Ci serve un teatro che serve: teatri in opera in Emilia Romagna, Toscana
e Lombardia

Martedì 24, ore 15.00

Relatori:

Enrica Maria Paoletti,
Teatro Aster di Firenze

Giuditta Mingucci,
Compagnia degli Scalpellini

Stefano Braschi,
Direttore della Sala Fontana
di Milano

Giorgio Vittadini,
Presidente della Compagnia
delle Opere

Moderatore:

Franco Palmieri

Palmieri: Il teatro normalmente è considerato come luogo di sperimentazione in cui le cose vengono solo viste; l’altra possibilità è ritenerlo, invece, un servizio che si rivolge alle persone. Da questa intuizione è nata da alcuni anni in Italia un’esperienza di coordinamento e di messa in comune del metodo di lavoro nel teatro.

Paoletti: Ho iniziato a lavorare nell’ambiente teatrale nell’ottobre del 1989, dirigendo il Teatro Aster di Firenze, fra non poche difficoltà e non pochi errori. Nel luglio del 1997 la mia più stretta collaboratrice, per svariate questioni, si è dimessa. Fu un grave colpo perché da un anno cercavo di organizzarmi per lavorare meno per motivi familiari e avevo puntato parecchio su di lei, sul fatto che lei potesse sostituirmi in molte delle cose che facevo io. La tentazione di mollare fu molto forte, da un lato; dall’altro, mi si stringeva il cuore perché lasciando avrei buttato via anni di duro lavoro. Non ero capace di decidere da sola e alla fine, vincendo alcune resistenze, decisi di chiedere aiuto. Un amico dopo avermi chiesto alcuni dati, mi consigliò di fidarmi della persona di cui avevo più stima nel mio ambiente di lavoro. Franco Palmieri mi dava due garanzie: il livello qualitativo delle ultime produzioni fatte dal Teatro dell’Arca, di cui era direttore artistico, e, parallelamente, la certezza che lui considerava fondamentale comunicare al meglio, attraverso lo specifico del teatro, il bisogno dell’uomo. Così iniziò una compagnia sul lavoro con Franco che nel frattempo aveva accettato il mio invito. A noi si è aggiunto Stefano Braschi, Presidente dell’Aster, il Direttore artistico della Sala Fontana di Milano, e Bruno dell’Altana di Cremona. Il nostro è innanzitutto un rapporto di lavoro che si fonda sull’attaccamento al metodo in atto che è l’unità tra noi: un confronto e un giudizio serrato su ogni particolare.

Palmieri: Lavoro ormai da 25 anni nel campo della comunicazione e specificamente del teatro, luogo che da molti secoli è stato svuotato della sua specifica funzione rispetto alla società. Dalla fine del ’700, dopo Shakespeare, il teatro entra a corte; da quel momento inizia un inesorabile processo di servilismo al potere che arriva ai nostri giorni e comunemente ci porta a pensare al teatro come qualcosa che non c’entra niente con quello che noi facciamo. Oggi è considerato un genere di spettacolo che serve solo come evasione, che non c’entra col nostro essere uomini. L’altro aspetto, ancor più pericoloso, con cui viene affrontato normalmente il teatro, è quello del piacere estetico: deve provocare forti emozioni. È una concezione analoga a quella che guida il consumo cinematografico: provare emozioni per storie sempre più lontane da noi, che non ci riguardano.

Tutt’altra storia è stato il mio incontro con il teatro. Ho cominciato a Forlì, avevo diciotto anni, per curiosità; di teatro da ragazzino non sapevo nulla, non sapevo proprio che cosa fosse, anche perché a Forlì non c’era un teatro (il primo lo abbiamo aperto noi come Teatro dell’Arca). Iniziò subito un rapporto con altri con cui ho cominciato da subito a condividere tutto. La prima certezza che ha preso fuoco, in me e negli altri, diventata poi passione, è stata che il teatro non è finzione; ce lo siamo detti proprio così, all’inizio della partita.

Pur essendo cresciuto negli anni della contestazione, quando il teatro era assolutamente ed esclusivamente politico, e la politica era rinuncia ai padri in nome di un’ideologia, ho capito che la creatività è possibile solo a partire da un legame saldo, intimo e profondo con la tradizione. Il Teatro dell’Arca ha condotto una ricerca spasmodica e costante di maestri più grandi che documentassero e stabilissero un legame con essa. Questa è l’azione più creativa di tutti questi anni. Ricordo in particolare Testori, che ci ha insegnato che l’arte è artigianato; Zanussi, attraverso il quale abbiamo conosciuto un teatro legato in maniera effettiva, forte, all’esperienza di un popolo; il Papa, il quale, una sera, dopo l’Interrogatorio a Maria, ci disse che il teatro rende visibile l’invisibile; Giussani, che durante una cena ci disse che il teatro è amare la drammaticità della vita, è riproporre la vita con i suoi problemi senza scandalo e con generosità.

Mingucci: La Compagnia degli Scalpellini è un’associazione universitaria nata ufficialmente nel 1996 dalla sottoscritta e da un’amica. Dopo aver letto l’opera Assassinio nella cattedrale, su suggerimento di un amico, abbiamo desiderato comunicare a tutti il dramma di Eliot, non semplicemente attraverso la lettura, ma anche attraverso la rappresentazione. Dopo aver invitato gli amici, per completare l’organico di un’opera che prevede molti personaggi, su consiglio di un docente nostro amico, il professor Piccinini, abbiamo appeso ovunque nell’ateneo bolognese locandine per invitare ad entrare nella compagnia. L’aspetto interessante di questo invito è che nel mondo del lavoro teatrale raramente si diventa attori perché c’è un testo; normalmente è la compagnia teatrale a scegliere il testo e non il contrario. Terminato di raccogliere le adesioni, per fare un lavoro decorosa, ci siamo fatti aiutare proprio da Franco Palmieri. Il risultato del lavoro di un anno è stato sorprendente, ha travalicato le nostre aspettative: lo spettacolo ha avuto, dopo le repliche a Bologna e Rimini, moltissime richieste in tutta Italia. Siamo riusciti faticosamente, essendo sessanta universitari impegnati nell’opera, a fare spettacoli a Forlì, Ferrara, Venezia.

Non ci siamo fermati qui. Meditando una ripresa, siamo partiti alla ricerca del testo integrale de La Rocca, che in Italia non esiste. Apparentemente introvabile in Inghilterra – ne esistono solo edizioni del 1935 e del 1934 –, siamo finalmente riusciti a trovare il testo originale, in inglese, e l’abbiamo tradotto. Questo è un altro lato interessante perché, comunque, in tutto questo nostro percorso era coinvolto il nostro essere universitari, studenti, ricercatori. Da questo recupero è partito il nostro nuovo lavoro teatrale.

Braschi: C’è sempre una concezione molto romantica e idealistica del teatro e, più in generale, dell’arte: idee, intuizioni, improvvisazioni legate al teatro, sono avulse dalle regole con cui sono condotte le attività economiche. Se non avesse queste caratteristiche un teatro non sarebbe giudicato positivamente. La conferma viene dagli stessi amministratori pubblici, imprenditori, direttori di banche, quindi gente anche di un discreto livello culturale e intellettuale. Venendo in contatto con questi soggetti, mi accorgo sempre che, di fronte all’esemplificazione del fatto che il teatro è anche un’attività economica con investimenti, qualificazioni professionali, nasce proprio lo stupore di non averlo mai pensato così. Tanto è vero che non di rado – adesso forse di meno – capitava che alla fine degli spettacoli, complimentandosi con me la gente mi chiedeva: tu nella vita che lavoro fai?

A onor del vero questa mentalità si annida fortemente fra i teatranti stessi, soprattutto fra quelli che appartengono alla generazione che ha fatto sorgere tanti gruppi negli anni Settanta; sono storiche le discussioni e anche le litigate tra chi sosteneva le ragioni dell’arte e chi le esigenze di far quadrare il bilancio. Giovanni Testori in questo senso ci ha molto aiutato parlandoci sempre dell’arte come artigianato. Quando ti imbatti nella genialità è dono non ricreabile, riprogettabile; la genialità è la genialità, non puoi far altro che servirla e seguirla, con pazienza e costanza, le qualità dell’artigiano. Questa intuizione però sarebbe rimasta una pia intenzione se, attraverso la Compagnia delle Opere, non avessimo incontrato numerosi imprenditori che ci hanno aiutato. Questo contributo è stato fondamentale per comprendere gli errori e ampliare gli orizzonti, orizzonti che spesso chi vive il teatro ha molto ridotti. Per esempio abbiamo capito che nessuna compagnia ha futuro se non ha mai ricevuto finanziamenti pubblici; che sinergie tra diverse compagnie sembrano indebolire le proprie possibilità rispetto ad una torta così piccola come il teatro, invece consentono un rafforzamento.

Oggi possiamo dire che i vantaggi del nostro coordinamento, collocato in tre regioni strategiche per il teatro, si vedono nelle rassegne che organizziamo: ottantamila presenze all’anno e più di quattrocento spettacoli di propria produzione che si distribuiscono sull’intero territorio nazionale. Il Fontana Teatro ha sicuramente una sua centralità anche sul versante istituzionale perché è interlocutore stabile del Ministero, della Regione Lombardia e della Provincia di Milano. Inoltre ha avviato – in questo la Regione Lombardia è molto avanti rispetto ad altre regioni – un piano di relazione con l’estero, col Festival Quattro motori che raggruppa, oltre alla Lombardia, tre regioni della Catalogna, della Francia e della Germania.

Vittadini: Con il mio intervento vorrei chiarire il significato di questo tentativo. Per costruire un’opera in campo culturale sono necessari due elementi: appartenere alla cultura da cui si proviene e credere che si possa generare uno strumento in grado, nel tempo, di esprimere proprio questa cultura. All’inizio la Sala Fontana, con la sua vocazione di teatro per ragazzi, rischiava invece di essere totalmente portatore d’acqua altrui. Nella stessa situazione erano gli altri soggetti del coordinamento; per esempio l’Arca, pur essendo una presenza storica sul territorio, era minacciata nel suo lavoro da una cooperativa che sostanzialmente pretendeva di far fuori tutto il resto, imponendo il proprio modello culturale. Si è cominciato, allora, a mettere insieme le forze, perché si costruisse un soggetto che potesse continuare ad esistere e potesse sviluppare una cultura teatrale figlia dell’esperienza cattolica. Gli Incamminati sono ormai maturi nel teatro di prosa, quello dei grandi teatri; Sala Fontana ha incominciato nel teatro per ragazzi; l’Arca nel teatro sperimentale sviluppato in Italia solo dalla sinistra. Oggi è come se si fosse al momento iniziale, al primo passo della possibilità di dare continuità e quindi stabilità a questo tipo di lavoro. Facendo così, tra l’altro, non ci si chiude nell’Aventino, ma si dialoga con compagnie analoghe di sinistra e laiche.