognizione dei modi in cui il modello della "Terra promessa" fu dapprima attuato nelle Americhe, agli albori della colonizzazione, con esiti destinati ad influire lungamente su tutta la storia successiva del "Nuovo Mondo". Esordisce Jude Dougherty parlando dei Puritani, fondatori nel secolo XVII delle colonie della Nuova Inghilterra, nucleo dei futuri Stati Uniti d’America.

Jude Dougherty:

Nei testi scolastici, per generazioni, i primi coloni puritani nel continente nordamericano erano considerati immigranti d'animo nobile, perseguitati nel Vecchio Continente per la loro fede religiosa e impegnati nel "Nuovo Continente" nella creazione di una società più perfetta. Una visione romantica dei coloni si può trovare ancora nella mentalità comune, ma i principi che animarono la mentalità coloniale oggi non sono generalmente accettati. Inoltre dalla schiera di quei riformatori che s’insediarono nel Nuovo Continente tra il 1620 e il 1630 sorse una teocrazia che era destinata a prevalere nella Nuova Inghilterra dalla fine del XVII secolo per buona parte del XVIII secolo Nessuna colonia sfuggì completamente all’influsso puritano. Si calcola che l’85% delle Chiese nelle prime 13 colonie fossero di tendenza puritana. Realizzare la Sacra Comunità in America questo era il loro obiettivo principale. I Puritani che erano usciti dalla Chiesa Anglicana perché ritenevano non avesse reciso con sufficiente intransigenza i legami con il Papato emigrarono in America con l’intenzione di costruirvi un ambiente ed una società ove il cristianesimo potesse essere vissuto nella sua purezza originaria. Compito principale della Chiesa era per loro quello di assicurare la proclamazione della verità della dottrina e la correttezza delle forme di culto, ma la disciplina si estendeva anche agli atti pubblici e coste nel Nord America attrassero non soltanto i Puritani ma anche molti gruppi religiosi dissidenti. Al tempo della Rivoluzione Americana e della formazione della Costituzione degli Stati Uniti, divenne chiaro che nessun gruppo era dominante. Il compromesso elaborato dalla Convenzione Costituzionale ripudiò una Chiesa nazionale, ma permise ad ogni Stato delle tredici colonie di determinare la propria Chiesa ufficiale. Intorno alla prima decade del XIX secolo divenne però chiaro che non ci poteva essere una Chiesa ufficiale nemmeno a livello di stato. Sebbene la costituzione degli Stati Uniti sia dovuta tanto all’Illuminismo quanto alle concezioni religiose coloniali (ossia dell'epoca in cui i futuri USA erano ancora colonie inglesi. Ndr), la religione fu data per scontata dai padri fondatori della nuova nazione Ogni visitatore degli Stati Uniti oggi non può che essere colpito dai richiami popolari al senso religioso. Non viene fatta nessuna proposta che non abbia una giustificazione morale e quella giustificazione di solito è religiosa. Moralità e religione vengono comunemente identificate. Ma ben presto il turista scoprirà che la religione è più una vernice esteriore che un insieme di certezze razionalmente mantenute con conseguenze morali specifiche La situazione è dunque assai cambiata rispetto a quella che era ai tempi in cui predominava il Puritanesimo. Per i Puritani non c'era divisione tra il sacro e il secolare. L’uomo è tutto di un pezzo e le sue leggi dovrebbero riconoscere questo fatto. La legge civile deve essere scritta alla luce del destino eterno dell’uomo. Chiesa e Stato hanno gli stessi obiettivi ultimi Ma il pluralismo era un fattore con cui fare i conti. La visione puritana doveva venire alle prese con visioni e tipi di culto alternativi. La concezione Puritana della natura umana e del suo governo era così salda che l'adattamento giunse a malincuore. La comunità puritana, per amore del bene comune, non esitò a mettere a morte i dissidenti quaccheri che cercavano di fare opera d’evangelizzazione al suo interno. Dato che la comunità riceveva la sua unità da una fede condivisa, ogni sfida a quella fede metteva al tempo stesso in discussione la società civile. Ben diversa è l’aria che respiriamo oggi. Siamo passati dall’unità di fede, al pluralismo, ad uno stato d’indifferenza. Oggi viene proclamato con facilità che non ha importanza quello in cui la gente crede. La tolleranza è stata fatta sovrana; e soprattutto si fa come se la tolleranza stessa non dipendesse, come invece dipende, da un insieme di valori condivisi Nella loro crescita gli Stati Uniti si orientarono in seguito verso le correnti principali del cristianesimo, giudicandole una guida più affidabile del puritanesimo. Ma poi anche questo centro non ha retto. Che cosa può creare le certezze che sono indispensabili all’unità civile? La Costituzione degli Stati Uniti sembra essere informata ad una filosofia i cui cardini sono il rispetto per la verità, la disponibilità a tollerare la pluralità religiosa - o si dovrebbe dire "dissenso" dato che era stato accettato un genere d’ortodossia -, la propensione ad arbitrare le differenze e ad attenersi alle decisioni della maggioranza, quando le differenze sono inconciliabili: questi sono i principali presupposti dalla Costituzione. Allo stesso modo sono presupposti i concetti che riguardano la dignità umana e i diritti naturali, sebbene ci si possa domandare quanto profondamente certi principi risultassero radicati nelle colonie, dove la schiavitù fu presente fin quasi dall’inizio. La domanda per noi oggi è questa: è possibile che i principi su cui fu fondata la Costituzione americana e furono create le leggi della nazione possano essere coerentemente animati da una filosofia secolare? Lo Stato, che manca di una sua propria ideologia, non dipende forse dalla religione per determinare alcune cose? Può lo Stato rimanere indifferente alla religione? Se il periodo coloniale (in cui cioè il nucleo originario degli attuali USA era colonia dell'Inghilterra. Ndr) fu teocratico, quello presente per contrasto è secolare. La religione ha smesso di avere influenza intellettuale o culturale negli Stati Uniti. Questo non significa sottovalutare A fatto che quando viene loro chiesto, una larga maggioranza di persone dichiara l’appartenenza ad una comunità religiosa. Inoltre un buon numero frequenta con regolarità i servizi religiosi. Ma se una cultura è data da una componente morale con tutte le sue implicazioni, sia nella sfera del comportamento personale sia della legge civile; se vuol dire pittura, architettura, musica e letteratura; se è data da un certo atteggiamento nei confronti della nazione e della famiglia, allora, giudicando dai modelli prevalenti, si dovrebbe affermare che la cultura che si sta sviluppando, in quanto opposta a quella ricevuta, non è toccata dal cristianesimo. Ma può essere forse altrimenti? Può la religione parlare con una voce divisa e ancora, di fatto, insegnare? Se la mentalità religiosa è insicura di sé, o è essa stessa dominata dalla mentalità secolare, quale forza morale o d’altro tipo può mai esercitare? Il problema della disgregazione sociale è dunque il problema della disgregazione della religione stessa? Dal punto di vista dello Stato, si può cancellare la religione e cercare radici filosofiche comunemente riconosciute? Se la religione non può fornire i dogmi basilari che tengono unita una società d’uomini liberi, allora forse la fede nel sistema democratico può produrre il necessario rispetto per la vita umana, la libertà e la giustizia. Tale era il programma dell’Illuminismo: si riteneva che la fede comune non avesse bisogno d’essere religiosa. Lo scopo della teoria del "contratto sociale" era infatti quello di far scaturire diritti e doveri da qualcosa di diverso dal volere divino o dalla legge naturale. I risultati di tale sforzo sono stati invece deludenti. La storia più recente ci ha confermato che la tutela dell’etica, se non la sua sorgente, non possono che fondarsi su una metafisica ed un’antropologia filosofica. L’affermazione di Lord Acton, originariamente riferita a "Il Contratto Sociale" di Rousseau, e cioè che i principi in esso affermati furono "fatali tanto alla Repubblica quanto alla Monarchia", potrebbe analogamente venire applicata oggi a certe strumentalizzazioni cosi care all’intellighenzia contemporanea. Il Cattolicesimo con il suo rispetto per il pensiero greco e con il suo senso romano della legge è particolarmente adeguato ad offrire un’alternativa alle filosofie secolari, i cui effetti rovinosi sulla vita civile cominciano ormai a farsi sentire Tuttavia oggi riattivare ed impiegare adeguatamente le risorse che sono proprie del Cattolicesimo è cosa non facile. Da molti punti di vista la situazione presente deve fare i conti con le conseguenze logiche della Riforma. Una cristianità divisa non può confrontarsi con il pensiero secolare, "laico", su un piano di parità. Se il crollo della cultura cristiana ha davvero le sue radici nella Riforma, forse nulla all’infuori dell’unità cristiana restaurerà una cultura cristiana. Ma anche se fosse possibile una presenza cristiana maggiore e con radici, più sicure, bisognerebbe ugualmente fare appello alle radici naturali della moralità. Ci sono molti studiosi di fama che sollevano il problema del fondamento della moralità. Mentre questo sforzo non è sempre identico ai tradizionali modi d’affronto della legge naturale, esso ha molto in comune con la metodologia della morale di San Tommaso. Che la Grazia perfeziona la natura è una verità per i cristiani. Così T.S. Eliot sostiene il ritorno allo studio dei classici come un modo per colmare la separazione fra intelligenza religiosa e secolare. Egli pensava che i greci e i romani ci dessero un insieme di principi che sia i credenti che i non credenti potessero usare nel cercare un accordo su molti degli elementi contenuti nella moralità personale e civile. MacIntyre ha ripetuto questo nel suo recente libro già largamente noto "After Vittue" (Dopo la Virtù). Anche l’intelligenza naturale ha un modo di fornire una base sulla quale le concezioni religiose possono essere viste in rilievo. Il tono soggettivista di molte testimonianze religiose contemporanee chiede di misurarsi con le classiche categorie ontologiche. La comprensione attraverso la fede conduce a qualcosa che ha valore in se stessa.

Nella prospettiva dell’America Latina interviene poi sul tema Rafael Reyes Abadie.

Rafael Reyes Abadie:

Prima che l’America irrompesse nella coscienza della modernità, sopravvivevano in Europa i miti e le speranze utopistiche create dall’Antico ecumene greco-latino. Fra questi la credenza in un aureo continente, collocato da Platone oltre la scomparsa Atlantide una quarta parte dell’Orbe Terracqueo, annunciata da Strabone, e che secondo Eratostene e Tolomeo sarebbe stato possibile trovare nell’altra metà della sfera planetaria Nell’Alto Medioevo, Sant’Isidoro di Siviglia, giustamente definito da Perez de Ortega il gran dottore delle Spagne e anche di tutto l’Occidente altomedioevale, nella sua Rerum Natura aggiunge all’Asia, all’Africa ed all’Europa una quarta parte, oltre l’Oceano, che non si può conoscere perché si trova in una zona di sole ardente al punto da impedirne l’accesso. In seguito si crearono le premesse per un ampliamento d’orizzonti, cui diede un contributo fondamentale il movimento francescano, il quale avvicinò fiduciosamente l'uomo alla natura e, dissipando l'ombra di maledizioni e territori ancestrali, apri la strada al cammino dell'uomo nel pianeta. Scoperto infine da Cristoforo Colombo ed identificato da Amerigo Vespucci, il Nuovo Mondo proiettò la propria immagine sull’Europa come quella di una terra di molteplici e diverse promesse Sotto la prudente egida della Corona di Spagna si svolse allora la drammatica impresa della fondazione. In essa, protagonisti furono essenzialmente il conquistatore e il frate. Nella stragrande maggioranza i primi conquistatori furono reclutati fra quelli che Cervantes chiamò con acume ‘i disperati e i disperanzati d’Europa’, fra quelli che erano cavalieri che ‘non avevano dove cadere morti’, dice Cervantes. Per questi uomini l’impresa delle Indie si fece avventura vitale, decisiva: il Nuovo Mondo fu per essi la Terra Promessa in cui conquistare la desiderata nobiltà; cessare di non essere più nessuno, ottenere il dominio d’ampie terre e l’usufrutto di miniere in premio di una vita di servizio, e la gloria, poi, nell'aldilà. Ma per meritare questi onori e benefici era necessario prendere posto in alcun delle nascenti repubbliche delle Indie come abitante di una casa popolata, ossia contrarre matrimonio e divenire capo di famiglia. Questi focolari che hanno fondato questo nuovo mondo, formati in gran parte da donne indigene, furono all’origine della progenie meticcia che i cronisti chiamarono ‘giovani e donzelle della terra’, prima selva colorata dell'etnia, americana. Nella sua essenza il Frate non differisce dal Conquistatore: è un conquistatore di ciò che è divino, in lui si osserva la stessa audacia, lo stesso spirito di sacrificio, lo stesso desiderio d’impresa, di vincere ostacoli. Ma mentre questi soffrivano grandi fatiche, i frati invece erano dediti all'umiltà. L’esempio era l’unico linguaggio che in un primo momento era possibile ai frati per farsi capire dagli autoctoni e comunicare loro la fede ardente che li animava; e per essi si trattava soprattutto di vivere secondo l’esempio di una rigida disciplina Inizia così una nuova cristianità, singolare amalgama di etnie e di culture forgiato nel quadro della cattolicità tridentina. La missione evangelizzatrice, sistematicamente compiuta a partire dal Terzo Concilio di Lima (1589),sotto l’ispirazione di San Tommaso di Mogroviejo, raggiungerà uno dei suoi risultati più importanti con la creazione nel Paraguay e altrove delle ‘Reducciones’, le repubbliche indigene dirette dai Gesuiti e basate su un socialismo autogestito con echi platonici. Anche la società politica latino-americana attingerà la propria miglior tradizione della Chiesa tramite le quattordici università fondate nelle Indie, dalle quali si propagò la dottrina democratica del potere, insegnata dai grandi maestri della neoscolastica spagnola dei secoli XV e XVI. Inoltre l'iniziale predilezione per i poveri doveva durare nella Chiesa latino-americana sino ad oggi, superando vittoriosamente le crisi e le successive alienazioni delle élite Alla luce poi di una rinnovata evangelizzazione, il Nuovo Mondo fu a sua volta specchio e rifrazione degli aneliti dell’Europa moderna, in mezzo alla crisi del cristianesimo ed all'emergere degli Stati nazionali ed alla ricerca di una società perfetta. Più tardi, agli albori del secolo scorso, al sopravvivere cioè di quella che si può chiamare la crisi dell'emancipazione', che portò in pochi decenni all’indipendenza di quasi tutta l’America Latina, due opposte posizioni si disputarono il potere politico. Da una parte quella dei patrizi, titolari delle Giunte di governo sorte nelle maggiori città, che, ispirandosi ai prestigiosi modelli della Rivoluzione borghese in Francia e della Rivoluzione nordamericana, puntavano a costituire Stati nazionali aggregando a tali città e territori circostanti raggiunti dalla loro influenza; Stati basati su un regime elettorale censitario, tale da escludere dal potere le masse popolari, ed orientati alla libertà di commercio nella speranza di una redditizia partecipazione al grande mercato internazionale che allora si andava formando sotto l’egida dell’Inghilterra. Dall’altra parte, invece, i grandi Caudillos, i grandi Libertadores, interpreti delle ansie di libertà e di giustizia dei popoli, che cercavano di conquistare, senza compromettere l'identità originaria di questi popoli, un'autentica emancipazione nell'ampio quadro storico e culturale della nazione ibero-americana. In questo diverso approccio delle élite creole e dei ‘libertadores’, le prime attratte dalle ‘luci’ dell’Illuminismo e dal sortilegio anglosassone del guadagno mercantile, e i secondi impegnati nella lotta per i meno felici, si fratturò drammaticamente la vigorosa cristianità indiana. Effettivamente, mentre nelle emergenti 'poleis' oligarchiche le dirigenze abbracciarono il deismo filosofico e si sforzarono di imitare i modelli politici del liberalismo borghese europeo in modo del tutto estraneo alla realtà dei popoli, i liberatori alzarono la bandiera della Vergine per condurre gli eserciti popolari nei successivi e alternativi progetti per ottenere l’unità confederale d'America, come patria grande, una e indivisibile. Con l’abile e pragmatico appoggio degli inglesi, trionfarono i progetti segregatori delle oligarchie e la promessa redentrice di un’America grande à e unita fu rinviata. Ma, passando il tempo, con l’avvento della urbana e industriale, indotta dal di fuori, dal grande potente in possesso della scienza e della tecnica, si approfondì la frattura fra ricchi e poveri e si approfondirono le ingiustizie, i rinvii, le sottomissione, in acuta contraddizione con i valori della dignità personale e della solidarietà umana, valori che il popolo latino-americano porta dentro A cuore come imperativo ricevuto dal Vangelo, come si dice nei documenti dell’Assemblea di Puebla. Frattanto, il corpo sociale ibero-americano andava ricevendo, fin dalla metà del secolo XIX, il diversificato apporto di milioni di uomini e donne emigrati dal Vecchio Mondo a causa della povertà che fu il portato delle prime fasi di espansione dell'industrialismo. Già nel nostro secolo fra le due Grandi guerre mondiali, dei nuovi ‘disperati e disperanzati’ si aggiungevano nel Nuovo Mondo, sempre più anche attratti dal materialismo pragmatico, dimentico di Dio. L’America fu così una volta di più Terra Promessa, di pane e di libertà e quindi alluvioni migratorie coprirono, con diversi destini lo spettro dei diversi settori sociali. Ma i primi germi della industrializzazione furono A nucleo portatore delle classi medie e come tale il ceto medio fu l’elemento di equilibrio fra il cieco progressismo materialista e il recondito cristiano nel mondo risultato della rivendicazione di giustizia dei ceti più poveri. Nel mondo risultato dalla divisione di Yalta fra i due ecumeni del liberalismo capitalista e del socialismo poliziesco, l’America Latina è rimasta integrata nella tragica ecumene della miseria, che ingloba nella stessa problematica 2/3 dell'umanità. Ma in ciò esiste come premessa redentrice l’essenza cristiana del suo essere storico culturale congenito che, come si è annunciato a Puebla, è la radice costitutiva di un risorgimento capace di offrire, nelle forme superiori di un nuovo comunitarismo cristiano, la speranza di una capace di assumere A sapere di dominio dell'uomo sulla Natura, rispettata nella sua sacralità. Grazie.

Prende quindi la parola Guzman Carriquiry, il quale annuncia di dedicare il proprio intervento a tre temi, rispettivamente la vocazione dell’America Latina come "Terra Promessa", l’esperienza delle Riduzioni gesuitiche del Paraguay intesa quale uno degli episodi più affascinanti dell'attuarsi di tale vocazione, ed infine alcune riflessioni su ciò che tale esperienza insegna "al nostro lavoro presente":

Guzman Carriquiry:

Ricordo innanzi tutto una suggestiva espressione rivolta da Paolo vi ai latino-americani nel 1964. Diceva cosi: America Latina, questa è la tua ora... la tua vocazione originale per unire in una sintesi nuova e geniale l’antico ed il moderno, lo spirituale e il temporale, ciò che altri ti donarono e la tua propria originalità. Il mondo intero attende la tua testimonianza di energia, di saggezza, di concordia e di pace, una testimonianza nuovissima di civiltà cristiana Oggi, a più di cinque anni dalla Conferenza di Puebla, verso il mezzo millennio della storia e della evangelizzazione dell’America Latina, all’alba del 2000 si pone, più che mai, al nostro ‘continente di speranza’ vuole continuare a meritare questo esigente appellativo la sfida originaria e primordiale di realizzazione storica di quella vocazione ad una nuova sintesi di vita; in altre parole, di costruzione di una ‘civiltà dell’amore’. Così alta vocazione e così alti ideali sfuggono da ogni superficiale o sottile soddisfazione retorica con l’antidoto della realtà di un’America Latina ancora divisa e disunita, sottomessa agli interessi e strategie delle grandi potenze, sofferente nella sua condizione di povertà di buona parte dei suoi figli, ipotecato il suo sviluppo con il peso di un insopportabile debito estero; instabili i suoi processi di democratizzazione di fronte ai militarismi e alle violenze di diverso segno ideologico, minacciata la cultura popolare e nazionale di profonda matrice cattolica dai modelli consumistici ed ideologici e dalle sette religiose, nel quadro di complessi e accelerati processi di modernizzazione. Ma un autentico ‘Risorgimento’ dell’America Latina, del quale l’avvenimento di Puebla costituisce la più radicale e globale consapevolezza, impegno e premessa, non può che essere basato sull’autocoscienza di quella vocazione originaria, tramandata dalla storia, dalla cultura, dalla tradizione dei nostri popoli e attualizzata, rinnovata, potenziata e diventata progettualità di risposta ai problemi maggiori del presente e del futuro dell'America Latina Il soggetto storico che raccolse tutta la complessità e la criticità delle prime fasi precedenti della ‘conquista missionaria’ in America e che riuscì a meglio incarnare e creativamente realizzare il Vangelo come forza generatrice di una nuova civiltà, fu la Compagnia di Gesù, specialmente tramite la grandiosa speranza delle missioni o Riduzioni gesuite. Quella ‘banda di santi'’ come li chiamerà Arnold Toynbee, uniti in compagnia, in cui un’amicizia profonda, in comunione intorno ad Ignazio di Loyola, diventato ordine religioso con speciale ubbidienza diretta al Papa e disponibilità assoluta ad andare ovunque in missione ‘ad majorem Dei Gloriam’, sarà la risposta della Chiesa ai bisogni di un mondo già di dispiegamento pianetario nel transito critico verso la modernità. I gesuiti avanzarono gradualmente verso le frontiere geografiche della civilizzazione coloniale, verso i fluttuanti territori limitrofi fra l’impero spagnolo e quello portoghese in America, là dove le sue caratteristiche selvagge e la bellicosità degli ‘indios’ non avevano ancora risvegliato l'interesse dei coloni. Fu là che stabilirono le loro missioni. Occuparono una vastissima area che ebbe la sua massima realizzazione e il suo epicentro con le ‘Riduzioni’ fra gli indigeni ‘guaranies’ nella vasta conca del Rio de la Plata (con i fiumi Uruguay, Paranà e Paraguay fino al centro-sud dell’attuale, Brasile), ma occuparono anche le zone tropicali dell’Amazzonia, oltre le Ande, in Bolivia, Perù ed Ecuador fino alle pianure orientali della Colombia e fino al nord del Messico (oggi il Sud degli Stati Uniti) e specialmente fino in California. In questo modo le Riduzioni gesuite riuscirono a realizzare un desiderio permanente della missione nel Nuovo Mondo: separare la croce dalla Espada, evitare le contaminazioni e le contraddizioni di una conquista missionaria, fare in modo che vasti settori della popolazione indigena avessero un contatto esclusivo con l’azione pacifica e persuasiva dei missionari, senza la mediazione delle armi spagnole e senza l’intromissione dell’avidità prorompente dei coloni. La Corona di Spagna aveva permesso il regime delle ‘encomienda’, che di fatto si risolveva per grandi masse di indios in un sistema di lavoro forzato a servizio dei coloni, invano denunci io da una legione di missionari. Merito dei Gesuiti fu quello di creare, con i villaggi comunitari passati alla storia come ‘Riduzioni’, un'alternativa reale ed efficace alla servitù dell’‘encomienda’. Compito improbo e rivoluzionario che certamente ha eseguito la messa in pratica, per i padri, di una infinità di risorse psicologiche e pedagogiche, delle loro conoscenze culturali, delle loro doti di pazienza, abilità, abnegazione nel servizio. Ma notate che se i Gesuiti arrivarono e cominciarono la loro opera nella vasta conca del Plata all’inizio del 1600, 25 anni più tardi esistevano già nel ‘Guairà’ (tra le attuali province di San Paolo e Paranà) 13 riduzioni con un totale di 100.000 indigeni. Nella loro fase di stabilizzazione e apogeo, verso il 1700, i villaggi missionari nell’Alto Parartà, Alto Uruguay erano 30 con circa 5.000 indigeni ciascuno. Quale era A modello comune di organizzazione per tutti i villaggi! La cappella e la casa dei padri nella piazza centrale, espressione della vita spirituale che animava tutta la comunità, sotto la tutela paterna e servizievole dei Gesuiti, insieme alle scuole, botteghe, grandi magazzini ed edifici per malati, vedove e orfani, segno tutto ciò degli sforzi e della solidarietà collettive. In seguito si disponevano case, di forma rettangolare, per le famiglie, promosse con non pochi sforzi come base naturale e cristiana di socialità. Ogni villaggio aveva una relativa indipendenza, sebbene all’interno di uno spazio geo-economico e spirituale A cui centro regolatore risiedeva nella sede del Padre Provinciale. A sua volta ogni popolo aveva l’indirizzo di un sacerdote assistito da un sindaco, alcuni ‘caciques’ e diversi funzionari indigeni, poiché i Gesuiti mantennero per quanto possibile l’organizzazione tradizionale dei Guaranì, allargandola nella sua estensione, trasformandola e dandole un nuovo senso. Religione e lavoro si alternavano nella vita del popolo missionario scandita da orari precisi. L’insegnamento religioso di tutto il popolo, i momenti culturali, le frequenti processioni ed in modo particolare la messa quotidiana ed A santo rosario, la rappresentazione di ‘autosacramentales’ in tutto questo privilegiando la lingua guaranì si combinavano con ritmi il meno possibili faticosi di lavoro in generale una mezza giornata e in un clima di festa sempre accompagnato dalla musica (i Guaranì erano dei musicisti nati).Gli ‘indios’ lavoravano in comune, due o tre giorni alla settimana, il ‘tupambal’, la "proprietà di Dio", cioè le terre di proprietà comune, della comunità, base del capitale sociale e di investimenti, per soddisfare i bisogni collettivi e di solidarietà sicurezza sociale per malati, vedove e orfani. Ma il ‘tupambal’ dei villaggi coesisteva con l’ ‘abambal’ (proprietà dell’uomo) che si riduceva ad una piccola porzione per ogni famiglia, non poteva essere ereditata e veniva distribuita alle nuove famiglie in forma vitalizia, e assicurava il sostentamento minimo ed il vestiario con il lavoro domestico. Tutti gli utensili di produzione aratri, semi, mezzi di trasporto, bestiame, ecc. erano di proprietà comune. La distribuzione della carne era razionata in modo egualitario. E’ bello poter dire che la gente missionaria non conobbe la fame e la miseria e neppure conobbe le differenze sociali, in un modo di degna e comune sobrietà. Neppure conobbe l’analfabetismo grazie all’educazione estesa a tutti gli indios. Ancora di più: Gesuiti coinvolsero nell’educazione e nel lavoro delle Riduzioni le più alte tecniche agricole ed artigianali del loro tempo, rendendo edotti gli ‘indios’ della tecnica meccanizzata con diverse scuole di arti e mestieri per il maneggio di questi utensili che introducevano all’industria. E’ per questo che le missioni potevano contare sul più alto tasso di produttività nella colonia, esperienza di sviluppo sociale, tecnico ed economico, di promozione dei popoli sottosviluppati ai livelli più alti per la loro epoca. Tutte le forme di educazione e di produzione artigianale furono praticate dagli indios. Arrivarono fino a costruire stampe, fabbricare organi ed altri strumenti musicali, costruire orologi, fare conti con macchine di propria elaborazione, raffinare numerosi prodotti agricoli, ecc. Senza paura di esagerare si può dire che tutta l’industria coloniale si trovava all’interno di questi popoli. Si fabbricarono allo stesso tempo nelle Riduzioni rudimentali ma efficaci cannoni e si addestrarono reparti militari disciplinati di indios, caso unico in tutta la colonia, che misero fine alle scorrerie e alla caccia di "indios" missionari da parte di "bandeirantes" (banditi) per il commercio di schiavi. Ciò nonostante non era conosciuto il denaro nelle Riduzioni. In esse e tra di esse si operava A baratto per ottenere soddisfacimento dei propri bisogni. I restanti prodotti si conservavano in alcuni magazzini e depositi sotto la direzione centralizzata dei padri gesuiti i quali facevano affidamento su ufficiali di commercio estero per l’esportazione verso il commercio coloniale ed estero; questo permetteva ai missionari di pagare in denaro i tributi dovuti alla corona e di ottenere di importare le materie necessarie per il loro sviluppo. Si è trattato certamente di una esperienza straordinaria di grandissima solidarietà umana reciproca tra i Gesuiti ed i Guaranì come si dimostrava nei momenti di crisi della vita delle Riduzioni in cui la differenza culturale fece della dialettica fraterna tra missionario ed indio, una dialettica di padre-figlio, sostituendola a quella di padrone e schiavo degli "encomenderos". Visse un clima di grande felicità nelle missioni. Non per niente il castigo più grave fu l’espulsione dalla comunità (non si conobbe tra di loro la pena di morte). E quantunque non mancassero severità nel controllo e vigilanza per il bene della vita in comune, i popoli delle Riduzioni crebbero incessantemente. Se l’obiettivo che i Gesuiti si proponevano nei confronti degli "indios" era quello di insegnare loro ad essere uomini, l’esperienza delle Riduzioni riuscì a rispondere a questo stando all’affermazione nientemeno che di Voltaire: sembravano un trionfo dell’umanità. Ciò nonostante, le Riduzioni furono come opera della Compagnia di Gesù continuamente minacciate, calunniate ed infine schiacciate e distrutte e poi dimenticate. Si volsero contro di esse gli interessi dei settori colonialisti degli imperi americani sia gli "encomenderos" spagnoli, sia i mercanti schiavisti del Centro-Sud del Brasile, desiderosi della mano d’opera indigena con le monarchie cattoliche del dispotismo illuminista in Europa intorno alle quali appare già la massoneria che deportarono i Gesuiti dal Portogallo, dalla Spagna e dai suoi rispettivi domini americani, e fecero pressione nei confronti del Papato isolato ed impotente sino a giungere allo scioglimento della Compagnia di Gesù nel 1767. Non invano dominava il "regalismo" con la totale supremazia dei poteri monarchici sulle chiese nazionali; poteri che combattevano violentemente la Compagnia per due motivi fondamentali:

l. per rigetto del pensiero gesuita di Mariana e Suarez che sosteneva l’origine popolare della sovranità e finanche teorizzava "il diritto alla ribellione";.

2. per isolare ancora di più il Papato emarginando questa potente compagnia che era direttamente soggetta ed era per questo meno facilmente addomesticabile nei progetti regalisti ed illuministi dell'assolutismo monarchico.

Essendo stati obbligati a partire dall’America Latina, dal giorno alla notte, più di 2.200 padri gesuiti il fior fiore del clero missionario e dell’"intellighenzia" latino-americana le Riduzioni si trovarono improvvisamente senza testa e cominciarono a dissanguarsi senza sosta, soggette al ladrocinio dei funzionari e dei coloni, allo sfruttamento del lavoro degli "indios" e alla conseguente dispersione di essi stessi. Col termine delle Riduzioni gesuite si preannunciavano già i segni precursori della crisi della cristianità indiana e la progressiva trasformazione dell’America Latina in zona di prelievo, dipendente dalle nuove potenze industriali emergenti sotto le loro linee ideologiche liberali ed illuministe di tendenza secolarista. Potremmo ancora continuare a seguire le tracce degli indigeni delle missioni nella loro partecipazione negli eserciti informali dei "cardillos" popolari del Rio de la Plata, sia per quanto si riferisce alle lotte per l’indipendenza, sia nella resistenza fiera e degna del loro sostrato culturale cattolico contro i progetti delle oligarchie dottrinali sotto influenza straniera. La ricca eredità missionaria riceverà ancora un colpo di grazia con la guerra della Triplice Alleanza (1865) - tra Uruguay, Argentina e Brasile - contro il Paraguay di Carlo Antonio Lopez, che dalla prima metà del secolo XIX era divenuto la prima potenza industriale dell’America Latina, di base indigena contadina, con tendenze autarchiche, e che usci completamente distrutto da tanto potere nemico. "Ai popoli di radicata fede cristiana" - potremmo concludere con i vescovi (Puebla) – "si sono imposte strutture generatrici di ingiustizia in concomitanza con a processo di espansione del capitalismo liberale…" Che cosa l’esperienza delle Riduzioni può insegnare al nostro impegno di oggi? Se le abbiamo rievocate non è certo per nostalgia per la "società cristiana" del passato, idealizzata in modo illecito e impotente quindi di costruire l'oggi ed il domani. Ma neppure vogliamo relegarla ad un passato un po’ vergognoso come espressione di superata cristianità, come se l’apertura alla modernità implicasse accettare e subordinarsi alla sua interpretazione secolarista dominante che tende ad annientare ogni presenza incidenza sociale e culturale del Cristianesimo nel nostro tempo C’è una continuità ideale e storica, fra la prima omelia di Fra Mantesines e all’inizio della colonizzazione, l’appassionata lotta di Fra' Bartolomeo de las Casas, l’esperienza delle Riduzioni dei Gesuiti, con l’incisività profetica della parola dei vescovi latino-americani a Medellin e a PuebIa. Non invano le situazioni e le strutture di oppressione sono in contraddizione con i valori evangelici e la corrispondente immagine dell’uomo seminata nella cultura e nelle tradizioni dei popoli latino-americani. Ma i missionari gesuiti non si accontentarono della denuncia del "commendero" e neppure con l’aiuto all’indio sprovvisto. Non si limitarono ancora ad un necessario dibattito culturale ed alla necessaria pressione morale sui poteri del suo tempo per ottenere il cambiamento delle leggi e delle strutture. Furono ancora più radicali giacché misero gli "indios" in condizioni materiali, culturali e religiose di affermare e valorizzare la propria umanità. Generarono anche all’interno di un contesto di violenza ed oppressione grandi esperienze collettive di crescita umana e popolare, esemplarmente attrattive ed esplosive come possibilità reali ed impulso storico di un autentico progresso, e, per questo, combattuti e perfino distrutti nel nome di quel progresso che diventa ideologia ad uso dei potenti. Forse che non è questo un richiamo anche nelle così diverse condizioni del nostro tempo ad avere fede nella forza creativa, costruttiva della fede? A dimostrare, già adesso, questa forza costruttiva della fede nell'edificazione di nuove esperienze, condizioni, modelli di convivenze più degne dell’uomo. Già le intravediamo nelle diverse espressioni sociali di comunione e solidarietà che si vivono in famiglia e nei vicinati, in comunità ecclesiali di base, nei movimenti, nei santuari e in non poche forme di organizzazione e autogestione popolare a livelli sindacali, cooperativi, ecc., là dove la cultura cristiana del popolo crea spazi per vivere la fraternità ed esprimono così germi e modelli di una nuova umanità. Per questo, facendo eco alle parole di Giovanni Paolo II in Guatemala, bisogna gridare forte: "Non più divorzio tra fede e vita!". i rapporti di comunione generati dalla fede diventano effettivamente segno e forza storica di liberazione integrale. Bisogna dimostrare, nei fatti, che la fede è più radicale e più efficace nel servizio del bene dell'uomo che ogni ideologia.