Giovedì 24 agosto, ore 11

ROMANIA: FOLLIA DEL POTERE, MEMORIA DI UN POPOLO

Testimonianze di Michnza Berindei, Ariadna Juhascombes

Modera:

Walter Maffenini.

W. Maffenini:

(…) Oggi abbiamo qui con noi la signora Juhascombes, rumena, professoressa di francese, Vicepresidente della Lega per i diritti dell'uomo in Romania e figlia di Dorina Cornea, una famosa dissidente che è stata chiamata la Sacharov della Romania. E abbiamo pure il dottor Berindei, rumeno anch'egli, che lavora a Parigi ed è Vicepresidente della Lega per i diritti dell'uomo in Romania. Lascio loro la parola.

M. Berindei:

Il tema centrale del Meeting 89, il paradosso, si applica perfettamente alla Romania. Essa infatti è un Paese ricco, che esporta prodotti agricoli, mentre la maggior parte delle persone vivono al limite della miseria, è un Paese che si dice in pieno boom economico, industriale, ma che attualmente sta visibilmente acquisendo tutte le tare dei paesi sottosviluppati; è un Paese europeo il cui tasso di mortalità infantile, il tasso reale, non quello ufficiale, può essere paragonato ai Paesi più poveri del Terzo Mondo (…). È un Paese che, nel momento stesso in cui altri Paesi del Patto di Varsavia, ivi compresa l'Unione Sovietica, si impegnano in delle vie riformatrici, si chiude su se stesso, isolandosi dal resto del mondo (…). La Romania è uno degli ultimi bastioni dello stalinismo e i dirigenti di questo Paese si chiudono sempre di più nella logica di un dogma. Il loro progetto di società, lo scopo ultimo proclamato e conclamato in tutti i discorsi ufficiali, è la realizzazione dell'utopia totalitaria dell'uomo nuovo. Si assiste oggi ad una vera e propria offensiva di grandissima portata contro ciò che ancora rimane delle strutture tradizionali della società rumena (…). Si tratta infatti della distruzione delle ultime forme di solidarietà, delle cellule familiari, delle comunità religiose e nazionali, del vicinato, di tutto ciò che, essendo considerato focolaio di resistenza potenziale, ostacola la cosiddetta omogeneizzazione della società, impedendo la formazione di un unico popolo operaio (…). Il partito in Romania tiene ogni momento della vita pubblica nelle sue mani e tutto ciò oggi sembra totale, più ancora che nel periodo staliniano. L'oppressione si esercita attraverso vari canali: le organizzazioni che assicurano l'inquadramento della popolazione nei regimi comunisti: partiti, pionieri, gioventù comunista, sindacato unico, ecc. I rumeni di ogni età, bambini, giovani, vecchi sono inquadrati a forza in una o più organizzazioni strettamente controllate dalle autorità (…). Rifiutare di farne parte equivale a rinunciare a qualsiasi promozione ed essere declassati tra gli esseri anti-sociali. Questa adesione, pur strappata, però, costituisce il primo passo di un ingranaggio che, di sottomissione in sottomissione, finisce col determinare un certo profilo morale. Come secondo punto, vorrei parlarvi del controllo. delle coscienze. Il Consiglio della cultura e dell'educazione socialista controlla qualsiasi creazione o manifestazione artistica o tecnica, qualsiasi manifestazione culturale, si tratti di uno spettacolo folkloristico o di amatori, oppure di una rappresentazione dell'Opera Nazionale. Il principio che sta alla base di questa attività dei guardiani della cultura è che non ci può essere rivoluzione artistica e culturale senza messaggio rivoluzionario. Così, ogni avvenimento culturale, ogni attività editoriale, sono sottoposti agli imperativi della propaganda (...). Questa pseudocultura nazionale deve essere protetta dalle influenze, ovviamente nefaste, che vengono dall'esterno. Il Paese così si chiude in un isolamento crescente come l'Albania (...). Sempre meno opere, giornali, riviste, film occidentali arrivano in Romania, e anche quelli che vengono dai Paesi comunisti dell'Est, sono attentamente selezionati e persino censurati. Questa politica anticulturale che, rovesciando i valori, svia, a profitto della propaganda, i bisogni e le reali aspirazioni delle bocche e delle lingue con la perversione e la distorsione delle menti, porta a una vera e propria catastrofe morale e costituisce un mezzo in più di controllo sulle coscienze. Terzo punto: vorrei parlarvi rapidamente della miseria quale strumento del controllo sociale. Perché, al di là delle organizzazioni di massa e della politica culturale, le autorità rumene esercitano quotidianamente il loro controllo sulla vita materiale della gente. Una serie di provvedimenti sono stati presi dall'inizio degli anni '80 per restringere ancora il debolissimo settore non socializzato dell'economia, soprattutto nell'agricoltura, per costituire una totale dipendenza materiale di ogni individuo nei confronti dello Stato. La nuova rivoluzione agraria lanciata dall'82 ha comportato una nuova collettivizzazione, un sistema di controllo della produzione agricola dei villaggi non collettivizzati (…). Da qui al 2000 si assisterà al passaggio della quasi totalità delle terre sotto il regime della gestione collettiva e questo avverrà distruggendo i villaggi non collettivizzati e riducendo in modo drastico la superficie delle terre lasciate ancora ai contadini. L'agricoltura rumena sarà così interamente collettivizzata, tutti i contadini saranno trasformati in operai agricoli. Questa nuova rivoluzione agraria si iscrive in un sistema più ampio di provvedimento che, dalla fine degli anni '80, ha fatto sì che la Romania viva in un'economia di guerra. Il razionamento del 10 e 17 ottobre '81, e soprattutto il programma per l'alimentazione scientifica della popolazione (luglio '82) che gli dà un carattere permanente, ha istituzionalizzato la penuria, che si traduce col razionamento dei prodotti di base, pane, farina, zucchero, carne, uova, latte. Aggiunti a questo, a partire dall'82, sempre più anarchici i tagli di elettricità e del gas, del riscaldamento durante l'inverno, comunque sempre limitato a 14 gradi. Tutti questi elementi, così come l'assenza cronica di sapone, detersivo e medicine, contribuiscono al degrado rapido dello stato sanitario, all'apparire di malattie della miseria, alla riduzione della speranza di vita (…). La crisi economica non spiega da sola i sacrifici madornali chiesti alla popolazione (…). La vera ragione della miseria imposta al popolo rumeno, non è di ordine economico ma politico, è un'arma di controllo sociale. I rumeni, nella maggioranza, vivono permanentemente nel timore dell'indomani: tentare di assicurare i bisogni più elementari assorbe tutto il tempo libero e tutte le loro energie. Questa lotta quotidiana per sopravvivere, questa lotta che ognuno fa da sé, per sé e per la propria famiglia in competizione con tutti gli altri, contro tutti gli altri, contribuisce ovviamente ad alienare l’individuo e ad atomizzare la società; lascia pochissimo posto ad altre aspirazioni e rende ancora più difficile l'organizzazione di una resistenza comune. Quarto punto: il controllo ottenuto con la paura. All'inquadramento, alla miseria imposta, alle difficoltà morali, all'intrusione del potere fino nella camera da letto, si aggiunge il controllo ottenuto con la paura. La polizia politica, la malfamata Securitate, gestisce il capitale di paura ereditato dal lungo periodo staliniano. In Romania le prigioni hanno aperto le loro porte soltanto nel '63-64. Secondo un responsabile dei Servizi di Informazione esule all'estero, un rumeno su 15 sarebbe membro o vicino collaboratore della Securitate. Questa disporrebbe inoltre di 3 milioni di informatori, di spie più o meno volontarie e di mezzi tecnici impressionanti, che consentirebbero la sorveglianza del minimo focolaio di ribellione (...). Ma la paura si nutre ancora di più del sentimento di insicurezza creato dall'arbitrio. Ad ogni istante e sotto qualsiasi pretesto, i rumeni possono essere denunciati o accusati senza potersi difendere. Nel 1985, ad esempio, tutti i salariati sono stati costretti a firmare un impegno nel quale sottoscrivevano di aver preso conoscenza dell'esistenza di un decreto sul segreto di Stato, il decreto 408, il cui contenuto è rimasto segreto per il semplice motivo che non è mai stato pubblicato. Quindi si trattava semplicemente di un avvertimento, perché il campo di applicazione di questi decreti era molto ampio e riguardava soprattutto i contatti con gli stranieri, contatti già sottoposti a regole estremamente severe come, tra l'altro, l'obbligo di portare per iscritto, entro ventiquattr'ore, il contenuto della minima discussione con uno straniero, anche se banale. La polizia politica, emanazione e principale braccio esecutivo del partito, dispone di poteri discrezionali e l'ambito di intervento è quasi illimitato, tocca tutte le sfere della vita sociale e, in assenza di uno stato di diritto, tocca alla Securitate decidere, in ultima istanza, del destino di ognuno: attribuzione di un impiego, di un appartamento, di un passaporto promozione o sanzione, ivi comprese sanzioni giudiziarie. Ma la polizia politica ha, fra le altre missioni, quella di fornire dossier personali su ogni individuo. Dall'inizio degli anni '80, questi dossier si sono arricchiti di nuove investigazioni molto approfondite, forse più che all'epoca di Stalin. Il sistema del dossier personale non consente soltanto alla Securitate di raccogliere informazioni che trasformano ogni rumeno, o quasi, in potenziale colpevole, ma consentono anche alla Securitate di ottenere da ognuno che si faccia complice, o persino collaboratore, dell'apparato poliziesco, con l'autodenuncia obbligatoria. Un gran numero di rumeni sono così portati a considerare come normale il fatto di diffidare costantemente dei vicini, del collega, dei parenti, dei genitori, di sapersi e sentirsi sorvegliare e di scoprire che la posta è censurata e, ovviamente, le conversazioni telefoniche registrate. In questi ultimi anni, inoltre, è stata lanciata un'offensiva contro gli ultimi spazi di libertà della religione, delle minoranze nazionali e del retaggio del passato (…). In questa situazione la resistenza della società rumena non è da tralasciare e la sua recente evoluzione lascia ben sperare. I rumeni rifiutano massicciamente di diventare uomini nuovi e questo rifiuto può essere misurato, in questi ultimi anni, non solo dall'ampiezza dell'emigrazione e della fuga, ma anche tramite altri fenomeni, quali la rinascita del sentimento religioso (…), il ruolo crescente di stazioni radio che emettono in lingua rumena dall'Occidente, principale fonte di informazione ma anche mezzo di dialogo tramite lettere, messaggi, dei rumeni tra di loro; la persistenza e lo sviluppo, nonostante la repressione, della contestazione individuale e collettiva, accompagnata da una radicalizzazione delle posizioni e da una diversificazione della maturità dei programmi. Dopo i tentativi duramente e severamente bloccati di Costituzione, di movimenti per la difesa dei diritti dell'uomo, il movimento Goman, nel '77, il Comitato cristiano per la difesa delle libertà religiose e di coscienza nel '78, il Sindacato libero dei lavoratori della Romania nel '79, la tendenza generale è stata e rimane la clandestinità. È a questi movimenti che si deve in gran parte una miglior circolazione dell'informazione e la diffusione di volantini, l'organizzazione di azioni di protesta e di sciopero. La manifestazione di Brasov del novembre '87, è stata anch'essa, lo sappiamo oggi, parzialmente preparata. La grande massa di operai di Brasov si è collegata a gruppi che si erano organizzati prima. Questi avvenimenti di Brasov costituiscono, secondo vari pareri, un punto cruciale e un cambiamento, una svolta. Hanno determinato le prime manifestazioni di solidarietà degli studenti e degli intellettuali con gli operai. Hanno comportato il riapparire di azioni collettive e di movimenti di opposizione aperti, come il sindacato "Libertà" nel maggio '88 (…), la lettera aperta mandata a Nicolaj Ceausescu, nell'agosto '88, contro la distruzione dei villaggi, ecc. (…). Gli avvenimenti di Brasov hanno suscitato un aumento delle prese di posizione e delle contestazioni individuali, anche tra gli intellettuali conosciuti. Infine, la repressione che ha colpito i contestatori ha provocato, con effetto boomerang, altre manifestazioni di solidarietà. Tutto ciò sembra testimoniare che una nuova mentalità timidamente si fa avanti in Romania, ma vi è anche una presa di coscienza della gravità della situazione rumena in Occidente (…).

A. Juhascombes:

Cari amici, se ho accettato di parlarvi oggi non è perché mia madre sia l'unica che si oppone in Romania, ma perché Dorina Cornea (…) è diventata, oggi, l'emblema dell'opposizione rumena. Nell'agosto 1982, sette anni fa, mia madre, che all'epoca aveva 53 anni, ed era professore assistente all'Università di Cluj, mandava a Radio Europa Libera un testo intitolato: "Lettera a tutti coloro che non hanno rinunciato a pensare". In questa diceva che l'aspetto più grave della catastrofe che colpiva la Romania non era il degrado della vita materiale, ma "la scomparsa dei valori culturali e spirituali, da quando una ideologia riduttiva e sterilizzatrice è stata imposta alla Romania". Inoltre diceva: "Mi chiedo come siamo arrivati a questo punto, mi chiedo soprattutto se noi stessi, individui insignificanti, anonimi, non avremo la nostra parte di responsabilità in tutto ciò. Se guardiamo noi stessi, se ci osserviamo con attenzione, non scopriremo forse di aver acconsentito a tanto compromesso, di aver accettato e diffuso, con un ruolo di primaria importanza di formare l’intellighenzia di domani? E qui mi rivolgo direttamente a voi - continuava nella sua lettera - colleghi, insegnanti di Romania, non insegnate più agli allievi, agli alunni, agli studenti ciò in cui né voi né loro credete" (…). Ebbene, per questo appello, dopo un anno di pressioni e di vessazioni professionali, è stata cacciata dall'università di Cluj (…). Il rifiuto della menzogna è per mia madre un atto di fede religiosa, la pratica di una delle virtù fondamentali: ma costituisce anche un atto di solidarietà umana. Per essa il primo dovere è riuscire a dimostrare che anche in una delle più tremende dittature che esistano oggi al mondo, è possibile testimoniare. Ed è per questo che nell'ottobre 1987 accetta di rispondere, a viso aperto, ad un giornalista francese, per denunciare gli assassini del regime rumeno. È per questo anche che, un mese più tardi, esce con mio fratello di 32 anni, padre di 2 bambini, nella strada, per distribuire volantini, chiamando alla solidarietà con i 20 mila operai ribellatisi a Brasov. Sono tutti e due, ovviamente, immediatamente fermati e incarcerati nelle prigioni della Securitate di Cluj e verranno liberati cinque settimane più tardi, soltanto a causa della solidarietà internazionale. Ed è per questo anche che un anno più tardi, nell'agosto 1988, denuncerà il piano di risistematizzazione dei villaggi, come è stato chiamato; 28 altre persone hanno accettato di firmare al suo fianco, nonostante gli enormi rischi che correvano. Tutti sono stati fermati in casa, interrogati per ore ed ore dalla Securitate, minacciati nella loro persona e nella persona dei loro genitori, parenti e vicini. A volte licenziati, battuti, umiliati e terrorizzati. Dal mese di settembre scorso, mia madre e mio padre hanno visto la loro casa trasformata in una vera e propria fortezza, il telefono tagliato, la posta sospesa, un miliziano davanti alla loro porta, giorno e notte, per impedire a chiunque di entrare, un proiettore installato sopra la casa. Si sono scavate trincee alle due estremità della loro strada, le strade vicine sono costantemente sorvegliate e guardate da poliziotti in borghese, in vetture camuffate. A gennaio, l'Ambasciatore di Gran Bretagna che voleva visitarli, è stato malmenato (…). In uno degli ultimi testi, forse uno dei più severi, dei più duri nei confronti del regime, dal titolo "Il popolo non vuole più saperne del vostro socialismo", mia madre diceva: "Una cosa è certa, il popolo non vuole più saperne, e da lungo tempo ormai, del tipo di socialismo che gli fate subire. Nel 1977, i 33 mila minatori della valle del Jin l'hanno già detto, recentemente migliaia di lavoratori per le città di Lili e Brasov me l'hanno ripetuto. Parecchi intellettuali onesti, con la loro protesta individuale, me l'hanno confermato. Fintanto che lei è in vita - si rivolge al Presidente Ceausescu – finché il suo esercito della Securitate occupa il Paese, avete la possibilità di presentare una visione falsa della realtà, contraffatta, a cui nessuno, ma proprio nessuno, crede più oggi. Può però star sicuro che la storia non perdona". E il giorno in cui un giornalista le ha chiesto perché facesse tutto ciò rispose che l'unica ragione è la certezza che, finché avesse continuato, nessuno mai, nella storia, avrebbe potuto dire che la Romania ha accettato di uscire dal mondo, dalla storia e dall'Europa senza nessuna lotta.

W. Maffenini:

Questo applauso è sicuramente per tutti coloro che in Romania e in tutti Paesi combattono per la libertà. un grande insegnamento che ci viene oggi, per il quale siamo grati ai relatori.

Segue il dibattito.