"Uomini per sport?"

Domenica 22, ore 18.30

Relatori:

Fabrizio Ambrassa,
Giocatore di Basket della Aeroporti Roma

Alfredo Paolo Carito,
Esperto Comunicazione Sportiva

Fausto Maifredi,
Presidente Federazione Italiana Pallacanestro

Alessandro Abbio,
Giocatore di Basket della Kinder Bologna

Alberto Bucci,
Allenatore Basket Fabriano

Ambrassa: Lo sport per me ha voluto dire tanto: io vengo da un paese piccolo, e dunque lo sport per me ha voluto dire grandi città, grandi platee; per questo è qualcosa che mi ha dato molto, che mi ha arricchito, che mi ha fatto fare moltissime esperienze. Per questo, non posso che ringraziare tutto quello che mi ha potuto dare lo sport, in cui entra anche il Mistero del titolo del Meeting; devo ringraziare anche i miei genitori, visto che io sono figlio unico e a quindici anni, quando ho avuto l’opportunità di andare a giocare in una grande società come Milano, mi hanno permesso di andar via di casa, rimanendo senza un figlio. Hanno affrontato così il Mistero, come l’ho affrontato io.

Per noi della serie A, come per qualsiasi altra persona, quello che conta è dare il massimo di se stesso: così uno riesce a capire quale può essere il suo limite esterno, quale può essere il suo limite mentale. È fortunato chi ha pochissimi di questi limiti. La grandezza dello sport è proprio il fatto di continuare sempre a mettersi in gioco: oggi vinci ma domani può sempre arrivare qualcuno che è più forte di te, e allora in quel momento devi capire che il fatto che tu abbia dato il massimo di te stesso ti ha comunque, indipendentemente dal risultato, fatto crescere. Nel nostro caso, essendo il nostro uno sport di squadra, il massimo che tu puoi dare di te stesso può valorizzare anche il lavoro che fanno gli altri che stanno di fianco a te. Questo è quello che la mia esperienza della pallacanestro mi insegna; penso che anche per la vita valga la stessa cosa.

Carito: Per me lo sport ha rappresentato e rappresenta un opportunità professionale, perché la mia formazione è una formazione classica da dirigente di azienda, e la passione per il mondo sportivo sin dalla giovane età ha significato un certo tipo di scelte professionali per entrare in questo settore. Oggi mi occupo di marketing e comunicazione sportiva in un settore di grossa evoluzione.

Oggi il legame tra le sponsorizzazioni e tutto quello che è il mercato intorno al movimento sportivo giocato è sempre più indissolubile; veniamo da anni in cui il rapporto era gestito in maniera mecenatistica, dove c’era una società sportiva che si basava sull’impegno personale dell’imprenditore o del presidente di turno seguito da una serie di amici della realtà locale in cui vi era l’attività sportiva. Adesso tranne che nelle serie minori o in discipline sportive cosiddette minori, i grandi sport, specie quelli di squadra, sono il frutto di vere e proprie strategie aziendali. Quindi il rapporto tra lo sponsor e il corpus sportivo è diventato un legame sempre più stretto. Questo legame sta portando ad una serie di valori del mercato: gli sponsor si legano sempre più ai giocatori, li usano come testimonial di campagne pubblicitarie, e in alcuni casi assistiamo a delle cifre dette e scritte in maniera superficiale, perché queste cifre non sono sempre soltanto frutto di contratti legati alle prestazioni sportive, bensì anche di contratti legati all’uso e allo sfruttamento dell’immagine del campione.

La sponsorizzazione porta con sé la spettacolarizzazione: gli sponsor hanno bisogno di guadagnare sempre più spazi, sempre più interni di visibilità, a cominciare dagli organi di informazione e dai mass media, non solo tramite la semplice attività sportiva del club che si sponsorizza. Si cerca di legare o di unire l’attività ad altri motivi, ad altre attività sociali: così, si vedono spesso giocatori che prestano l’immagine per associazioni non profit e per organismi umanitari, che si prodigano per attività anche di tipo non sportivo, perché questo crea degli spazi e crea visibilità alla squadra e di conseguenza agli sponsor che sono legati alla squadra anche su organi di stampa e su organi di informazione non prettamente di settore sportivo.

Questo legame, visto da una certa ottica, è anche pericoloso; inoltre, occorre chiedersi fino a quando reggerà. È una domanda che si pongono sempre tutti, e la risposta è semplice: reggerà fino a quando il mercato smetterà di spendere certe cifre per averle in ritorno pubblicitario. Le aziende infatti oggi sono in grado di misurare quanto vale una sponsorizzazione, quanto valgono gli investimenti pubblicitari, e il parametro è sempre quello dei costi dell’acquisizione di spazi pubblicitari sui mezzi canonici. Quindi fino a quando l’azienda, all’interno della propria struttura, sarà in grado di quantificare il ritorno della sponsorizzazione e vedrà che vale la pena sfruttare questo ritorno e l’effetto emotivo della sponsorizzazione sportiva, il sistema si manterrà.

Maifredi: Come dirigente sportivo, rappresento tutte le migliaia di volontari dello sport italiani. in Italia i dirigenti sportivi nascono nelle società, talora cominciano a seguire gli sportivi come allenatori o come arbitri. Nel mio caso, ho avuto un’esperienza a livello giovanile di allenatore, poi ho deciso di fare il dirigente: ho cercato di organizzare al meglio la società sportiva, poi ho scelto – ormai venti anni fa – di fare il dirigente sportivo, dapprima a livello periferico, successivamente a livello centrale. Ho raggiunto il massimo traguardo sia a livello dirigenziale, sia a livello sportivo: è stata per me una grande soddisfazione che dopo sedici anni l’Italia abbia conquistato il titolo europeo nella pallacanestro. I dirigenti sono come gli atleti, come loro iniziano in piccole realtà, passo dopo passo cercano di raggiungere il vertice.

Se non ci fossero tutte le migliaia di società sportive, non solo del nostro, ma di tutti gli sport, probabilmente lo sport il Italia non ci sarebbe. L’organizzazione a livello statale è infatti demandata alle società sportive e quindi di conseguenza al CONI, con tutti i limiti di una tale organizzazione. Sappiamo di essere in un periodo di transizione, sappiamo che però senza il nostro intervento, senza la nostra funzione, lo sport italiano non raggiungerebbe i traguardi che ha raggiunto finora.

Anche a me lo sport ha insegnato tanto; sicuramente si ripeterebbero delle frasi fatte se continuassimo a parlare soltanto della funzione educativa dello sport, però è un fatto che in un luogo come gli oratori anni fa siano nati molti campioni sportivi. Questo perché gli oratori erano gli unici luoghi di aggregazione, visto che nella scuola in Italia non c’è stata finora la possibilità di poter organizzare un’attività sportiva seria, anche solo un’attività che preparasse a delle scelte sportive specifiche. Il valore educativo dello sport, in uno sport di squadra come il nostro, ma lo stesso vale in uno sport individuale, sta anche nel cercare di raggiungere un risultato, nel migliorarsi – come è stato detto –, nel superarsi, nel porsi sempre un obiettivo. Bisogna sempre cercare di fare dei passi avanti, mai fermarsi, mai demoralizzarsi; ci sono le sconfitte, ma le sconfitte devono servire, ci sono anche i momenti tristi (un infortunio, ad esempio) per un giocatore, ma non bisogna mai rinunciare, bisogna cercare sempre di andare avanti per ottenere il meglio. Credo che questo sia un insegnamento che servirà a uno sportivo anche per il giorno in cui smetterà di fare lo sportivo: gli servirà sicuramente per affrontare la vita, la vita di tutti i giorni.

Abbio: Quando sono nato, probabilmente avevo un destino. Ho iniziato a fare qualsiasi cosa mi capitasse per la strada: giocare a calcio, correre… non riuscivo mai a stare fermo. Lo sport è stato sempre il mio ossigeno, quello che mi permetteva di vivere. Non riesco neanche tuttora, neppure quando finisce una stagione durata nove mesi, a stare una settimana rilassato senza far nulla: ho sempre bisogno di mettermi in movimento.

Dei miei anni come sportivo ho tantissimi ricordi eccezionali che non dimenticherò facilmente e che mi continueranno a stimolare per i prossimi anni. Uno stimolo ad andare avanti, che mi piacerebbe poter trasmettere, è la mia testardaggine: non mi accontento mai di quello che succede, anche se le cose sono andate bene e abbiamo vinto uno scudetto o, dopo tantissimi anni, il campionato europeo. Non sono mai contento: ieri sera, per esempio nella partita a San Marino, ho giocato abbastanza bene e mi hanno premiato, ma so che qualcosa non andava; ho sbagliato due tiri liberi alla fine, e mi sto chiedendo ancora adesso perché li ho sbagliati.

Lo sport è fondamentale, anche perché ti riempie i momenti vuoti della giornata, momenti nei quali uno invece potrebbe compiere delle stupidaggini o perdere tempo in maniera stupida. Se hai qualcosa a cui pensare, oltre naturalmente alla scuola, alla famiglia, questo ti riempie la giornata, dandoti anche qualche soddisfazione che non potevi immaginare prima.

Lo sport mi ha insegnato tantissime cose: a stare con gli altri, a essere puntuale, a riuscire a comunicare… in squadra non sempre si va d’accordo, specialmente quando non si vince, ed essendo noi una società nella quale vengono investiti molti soldi, è ovvio che si vuole arrivare sempre più in alto. Lo sport è anche una cosa misteriosa: perché ho iniziato non lo so, so che qualcosa mi ha fatto iniziare e che sono arrivato a un buonissimo punto. Spero di continuare così; quando smetterò di giocare – spero questo momento sia il più lontano possibile – sicuramente lo sport mi avrà dato moltissimo.

Bucci: Quando si pensa alla funzione educativa dello sport si pensa alla scuola, dove invece è assente quasi del tutto l’educazione sportiva per i giovani. I professori di educazione fisica hanno due ore di lezione a settimana, hanno le palestre ma non gli spogliatoi. Nessuno si batte perché la scuola formi dei ragazzi che facciano sport, dello sport in cui capiscano che non devono per forza battere gli altri. Lottare per battere se stessi è più importante: ognuno di noi ha dei limiti che deve superare senza mai mettersi in competizione con gli altri, e la vera educazione allo sport è questa. Ognuno di noi, senza competizione, si sentirebbe sempre sconfitto. I giochi della gioventù sono una delle cose più squallide che sia stata progettata, perché solo pochi andranno a competere, pochi che già durante l’anno vengono selezionati. Il bambino grasso che non viene selezionato, come anche il bambino piccolo, vengono così uccisi psicologicamente.

I genitori, non si rendono conto che lo sport favorisce un’apertura non solo fisica ma anche mentale, perché il ragazzo tramite lo sport impara ad accettare le prime sconfitte e le prime vittorie. In questo consiste la funzione educativa dello sport, in questo dobbiamo cercarla, e dobbiamo batterci per i nostri figli, o per i figli dei nostri figli, che avranno qualche vantaggio dalla nostra battaglia. Copiamo sempre dagli Stati Uniti, ma copiamo a metà: dobbiamo copiare lo sport dalle high schools, dove è fondamentale e insegna ai giovani a stare insieme.

Quando penso allo sport e a quello che mi dà, capisco che è qualcosa di molto importante: innanzitutto, fare sport significa fare un mestiere, non un lavoro. Perché chi fa dello sport gioca: si va a giocare a pallacanestro, si va a giocare a calcio, non si va a lavorare a pallacanestro, non si va a lavorare a calcio... questa è una bella fortuna. Si può continuare a giocare anche con serietà, perché così si imparano a fare le cose con il massimo dell’impegno, con la massima serietà. Lo spirito con cui fare sport deve essere molto diverso da quello che purtroppo si vede in giro: negli stadi la gente è contenta più della sconfitta degli avversari che della gioia per la propria squadra. Ciò vuol dire che certa gente non va a vedere un gioco ma delle rivincite, che non sono più un divertimento.