Martedì 26 Agosto, ore 23.30

DOMANDARE LA PACE

Veglia di Preghiera

Presiede:

S. Em. Card. Roger Etchegaray,

Presidente della Pontificia Commissione "Justitia et Pax" e del Pontificio Consiglio "Cor unum".

S.Em.Card. R. Etchegaray:

Chiesa, cosa fai per la pace? E’ a questa domanda molto semplice che vorrei questa sera rispondere. Di certo, la Chiesa comprende il Papa, i Vescovi, ma anche ognuno di voi, ognuno di noi. Probabilmente la Chiesa non è mai stata così presente come lo è oggi, agli avamposti della lotta per la pace. Noi cristiani dobbiamo essere ben consapevoli delle nostre proprie responsabilità al servizio della pace. La pace di Cristo ci rivela le radici più profonde della pace, ricordandoci la necessità di combattere contro il peccato. Così, il cristiano non si sbaglia di combattimento sui campi della pace, non si nutre di illusioni né è spossato dalle delusioni, sa bene da dove viene la vera pace e fin dove questa deve arrivare. La pace di Cristo ci comunica le certezze più solide, ricordandoci che ogni pace è un dono di Dio accolto nella preghiera e nel digiuno. E’ nel silenzio dei chiostri che si trovano i migliori artigiani della pace. La pace di Cristo congiunge insieme il futuro e il presente dell'uomo, il "non ancora" e il "già qui"; essa è perfino capace di coabitare con la guerra, di cui rosicchia pazientemente gli spazi. Noi sappiamo che la pace di Dio è ben più grande della piccola pace che gli uomini e i popoli cercano, al punto che, come diceva S. Paolo, "essa sorpassa ogni intelligenza" (fil, 4.7). Noi sappiamo che shalom è la parola più piena della Bibbia, la sola che possa saziare l'uomo, poiché prende tutto l'uomo, corpo e anima, e lo rende completo, intatto, integro, in armonia con Dio, con gli altri uomini, con la natura, con se stesso. Si tratta veramente della gioiosa sinfonia della pienezza dell'ordine cosmico espressa dal salmo: "Amore e verità si incontreranno, Giustizia e Pace si baceranno" (Sal. 85,11). Noi sappiamo che Dio è venuto ad abitare fra noi per dare un nuovo avvio alla "pace sulla terra". Sappiamo che la pace lasciata da Cristo in eredità non è quella del mondo: "Vi do la mia pace" (Gv. 14, 27). Anzi, dice Gesù, è una pace che porta "la spada" (Mt. 10, 34), una pace che ci pone in stato di guerra con ogni falsa pace, una pace che è critica tanto della pace interiore quanto della pace politica. Noi sappiamo che la vera pace costa assai cara ai cristiani, i quali non ne escono indenni se non con le stigmate del Cristo crocifisso, seguendo l'esempio di Francesco d'Assisi, il grande santo della pace universale. Infine, noi sappiamo anche che Cristo ci dà non soltanto la sua pace, ma che egli stesso è, la nostra pace: "Ipse est pax nostra", secondo l'espressione di S. Paolo (Ef. 2,14). Io non conosco nel Vangelo una parola più innovatrice in favore della pace, perché avendo personificato la pace, Cristo la rende vita. E S. Paolo aggiunge che Gesù, distruggendo il muro dell'odio per mezzo della croce, ha creato nella propria carne un uomo nuovo, unendo in un sol corpo i due tipici nemici rappresentati dal giudeo e dal pagano. Cristo stesso è dunque la nostra pace, e quale pace! Chi dice meglio, chi fa di più per la causa della pace? Ma la pace non è proprietà esclusiva della Chiesa. La Chiesa non è ripiegata sulla pace di Cristo di cui assapora il gusto squisito e durevole. La Chiesa cammina con tutti gli uomini dal nord al sud, dall'est all'ovest, formando una comunità di destino in cui si gioca la pace del mondo. La Chiesa parla a tutti della pace, lavora per la pace di tutti e con tutti. La Chiesa, secondo le parole di Giovanni Paolo II, si fa portavoce della "coscienza morale dell'umanità allo stato puro, la quale desidera la pace, ha bisogno della pace". Chiesa, cosa fai oggi per la pace? Prima di tutto, essa mobilita tutti i suoi figli. Il cantiere della pace è aperto a tutti, in modo speciale ai giovani, senza voler fare dei giovani una categoria a parte. Quando Giovanni Paolo II ha lanciato lo scorso anno lo slogan "la pace e i giovani camminano insieme", non era né per lusingarli né per incitarli a un'impresa. Ma semplicemente perché l'aspirazione alla pace è aderente alla loro pelle ancor più che alle suole delle loro scarpe e l'avvenire della pace si trova nel loro cuore di pellegrini senza frontiere. Perché i giovani e la pace camminano insieme fino al punto di cadere insieme. Quando la pace muore per far posto alla guerra, sono soprattutto i giovani a morire. Ma sono soprattutto i giovani a sapere che la pace ad ogni costo, a rischio di perdere la propria anima più che la propria pelle, è indegna del loro ideale e che le cause che muoiono sono quelle per cui non si muore più. Sangue dei martiri, giovinezza della Chiesa. La Chiesa mobilita gli uomini di scienza, Sento ancora nelle orecchie il solenne richiamo di Giovanni Paolo II all'UNESCO: "Io, figlio dell'umanità e vescovo di Roma, mi indirizzo direttamente a voi uomini di scienza... a voi che siete le più alte autorità in tutti gli ambiti della scienza moderna... Dispiegheremo soprattutto i nostri sforzi per preservare la famiglia umana dall'orribile prospettiva della guerra nucleare!" E’ a questo punto che lancia il grido vibrante: "Bisogna mobilitare le coscienze!", un grido che è stato considerato come un appello a una specie di obiezione di coscienza mediante cui gli scienziati possano bloccare l'ingranaggio della morte nucleare. La Chiesa affida il dovere della pace alle nazioni stesse e non solo agli individui. Ecco perché dispiega un'intensa e onnipresente attività, troppo poco conosciuta, in seno a innumerevoli conferenze internazionali in cui la sua voce è particolarmente ascoltata, poiché essa trascende gli interessi e i conflitti che agitano e spesso paralizzano tali riunioni. La Chiesa non si stanca di esplorare tutte le dimensioni della pace, la pace si dà nuovi nomi: sviluppo, liberazione, questione sociale, solidarietà internazionale, difesa dei diritti dell'uomo. Il minimo strappo alla tunica dell'umanità arriva a disfare la pace. Giovanni Paolo II ci dice che la pace è un "valore senza frontiere": nessuno può rassegnarsi né alla coesistenza dei due blocchi Est-Ovest, né all'approfondirsi del divario Nord-Sud. La pace è indivisibile: esiste un'interazione tra il dialogo Est-Ovest e la solidarietà Nord-Sud. Si tratta di concetti che ci sono divenuti familiari, che rischiano però di schermare un'altra realtà: l'attuale presenza della guerra o della guerriglia un po' ovunque nel mondo, fuori d'Europa. Il silenzio delle armi si ferma alle frontiere del terzo mondo. Qui i paesi ricchi possono offrirsi il lusso insensato di intendersi a colpi di minaccia nucleare. Ma là, i paesi poveri possono impoverirsi di più battendosi a colpi d'armi mercanteggiate. L'indifferenza di qui è turbata solo da alcuni segnali di allarme: il terrorismo, la crescita del razzismo, l'indebitamento dei paesi poveri. Se vogliamo promuovere la pace nel mondo intero, dobbiamo stare attenti a non lasciarci obnubilare dal problema, pur grave, della discussione nucleare, per accorgerci di altri problemi come quello dell'incitamento al commercio delle armi, soprattutto nei paesi poveri. La Chiesa osa fare appello all'opinione pubblica, una opinione che sia ben consapevole, informata, tenace, non manipolata, poiché non v'è nulla di più vulnerabile delle aspirazioni popolari alla pace. Ma, ciò nonostante, la Chiesa non è una forza di complemento che metta le sue risorse a disposizione dei movimenti della pace. Essa non s'indentifica con alcuna particolare strategia. La sua originalità è di essere educatrice delle coscienze: essa cerca di creare le condizioni favorevoli che aiuteranno gli uomini a decidersi in funzione dell'esigenza di giustizia che ispira ogni libertà. Come educare alla pace degli uomini che, atterriti, sono seduti su una polveriera o che assistono impotenti all'esplorazione dello spazio siderale con lo scopo di piazzarvi nuove armi, quasi che la terra e il mare non potessero più sopportarne il peso? Il primo atto di un'educazione alla pace è quello dell'informazione: davanti a una documentazione che si banalizza o si "babelizza", occorre fare lo sforzo di informarsi seriamente e ostinatamente circa problemi di alta tecnicità militare, politica, economica sia sul piano interno che su quello internazionale. La promozione della pace non può restare a un livello artigianale, ridotta a un insieme di buone idee o un incanto di buoni sentimenti. Per dire addio alla guerra non basta dire buongiorno alla pace. La pace non è così semplice come il cuore l'immagina, ma è più semplice di quanto la ragione non creda. Davanti alla complessità e al groviglio dei problemi, siamo tentati di dirci: la pace dipende da mani più esperte delle nostre. Certo, la pace ha bisogno di specialisti, ma essa è anche nelle mani di noi tutti, passa attraverso i mille piccoli gesti della vita quotidiana. Ogni giorno, mediante il nostro modo di vivere con gli altri, noi operiamo una scelta in favore o contro la pace: Quanti uomini vediamo oggi pronti a sfilare o a firmare un manifesto, ma la cui vita non riflette che egoismo o rifiuto di dialogo? Quanti cristiani vediamo oggi domandare alla loro Chiesa di prendere posizioni che essi stessi non osano assumere nella propria vita? Educare alla pace è fare di ogni uomo un araldo di pace, significa issarlo al proprio livello, alto o basso, di eroismo. L'appello di Giovanni Paolo II, più audace che mai, fa già cambiare direzione agli sguardi di tutti i credenti, e presto anche ai passi dei capi di Chiese e delle autorità religiose, verso la collina di Assisi, quella del più povero e del più folle degli uomini, San Francesco. L'avvenimento è di grande rilievo. Il 27 ottobre, per la prima volta nella storia, dietro l'invito ispirato del Santo Padre, i capi religiosi si troveranno insieme per pregare in favore della pace nel mondo. Esclusivamente per pregare. Vale la pena, quando si pensi che niente più della pace coinvolge l'uomo. E’ per questo che anche noi siamo riuniti questa sera, con gli occhi rivolti al di là di Assisi, al di là di Gerusalemme, verso il Dio vivente dal quale proviene ogni pace.