Martedì 23 agosto

"POST HAMLET"

Presentazione dell'opera teatrale di Giovanni Testori.

Partecipano:

Adriana Innocenti, attrice;

Emanuele Banterle, regista;

Andrea Soffiantini, attore.

Moderatore:

Dott. Riccardo Bonacina.

R. Bonacina:

Iniziamo questo incontro. Con noi c'è Emanuele Banterle, regista del "Post Hamlet", Adriana Innocenti, la protagonista, Andrea Soffiantini ed io sono Riccardo Bonacina. Cerchiamo di spiegare il "Post Hamlet", di rendere ragione di cos'è, di cosa è stato anche per noi. Io inizierei parlando di Testori, l'autore di questo testo, perché l'esperienza di "Post Hamlet" è nata appunto dal testo che Giovanni Testori ha scritto. Voi sapete che Testori è uno degli autori italiani contemporanei di teatro e io credo anche, senza eccessiva partigianeria perché noi siamo suoi amici, sia uno dei più grandi tra i viventi. Voi sapete che Testori ha incominciato a lavorare all'inizio degli anni '50 con Visconti; in seguito ha fatto la trilogia con Parenti: "Ambleto", "Macbetto" e "Oedipus" finché nel '78, che fu poi l'anno della sua conversione, scrisse e lesse lui stesso il suo testo che era "Conversazione con la morte", a cui molti di voi probabilmente hanno partecipato. In seguito si coinvolse direttamente con l'esperienza del "Teatro dell'Arca" per due spettacoli: "Interrogatorio a Maria" "Factum est", un monologo recitato da Andrea Soffiantini, finché appunto, l'anno scorso, con questo testo, il "Post Hamlet", si è dovuto coinvolgere anche attori di più grande esperienza, professionisti, come Adriana Innocenti, perché la portata, la vastità e le tensioni interne al testo richiedevano una prestazione attorale molto qualificata. Accenno un attimo cos'è "Post Hamlet", poi il regista Emanuele Banterle ce lo spiegherà ancora meglio. Dunque "Post Hamlet", come dice il titolo, (letteralmente: "Dopo Amleto") è una rilettura dell'Amleto shakespeariano. Con questa opera, Testori ci propone per la terza volta nella sua carriera di autore la rilettura di Amleto. Una prima volta, negli anni '70, fece una sceneggiatura per un film, dal titolo appunto "Amleto", che egli stesso voleva dirigere e che non venne mai realizzato; a metà degli anni '70, all'interno della trilogia, propose invece "Amleto" messo in scena dalla compagnia di Franco Parenti a Milano. Questo è terzo incontro che Testori fa con l'Amleto shakespeariano perché, come Testori stesso dice, questo testo di Shakespeare è quello che più contiene le domande ultime dell'uomo, cioè le domande che riguardano il senso della sua esistenza e il senso della sua stessa nascita. Esiste quindi questo rapporto particolare dello scrittore Testori con questa opera precedente. Ed è tale rapporto che spiega appunto i tre ritorni sull'Amleto di Shakespeare. Ma, prima di parlare più specificamente di "Post Hamlet" proviamo a riassumere brevemente la storia dell'Amleto shakespeariano.

A. Innocenti:

Shakespeare ha scritto che c’era una volta un re che si chiamava Amleto e che era tanto buono. Aveva un fratello invece cattivo cattivo che si chiamava Claudio, il quale, per poter avere la corona e il potere insidia la moglie di Amleto, Gertrude, e insidia oggi, insidia domani, alla fine si mettono d'accordo per ammazzare il re Amleto. Però c’è un ostacolo: c’è di mezzo il figlio Amleto, il quale ha tanti dubbi, tanti dubbi ... Amleto o il dubbio è la stessa cosa. Perché sente che c'è qualcosa che non funziona, no? La mamma non è più la mamma, il babbo un po' astratto, lo zio cattivo; per fortuna c'era una ragazza che si chiamava Ofelia, che sarebbe stata la fidanzata giusta, la moglie giusta, con un padre buono, che desiderava un bel regno, sereno, felice, beato. Allora che fanno? Incominciano a far diventare pazza Ofelia, mettono contro Amleto tutti i suoi amici, ammazzano il futuro suocero, ammazzano un gran numero di persone e tutto per il potere. Claudio infine riesce ad impadronirsene, aiutato dalla traditrice Gertrude. Ma Amleto non ha capito nulla: non ha capito chi è stato e chi non è stato. Si insinua il dubbio, allora il babbo Amleto nottetempo incomincia a fare lo spettro e lo chiama: Amleto! Scusate se ve lo racconto così, ma è per alleviare la tristezza del potere e del non amore. E Amleto muore, sapendo come è stato ucciso il padre, venendo a conoscenza della cattiveria della madre e muore soprattutto per la mancanza di amore. E questo è il testo di Testori. In Shakespere e nel testo di Testori, il "Post Hamlet", c'è un grido stupendo: amiamoci perché non si può vivere senza amore.

E. Banterle:

Dunque, nel "Post Hamlet" rimangono tre figure fondamentali, oltre a quella del padre che è stato ucciso. Restano Orazio, l'amico di Amleto, Gertrude, la madre traditrice, e quello che nell'Amleto di Shakespeare era Claudio, nel "Post Hamlet" di Testori diventa il totem re, cioè il simbolo di nuovo potere, un potere di oggi, un potere che ha come disegno quello di dominare l'umanità, che sulla scena è rappresentata da un coro. Questi sono quattro personaggi, a cui Testori ha ridotto la tragedia shakespeariana. Amleto nel "Post Hamlet" non appare mai. La sua storia viene raccontata da Orazio, il suo amico, che è un po’ come la figura del messaggero nella tragedia greca, cioè colui che racconta la storia, in questo caso la storia di Amleto. Tra l’altro nel precedente "Ambleto" di Testori, Orazio che anche lì era una figura molto importante, l’amico di Amleto, quello con cui si confidava, l'unico con cui aveva un rapporto, che lo aiutava a vivere, Orazio terminava la tragedia dicendo che sarebbe andato in giro per il mondo a raccontare la storia di Ambleto. Ciò avviene proprio con il nuovo testo di Testori, "Post Hamlet", che è in una chiave tutta diversa da quella dell'Ambleto: quella dell'Ambleto era il simbolo del rifiuto del padre, mentre nel "Post Hamlet" , Amleto diventa colui che accetta completamente la volontà del padre, fino al punto di diventare vittima del disegno del potere, del totem re. Comunque la storia è praticamente questa. C'è questo re, il totem re, che domina sull'umanità, non solo con un potere militare, ma ha in progetto di costruire un uomo addirittura a sua immagine, una realtà, un mondo artificiale, fatto secondo i progetti, i disegni dell'uomo e vuole eliminare completamente dalla vita dell'uomo il ricordo del padre. Ed è per questo che Testori, proprio dopo la sua conversione riprende la figura di Amleto, come una specie di mito del giorno d'oggi. Egli fa diventare Amleto il simbolo dell'uomo che non riesce a dimenticare il padre, e lo porta qui ai giorni nostri. Il disegno infatti del potere è di eliminare dall'uomo la memoria del padre, la memoria delle origini, della nascita, cioè del fatto che l'uomo viene generato, nasce da un mistero: il potere vuole eliminare questa memoria del padre e vuole costruire il mondo, gli uomini secondo la sua immagine. Infatti il coro è un coro di numeri, di uomini che non hanno più un nome, una identità, ma sono stati ridotti a numeri di un meccanismo che vuole dominare l’uomo non solo dall'esterno con una coercizione, ma dall'interno, vuole addirittura costruire l'uomo come vuole lui, ed il suo più grande nemico è appunto Amleto, perché è l'uomo che non dimentica il padre, non riesce a dimenticare che ha un padre. E infatti, all'inizio del "Post Hamlet", questo coro si ritrova di notte insieme ad Orazio, l'amico di Amleto; ed ascolta la voce del padre, la voce di questa memoria che ritorna loro, che si comunica e ricorda che è lui il loro padre. .Però il potere non permette a questi uomini di ritrovarsi e di riascoltare questa voce del padre, di ritrovare quella che nel testo si chiama la "memoria", cioè la memoria della propria umanità. E infatti il potere interviene per far sì che non si riuniscano. All'interno di questa dialettica fra il potere (il totem re) e il coro guidato da Orazio, si inserisce il rapporto con la regina, con la madre dei viventi che ha tradito, ha accettato il disegno del potere del totem re di eliminare dal mondo il ricordo del padre e governa insieme al totem re. Però vive continuamente una contraddizione: e la contraddizione è un tema ricorrente in Testori, cioè il tema della carne; il totem re, vuole eliminare dalla vita dell'uomo la carne, l'uomo come fisico, come cuore come sentimento, come amore: il progetto del totem re è di ridurre l'uomo a pura razionalità eliminando in lui l'amore. E la regina Gertrude, che incarna un grande dramma, vive questa dialettica tra il suo amore per il totem re (perché lei sta con il totem re solo per amore, non perché condivide completamente il suo progetto) e il fatto che il totem re non vuole l’amore, ma vuole anzi costruire un mondo senza amore. E infatti nel corso della rappresentazione la regina (questa è una grande trovata drammaturgica, la forte tensione drammaturgica del testo) ha una totale conversione, un totale cambiamento, proprio nel momento in cui arriva alla massima conseguenza il disegno del totem re. Perché? Perché questi, vedendo che il potere non riesce ad eliminare dall'uomo il ricordo del padre, inizia ad uccidere, ed uccide Amleto, il figlio appunto di Gertrude, l'amico Orazio. Proprio assistendo a questa uccisione e alle ultime conseguenze cui il potere arriva, Gertrude ha un cambiamento totale, una conversione, diciamo così e si unisce anche lei al coro. Quindi tutta la tragedia, (che si tratta proprio di una tragedia: infatti molti discutono, hanno discusso sul ruolo che ha la speranza in questa tragedia di Testori), si consuma in questo cammino, fino a quando appunto muore Amleto, nel racconto che ci fa Orazio. E quindi il protagonista fondamentale di questo testo è proprio il coro, simbolo di una umanità che viene sottoposta al progetto di questo potere e che diventa vittima del disegno proprio del potere.

R. Bonacina:

Si potrebbe semplificare di più. Il testo si muove su tre grandi poli simbolici: da una parte, questo Claudio che diventa il re, che conquista il potere, conquistandosi Gertrude e che ammazza il padre di Amleto che si chiamava Amleto lui stesso. Questo diventa in Testori proprio un simbolo, la quintessenza del potere anche in chiave contemporanea, cioè non è più appunto il re carogna che ha assassinato il vecchio re per diventare lui padrone del regno, ma è quasi una incarnazione divina delle forze del male, cioè di quel progetto che è contro l'uomo. Tra l'altro, credo che sia un testo indicatissimo anche al tema del Meeting, "uomini scimmie robot", cioè questo progetto che è contro l'uomo, contro la sua essenza, contro la sua origine. L'altro simbolo è il coro, questi uomini proprio sulla soglia dell'annientamento, che non hanno più nome e cognome, sono numeri, hanno perso qualsiasi coscienza di sé come individui, vivono in spazi sempre più piccoli, ridotti a non avere più desideri né odi né passioni. In mezzo a questi, Orazio è l'unico che invece ha ancora memoria di qualcosa, di qualcosa dell’uomo, di una sua origine diciamo divina, di un suo destino. Il terzo simbolo è questa grande figura, che interpreta Adriana, che a mio parere è uno dei personaggi più virili, veramente più belli del teatro italiano di questo secolo, anche proprio per questo cambiamento che fa in scena: cambia totalmente personaggio, dapprima è dalla parte del totem re, collabora al suo progetto di annientamento dell'uomo e poi pian piano, di fronte all’oscenità di questo progetto, ritorna. Infatti, lo si vede anche sulla scena, dal trono ritorna in mezzo alla folla, diventa madre, ritorna ad essere madre. Questi sono i tre poli attorno a cui si muove il testo. Il quarto è il padre, che nell'Amleto shakespeariano, era questo fantasma che appariva per dire: "Amleto vendicami, sappi che io sono morto avvelenato". E invece nel testo di Testori questo padre diciamo non è più un padre storico, concreto, che ritorna in veste di fantasma, è il padre nel senso dell'origine dell'uomo: diciamo che è Dio. Ho scelto un brano dalla sceneggiatura del film di cui parlavo poco fa, il primo rifacimento testoriano dell'Amleto, nel quale si svela la domanda sempre presente in Testori sulla nascita, sulla carne ... Nella sceneggiatura, Amleto interpella il fantasma del padre in questo modo.

A. Soffiantini:

"Avanti! cos'hai? Se sei veramente chi cerco devi lasciarti vedere, devi lasciare che i miei occhi si puntino sui tuoi, v'entrino dentro. Allora? vuoi darmela almeno adesso la possibilità di giustificare la vergogna d'avermi messo in questa fogna? Guardami, se la risposta è sì, allora parla! Dì perché, obbedendo ai miei ordini e alla mia volontà ti sei deciso a farti vedere e a tornare? Parla, come sei morto? di che male? E se non è stato un male, di che perfidia, di che inganno? Cosa devo pensare, cosa devo decidere, come devo agire? Ti ho detto di parlare, cosa credi, che non mi costi niente ritornare, come sto facendo, dentro il tuo ventre? E la tua testa che mi costa, la testa che da questo momento non ragionerà più, allora avanti, te lo ordino, avanti!".

R. Bonacina:

Come dicevo, questa domanda, a mio parere è rimasta il punto centrale in tutti i testi di Giovanni Testori. Molto spesso si parla di un Testori prima della conversione e un Testori dopo la conversione. Questa divisione ha senso a livello temporale perché ad un dato momento della sua vita è avvenuta una conversione, quest'uomo ha ritrovato la fede, ecc. Ma ha, secondo me, molto meno senso parlando della sua drammaturgia, perché questa domanda: che senso ha il mio essere al mondo, da dove vengo, dove vado, che senso ha questa carne? è presente in tutta la sua opera. Allora questo cuore della drammaturgia testoriana soprattutto in queste tre riletture dell'Amleto, è propriamente questo urlo e questo grido del senso di sé stessi, del proprio destino.

E. Banterle:

Noi non abbiamo scelto di trasferire questo testo in un mondo ipotetico, in un ipotetico mondo futuro di dogmi in cui l'uomo viene dominato dalla macchina ecc., ma abbiamo costruito uno spettacolo che, ahimè tanti criticano dicendo che si basa principalmente sulla parola, cioè sulla capacità che la parola ha di metterci a confronto, a contatto con quello che il testo dice. Non abbiamo cioè costruito un teatro che ci fa fare un volo in un altro tempo, ma forma di teatro che porta l'azione drammatica qui, che ci rende tutti, diciamo cosi, protagonisti dell'incontro con questa parola. Infatti il testo è stato eseguito "a oratorio". Cosa vuole dire "a oratorio"? Significa che gli attori sono l’elemento centrale del testo, sono coloro che comunicano le parole del testo; e la scena è tutta rivolta verso il pubblico: non c'è solo il luogo del teatro e dall'altra parte, il pubblico che assiste: c'è un punto da cui si origina l'azione teatrale che si rivolge al pubblico, a tutti. Infatti, l'idea, l'esigenza fondamentale di questo tipo di lavoro, di questo tipo di teatro è di ricostruire una coralità: la coralità è la dimensione fondamentale del teatro di Testori, e avviene sulla scena. Infatti protagonista è il coro. E vedrete all'inizio che tutti entrano come coro, c'è una vestizione in cui ciascuno, l'attore che interpreta il re, l’attrice che fa la regina, si veste dei panni del re e della regina, ma tutti alla fine ritornano coro. È come se ognuno si facesse carico della propria parte, ma il senso di questa azione è che questa serva a tutti, il senso è che questa azione serva a ricostruire una unità, serva a ricostruire un coro. Infatti il coro è il vero protagonista sulla scena. E però il senso di questa scelta è che dal coro, che si vede in scena, si allarghi e si dilati un coro più grande, cioè il coro di tutti coloro che ascoltano queste parole. Allora si crea una dialettica tra chi porge la parola e chi la ascolta, una dialettica appunto, una imposizione. È come offrire questo testo a ciascuno perché ciascuno lo riceva e l'azione teatrale ci trovi tutti protagonisti. Infatti l'esigenza fondamentale che Testori indica in questi suoi ultimi testi è proprio quella di riuscire a superare una concezione illusionistica di teatro e di ritornare a creare un teatro in cui non ci sia più questa separazione tra il pubblico e la scena, ma dalla scena parte un'azione che piano piano riguarda tutti, coinvolge tutti. È quindi questo il senso della scelta che abbiamo fatto. Un secondo elemento della scelta, è l'immobilità: l'azione si esprime attraverso la parola, ha come simbolo gli uomini che sono come su un limite, su un confine, che non hanno più motivo per agire, non sanno più per che cosa agire, sono incapaci di agire. L'unica forza che ridà loro la presenza, la presenza fisica e la capacità di vivere e quindi di comunicare la propria vita, è la parola. Perché la parola è un fatto che riesce a riportare a galla nell'uomo la famosa memoria dell'umanità di cui il testo continuamente parla.

R. Bonacina:

Siccome si è parlato di immobilità, di nessuna azione non bisogna spaventarsi, perché malgrado questa parola, la rappresentazione é emozionante, allarmante. Adriana, se tu volevi raccontare un po’ la tua esperienza come attrice di fronte a questo testo di Testori e soprattutto di fronte a questo personaggio così centrale che interpreti....

  1. Innocenti:

Dopo tanti anni di teatro, fortunatamente, ho avuto la possibilità di incontrare Giovanni Testori, nostro grande autore contemporaneo, con una delle più grandi doti: la parola, una parola di una bellezza, necessità propria di ognuno. Ho avuto la possibilità di trovare un autore che scrive nella nostra bella lingua. E veramente è una delle più grosse soddisfazioni per un'attrice. Io faccio l’attrice per poter comunicare con voi e, grazie al teatro, questo mi è possibile. Mi fa piacere essere brava perché voi mi capiate, ma soprattutto la mia più grande soddisfazione é che io posso vivere con voi. Io mi sono dimenticata qualche anno, forse ne ho trecento, però ogni qualvolta io recito, io ho l'età del più piccolo che viene a teatro e questo lo devo al mio mestiere e alla fortuna di incontrare voi e soprattutto di incontrare giovani. Io spero fino al giorno che camperò di comunicare, di dare delle sensazioni, di darvi dell'amore, anche attraverso i personaggi cattivi, perché più sono cattivi e più io li faccio cattivi e più voi sapete cos’è il male e potrete fare la differenza tra il male e il bene. Mi capite? È uno splendido mestiere. Bertold Brecht dice che il teatro è vita, però quando io l'ho studiato, ne avevo già fatto tanto di teatro e dentro di me ho detto: "L'ho scoperto anch'io senza che me lo dicesse lui". Perché il teatro è vita: io devo al teatro la mia vita e la cosa più bella è il fatto di poter comunicare. Io sono un essere paurosamente umano (paurosamente nel senso bello) e il fatto di incontrare questo autore, per il quale ogni sillaba, nemmeno ogni sua parola, ha un valore, ha destato una grande gioia in me, che ho fatto tutto il teatro, da Shakespeare a Goldoni, da Borelli a Walter Chiari: ho fatto di tutto, perché in simpatia; televisione, cinema, ogni personaggio può comunicare con voi. Io spero di vedervi sempre tutti a teatro e di riuscire a dirvi le cose che amo. Questa Getrude è uno dei personaggi più belli che io abbia incontrato. Ho fatto tante Gertrudi, madri di Amleto, di Shakespeare, ma non bella come questa: perché non finisce lì, va oltre. Così forse si può spiegare la fissità del nostro spettacolo. Non è un personaggio, non sono personaggi i nostri che si muovono in quel momento sulla scena, ma hanno questa fissità, perché sono i personaggi della vita, da quando la vita è cominciata, a quando nel tempo finirà. Ecco perché c'è questa fissità: perché non si trattano i problemi spiccioli della giornata, ma temi universali e la bellezza di questo personaggio è che è trascinata dalle passioni umane: io non la condanno, Gertrude, assolutamente perché è una donna, vive come tutte le mogli, fa i suoi sbagli, addirittura arriva a uccidere pensando che l'amore vero sia nel nuovo re. Lei pensa di amare anche il suo figlio Amleto, ma si è dimenticata una cosa in tutta questa sua vita, in queste sue passioni, in questi suoi errori: si è dimenticata dell’esistenza di Dio che è il padre. L'ha dimenticato, ha ucciso il marito che è il padre, che è l'amore, quindi Dio, si è dimenticata che esiste l'amore. E quando muore Amleto lei vive questa conversione, ma non è una conversione, non so se mi esprimo bene, di origine cattolica, codina: riesce a capire che le è mancato l’amore, quello vero, quello con la "A" maiuscola, che è il Dio, che è nella natura, che è nell'uomo, che è nel figlio, che è nello sposo, perché quello è Amore. E quando Gertrude scopre questa mancanza d'amore chiede perdono e non sa se l'otterrà. Però c'è una cosa che sente: che è nato in sé l’amore.

R. Bonacina:

Se qualcuno ha delle domande, se qualcuno volesse chiarimenti ....

Domanda:

Alla fine il totem re si unisce al coro: perché questo gesto?

E. Banterle:

Questo evidentemente è un gesto molto importante. All'inizio tutti sono vestiti i come il coro, infatti Adriana Innocenti e Piero, che interpreta il totem re, vengono in scena vestiti come il coro e hanno in mano il loro costume da re e da regina. Salgono sul trono e lo indossano dividendosi dal resto del coro. Alla fine il totem re, quando ha finito la Sua parte come attore, si rispoglia del suo personaggio e rientra nel coro; questo per dire, io penso, (questa è la mia interpretazione, magari Testori voleva dire un'altra cosa), non che il totem re si è convertito, come alcuni pensano, o che abbia un disegno strano per cui si camuffa e rientra nel coro, come se ci augurassimo che il totem re non fosse ultimamente un uomo, ma un'entità, una possibilità. È come se tutti potessimo diventare totem re, come se il totem re potesse davvero esistere. Però noi, e Testori in questo testo ha voluto proprio andare fino in fondo nell'allarme del pericolo e quindi nella tragedia, però noi diciamo che l'uomo può sempre salvarsi, può prendere coscienza di questo pericolo e per questo il coro è sempre fondamentale. Il vero motivo di speranza è il coro, il coro degli uomini, che simboleggia appunto l’umanità che potrà, prendendo coscienza del pericolo cui sta andando incontro, potrà andare avanti.

A. Innocenti:

Praticamente è il tema: uomini, non scimmie non robot.

Domanda:

Oggi l'uomo è abituato a capire le cose attraverso immagini, attraverso il movimento, quindi l'uomo è alieno dall'ascolto della parola. È possibile veramente attraverso questo testo, (io l'ho letto, non l'ho visto rappresentato) che la gente che non è in un cammino di fede riesca a fare attenzione alla parola ancora oggi?

A. Innocenti:

Sì, perché le parole che noi diciamo sono un inno all'amore e l'amore ce l'abbiamo tutti dentro, nascosto, recondito ma ce l'abbiamo; il suo stesso interesse a chiedere questa cosa è indice di amore. E attraverso la parola, questa splendida parola di Testori, lei non vedrà gesti, tuttavia Testori e lo stesso Banterle adoperano dei "muratori" che si chiamano attori che riescono a rendere viva la parola. Abbiamo il mezzo della voce dell'interpretazione e questo é il bello del mio mestiere, proprio perché la parola che mi hanno insegnato a pronunciare bene e a dire con tutto il suo valore tocca quanto un gesto.

Domanda:

Volevo aggiungere: se uno vive questa parola, allora la trasmette, non tanto perché la pronuncia bene, ma perché è diventata qualcosa…

A. Innocenti:

Perché la vivo, ed è per questo che mi trovo in una compagnia di questi giovanissimi.

R. Bonacina:

Invito ad un grosso applauso per Adriana perché è una grande attrice che ha rischiato, che è venuta con noi perché fino all'anno scorso nel panorama teatrale come compagnia non esistevamo.

E. Banterle:

Solo una cosa direi: che noi prendiamo il termine "parola" come Testori ci ha insegnato, proprio in forza della sua capacità di scriverla questa parola, e crediamo che la parola sia una difesa dall'alienazione. La civiltà dell'immagine porta sempre più alienazione, cioè all'eliminazione dello scontro fra me e la realtà, porta a dare per scontato che la realtà sia immagine. Mentre la parola è una realtà che chiede qualche cosa all'uomo e proprio anche scontrandosi con la parola di un altro, (perché Testori scrive nel suo modo e si propone a noi), nasce un rapporto da cui crediamo possa rinascere un senso drammatico della vita. Per questo la usiamo come fatto centrale del teatro.

R. Bonacina:

Volevo soltanto trarre una battuta per finire. Ho visto stamattina un articolo del "Manifesto" che diceva: "A Rimini i cattolici con più potere e meno entusiasmo". Questa nostra compagnia è nata perché l'abbiamo fatta realmente con cura ed entusiasmo. Non eravamo proprio nessuno e invece con l'aiuto di alcuni amici è nata e sta crescendo.

A. Innocenti:

Solo una cosa, perché tanti giovani cosi assieme non li ho mai avuti, a teatro. Io spero, di tornare una volta ancora un altro anno qui con voi, con un altro tema, non importa, l'importante è stare con voi.