Lunedì 25 Agosto, ore 17

UN FATTO E’ LA BUONA NOTIZIA

Incontro con:

S. Em. Card. Jean Marie Lustiger,

Arcivescovo di Parigi.

Esiste un Fatto nella storia degli uomini che si è reso notizia, novella, messaggio, risposta al desiderio e alle attese di ogni uomo che viva seriamente la propria condizione: l'avvenimento cristiano, il Dio incarnato, divenuto esperienza accessibile e sperimentabile per tutti. Questa è la Parola che, in quanto proferita e accolta, non soltanto informa, ma cambia la vita, modello e legge di ogni comunicazione che avvenga tra uomini desiderosi di incontrare l'Altro da sé e di essere cambiati da questo avvenimento. A riproporre la memoria di questa Parola è Sua Eminenza Cardinale Jean Marie Lustiger, francese di origine ebreo-polacca, Arcivescovo di Parigi, una delle personalità che maggiormente in questi anni hanno segnato, con la loro presenza, il mondo della cultura e della Chiesa, attraverso una capacità straordinaria di comunicazione ed incontro con gli uomini di diversi paesi, fedi e culture.

LA BUONA NOVELLA E’ UN FATTO

Noi affermiamo che la Buona Novella è un fatto. Che cosa intendiamo dire? Oggi noi portiamo l'annuncio di questa Buona Novella. Nella cacofonia dei messaggi che cercano di catturare l'attenzione questo emerge già come un fatto in mezzo ad altri. Ma la Buona Novella è in primo luogo il fatto più importante che ci sia, il primo che s'impone all'attenzione di tutti, con un'evidenza così lampante che si rischia continuamente di perderne la percezione: l’intera creazione è, essa stessa, la prima Buona Novella che ci viene annunciata.

IL LINGUAGGIO DEL COSMO

Sì, l'universo che ci circonda e che si estende al di là del limite del nostro sguardo è come un linguaggio pronunciato da Dio. Il cosmo invisibile e tutta la creazione visibile costituiscono il primo annuncio della Buona Novella. Essa è dunque un fatto, nei due sensi del termine: un dato, una realtà sperimentabile almeno parzialmente da una parte; un atto compiuto da qualcuno - che non è altri che Dio in persona - dall'altra. La Parola di Dio porta a compimento ciò che esprime. Quel che Dio dice fa sì che le cose siano. Vi ricordo Genesi 1,3: "Dio disse: 'Sia la luce', e la luce fu". Questa Buona Novella, costituita dal "fatto" della Creazione, ci viene tramandata storicamente dalla rivelazione biblica. "I cieli narrano la gloria di Dio", recita il Salmo 19,2. E il Cantico delle creature (Daniele 3,17-88) mostra come l'intero universo, il cielo e la terra, esprimano qualcosa di Dio. Essi manifestano e riflettono lo splendore di Colui che li ha fatti, cantano la "Sua gloria". Anzi, ci fanno percepire, come in uno specchio, lo sguardo di Dio sull'atto della Sua creazione: "E Dio vide che ciò era buono", anzi, "molto buono" (Gen. 1,31). Come mai un simile linguaggio sembra non venir più compreso? Per molto tempo la bellezza dell'universo ha "incantato" gli uomini, facendo loro percepire il fascino del sacro attraverso il riflesso del principio divino che ne è l'artefice. Gli uomini allora hanno cercato di fare degli elementi di questo mondo i propri dei. Come spiega San Paolo ai Romani (1, 23-25), "Essi scambiarono la gloria di Dio incorruttibile con le sembianze di uomo corruttibile, di volatili, di quadrupedi, di rettili…, essi adorarono e prestarono un culto alle creature invece che al Creatore". Ma questa forma di idolatria ci sembra ormai appartenere ad un'epoca passata dell'umanità. Ci apparirebbe puerile, oggigiorno, venerare gli elementi del mondo come se fossero delle divinità. Nessuno oggi direbbe che il sole è un dio (e non "Dio". Sarebbe in effetti un madornale anacronismo - purtroppo frequente - servirsi del concetto di Dio, l'Unico, così come ci viene trasmesso dalla Rivelazione e attraverso l'esperienza della Storia della salvezza, per dare un nome alle divinità degli uomini). Al contrario, ci ritroviamo padroni di un ambiente da cui il mistero è sparito. Per la nostra scienza, la creazione è muta e il cielo è vuoto. Lo ha dimostrato, in modo quanto mai sorprendente, la dichiarazione trionfale del primo cosmonauta sovietico al suo ritorno dallo spazio: "Ora si può essere sicuri che Dio non esiste: sono andato su in cielo e non l'ho visto". Una simile frase avrebbe fatto senz'altro ridere San, Paolo. Che cosa penserebbe di noi, che invece di manifestare, la disponibilità degli ateniesi al "dio ignoto", alimentiamo il nostro immaginario con extraterrestri e altri tipi di "E.T."... Ci troviamo così a dibatterci nell'alternativa tra il mondo divinizzato di un tempo e l'universo odierno, svuotato di ogni senso del sacro. In un caso come nell'altro, noi non comprendiamo più ciò che dice il mondo, le parole che esso pronuncia all'orecchio dell'uomo. Questo mondo è divenuto simile ad una lingua straniera. I soli che cercano ancora di decifrare questo linguaggio sono alcuni poeti ed artisti, personaggi di un'altra epoca che riusciranno ad avere un pubblico solamente se si adatteranno a diventare le vedettes nel grande spettacolo del circo dei mass media. Probabilmente la condizione originaria dell'umanità, quando la creazione veniva confusa col Creatore, non era peggiore di quella attuale, in cui rischiamo di distruggere il mondo con la nostra tirannia e la nostra presunzione.

COLUI CHE PARLA...

Quando l'uomo sente un linguaggio a lui ignoto, cerca di comprenderlo, di captare un significato, di discernere un messaggio. Lo stesso fa nel confronti del cosmo. La prima Buona Novella che il credente riceve da Dio è che il mondo intero manifesta la gloria divina. Il mondo "esprime la gloria di Dio" perché Dio "esprime" il mondo. Quindi dietro ciò che è detto noi possiamo percepire Colui che parla. Sant'Agostino sentiva la terra e il cielo che gli dicevano: "Noi non siamo Dio, ma è Lui che ci ha fatti". E tuttavia non è un fatto scontato. Oggi giorno, affermare che il mondo è un messaggio è come invitare ad analizzarlo in modo formale per scoprirne la coerenza interna. E’ questa l'ipotesi metodologica della scienza moderna, elaborata in base ad una logica fredda e razionale. Gli incredibili risultati ch'essa ottiene non debbono farci dimenticare l'impoverimento di senso derivante dal suo postulato iniziale, il quale suppone che qualsiasi linguaggio non vada al di là di se stesso, mentre (noi sappiamo che) esso implica molto di più. Semplicemente perché esso non esiste senza "qualcuno che lo formuli" e "qualcuno che lo ascolti". Eppure la tentazione moderna è quella di dimenticare tutto ciò. Nel momento in cui noi diventiamo capaci di comprendere il mondo secondo la logica, cogliendolo unicamente come linguaggio razionale, nel momento in cui padroneggiamo questa lingua universale - che possiamo chiamare scienza - noi spesso dimentichiamo chi parla e chi ascolta. Ora, senza voler con questo fare un torto ai matematici, la matematica non esiste senza di loro. A questo proposito, ricordo di aver udito un giorno una discussione molto significativa tra due matematici avversari, in merito al positivismo logico della Scuola di Vienna. Tale discussione si arenò su un interrogativo rimasto senza risposta: "Perché certe teorie matematiche sono più interessanti di altre?". Si sarebbe dovuto rispondere facendo appello all'affettività o all'immaginario soggettivo dei matematici... Sostenere che qualche cosa è interessante equivale a dire che esistono dei soggetti che parlano, i quali sono in grado di suscitare l'interesse in soggetti che ascoltano e che dimostrano interesse. O meglio, dei soggetti interlocutori che comunicano scambievolmente. Noi crediamo che la coerenza del mondo e il suo splendore ci rivelino qualcosa dell'unico Soggetto assoluto, in cui il mondo trova la propria ragion d'essere. Il Creatore di tutte le cose, fonte di ogni bellezza, è infinitamente al di là di ciò che l'uomo può vedere e concepire. Ma Egli ci confida questo mistero straordinario della sua Parola creatrice. La Buona Novella sulla creazione costituisce così per noi un ulteriore ampliamento di quel che Dio esprime nella sua creazione. La Buona Novella è un dato di fatto perché, quando Dio parla ed esprime se stesso, la sua Parola agisce e suscita testimoni ed interlocutori. Noi credenti sappiamo che Dio "pronuncia se stesso" a se stesso, e siamo consapevoli di trovarci così davanti al mistero ineffabile dalla Santissima Trinità in cui, nell'unità della natura divina, la Parola eterna del Padre viene donata col sigillo dello Spirito. Ma quando Dio pronuncia se stesso nella sua creazione, il significato di questa Parola si manifesta all'interlocutore che Dio si è creato nella creazione: l'uomo, purché questi si riconosca come creatura di Dio. Il mondo intero può essere compreso come linguaggio di Dio soltanto se esiste in questo mondo un interlocutore in grado di ascoltare questa Parola e di rispondervi. E’ questo il significato profondo della frase di Pascal: "Il silenzio eterno degli spazi infiniti mi sgomenta". Rimanere sordi alla Buona Novella della creazione che ci viene annunciata significa condannarsi all'incomprensione e alla vertigine della paura. Oggigiorno ci troviamo a dover fare una constatazione stupefacente: l'attività scientifica ha cercato di liberare l'uomo dalle paure irrazionali generate dal fascino del sacro cosmico. Ed ora eccoci in preda a paure ancor più temibili di fronte all'eventualità di catastrofi nucleari, genetiche o d'altro tipo. Paure di un uomo che non ha più coscienza della propria identità in un universo privato di ogni ragion d'essere. Eppure, la prima e fondamentale Buona Novella è proprio questa: che il mondo è stato creato e trae la propria esistenza da Dio. E noi stessi, creati da Dio, siamo dotati della capacità di comprendere questa totalità in cui il nostro Creatore ci ha collocati e che ci ha affidato.

… E COLUI CHE RISPONDE

In realtà l'uomo stesso è, in modo del tutto particolare, un linguaggio di Dio. Noi siamo fatti "a sua immagine e somiglianza" (Genesi 1,26). Siamo in un certo senso una parola personale detta da Dio nella persona del suo Verbo. Il mistero dell'uomo, persona creata, si manifesta nel suo rapporto con le persone divine. Il Padre nella sua Parola filiale lo crea per mezzo dello Spirito Santo. L'uomo realizza pienamente la propria esistenza dando la risposta che questa Parola si attende. Certamente, i cieli cantano la gloria di Dio. Ma questo cantico rimane silenzioso finché l'uomo non lo ascolta, finché la lingua non lo fa riecheggiare nel linguaggio degli uomini, finché l'intelligenza dell'uomo non recepisce la creazione come un dono prezioso che deve essere contraccambiato rendendo grazie al Creatore. Se il linguaggio dell'universo appare oscuro e dissonante, è perché il cuore dell'uomo si è oscurato e non è più in sintonia (con ciò che lo circonda). L'uomo, infatti, affascinato dalla ricerca di sé, dall’ "immagine e rassomiglianza" che vi scorge, si chiude narcisisticamente in se stesso, rifiuta di dipendere dall'Altro - il proprio Creatore e Padre - e diviene incapace di accogliere gli altri - i propri fratelli - come pure di donarsi a loro. Questa altra forma di idolatria si traduce in una specie di "autismo" spirituale: poiché l'uomo non sente più, diventa sordo: poiché non vuoi più parlare, diventa muto; poiché non vede più la luce, diventa cieco; e poiché si è lasciato paralizzare da questo mondo, è divenuto simile ad un cadavere. Come scrive ancora San Paolo nella lettera ai Romani (1, 21), l'uomo "si è smarrito nei suoi ragionamenti privi di senso". Il suo "cuore stolto è diventato preda delle tenebre". Così, la Buona Novella - il mondo che canta la gloria di Dio, e al suo centro l'uomo, che Dio crea perché egli accolga, risponda e renda grazie - è un fatto. Ma è un fatto che noi non arriviamo più a riconoscere, un linguaggio che l'uomo, smarritosi, non riesce più a comprendere, un messaggio che egli ha alterato e non sa più cogliere.

IL VERBO FATTO CARNE

E tuttavia, "quando i tempi furono compiuti", "in questi ultimi tempi che sono i nostri, Dio ha parlato a noi nel Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose, e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo" (Ebrei 1,2). La Buona Novella della creazione dei cieli e della terra, della creazione dell'uomo a immagine di Dio ci viene nuovamente annunciata nella persona del Cristo, Verbo eterno fatto carne. Dio fatto uomo. La Buona Novella della creazione del cosmo e dell'uomo viene proclamata definitivamente attraverso il mistero dell'incarnazione redentrice, la nuova Creazione. In Cristo, Dio medesimo si fa risposta, lui che dall'inizio è per l'uomo domanda. E’ Dio stesso a donarsi, lui che inizialmente sembra chiederci tutto. Nel mistero di Cristo, che è anche il mistero dell'uomo, ci viene restituita la chiave per decifrare il linguaggio della creazione. Il meraviglioso segreto della coerenza del mondo e della storia degli uomini viene, in Gesù, confidato ai credenti, che riescono così nuovamente a comprendere, con una pienezza che non ha precedenti, il senso del creato e della vita. Nella venuta del Figlio lo splendore dell'universo assurge a dimensioni cosmiche e l'umanità ritrova la propria dignità, speranza e bellezza. La Buona Novella rappresentata dal Cristo è certamente un fatto storico. Anzi, è il fatto centrale della storia. Non si tratta di un'opinione fra le tante, e neppure della pietra di paragone di un sistema particolarmente elaborato. Si tratta niente meno che del fatto più determinante dopo la creazione, di un atto di Dio il cui Verbo, prendendo la nostra carne, cambia irreversibilmente il corso della storia. In Gesù Cristo risuona nel linguaggio degli uomini la risposta conforme alla Parola di Dio che, non contenta di creare, viene a salvare. E l'opera di Dio, opera creatrice "buona" come quella della prima creazione, che prosegue nell'evangelizzazione. San Paolo scrive in merito ai Filippesi (1,6): "Colui che ha iniziato in voi quest' opera eccellente la porterà a termine fino al giorno di Cristo Gesù". Dire che Cristo - Buona Novella è un fatto non significa soltanto affermarne l'esistenza; significa anche riconoscere ciò che Egli ha compiuto e continua a compiere ancor oggi nella storia degli uomini. Agli occhi di chi osserva il mondo, questa storia può apparire soltanto come un turbinio incoerente e assordante. Eppure, quel che Cristo ha fatto e detto a Suo Padre ed agli uomini esige da noi, suoi discepoli, che diciamo e facciamo altrettanto. Ed Egli continuamente compie in noi la Sua opera per mezzo della potenza dello Spirito Santo. La Buona Novella consiste nel fatto che Dio trasforma il mondo e lo salva con le "sue due mani", che sono il Verbo e lo Spirito (come diceva Sant'Ireneo di Lione).

LA CHIESA RICOMPONE IL "CANTO DEL MONDO"

Il dominio del mondo, affidato da Dio ad Adamo (Genesi 1,28-30), diviene in Cristo l'appello a ricomporre questo "canto del mondo", questo linguaggio universale che ormai passa per le nostre labbra e che, per essere articolato e compreso, ha bisogno della salvezza recata da Gesù Cristo e del soffio dello Spirito Santo, il "Signore che dà la vita". Il mistero di Cristo è parimenti il mistero della Chiesa, che è il Suo corpo (cf. Colossesi 1,24). Membra del Corpo di Cristo, noi siamo chiamati ad operare in ogni istante e in tutte le cose per mezzo di Lui, con Lui ed in Lui per la salvezza del mondo intero. Noi siamo dunque collocati al centro del mistero della Redenzione, intenti a contemplare il Signore sulla Croce, che ci invita a seguirLo divenendo simili a Lui. Noi partecipiamo, insieme al Figlio crocifisso, alla redenzione dell'intera creazione e accogliamo, pieni di speranza, la Buona Novella della vittoria dell'amore sulla morte. La Buona Novella della Resurrezione è tanto incredibile, quanto è sconvolgente quella del Figlio di Dio morto su una croce. Dobbiamo dunque chiederci: con quale disposizione possiamo accogliere la Buona Novella delle grandi cose compiute dal nostro Dio? Come possiamo annunciarla? Qual è la parola che Dio pronuncia attraverso di noi? Quale linguaggio riecheggia in tutto il mondo grazie alla presenza della Chiesa di Cristo? Il linguaggio di Dio è formato dai segni che Dio dispiega in questi tempi della nostra storia, ossia dai sacramenti. Questo linguaggio è straordinariamente ricco e conferisce un senso "di mistero" a tutta l'esistenza umana, a tutta la storia del mondo e dell'umanità. Ciascun sacramento ha un proprio significato peculiare, e realizza tale significato attraverso la grazia di Cristo e mediante la potenza dello Spirito Santo. Ogni sacramento attualizza la Buona Novella, facendone un evento in cui "Dio persegue il compimento della propria opera eccellente fino al ritorno di Cristo Gesù", secondo l'espressione di San Paolo citata poc'anzi (Filippesi 1,6).

IL LINGUAGGIO PARTICOLARE DELL'UNIVERSALE

La mia affermazione vi potrà sembrare strana. Un simile linguaggio, infatti, - quello dei sacramenti - parrebbe quello meno universale, più specifico, più "confessionale", e secondo la disciplina stessa della Chiesa dovrebbe essere riservato a coloro che sono stati iniziati ai misteri cristiani. Si pensi, ad esempio, alle tappe del catecumenato. Questo linguaggio così particolare dei sacramenti può esprimere il messaggio di Dio in tutta la sua universalità? Spetta a noi cristiani testimoniare con la nostra esistenza questa universalità che ciascun sacramento separatamente contiene. Il paradosso del mistero sacramentale è, in realtà, identico al mistero di Cristo, da cui scaturisce. Gesù nacque dalla Vergine Maria a Betlemme di Giudea, in un tempo e in un luogo precisi. Egli è "quell"’uomo. Ed è perché Egli è quell'uomo unico e singolare, che in Lui ogni uomo può riscoprire il mistero della propria esistenza. Ciononostante siamo tentati di cancellare i tratti storici e concreti dell'esistenza di Gesù per fare di Lui il simbolo dell'uomo universale. In tal modo ogni popolo, in ogni epoca, potrebbe ricrearsi un Cristo a propria immagine, così che ogni uomo possa proiettarsi in una raffigurazione mitica di se stesso - come avvenne con Apollo ai tempi dell'antico paganesimo. Questa ipotesi non è certo gratuita; la tentazione di fare del Cristo l'eroe che più ci piace - un rivoluzionarlo, un romantico, un francese - è reale. Già nei secoli passati l'iconografia attesta che diverse epoche le hanno più o meno ceduto. Ma forgiare un Cristo a nostra immagine e esattamente il contrario della fede cristiana. Può esserci di chiarimento il modo di esprimersi del Papa nel corso dei suoi viaggi nei cinque continenti. Egli dice, ad esempio, che "il Cristo diviene africano nei suoi fratelli". Ciò non significa che il Cristo fosse estraneo all'uomo africano, e neppure che il Cristo potrebbe diventare africano rinunciando ad una sua identità anteriore, un po' come uno può cambiare passaporto e nazionalità. L'affermazione del Papa poggia su un punto: l'azione di Dio nella nostra storia. Quando noi entriamo a far parte del mistero ecclesiale diventiamo le membra dell'unico Corpo del Cristo. Gesù allora diviene a noi più intimo di quanto noi lo siamo a noi stessi. In altre parole, l'universalità di Cristo nella Sua Incarnazione si manifesta non negando la singolarità della Sua esistenza storica (come pretendeva un tempo l'eresia docetista). Gesù solo, infatti, nacque dalla Vergine Maria a Betlemme di Giudea sotto Quirino e patì sotto Ponzio Pilato. L'universalità di Cristo nella Sua Incarnazione può essere da noi percepita grazie all'azione dello Spirito che ci fa entrare nella Chiesa, Corpo di Cristo, attraverso una nuova nascita.

LA CHIESA-SACRAMENTO COME RICAPITOLAZIONE DI TUTTA L'UMANITA’

E’ in questo senso che il Concilio Vaticano II ha potuto dire che la Chiesa è "in certo qual modo, nel Cristo, il sacramento universale della salvezza" (Lumen Gentium, § 48). La particolarità dei gesti sacramentali, così come della parola cristiana, è la condizione necessaria perché si manifesti l'universalità del messaggio evangelico. E’ la garanzia che la Buona Novella non è un linguaggio astratto, una ideologia, che la fede non è un prodotto dello spirito umano, e ci permette di entrare nella realtà storica della salvezza, che Dio attua in Gesù Cristo e nel Suo Corpo, la Chiesa. Che cosa può significare, per un'umanità così vasta ed eterogenea, il fatto che l'intera Chiesa è un sacramento? Che essa è il pegno e l'anticipazione di una comunione possibile fra tutti gli uomini nell'amore, come spiega la costituzione Lumen Gentium (§ 1): "La Chiesa è, nel Cristo, in certo qual modo il sacramento, ossia ad un tempo il segno e il mezzo dell'unione intima con Dio e dell'unità di tutto il genere umano". In effetti la Chiesa, il cui mistero scaturisce dal l'incarnazione del Figlio, è formata da una straordinaria varietà di uomini e donne, i figli di Dio sparsi in ogni angolo della terra, che Dio continuamente raduna nell'unità del suo Cristo. E non si tratta soltanto dei fratelli nemici che il Signore riunisce affinché si perdonino e tornino ad amarsi, né dei peccatori smarriti che Dio richiama a Sé ed accoglie, ma anche (e non è forse questa la ferita più profonda dell'umanità?) di tutte quelle vite perdute, di quei morti di cui nessuno in questo mondo ha conservato la memoria. Sognare di raggiungere una perfetta unità di tutta l'umanità escludendo coloro che sono morti è una pericolosa chimera perché, alla fin fine, esclude noi tutti: tutti, un giorno, moriremo. Ma la speranza di pervenire alla Comunione tra tutti gli uomini ci viene data dall'amore autentico, capace di riunire gli esseri al di là dello spazio e anche del tempo, oltre la vita in questo mondo e la morte a questo mondo.

LA COMUNIONE EUCARISTICA

L'Eucaristia attesta che tutti i figli di Dio dispersi, i vivi come i morti, possono essere riuniti nello stesso unico amore del Risorto e per mezzo di esso. Il mistero eucaristico che la Chiesa celebra mantiene viva nell'umanità intera la Sua memoria. E questa memoria va ben oltre la capacità della memoria umana (e anche di quelle artificiali). Quando, durante la prima preghiera eucaristica, ad esempio, il sacerdote fa memoria delle offerte gradite a Dio, da Abele il giusto fino al ritorno del Cristo, egli riassume ed anticipa tutta la storia dell'umanità. Mediante il sacramento dell'Eucaristia, in questo che sembra irrimediabilmente diviso, noi ci rendiamo garanti che l'umanità è una. Questa speranza di comunione giace ancora riposta nel segreto, nella sofferenza e nel peccato. E’ normale che gli uomini disperino della possibilità di un'unione e di un amore reciproco. Basta aprire gli occhi su questo nostro mondo pieno di violenza e di odio. Ma noi abbiamo il compito di tenere aperti gli occhi della fede, affinché gli uomini non cadano nella disperazione. Dobbiamo avere il coraggio di affermare che l’umanità, pur nella sua diversità, appartiene ad un’unica famiglia, anche se questo oggi può apparire più audace e scandaloso che mai; dal nostro Creatore attraverso il primo Adamo, viene completamente rinnovato grazie al nostro Redentore, "il futuro Adamo" permette di rendere tale rapporto reale ed efficace nella storia, giorno dopo giorno, attraverso l’atto e la parola eucaristici. Nella celebrazione eucaristica noi siamo dunque i garanti della bellezza del mondo e della sua coerenza. Questo mondo, a un tempo così effimero e meraviglioso, diventa la fragile carne del Cristo sotto la specie del pane sacramentale. E questo di conseguenza ci obbliga ad avere rispetto infinito per la creazione, per l'opera del nostro Creatore, come pure a ricercare incessantemente la bellezza la cui fonte è Colui che è all'origine di ogni bellezza.

LA LIBERAZIONE BATTESIMALE

Il nostro impegno eucaristico non deve farci dimenticare che il Cristo ci salva liberandoci. Sacramento della fede, il Battesimo comporta diverse libertà: la libertà di Dio che chiama e si dona; la libertà dell'uomo che risponde e si dona a sua volta. Grazie al sacramento del Battesimo noi, resi identici al Cristo nella sua morte e Resurrezione, diventiamo i garanti della libertà in questo mondo divorato dal cancro della schiavitù. Le costrizioni che ci imponiamo reciprocamente trovano sempre in noi delle giustificazioni; si potrebbe dissertare all'infinito sulle libertà, sulle condizioni che le rendono possibili, sui loro limiti ed eccessi. Ma attraverso il Battesimo ci viene data la libertà, suprema ed inalienabile, dei Figli di Dio. Questa libertà proviene da Dio stesso, e l'uomo può esserne partecipe per due motivi: perché è creato a immagine di Dio e perché è chiamato a condividere, attraverso la grazia, la condizione divina del Figlio. La libertà donata da Dio è dunque la garanzia di tutte le libertà umane. Quando l'uomo non è più libero di adorare Dio, allora sicuramente su di lui incombe la schiavitù. Perciò, reclamando come primo fra tutti i diritti quello della libertà religiosa, la Chiesa non tutela soltanto un interesse particolare: essa tutela quella che è la garanzia di tutte le libertà per tutti gli uomini. Il Battesimo è altresì una nuova nascita. Rendendoci fratelli di Cristo, ci restituisce la nostra dignità di figli di Dio e ci dà la speranza della resurrezione. Fin d'ora, nei sacramenti, noi riceviamo il pegno della vita eterna. Così, in questa fine secolo in cui senza dubbio sta per scoccare l'ora di una nuova evangelizzazione, ci viene affidata una missione ben precisa. Infatti, grazie al potenziale tecnologico che ha accumulato, l'uomo che può farsi padrone dell'universo è ugualmente in grado di trattare il corpo umano come se fosse solo un oggetto. Ormai è possibile scindere l'uomo dal suo corpo manipolando quest'ultimo. Attraverso la grazia della nostra nascita battesimale, noi riceviamo una missione universale, indispensabile alla salvezza dell'umanità: quella di salvaguardare la dignità del corpo e di garantire all'uomo un'esistenza autenticamente umana. Non ho tempo, in questa sede, di dilungarmi ulteriormente su questo punto, che attualmente rappresenta una delle più alte poste in gioco per l'Occidente.

CRESIMA E COMUNICAZIONE

Una parola soltanto, facendo riferimento all'esperienza della Pentecoste, sulla speranza di cui è caparra il sacramento della Cresima. Il dono dello Spirito ricevuto da ogni cristiano è la garanzia, per l'umanità intera, che la diversità non costituisce più fonte di confusione, bensì di comunione. Di questa speranza l'umanità d'oggi ha più che mai bisogno, dato che essa è continuamente tentata di livellare tutto e di cancellare qualsiasi differenziazione. I mezzi di comunicazione di cui disponiamo sembrano rendere possibile un nuovo universalismo, a cominciare dall'astrazione del linguaggio. Rischiamo però di dimenticare che ogni parola è unica, anche se viene espressa in una lingua comune; rischiamo di dimenticare la diversità delle lingue, che sono tuttavia chiamate a comunicare tra di loro arricchendosi reciprocamente. La vera comunicazione non può accontentarsi di equivalenze, che provocano necessariamente un impoverimento allorché essa viene ridotta al minimo comun denominatore. Al contrario, grazie ai doni sempre diversi dell'unico Spirito, gli individui e i singoli gruppi hanno la possibilità di comunicare tra loro mantenendo le caratteristiche peculiari delle loro culture e dei loro linguaggi. E non soltanto possono comunicare, ma addirittura essere in comunione spirituale. Il mistero ecclesiale della Pentecoste è un'anticipazione di quello che sarà l'avvenire ultimo dell'umanità. Noi portiamo dunque la speranza di uno sviluppo e di un ampliamento inimmaginabili del destino di splendore personale e del mistero intimo di ogni essere. San Giovanni ce lo fa intravedere nel suo Apocalisse (2,17). Il sacramento della Cresima ce ne dà la caparra.

PERCHE’ IL MONDO SIA SALVATO

Il sacramento del perdono traccia un cammino spirituale: confessione dei nostri peccati, riconoscimento della misericordia di Dio ricevuta nel perdono sacramentale. Questa pratica cristiana, così personale, pone il peccatore ai piedi della Croce per ricevere ogni riconciliazione e pace. Ma non bisogna dimenticare che, nella parola che riconcilia l'uomo con se stesso, con i suoi fratelli e con Dio, agisce l'unico potere in grado di evitare che il nostro mondo sprofondi nella follia della violenza omicida e perciò suicida. Il Cristo ci ricorda che l'altro è un fratello da amare come se stessi. Questa particolare esperienza del perdono di Dio è quindi un linguaggio che reca con sé un messaggio universale. Lo stesso dicasi per il sacramento del matrimonio. In esso vengono toccati contemporaneamente due punti che nell'attuale momento della storia umana appaiono di estrema importanza: da un lato, il rapporto fra uomo e donna; dall'altro, i rapporti tra genitori e figli. La nostra umanità è malata perché questi due tipi di rapporto, su cui si fonda la storia umana, sono deturpati dall'incomprensione, dalle tenebre e dal peccato. Essa vive questa malattia con immensa disperazione, senza peraltro giungere a riconoscerlo apertamente. Cristiani, noi abbiamo il dovere di testimoniare la salvezza che Dio reca alla storia umana attraverso questo sacramento. La nostra esperienza cristiana deve essere la testimonianza che questi rapporti fondamentali, squassati dalla violenza, possono e debbono essere salvati. Non si tratta, come taluni ci rimproverano, di voler salvaguardare una certa forma ormai superata di istituzione familiare o di sistema educativo. Si tratta invece di accogliere la trasfigurazione che lo Spirito continuamente compie. La salvezza recata da Dio, infatti, fa di questi rapporti umani fondamentali il sacramento, il segno efficace dell'amore di Cristo per la Sua Chiesa. Anche in questo caso, il sacramento che investe e trasfigura quanto vi è di più intimo e "domestico" ai nostri occhi ci fa accadere a quanto vi è di più universale nella condizione umana. Quanto più le coppie cristiane sapranno, con la loro fedeltà, aprirsi alla ricchezza che il sacramento del matrimonio porta con sé, tanto più ad esse sarà dato di servire l'umanità intera, affinché essa viva. Con la grazia del sacramento degli ammalati, noi diventiamo i depositari di fronte al mondo del pegno della resurrezione per un'umanità alle prese con la certezza della morte. Insieme a San Paolo, che cita il profeta Isaia (25,8), raccogliamo questa sfida esclamando: "Morte, dov'è la tua vittoria?" (1 Corinzi 15, 55). L'unzione sacramentale ci dà la forza sovrumana, quando tutto sembra perduto, di resistere alla tentazione, che si ripresenta senza posa, del suicidio, dell'eutanasia, di una sedicente e cruenta eugenetica. Dobbiamo, ciascuno a modo proprio, accettare la vita, rispettarla fino al termine concesso da Dio e rientrare nella finitudine del nostro corpo come in un'ultima Via Crucis, la via della Pasqua eterna.

LA BUONA NOVELLA DEL SACRAMENTO DELL'ORDINE

Mi rimane da ricordare, in questa grammatica sacramentale del linguaggio di Dio, così come si esprime ai giorni nostri, il sacramento dell'Ordine. Si può semplicemente dire che esso è "la garanzia delle garanzie". Mediante la grazia dell'ordinazione, la Chiesa ha la certezza che il Cristo stesso è presente come Capo del Corpo che noi formiamo. Se la Chiesa stessa è un sacramento, se i sacramenti compitano la Buona Novella ed attuano ciò di cui sono segno, occorre che queste parole e questi gesti siano pronunciate e compiuti da qualcuno che dica "io" nel nome stesso di Cristo, e la cui efficacia non debba essere misurata soltanto in base alla purezza delle intenzioni. Dobbiamo accogliere come una grazia questo dono, che Dio ci fa, di ministri ordinati, in primo luogo dei successori degli Apostoli, dimostrarci ad esso solidali. E’ un dono che fa parte della Buona Novella, e ci comunica che essa è un fatto che non dipende da noi. Dobbiamo aiutare quelli che Dio, attraverso la Chiesa, chiama personalmente a questo ministero per vivere con fedeltà la loro particolare vocazione, ponendola al servizio di tutto il Popolo di Dio. Nei diversi registri azionati dalla linguistica sacramentale, si tratta ogni volta di combattere non contro un nemico esterno, ma contro il vero Avversario, che si cela nel cuore di ciascuno. E le armi per sostenere questo combattimento sono il mistero della Croce e la forza della Resurrezione. Noi siamo coloro che combattono, noi ci troviamo sul fronte. Il terzo millennio già si profila al nostro orizzonte. Si potrebbe quasi dire che l'umanità e il Vangelo escono dall'infanzia. Per 15 o 20 secoli (e anche più, se si tien conto della storia di Israele) questa Buona Novella è rimasta confinata, come in una culla, al bacino del Mediterraneo. Ed ecco che infine è giunta l'ora della comunicazione universale e dell'evangelizzazione totale. Abbiamo fatto il giro del mondo e abbiamo preso coscienza della sua unità. L'umanità entra in un'era magnifica, e proprio per questo decisiva e pericolosa. Più alta è l'ambizione, maggiori sono i rischi. Più belli sono i doni, maggiore è la tentazione. L'urgenza dell'amore di Cristo ci spinge ad annunciare la Buona Novella affinché Cristo possa apparire in tutta la Sua pienezza, nel Suo pieroma.