Martedì 26 Agosto, ore 11.15

PAROLA GESTO UMANO

Partecipano:

Jeffrey Laitman,

paleontologo, anatomista e fisiologo, docente presso la "Mount Sinai School of Medicine" della City University of New York, Visiting Professor presso il Collegio di Francia.

Renè Habachi,

filosofo, docente presso l'Università di Parigi, Direttore della Divisione di Filosofia dell'UNESCO.

Due linguaggi diversi e apparentemente lontani, quello della scienza e quello della filosofia, si incontrano su un unico tema: l'originalità della parola, la specificità della comunicazione umana. Jeffrey Laitman, antropologo, americano, medico e fisiologico, confronta i risultati delle proprie ricerche concernenti i meccanismi del linguaggio umano con la storia dell'evoluzione dell'uomo, mostrando che la parola è ciò che distingue l'uomo dall'animale e, con essa, il pensiero che si interroga su sé e sul mondo. Rene Habachi, filosofo francese di origine egiziana, descrive la parola come atto metafisico che nasce, peculiarmente, da una coscienza riflessa: la parola come relazione dell'uomo con un significato, con l'Altro da sé, la parola come gesto prettamente umano che trova le sue radici nell'incontro col divino.

J. Laitman:

(…) Tutti i mammiferi hanno una posizione della laringe che è molto elevata nella zona del collo o della gola. Questa posizione della laringe permette all'animale di respirare attraverso il naso, e, allo stesso tempo, inghiottire del cibo, che si sposta nella laringe e scende nell'esofago per poi passare nello stomaco. (…) Nel corso dei nostri studi, abbiamo incontrato un altro animale con caratteristiche analoghe, un bambino appena nato, caratterizzato dalla stessa anatomia che rileviamo nel tratto vocale dell'apparato respiratorio superiore di un primate oppure di una scimmia; come in tutti questi animali, la laringe del neonato è in posizione elevata, e gli permette di respirare attraverso il naso e, simultaneamente, mangiare e inghiottire o bere il latte. Questa condizione rimane presente per un certo tempo dopo la nascita, sino forse all'età di un anno e mezzo. Sapete che io, così come voi, non possiamo respirare e inghiottire simultaneamente: qualcosa deve essere cambiato. Quello che cambia, in realtà, rappresenta uno degli avvenimenti più drammatici e più interessanti nella storia dello sviluppo umano: è la storia dell'intero mutamento della posizione degli elementi che si trovano nel collo, e in particolare della laringe. Nel corso dei secondo anno di vita, la laringe si sposta in posizione più bassa nel collo; non è più in contatto con il palato. Questa discesa continua. Ciò significa che per la prima volta, nella storia dei mammiferi, le vie respiratorie e le vie della deglutizione si incrociano, al di sopra della laringe. Siamo cioè arrivati ad un punto estremamente pericoloso, abbiamo sviluppato la capacità di soffocare. Quello che abbiamo guadagnato, è una cosa importante: questo spazio al di sopra della laringe, una specie di cavità, di camera, può modificare i suoni, molto più di quanto non sia possibile a qualunque altro mammifero. Tramite il cambiamento di posizione della laringe abbiamo guadagnato la capacità di produrre un linguaggio completamente articolato. (…) In uno scimpanzé, o in qualunque altro mammifero, la base del cranio è molto piatta; e questo corrisponde a una laringe, che è in posizione molto elevata nel collo. Questo è lo schema che ritroviamo nella maggior parte dei mammiferi, nei neonati e nei bambini molto piccoli. Il cranio di un essere adulto normale è più flesso, estremamente diverso rispetto a quello dello scimpanzé. (…) Dobbiamo ora porci delle domande sui nostri primi antenati fossili. A chi assomigliavano di più? Come erano le basi dei loro crani? Erano piatte, come quelle dei primati e delle scimmie, o erano flesse, più simili a quelle degli esseri umani dei nostri giorni?Ora, per parlare dei primissimi uomini dobbiamo andare in Africa, che rappresenta il sito dove sono apparsi i nostri primi antenati, gli ominidi. In Africa abbiamo due grandi regioni importanti per questo materiale fossile: la regione del Sudafrica e la regione dell'Africa orientale. Nel 1924, Raymond Darth, professore di anatomia di Johannesburg, ha scoperto il cranio di un fossile che era dissimile a qualunque altra cosa mai scoperta prima; ha chiamato questo un "australopiteco africano", cioè letteralmente, "il primate dell'Africa del Sud". Nei 60 anni successivi abbiamo ritrovato molti altri reperti simili a questi, la maggior parte nelle savane dove vivevano. (…) Erano soprattutto dei vegetariani, è interessante notare che si sono estinti, non so se questo può dire qualche cosa ai vegetariani. I dati hanno dimostrato che la base del cranio è quasi identica a quella di una scimmia o di un primate vivente. Di conseguenza possiamo ricostruire anche il suo tratto vocale, simile a quello dei primati. La laringe di nuovo è in posizione elevata nel collo, come in una scimmia o in un neonato. I nostri primi antenati, di conseguenza, non erano in grado di emettere parole umane. Ora questo solleva una questione: se i primi australopitechi non potevano parlare, quando si è sviluppata la capacità di parlare? Cominciamo a vedere dei cambiamenti nel cranio e, per approssimazione e estensione, anche nel tratto vocale, in reperti del tipo di questo ominide che è della nostra stessa specie, "homo erectus" un essere vissuto da un milione e mezzo di anni fa fino a tre-quattrocentomila anni fa. E’ molto diverso dagli australopitechi. Il cranio comincia ad allargarsi, e questo corrisponde anche all’ingrandimento del cervello. La laringe comincia a scendere sempre più in basso nel collo. E vediamo apparire grandi differenze. Quando un individuo di questo tipo inghiotte, la cavità nasale si chiude e si chiude la laringe. Non può respirare e inghiottire simultaneamente. E molto simile al modo in cui noi stessi respiriamo e inghiottiamo. L'homo erectus riesce ad avere delle capacità di comunicazione sempre maggiori, mano a mano che passa il tempo. (…) Da 300 a 400 mila anni fa cominciarono ad apparire sulla terra quegli antenati, l’ "homo sapiens", che avevano un apparato vocale, una capacità di linguaggio molto simile ai nostri. Capacità di parola, di linguaggio, così importanti nel renderci quello che siamo oggi (…).

R. Habachi:

Fondamento metafisico della parola

(…) Nella parola colui che parla, prendendo una distanza interiore rispetto al suo stato di coscienza - che sia un'emozione o una figurazione - e associando questo contenuto ad un suono, parola o frase che gli servono da segno, lancia il segno nella speranza di trasmettere con questo il significato, lo stato di coscienza che corrisponda a quello che lui vi ha attribuito. Che il segno sia su misura del significato è un'altra questione: ma il solo fatto della ricerca di un segno adeguato prova chiaramente che il locutore si pone come indipendente sia dal segno che dal significato. Questa indipendenza interna mette in crisi tutte le pretese strutturaliste. L'uomo utilizza le strutture del linguaggio, non è il prodotto delle strutture. Se non prendesse una distanza interna rispetto al suo stato di coscienza, se non ne diventasse in qualche modo il testimone non ci sarebbero parole ma solo grida. Nel grido noi siamo identici al suono: che il grido comunichi gioia, o pericolo, stupore o orrore... noi passiamo interamente nel nostro grido (…). Non è la parola che fa l'uomo nonostante ciò che pensano certi linguisti, ma l'uomo che fa la parola poiché trova in se stesso di cosa parlare e il mezzo per parlare, qualcosa da comunicare e il mezzo per comunicarla. (…) Ciò significa che se la parola è fisica il suo fondamento è metafisico. Poiché è metafisica questa distanza presa dall'uomo rispetto al contenuto della sua coscienza. Nessuna legge scientifica la spiega. La scienza si accontenta di descrivere il processo dal di fuori.

Strutture relazionali della parola

(…) Si sa che un uomo da solo non parla, pur avendone la capacità.(…) Ma esiste la parola interiore. Quella attraverso cui si parla a se stessi o a un interlocutore silenzioso presente nella coscienza, o ancora a quel "più me stesso che io" di cui parla S. Agostino e che tiene compagnia alla solitudine degli eremiti. Questa conversazione interiore prova bene che l'interlocuzione è contemporanea alla nascita della parola, e che parola e società sono sorelle gemelle. Non c'è società senza parola, non c'è parola senza società. La struttura dell'individuo è relazionale come la società è una dimensione costitutiva della coscienza individuale. Sarebbe dunque stato sufficiente riferire la parola al suo fondamento metafisico per scoprire che essa è contemporaneamente personale e sociale quanto esso stesso. Adamo e Eva non avrebbero potuto restare soli avendo spezzato il dialogo con il loro Creatore. Il loro Paradiso perduto, essi lo ritroveranno l'uno nell'altro, interlocutori complementari, essendo il loro essere fatto per il dialogo. Ma l'importante, è cogliere che una coscienza riflessa e una coscienza parlante sono derivate da uno stesso dinamismo e in un medesimo tempo. La parola non fa che attestare la dimensione sociale dell'uomo, entrambe costitutive della sua natura. Ecco perché siamo in diritto di affermare che l'essere dell'uomo è "relazionale" e che la parola ne è il corollario più evidente. Ecco perché il tessuto sociale è irrigato dalla parola tanto quanto la società è già presente nella parola. La struttura relazionale è capitale tanto nella parola quanto nella coscienza umana. (…) Cos'è questa riflessione della coscienza riflessa su se stessa se non una relazione interiore tra me e me, tra il mio io e il mio me? Perché la coscienza di sé non dovrebbe essere essa stessa un fatto di relazione? Nell'anello della coscienza di sé non vi è già una relazione e forse, per quanto riguarda l'uomo, il "fatto primitivo" di ogni relazione? Fin dall'inizio ciò stabilirebbe l'uomo come "essere di relazione". La relazione è iscritta nel suo proprio cuore. Mentre per le cose la loro essenza è funzione di relazione, come diceva Bachelard, con l'uomo la relazione si è interiorizzata. Tanto che egli è un centro di relazioni che l'essere attraverso lui tende asintoticamente a non essere niente altro che relazioni. Ora l'esperienza di questa relazione interiorizzata porta con sé simultaneamente povertà e ricchezza, vuoto e abbondanza. E’ povertà, perché questa relazione da me stesso a me stesso si inaridirebbe per mancanza di significato se non attingesse alla vita culturale e sociale circostante. Negandosi a qualsiasi rinnovamento, trascurando desiderio e sete d'altro che non sia se stessa, si condannerebbe a deperire. Non può bere se stessa se non a costo di strozzarsi. Per costituzione essa è dunque collegata all'universo esterno e al suo ambiente sociale. Ma questo vuoto che desidera è anche il corollario di una ricchezza o di una abbondanza. E’ grazie alla sua interiorizzazione che questa relazione diventa effervescente come acqua portata a ebollizione e prova il bisogno e la capacità di dirsi all'esterno, di esprimersi inventando un mondo che le somigli: in breve, di parlarsi e di rivelarsi nella parola. Questa relazione che fino all'uomo era vissuta passivamente diventa atta a manifestarsi attivamente nell'universo del linguaggio che essa genera, in quella rete di comunicazioni scritte o parlate, in quella drammatizzazione che è il gesto significante, quando l'uomo costituisce quella rete di leggi e di teorie scientifiche che l'intelligenza getta sull'universo, catturando contemporaneamente una parte dell'universo e una parte dell'uomo stesso. Si ha un bel prendersela con la scienza e con la tecnologia che ci minacciano oggi, di per se stesse esse si integrano con la poesia del mondo di cui sono dei pilastri come l'arte e la religione. Che l'uomo ne faccia un cattivo uso è un'altra questione. Ma in verità la parola artistica come la parola scientifica tramano la poesia di un mondo generato dalla parola umana. Il grande testo inscritto nell'universo è l'uomo che deve pronunciarlo e rivelarlo a se stesso rivelandosi simultaneamente a se stesso. L'uomo per mezzo della parola preferisce la lussureggiante magnificenza di un mondo che senza di lui resterebbe ignorato come un grido che non è udito da nessuno.

Rimbalzo della relazione

Ma la relazione si è raccolta nell'uomo solo per rimbalzare meglio. Abbiamo già visto che parola e società sono contemporanee. Ora questo è tanto più vero in quanto l'altro è già inscritto nella parola. "All'inizio è la relazione"; diceva Bachelard parlando di questo tema. E Francis Jaques si unisce a lui nel suo bel libro Difference et Subjectivité. Ci ridice, parlando questa volta della coscienza: "All'inizio è la relazione" (p. 364 ed. Aubier-Montaigne). Sorprendente questo incontro dell'epistemologia e dell'antropologia? Non così sorprendente, se veramente la relazione è la trama segreta dell'universo e se l'essere nel suo fondo è relazionale. (…) La relazione interpersonale mostra che ognuno, l'io e il Tu, si apre su un "noi" che aspettava silenziosamente di essere scoperto. L'avvento si dichiara nell'evento, e i moti della superficie si diluiscono nella pace della comunione.

Detto in altro modo, una relazione potenziale esiste sordamente tra tutti gli esseri umani e attende che si sorpassi in profondità, lasciando dietro di sé tutti i particolarismi e tutte le particolarità che si "hanno", per porsi come unità del genere umano. Solidarietà più reale di ogni altra, essa è là precedentemente, non di fronte alla nostra presenza, ma legata alla nostra presenza, alla nostra dichiarazione di presenza. La relazione è anteriore poiché è interiore, e nello stesso tempo è nostra personificazione.

Parola e relazione

Che significato ha, a proposito della parola? Semplicemente questo: se l'universo è essenzialmente relazionale attraverso tutti i suoi gradi, è perché tutto l'universo parla attraverso l'uomo, segnato ogni volta dal genio singolare di ognuno - come una corale unica di migliaia e migliaia di voci perse, che cantano insieme la stessa sinfonia. Ma la sinfonia-universo non è ancora la sinfonia della riconciliazione. Di cosa c'è bisogno perché lo diventi? Prima di rispondere a questa domanda, bisogna forse raccogliere il risultato della discesa in profondità e della risalita che si è conclusa. Ogni parola è relazionale, e nella misura in cui lo è, è parola di verità. E’ l'essere del mondo che si esprime attraverso di essa, avendo fatto dell'uomo il suo porta parola e la sua voce. L'universo si dice, e ogni volta che l'uomo non gli fa da schermo, ciò che dice è vero. (…) Ma allora, attraverso l'uomo, attraverso l'umanità che chiede, con la sua parola, di relazione, è l'universo nel suo insieme che appare come uno dei termini di una relazione alla ricerca del suo altro termine. Questa parola che è la creazione vuole sapere a che essa parla. Questo messaggio dell'essere che essa riceve dalle profondità del cosmo e che va crescendosi grado per grado e che abbandona nell'integrità umana, la creazione vuole comunicarlo ma senza sapere se qualcuno è là per recepirlo. La parola che è l'universo è come il corpo di una domanda che invoca una risposta. La parola dell'essere attraverso l'uomo è un richiamo che tende le braccia verso una presenza che non riesce ad afferrare.

Il luogo della parola

Ma questa presenza, attesa, chiamata, non ha già attraversato la storia, affrettandosi all'incontro dell'uomo? "In principio era il Verbo" dice il Prologo di S. Giovanni. Ora il Verbo è la Parola. Ecco la relazione tesa a partire dall'altra testa di ponte persa nell'infinito. Era già la risposta alla domanda che cosa sia il mondo. Se la parola umana, la parola dell'essere era impotente a gettare la relazione inscritta in essa dal finito verso l'infinito: almeno l'infinito, esso, era capace di gettare un ponte verso il finito. La Parola è atterrata tra di noi. La Parola ha preso carne nel Verbo Incarnato. "In principio è la relazione", dicono le scienze e la filosofia dell'uomo. "In principio è il Verbo", dice S. Giovanni. Cosa c'è di più commovente, e di più evidente nello stesso tempo, che Dio sia ossessionato dalla parola come se Lui stesso fosse da sempre in attesa di un altro termine al quale possa comunicarsi? La libertà che egli è non poteva più sollecitare la libertà dell'uomo, senza imporsi a questi. La sua parola che è parola di libertà si obbligava a restare all'ascolto dell'appello cosciente e libero dell'uomo. Ma bisognava che l'uomo diventasse cosciente di se stesso perché la sua libertà scaturisse dalla sua interiorità cosciente; e che infine facesse segno a Dio per capire che Dio gli faceva segno da sempre. Ora che ci insegna il Verbo Incarnato? Che "Dio è amore", come dice Giovanni. Ciò significa ancora che Dio è dialogo, è relazione. Cioè che l'amore non è un attributo di Dio o meglio una delle sue funzioni, ma che è costitutivo della sua natura. Essere e amare, in Lui, coincidono. L'essere avvolge l'amore come l'amore avvolge l'essere. Allora, quale grandiosa luce sul suo mistero! Egli è Trinità perché, per essere conforme all'amore, doveva trovare l'altro in se stesso, così personale che se stesso, e il legame che li riunisce, non poteva essere che altrettanto personale che loro stessi. Cosicché è la relazione che li differenzia in tre persone come pure è essa che le unisce (…). Dio è relazione. Eccoci dunque al paradigma della relazione, al fondamento primordiale che implicavano queste parole così semplici, così traslucide: "Dio è amore". In se stesso Dio era relazione e la Parola si pronunciava in Lui nell'attesa dell'ascolto degli uomini al fine di farsi Verbo Incarnato. Incarnato al momento in cui la creazione è abbastanza matura da potersi offrire come altro termine di relazione. Ci voleva una donna perfettamente trasparente alla relazione per non impedire la trasparenza della Trinità di manifestarsi nella trasparenza di un uomo in cui la relazione, sotto i nostri occhi, ha preso corpo. Per questo Cristo è al tempo stesso Dio e uomo: il migliore esegeta di Dio come il migliore esegeta dell'uomo. E’ la relazione fatta carne affinché la carne entri in relazione con Dio. Ed ecco che improvvisamente tutta l'epopea della creazione si schiarisce. Se l'universo è relazionale attraverso i suoi gradi scaglionati, dalla materia all'uomo, se la relazione trova un ricambio in quel focolaio di coscienza che è l'uomo, e se l'uomo a sua volta è relazionale poiché il suo rapporto con gli altri si inscrive di già nell'interiorità degli interlocutori, se, in breve, la relazione abbonda nella creazione e perché essa sovrabbonda in Dio Trinità, - e perché l'uomo è fatto a sua immagine.

Parole di Verità e Parole di Amore

Ma allora, quale rivoluzione subirà la parola, gesto dell'uomo? Finché essa comunicava l'essere, finché l'uomo era collegato sull'essere divenuto cosciente attraverso lui, la sua parola, che trasmetteva l'essere, era parola di verità. Finché egli non la intercettava opponendogli uno schermo di menzogna o del suo egoismo, la sua parola era parola di verità. Là dove essa circolava c'era già un esito di universo. La sinfonia-universo poteva già iniziare ma non era ancora la sinfonia della riconciliazione. Ora che la parola sorge dal Dio-amore, noi capiamo che non si tratta soltanto di essere, e non soltanto di verità. L'essere e la verità sono irrigati di un sangue nuovo ed eccoli trasfigurati come l'acqua cambia in vino alle nozze di Cana. Solo la parola d'amore sarà oramai verità, e soltanto l'essere cambiato dall'amore. Non basta più essere per restare nella verità: bisogna amare. Non si conosce veramente che ciò che si ama, e il gesto, parola muta, come la parola, gesto sonoro, devono assumere l'altro per conoscerlo nella sua verità, poiché non si può avanzare nell'amore che attraverso l'amore.Ogni parola è traditrice se si accontenta di trasmettere l'essere: essa farfuglia al di sotto del livello della sua reale destinazione. Nata da un amore, deve comunicare l'amore e con ciò suscitare l'amore in colui che l'accoglie. (…) Così dal basso all'alto, e dall'alto al basso, la relazione è come il sistema nervoso dell'universo, la sua struttura fondamentale. Non importa quale: la relazione amorosa, quella che arriva fino alla sostituzione con gli altri. Per questo essa inaugura la fraternità universale nell’entusiasmo delle trasfigurazioni. L'universo è come una parola unica, che si esplicita attraverso i gesti dell'uomo, suo ambasciatore, per dire "si" all'altro termine della relazione che, per primo, ha detto "si". Se mi si chiede allora com'è successo che tanti "no" appesantiscano la storia, e perché le valanghe di rifiuti accumulati aprano davanti a noi il vertice dell'abisso, rispondo semplicemente: "Perché la relazione non è solo relazione dell'essere: l'essere di per sé non fa che fermarsi nell'essere, rischiando sempre di rinchiudersi su se stesso, allorché solo la relazione amorosa, stabilisce le cooperazioni creatrici". In qualche luogo, nella trama del tempo, l'uomo ha dovuto preferire l'essere all'amore. Ha voluto appropriarsi dell'essere e accaparrarsi la parola di verità. Ma rifiutando la parola di amore, ha avvelenato l'essere alla sua sorgente e condannato la verità a mentire. Ha perso il senso della parola e il gesto dell'uomo. Mentre "ogni parola è un chiarimento dell'amore". P. Claudel