Venerdì 25 agosto, ore 15

ASSEMBLEA NAZIONALE DELLA COMPAGNIA DELLE OPERE

Partecipano:

Arturo Alberti, Piero Bassetti, Giancarlo Cesana, Guglielmo Alessio, Roberto Formigoni, Giuseppe Giovenzana, Giorgio Vittadini.

Modera: Graziano De Bellini.

G. De Bellini:

Questa è l'assemblea della Compagnia delle Opere. Innanzitutto vorrei che porgessero il loro saluto alla nostra assemblea l'on. Bassetti, Presidente dell'Unioncamere e il Presidente della Giunta regionale della Lombardia, dott. Giovenzana (…).

P. Bassetti:

(…) Io sono convinto che se c'è un fatto nella società moderna nuovo e importante, è proprio il fatto che, accanto alla persona, oggi il destino dell'umanità e della gente è fatto anche dalle imprese (…). Pensate a certi temi come la bioingegneria, per esempio, dove i valori che stanno a cuore alle persone, sono attaccati da considerazioni di interesse che si fanno di solito nell'impresa, decisi da imprenditori o da gente che opera nelle imprese, sia grandi che piccole. In genere lo stato tende, anche quando non vuole, ad occuparsi soltanto delle grandi imprese e le piccole sono lasciate sostanzialmente a se stesse (…). Ebbene, nello stato liberal-democratico, le uniche strutture che in teoria sono preposte a servire le imprese, e soprattutto le piccole e medie – perché le grandi non ne hanno bisogno – dovrebbero essere le Camere di Commercio (…). Io credo che si debba sottolineare che le opere nel mondo moderno si fanno dentro delle istituzioni che sono le imprese e dentro le loro associazioni. Questa è la ragione del mio interesse per il lavoro della Compagnia delle Opere. Noi pensiamo che lo stato abbia il dovere di assistere, aiutare, facilitare, tutti i tentativi in questa linea, per questo io credo che augurare alla vostra iniziativa successo non sia soltanto nella linea di una simpatia personale per il lavoro di gente che opera con un'ispirazione interiore - il che è sempre bene - ma sia anche nell'ambito dei doveri di chi è preposto a quel pezzo di pubblica amministrazione che ha questo compito. Quindi, la mia non è una semplice offerta di disponibilità, ma è invece un invito ad una collaborazione più stretta nelle 94 provincie, con i miei 94 colleghi, per vedere di scoprire insieme come concretamente si realizza quello che è stato l'impegno anche della nostra ultima assemblea unionale: fare in modo che le imprese, soprattutto le piccole imprese e le persone che vi operano, siano aiutate dall'organizzazione, anche pubblica, a tenere la sfida non soltanto delle grandi, ma, in vista dell'Europa, anche delle altre imprese che vengono dagli altri Paesi della Comunità Europea. Mi fermo qui, per augurare successo alla vostra compagnia e rinnovare l'invito costruttivo a mettere a punto il massimo possibile di collaborazione concreta perché io credo che se noi non aiutiamo il tessuto dell'imprenditorialità, dell'iniziativa dei singoli, se in un Paese come il nostro non diamo forza a quelli che sono più in grado di operare anche con un'ispirazione ideale, non potremo più lamentarci se poi la società che ci circonda, il mondo che ci circonda, va lungo linee di valori che sono i valori di altre imprese (…).

G. Giovenzana:

Anch'io mi associo al ringraziamento per l'invito che mi è stato rivolto di rivolgervi queste parole di saluto. Io, per la verità, oggi sono qui per ascoltare e perché ritengo che chi ha responsabilità politico-istituzionali debba per prima cosa conoscere la realtà sulla quale è chiamato poi a prendere delle decisioni e allora è anche importante il conoscere qualcosa di più (…). I dati che questa mattina mi sono stati riferiti parlano di un raddoppio degli iscritti alla Compagnia durante quest'anno (…). Questo è un dato estremamente importante, ma è altrettanto importante, mi sembra, il dato secondo il quale la vostra è una esperienza che consente, ha consentito storicamente, in concreto, di coniugare il profitto con la solidarietà (…). Voi dimostrate come si possa in concreto applicare questo valore ad una operatività estremamente efficace ed efficiente nella società di oggi La Regione Lombardia è attenta, si sforza di esserlo, non so se lo sia sempre, forse sempre non si può dire che lo sia stata, ma si sforza di essere attenta alle espressioni libere che nascono e che crescono nella società lombarda (…).

G. De Bellini:

Entriamo nel vivo della nostra assemblea, io vorrei introdurre brevemente alcuni pensieri che ci hanno accompagnato in questo anno di esperienza della Compagnia delle Opere, prima di passare a due importanti interventi, di Giorgio Vittadini, sugli obiettivi della nostra Compagnia, e di Guglielmo Alessio, che è il direttore, sugli strumenti e le strutture. Innanzitutto vorrei ricordare l'assemblea nazionale che abbiamo svolto qualche mese fa, il 4 marzo, al Palalido, che è stato un momento nel quale, grazie soprattutto alla presenza ed al contributo di don Giussani, abbiamo potuto approfondire la radice, il punto originante della nostra esperienza. È ciò che ci ha resi ancora più certi del valore della Compagnia delle Opere; diceva don Giussani quel giorno: "Nasce dalla considerazione che l'avvenimento cristiano genera realismo e vera capacità di rispondere al bisogno di tutti; è così che sorgono opere che promuovono la crescita della società civile". Io direi che tutto il significato della nostra azione si può proprio riassumere nel tentativo di assicurare un paragone tra ciò che ciascuno fa e il criterio ideale, cioè il corpo e la storia, a cui apparteniamo. Questo ci fa dire che la libertà di una società si misura sulla possibilità di costruire e realizzare opere. Non ci basta una libertà astratta, che è l'unica ammessa oggi dalle logge del potere ideologico ed economico. Questo importante pensiero che ci ha accompagnato in questo anno si unisce ad un secondo che identifica la caratteristica più importante della Compagnia delle Opere nel fatto che essa parte dall'uomo, dalla persona e dai suoi bisogni. Per questo la Compagnia delle Opere è aperta, senza discriminazione, a tutti i diversi soggetti giuridici, dalle cooperative alle società per azioni (…). A noi preme sottolineare che qualsiasi iniziativa particolare rinvia sempre a qualcosa di più grande, a qualcosa che ultimamente mette in moto un'azione e gli uomini. Per questo uno si associa, perché, tanto o poco, vive la sua attività in funzione del tutto e in questo sta la differenza con la realtà di tante associazioni, in particolare quelle economiche, che sono proprio caratterizzate dal rischio del corporativismo o da una assolutizzazione dell'interesse particolare e contingente. Proprio il fatto che non si parte mai dall'uomo, è quello che fa rischiare che le associazioni diventino sempre più un'ulteriore occupazione della società da parte dello stato e dei partiti. Un terzo pensiero importante, che ci ha accompagnato questo anno, anche in una sfida storica, è che, per noi, il senso della responsabilità e del rischio personale sono questioni fondamentali. Le opere non hanno un padrone e la Compagnia delle Opere non vuole essere questo padrone. Le opere sono di chi le ha generate ne a libertà, non ci siamo messi insieme per un gusto di centralismo, ma per il gusto di un paragone sentito come necessario; perciò il nostro legame è squisitamente culturale, è una posizione di fronte alla vita, di fronte al lavoro, alla politica e all'economia. La Compagnia è un semplice, anche se importante, supporto a realtà liberamente costituite, ma non ha alcun interesse a partecipazioni con le stesse, vuole essere un aiuto alla responsabilità individuale e alla piena autonomia nell'ambito della professione e dell'impresa di cui uno fa parte. questo che dà alla Compagnia delle Opere una grande apertura, che ha permesso in questi due anni il triplicarsi degli iscritti (ormai stiamo viaggiando verso le 3.000 opere iscritte). Nell'introdurre l'intervento di Giorgio Vittadini, vorrei dire che i nostri obiettivi, quelli che continuamente ci richiamiamo, come l'occupazione giovanile, l'impegno per il sud, la solidarietà con opere caritative, assistenziali, ed il sostegno ad una voce libera come "Il Sabato" nascono proprio da quello slogan che in qualche modo sintetizza il nostro programma operativo: "più società e meno stato". E con questo do la parola a Giorgio Vittadini, che ci parlerà degli obiettivi della Compagnia delle Opere.

G. Vittadini:

(…) L'editoriale di "Repubblica" di questa mattina dice: "Perché di affari e di affari corposi si tratta. La Compagnia delle opere ha bisogno di appalti, convenzioni, assegnazione di lavori, di favori". Come al solito succede a chi guarda la realtà dimenticando qualche fattore (e ci dispiace per lui), questo articolo introduce gli obiettivi nostri guardando la superficie del mare senza vedere quello che c'è sotto. Noi abbiamo più volte sviluppato il tema dei nostri obiettivi e secondo me riparlarne non è una ripetizione. Il nostro obiettivo è che ci siano dei luoghi dove la Chiesa sia incontrabile mentre si lavora, mentre si fanno affari, con il gusto del paradosso che una cosa non cristiana diventi cristiana (…). Non si capisce perché, facendo un lavoro, uno debba dimenticare una parte della realtà. Noi vogliamo vedere se è vero che l'esperienza cristiana incontrata come un avvenimento, renda capace di essere, come e più degli altri, attenti ai bisogni che ci sono intorno. Il problema è che uno possa vedere, come vede, per esempio, entrando alla Cascina, un luogo dove la gente è resa diversa da un incontro, dove la diversità non vuol dire esser buoni, cioè cretini - come pensa molta gente - ma uomini e per noi essere uomini vuol dire questo: non dimenticare nulla di ciò che esiste (…). Il nostro criterio è desiderare di rispondere ai bisogni che ci sono, non dimenticando nulla, cioè fare veramente bene gli imprenditori, nel senso globale della parola. Questo equivale a vivere il posto di lavoro che si ha come un luogo dove si possa vedere che nella realtà è tutto uguale, ma c'è Cristo (…). Quello che ci insegna il passato, la tradizione, è che lavorare con un senso, cioè non dimenticando nulla, rendeva qualunque lavoro utile, anche se facevano la fame. Allora noi vogliamo vedere se nella società uno può cominciare a lavorare senza dimenticare questo. E una sfida, secondo me della stessa dignità ed importanza che ha Solidarnosc quando prende il potere in Polonia, ed è una sfida che non riguarda innanzitutto la forza della nostra collettività, è una sfida che investe il tipo di coscienza che uno ha mentre lavora (…). La cosa impressionante di molte nostre opere - noi definiamo opera una risposta al bisogno che tenga conto di tutti i fattori e questo la differenzia da una qualunque attività - è il tipo di diversità, di clima umano, di posizione della persona, che vi si respira (…). La diversità della Cascina, per esempio, prima che dagli aspetti pubblici, è visibile esattamente nel cambiamento umano della gente che vi lavora dentro. Molti che erano potenziali delinquenti, oggi non lo sono più, sono diventati civili, come i barbari che, incontrando una civiltà, diventavano umani. Molte nostre opere hanno dentro questa traiettoria, dalla barbarie alla civiltà, che si può vedere, magari da piccoli particolari, nel modo di trattarsi della gente, nel modo di concepire i soldi, nello scopo del profitto che è giusto e sacrosanto, utilissimo, ma non è l'ultima cosa, ecc. Cito solo un esempio: fra di noi, uno che tratti in modo diverso un imprenditore o un capitalista da un operaio, non esiste, è impossibile da trovare. Questa è una diversità che spacca il modo di vivere e costruisce una convivenza (…). Allora, la prima questione è questa diversità umana, e quindi il primo obiettivo è desiderare di attingere alla fonte di questo cambiamento della persona, cioè a un giudizio diverso sulla realtà. Noi abbiamo da fare molta strada, prima che sugli appalti e sugli affari, nella diversa concezione della realtà, perché siamo convinti che Gesù Cristo non è un problema spirituale, mentre gli affari si fanno maneggiando le cose (…). Allora, il primo obiettivo è che non possiamo ‘ispirarci’ alla religione, dobbiamo viverla come comunione, come compagnia. Bisogna che tra di noi, come inizio, ci sia innanzitutto una compagnia di opere, un luogo, cioè, dove si pratichi questo comune ideale come amicizia (…). Secondo obiettivo: ponendo la questione sull'uomo, e non dimenticando gli appalti e gli affari, poniamo in essere l'unico strumento che ha chi, soprattutto, ha pochi soldi in partenza: l'impegno, l'intrapresa. Bisogna che ci parliamo, che ragioniamo insieme, che parliamo di tutto, che mettiamo in comune: della mia laurea in Economia, mi ricordo che uno dei punti chiave per la nascita dell'imprenditore, dicevano i sacri testi, è il cosiddetto "humus imprenditoriale". Ma l'humus imprenditoriale è innanzitutto un problema di rapporti che ti rendano agile, che ti facciano venire in mente che se tu hai un tubo grande così e quell'altro ha un tubo che si inserisce, potreste mettervi insieme e fare un oleodotto, ecc. Terzo aspetto: le convenzioni - con l'IRI, con l'ENI, con la Benetton, con la FIAT ci interessano, perché sono tutti strumenti per degli uomini che vogliono lavorare senza dimenticare nulla della realtà (…). Quarto punto, ultimo. Nel nostro lavoro, dentro il lavoro imprenditoriale, sono i criteri del nostro sviluppo: che vuol dire una rete di rapporti, in cui uno ha una cosa, una conoscenza, un rapporto e lo mette in comune, non per l'intrallazzo, ma proprio per l'idea che cresce dentro la realtà di tutti i giorni. Quello che emerge non è un soggetto isolato, ma un'area vasta. Infatti, molti di quelli che sono qua non vengono dall'esperienza di Comunione e Liberazione. Dato tutto questo - le conoscenze quello del sud che conosce quello del nord, le aziende che nascono, uno che va all'estero, l'altro che si mette con i professori a fare cose tecnologicamente nuove - dentro c'è l'aspetto sociale, culturale e caritativo del nostro lavoro. Non è un fattore successivo, chi lavora deve tener presente che una parte del profitto serve per far crescere queste realtà, non so: i Centri di Solidarietà, le opere di caritativa, i centri culturali, Il Sabato": con questa concezione, che dentro il lavoro che fai ci sta anche il sostegno a queste cose (…). Questo tipo di posizione ha bisogno che ciascuno di noi senta come parte sua sostenere l'handicappato, quello che è in carcere, che con l'art. 21 può uscire, sostenere il centro culturale, o il giornale che dice cose alternative, sostenere la famiglia che accoglie quello dell'AIDS, tutto questo non più nel tempo libero, ma dentro il lavoro. Allora noi chiediamo a ciascuno di noi che parte del suo tempo, finito il lavoro di imprenditore, sia dedicato a far quadrare un bilancio, vada a sostenere la parte economica di un centro culturale; e se uno è capace di organizzare la gente, faccia, come molti di noi fanno, l'opera di aiuto agli handicappati. Parte di questo tessuto produttivo è lavoro gratuito, che serve per quelli che sono il segno di tutto, essendo che tutti noi abbiamo bisogno di tutto. Parte di questo è il sostegno a fratel Ettore, che aiuta i barboni, ma dev'essere la persona più capace a farlo, perché così queste cose riescono bene. Queste opere sono le migliori, le più importanti, e devono essere sostenute proprio con la competenza Per esempio, a Milano Brandirali è partito a fare un'opera per i vu' cumprà, una struttura di accoglienza per trovare loro lavoro e formarli, ma evidentemente questo ha poi bisogno di un giro di imprenditori che li assume. In questo caso, la polemica per cui loro fanno i venditori ambulanti abusivi finirebbe in un lavoro regolare per loro. È ora di smettere di pensare che questi settori sono dello stato o degli ignoranti, la nostra esperienza è proprio il modello in cui la risposta ai bisogni di chi è più debole è suggerita da chi è più bravo. E questo è il quarto punto del lavoro, con una conclusione finale, che l'esito di tutto questo non è quello che facciamo, sicuramente questo è un segno perché si cresca: ma l'esito è la diversità umana che abbiamo, l'esito vero e proprio, come dire, che diventiamo più amanti della realtà così com'è, l'esito vero è non arrendersi mai, il "non essere sazi" di Cesana rispetto alla realtà che abbiamo davanti. È l'essere infaticabili verso chi è scoraggiato, la punta di diamante di un lavoro che non stanca, per un amore più grande alla realtà, così come uno la incontra. Secondo me, questo è un criterio che ciascuno di noi può verificare da solo, guardando se stesso.

G. De Bellini:

Prima di passare la parola a Guglielmo Alessio, su strutture e strumenti, saluto altre persone che sono in sala: il Presidente del Consiglio regionale delle Marche, dottor Giampaoli, l'Europarlamentare on. Pisoni, l'Assessore Verga e altri consiglieri. Saluto Siloni, saluto gli onorevoli Portatadino e Bonsignori, saluto anche il Segretario Regionale della Dc della Lombardia Frigerio, e anche tanti altri amici, amministratori pubblici, che sono presenti all'assemblea. Do la parola al direttore per il secondo intervento.

G. Alessio:

Il mio intervento vuole delineare i tratti della realtà della Compagnia delle Opere così come è venuta formandosi in questo ultimo anno, presentando poi il metodo secondo il quale intendiamo operare e le prospettive operative e organizzative che questa storia ormai ci sta indicando. Innanzitutto, do alcuni dati: ci avviamo, verso fine anno, ad arrivare ai tremila associati. Le sedi periferiche operanti oggi in Italia sono ventiquattro, e coprono di fatto tutto il territorio italiano (…). Ma qual è il metodo del nostro rapporto con i soci secondo cui stiamo organizzando la struttura? Tre sono le linee direttrici del lavoro della Compagnia delle Opere: la prima potrebbe essere definita aziendale, la seconda istituzionale, e la terza consiste nell'aiuto alle opere caritative, culturali ed assistenziali. Sono essenzialmente tre i tipi di opere associate alla Compagnia, ed ognuno di questi manifesta certi bisogni, certi interessi, certe richieste. Ci sono soci interessati essenzialmente alle convenzioni, cito i quattromila conti bancari realizzati dalla C.D.O. Service nel periodo di un anno. Cito la nuova convenzione effettuata sulle pratiche di leasing, cito la convenzione con la Fiat, la convenzione con l'Agip e la convenzione, ormai in via di attuazione, con la Società Autostrade, per usufruire delle scale di sconti della Viacard. E poi ci sono i soci che richiedono sempre più di usufruire servizi base che noi offriamo gratuitamente, con degli sportelli all'interno delle sedi della Compagnia delle Opere, perché costituiscono un aiuto reale e gratuito alla loro attività. C'è una seconda fascia di soci che, oltre a ciò, sono interessati a stabilire rapporti di convenzione commerciale con gli altri soci e ai quali; quindi, servono efficaci strumenti promozionali e pubblicitari. Oltre al potenziamento del "Corriere delle Opere stiamo pensando alla possibilità di produrre cataloghi per settori, alla partecipazione di fiere di settore, e ad altre iniziative simili. Infine la terza fascia di soci è interessata alla globalità della nostra realtà (…). I servizi aziendali che siamo in grado di offrire sono le convenzioni che hanno carattere nazionale e locale. Le convenzioni locali sono convenzioni di scala, rivolte soprattutto alla linea persona, mentre invece i servizi centrali funzionano all'interno della Compagnia delle Opere come sportelli informativi: quello giuridico-commerciale, imprenditoriale, casa, agiscono all'esterno attraverso alcune opere nei seguenti settori: il Consorzio per lo sviluppo dell'occupazione, di cui poi parleremo, nel settore turistico il Nocchiere e la Sacchetti, nel settore della consulenza, della formazione dei finanziamenti, la Provsi, in quello assicurativo la Sicurbroker, nella ristorazione La Cascina, ecc. Le convenzioni e servizi funzionano, e soprattutto quest'anno hanno funzionato, grazie alla promozione che direttamente i direttori di sede fanno presso i soci, tenendo attivo il rapporto. Attraverso le sedi locali, si sta costituendo una vera e propria rete che vende il prodotto delle convenzioni e i servizi vengono continuamente segnalati. La sede locale, pertanto, ha la funzione di una filiale, che riproduce, per quanto è possibile, la struttura della sede centrale, ma che soprattutto diventa il punto più importante nella vita dell'Associazione, perché continuamente promuove e tiene attivo il rapporto con i soci. Ci hanno definito un sistema di comunicazione occorre che questo flusso di rapporti, di scambi, di notizie, di segnalazioni delle opportunità e delle convenzioni non si arresti mai. Questo è il compito della sede periferica ed il rapporto con i soci. Per quanto concerne il settore istituzionale, questo aspetto è garantito dall'offerta realmente conveniente di alcuni servizi, quasi necessari o comunque importantissimi. Li cito: il Consorzio per lo sviluppo dell'occupazione, il Servizio europeo, il Visinet, l'Eurosportello, e la sede a Bruxelles, che apriremo dal primo settembre. Un ufficio per i rapporti con le associazioni di categoria, le camere di commercio e gli enti pubblici, un ufficio estero e il settore editoriale rappresentato dal "Corriere delle Opere". La terza fascia comprende: le opere di carità, le opere culturali e le opere assistenziali. Intendiamo offrire loro questi aiuti: l'offerta di rapporti attraverso l'istituzione, lo studio di leggi, l'aiuto alla ricerca di finanziamenti, una sensibilizzazione da parte della piccola-media impresa ad offrire soldi per costituire e sviluppare queste opere di carità, aiutarle a costituire, a seconda dei settori, le strutture di servizi per i bisogni delle opere stesse. L'immagine che stiamo realizzando è quella di consorzi fra le opere di ogni settore: per esempio, consorzi tra le cooperative di assistenza. Quanto detto riguardo a delle opere caritative, non è solo compito delle sedi centrali e periferiche, ma responsabilità dell'intera Compagnia, e quindi liberamente di ogni associato. Vi sono infine opere che non sono propriamente né caritative né economiche, ma costituiscono un punto di riferimento per aree o settori professionali (…). Anche la struttura ha subito una notevole evoluzione. La struttura della Compagnia delle Opere prevede una direzione centrale, una segreteria generale, un servizio amministrativo, un sistema informativo ed un settore istituzionale che promuove e gestisce servizi in proprio. Un settore aziendale che promuove l'associazione crea e promuove servizi centrali stipulando nuove convenzioni, un settore per l'aiuto alle opere caritative, un ufficio estero, un ufficio per la promozione, la stampa e l'editoria. Gli organismi dell'Associazione sono: la Presidenza, il Consiglio Direttivo, e un Comitato tecnico-scientifico. Intendiamo costruire anche delle connessioni consultive per tematiche e settori. Concludo con la cosa che considero più importante nell'esperienza di quest'anno, cioè il consolidarsi di una compagnia tra le opere, tra i soci, in virtù di una stima per il nostro tentativo, per ciò che le muove e per gli strumenti di cui si è dotato.

G. De Bellini:

Vi segnalo due strumenti importanti che possono darvi ulteriori informazioni riguardanti le convenzioni, i servizi alle imprese e alle opere. Il primo è quello che avete trovato in sala oggi, "Il Corriere delle Opere" che abbiamo editato per questa edizione del Meeting, il secondo è un catalogo edito da "Litterae Communionis" in occasione di questo Meeting. Do la parola sulla vicenda dell'Europa in senso lato, anche in rapporto alla Compagnia delle Opere, al Vicepresidente del Parlamento Europeo Formigoni.

R. Formigoni:

Oggi non era previsto il mio intervento, ma lo faccio molto volentieri. Innanzitutto perché sono convinto che la Compagnia delle Opere sia veramente il futuro, oltre che già il presente, del nostro Movimento popolare, e credo che debba essere molto chiaro questo a tutti quelli che ci osservano e che ci guardano. Dico il futuro e già il presente, da un duplice punto di vista: il primo è proprio dal punto di vista della concezione umana e cristiana del nostro essere nel mondo, perché la preoccupazione di fondo sulla quale si è aperto questo Meeting di Rimini, quella che Cesana ha detto con grande chiarezza il primo giorno in conferenza stampa, cioè il dato della scristianizzazione crescente della società italiana, è un dato che può essere vinto o che perlomeno si può cercare di superare, soltanto in un modo, creando dei fatti nuovi con cui la gente possa incontrarsi. Perché certamente un cambiamento di posizione di fronte a quello che l'uomo è, e l'accorgersi di quello che la possibilità cristiana è, possono avvenire solo attraverso un incontro. Ma perché l'uomo possa incontrare qualcosa bisogna che ci siano dei fatti incontrabili. Ecco la centralità di quella che chiamiamo Compagnia delle Opere. La seconda osservazione è l'importanza, oggi e per il domani, della Compagnia delle Opere proprio dal punto di vista della pietra di paragone culturale e politica che costituisce per giudicare il mondo, la società e chi ci sta intorno. Perché io mi sento di dire con piena convinzione che il porsi in questi anni di questo avvenimento, che Giorgio continua giustamente a definire minimo dal punto di vista delle dimensioni materiali, che è stata la Compagnia delle Opere, ha significato l'ingresso sulla scena culturale e politica del nostro Paese, e ormai non più soltanto del nostro Paese, di una pietra di paragone grande, importante. Perché credo che questo fatto costringa oggi tanti discorsi culturali e politici che si fanno sulla situazione italiana ad un punto di riferimento che non può essere eluso, che costituisce, appunto, una pietra di inciampo, anche dal punto di vista economico, perché l'esistenza di questo tentativo va a mettere in questione tanti discorsi che in questi tempi stiamo facendo. Si parla dal punto di vista economico di liberalizzazione, di libera circolazione di capitali, di regole di concorrenza, di apertura dei mercati e la prospettiva oggi è questa: la internazionalizzazione, la mondializzazione, il nuovo mercato unico. Bene: un fatto come quello della Compagnia delle Opere costituisce la pietra di paragone che ci permetterà di vedere se questo gran parlare di maggior libertà corrisponda o meno ai fatti. Che ci sia libertà lo si vede di fronte all'affiancarsi sulla scena di nuovi soggetti, non certamente di fronte al continuare ad esistere di vecchi e grandi soggetti già esistenti. Mi sembra che dal punto di vista delle regole concrete, questo sistema che parla tanto di libertà e di liberalizzazione poi presenti dei blocchi, sia un sistema economico bloccato, magari non totalmente, rispetto al poter entrare in azione di nuovi soggetti economici. La seconda osservazione è che forse la Compagnia delle Opere ha costretto e sta costringendo lo stesso dibattito politico e lo stesso sistema politico a confrontarsi, non più soltanto su grandi parole, su grandi idee astratte. Se la politica è o vuole essere quello che dice di essere, il tentativo di lavorare per rispondere a bisogni concreti dell'uomo, bene, questa è la cartina di tornasole, questo è il punto concreto. Se noi politici, dall'impegno nelle amministrazioni locali, all'impegno in Parlamento, nazionale ed europei, vogliamo fare della politica la risposta ai bisogni concreti, come diciamo, questo è il punto di riferimento. Ma voglio entrare anch'io dentro la vicenda attualissima dell'oggi, anche perché all'una c'è stata una conferenza stampa in cui si è tornati sugli articoli dei giornali di questa mattina e sulle polemiche di questi giorni. E i responsabili del Meeting hanno avuto l'occasione di chiarire alcuni elementi che sui giornali di stamattina, o sulla maggior parte di essi, non sono chiari, anche relativamente a incontri che ci sono stati in questi anni e che hanno guadagnato la prima pagina dei giornali. La Compagnia delle Opere, o qualcuna tra queste opere, non ha mai chiesto un 0apporto politico con chicchessia per pretendere o ottenere privilegi, facilitazioni, esenzioni fiscali, decreti-legge particolari, cassa integrazione e guadagno, o qualcosa di questo tipo. Guardate che vi sto parlando della normalità delle cose che i grandi protagonisti economici di questa società italiana vanno a chiedere nei rapporti politici, perché il gran parlare di regolare che si è fatto in questi tempi va verificato alla luce di questi fatti concreti. La Compagnia delle Opere o un'opera all'interno di queste, non ha mai chiesto regole privilegiate per sé, ma ha chiesto e chiede esattamente l'opposto, cioè che non ci siano privilegi particolari per chi già è forte, potente, presente sul mercato, che escludano chi ne è al di fuori. Ecco perché anche noi guardiamo con interesse, certo, e anche con ottimismo, alla prospettiva europea, alla stessa prospettiva del '92, aldilà di tanta retorica e di tanta demagogia che su questa prospettiva è stata fatta. Perché noi al principio della libertà, della concorrenza vera, che si gioca sulla capacità di fare e di coinvolgere, chiediamo che si misuri insieme all'efficienza sociale di quello che si fa. Se c'è un'azienda o un sistema di lavoro, un'opera che riesce a mettere al lavoro della gente, e persone gravemente svantaggiate dal punto di vista fisico e dal punto di vista psichico... bene, quella è la dimostrazione che certi codicilli di legge, che fino adesso sono sempre stati insoluti per cui gli handicappati non trovano lavoro nelle aziende, che magari preferiscono pagare loro lo stipendio e farli stare a casa, sono validi, che certe nostre opere riescono a mettere in piedi un di più di umanità che è certamente anche di un di più di economia. Ma, dicevo, noi guardiamo con ottimismo alla realtà, alle prospettive dello sviluppo, anche economico, internazionale, e siamo certamente una delle realtà che più ha creduto e più ha investito nella prospettiva europea e internazionale. Guglielmo ricordava prima il fatto nuovo dell'apertura, a partire dal primo di settembre, di una sede della Compagnia delle Opere a Bruxelles. Voglio soltanto dire che l'obiettivo è quello di fare di quell'antenna, di quella presenza bruxellese europea, un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono avere una creatività capace di rapportarsi anche a questa dimensione internazionale. Quindi, un punto di informazione sulla legislazione europea, sulle possibilità di lavoro, di scambio, di conoscenza reciproca tra soggetti analoghi in Europa, un punto di intervento nel processo legislativo e nel processo delle direttive. Perché, e qui parlo nella mia veste istituzionale di Vicepresidente del Parlamento Europeo, è certamente nostro interesse. Il Parlamento Europeo è interessato a che ci siano degli interlocutori capaci di avanzare proposte, richieste, idee. L'Europa si farà se ci sarà questo, l'Europa non può essere soltanto il frutto di una iniziativa burocratica di una classe politica, abbiamo bisogno di portare di più, a Strasburgo e a Bruxelles, le esperienze vive e concrete della nostra gente, gli scontri, le battaglie, le proposte, le richieste. Quindi, c'è un interesse istituzionale ad un'iniziativa come questa, proprio dal punto di vista stesso della crescita politica del soggetto Europa. E poi questa sede svolgerà funzioni di rappresentanza generale, coinvolgimento, dibattito. Noi vogliamo influire sul processo che si va facendo. Il '92 non è qualche cosa di già stabilito, al quale occorra prepararsi, è qualche cosa su cui si può influire, avendo chiaro l'obiettivo generale. Ma si tratta di portare dei contributi, dei mattoni, delle idee a come deve essere fatto. Aggiungo che due altre prospettive, all'interno della dimensione internazionale, ci interessano: una, la dimensione dei Paesi del Mediterraneo, perché attraverso alcuni rapporti, alcune conoscenze avviate, attraverso iniziative, è nata una possibilità di collaborazione anche nel settore operativo ed economico. Secondo la nuova realtà dei Paesi dell'Est, soprattutto di quelli che più dimostrano di aver benzina nel motore per camminare verso condizioni diverse, penso alla Polonia e all'Ungheria. Non posso dimenticare che nel mio ultimo viaggio in Polonia, esattamente l'anno scorso, nel mese di giugno, incontrando certi nostri amici cristiani di Solidarnosc, della realtà delle parrocchie o anche della realtà del Movimento, la prospettiva, che allora sembrava utopica, che lanciarono era quella di volersi raccordare alla nostra Compagnia delle Opere; la speranza che avevano era che potesse anche da loro cominciare a sorgere qualche iniziativa privata in questa direzione. Oggi, che in Polonia sta avvenendo un governo Mazowiesky, forse è il momento in cui questa speranza utopica di 12 mesi fa può trasformarsi, con il nostro contributo, in una realtà. Questo allarga e da speranza a tutta la nostra azione.

G. De Bellini:

Abbiamo un ultimo intervento, un breve intervento flash sulla Associazione Volontari per lo Sviluppo Internazionale, l'AVSI: invito a salire Arturo Alberti.

A. Alberti:

L'AVSI è un organismo non governativo di cooperazione internazionale, iscritto alla Compagnia delle Opere. È un'opera un po' particolare, in quanto attraverso il nostro lavoro contribuiamo alla nascita di opere nei Paesi in via di sviluppo. Ci siamo accorti che la strada di creare un soggetto nuovo nei luoghi in cui operiamo è una strada che fa progredire la gente, che fa nascere qualcosa di nuovo. quello che vediamo accadere nei luoghi dove siamo, da una parte una risposta ai bisogni fondamentali, la salute, con la gestione degli ospedali in Uganda o in Paraguay; il bisogno della casa, con la presenza dei nostri nelle favelas di Belo Horizonte e in altri luoghi dell'America latina: il bisogno dell'alimentazione, con il nostro lavoro agricolo, sia in Africa che a Manaus, nell'Amazzonia; e anche il bisogno dell'educazione per cui è nato un corso di laurea, presso l'Università Cattolica di Asuncion, di informatica e dei corsi di formazione in Kenia, a Nairobi, a Lagos in Nigeria. Queste opere sono, da una parte, la risposta a questi bisogni e dall'altra creazione di lavoro: nelle favelas di Belo Horizonte lavorano più di mille persone a questo progetto. A ciò va aggiunta la nascita di Centri di Solidarietà a San Paolo, a Belo Horizonte, a Manaus e a Lagos, come risposta al bisogno dei giovani di trovare proposte di lavoro significative. Questo è un panorama delle presenze che nascono attraverso la cooperazione internazionale. Un aspetto molto bello di questo ultimo anno è il collegamento sempre più stretto fra queste opere che nascono e la Compagnia delle Opere in Italia. Queste opere sono nate anche con il contributo di opere italiane, Beta 80, ad esempio, oppure un'associazione di tecnici di Rovereto, oppure Agricola 2000, ma soprattutto il collegamento esiste con l'ufficio internazionale della Compagnia delle Opere. Accade che tutto questo potrebbe essere soffocato da una situazione che c'è in Italia di ridimensionamento e blocco dei finanziamenti per la cooperazione internazionale. Come è stato detto molte volte in questo Meeting, l'aiuto che i politici possono fornire consiste nel dare spazio e libertà alla creatività delle persone. In questo momento la situazione politica nel campo della cooperazione è tale per cui ci troviamo da circa otto mesi con tutto bloccato. Sono stati bloccati i finanziamenti per tutti i progetti, anche se i finanziamenti che riguardano le organizzazioni non governative di volontariato come la nostra rappresentano soltanto il 2% dell'aiuto pubblico allo sviluppo: nell'88, su 4000 miliardi, meno di 100 sono stati dati per il volontariato, attraverso cui si realizzano queste opere. Questo è un tipico caso in cui un modesto spostamento di risorse finanziarie, deciso per volontà politica, può riaprire una speranza in molti luoghi in cui siamo. Se entro l'anno non si sblocca la situazione, attraverso una decisione del governo italiano, dovremo chiudere la gran parte di questi progetti dove si sta esprimendo una creatività significativa, e far ritornare a casa i volontari: quelli che si impegnano nei lavori delle favelas di Belo Horizonte o i nostri medici negli ospedali dell'Uganda. In "Litterae Communionis" avete letto spesso le testimonianze dall'Uganda. Presto, per restare nel tema del Meeting del paradosso, saremo testimoni di un vero paradosso: i nostri medici in Uganda, che non hanno rinunciato alla presenza neppure durante i terribili anni della guerra, rischiano di essere allontanati e sconfitti dalla politica italiana. Per cui credo che questo sia il luogo giusto per chiedere uno spazio nuovo e significativo per questa creatività nei Paesi in via di sviluppo.

G. Cesana:

(…) Voglio dire, non me ne vogliano gli altri, che sono molto orgoglioso che a questo tavolo, oltre alla dirigenza della Compagnia delle Opere, del Movimento popolare, siano seduti due rappresentanti delle istituzioni lombarde, perché la Lombardia è una cosa importante in Italia. Per portare il mio saluto, voglio dire solo una cosa, il tema su cui stiamo insistendo in questo Meeting, con fortune magari alterne, perché non è tanto una cosa difficile da far capire, ma sembra sia difficile volerlo capire. È quello che dice il Miguel Manara nel primo quadro: "Che cosa conta un re senza Dio?" Che cosa conta la visibilità senza l'invisibile? Se il visibile non parla di ciò che è invisibile, a cosa serve? Un re senza Dio è un possesso accompagnato da un limite che si ipertrofizza nel tempo, perché la vita, comunque, è un aggravamento del proprio limite, fisicamente visibile. Questo è l'aspetto impressionante, che il limite diventa sempre più fisicamente visibile. Quindi, un re senza Dio è solo il principio di un decadenza. O il visibile parla di ciò che è invisibile, o il visibile non conta nulla. La Compagnia delle Opere l'abbiamo fatta perché ciò che è visibile, l'opera dell'uomo, il risultato del suo lavoro, parli di ciò che è invisibile, che poi non è tale, forse bisognerebbe usare la parola incomprensibile. Perché l'opera dell'uomo parla di un mistero e il mistero è un'evidenza che non si possiede. La Compagnia delle Opere parla di questo e la sfida che gettiamo, a noi stessi prima di tutto, e poi agli altri, è di una azione che parli di un mistero da cui noi dipendiamo. Perché ci sono anche non cristiani nella Compagnia delle Opere: però penso che un non cristiano che entra nella Compagnia delle Opere, entra e aderisce perché, se non altro, riconosce la sua vita come dipendente da un mistero. Ora, questa è proprio una sfida agli altri - l'abbiamo visto in questi giorni - sembrano voler rifiutare; ed è lo scandalo degli scribi e dei farisei, che un mistero parli attraverso un'opera, che ciò che è grande, immenso, potente, che Dio, in fondo, si incarni, cioè sia rappresentato dall'azione di un uomo. E si capisce perché: perché, se è così, uno deve rimettere in discussione tutto, ma se non è così, che interesse ha la fede cristiana, la religione? Nessuno. C'è questa prima sfida il mondo che spiega poi anche il perché di certi accenti di ostilità: lo debbo dire onestamente, non perché sono rivolti contro noi, ma perché è così (…). Io credo che quando uno arriva a un certo livello di ostilità nei nostri confronti è come se arrivasse a un certo livello di ostilità contro se stesso. Perché altrimenti certi accenti non sarebbero assolutamente spiegabili. Da un certo punto di vista, questa è proprio la ragione dell'azione: noi agiamo, facciamo opere, costruiamo, perché si renda presente ciò che le genera. E noi sappiamo che ciò che genera l'operatività, il lavoro dell'uomo, è senz'altro l'uomo, ma, di più, il mistero che ha dato vita all'uomo e che poi per noi non è più tale, è un volto rivelato, è Gesù Cristo. Ma se uno non ci crede, è un mistero. Perché comunque l'uomo che ha costruito una fabbrica può morire domani… e che stia in vita, in fondo, è ultimamente un mistero. La seconda sfida è a noi stessi, perché questa ostilità degli altri, in fondo, è anche dentro di noi, perché noi per primi tendiamo ad appropriarci - cioè a sentire come nostro - di ciò che facciamo, che è nostro proprio in quanto noi siamo di altro. Cioè, è proprio nostro, non mio, nostro. È un plurale, capite? un possessivo plurale e quando uno introduce il concetto che è nostro, comincia a non possedere più come suo ciò che ha, a usare di tutto, ad essere magari anche ricco, ma sempre per qualcos'altro. Il problema del rapporto con la realtà è proprio quello del rapporto col possesso della realtà, non è una questione astratta. Ha a che fare con questo rischio per laici, come ci viene detto, dell'economia, della cultura, ecc. Che queste due sfide abbiano un contenuto altamente drammatico, è il contenuto della lezione che ha fatto il Cardinale Biffi sul grano e il loglio: sono costituite da un rischio, sono fatte da virtù e da errori, da coraggio e da vigliaccheria, da verità e da falsità, e noi siamo immersi in questo, per cui possiamo sbagliare come e, oserei dire, più degli altri. Questa è la libertà: si può sbagliare di più senza scandalizzarsi. Questa è la natura del nostro tentativo. È un contenuto altamente drammatico, un rischio che si assume nella vita, non una cosa che si vive con indifferenza. Allora, c'è una sola cosa da considerare, secondo me, come fondamentale a tutto il nostro tentativo: da soli non si regge, ci vuole una compagnia e una unità. Noi dobbiamo conservare, come il bene più prezioso di ciò che abbiamo, la nostra unità e la nostra compagnia, perché, da soli, sulle due sfide che ho detto, penso che non reggeremmo neanche due ore.