giovedì 30 agosto, ore 11.00

NELLA CARITA’ LA SOLIDARIETA’ DIVENTA OPERA. ESPERIENZE D’OPERE TRA CARCERE, DROGA, IMMIGRAZIONE

Testimonianze

Aldo Brandirali:

Io potrei parlarvi, e molti di voi l’hanno sentito tante volte, del mio lungo cammino personale, perché ho una certa età e ne ho fatte tante e anche di tutti i colori. Però questo non mi lascerebbe il tempo per approfondire bene le ragioni dell’opera, perciò dovete capire nell’essenziale il cammino che ho fatto come comunista, come rivoluzionario che aveva affrontato un’ipotesi di cambiamento del mondo in una lettura razionale, di capacità di possedere il mondo e di conoscerne le sue leggi e stabilire una risposta generale al dramma umano. Il fallimento di tutta quest’esperienza, ormai è chiaro che il comunismo è fallito, il fallimento dell’ipotesi e la continua evidenza che i tuoi progetti, le tue strutture razionali, le tue pretese di aver capito si scontrano continuamente con ciò che la realtà pone come suo nucleo più profondo, pongono il problema tutto umano di avere la capacità, la forza, la possibilità di ricominciare da capo. Quante volte mi hanno domandato: ma che cosa ti ha dato la forza per ripartire, per riandare? Ed ogni volta ho cominciato a raccontare con gli amici cristiani, che ormai da sette anni ho incontrato, tutta questa vicenda; e all’inizio a questa domanda rispondevo in chiave umanistica affermando che l’uomo ha qualcosa. La forza, se vuole, la può trovare dal desiderio di felicità, dal desiderio vitalistico di riprendere a vivere. Ma in realtà ciò che i miei amici mi hanno via via mostrato con l’essenza del loro modo di vivere, del loro essere carne e sangue, persone che testimoniano una ragione costitutiva fondamentale, ha dato un nome sempre più evidente a quello che ti dà la forza per ricominciare, a quello che è chiamato senso religioso e costituisce quel Cristo che c'è prima ancora che tu sappia che c'è, quell’origine che ti costituisce. Ora vedo le mie radici più profonde, (quel ragazzo di 15, 16 anni che appassionatamente cercava, che cosa voleva perché?) e ricompongo totalmente quest’esperienza, perché tutto è servito a, tutto faceva parte di. Allora questo è fin dall’inizio, non era né il comunismo, né la rivoluzione, né il progetto, né la razionalità, era una direzione dello sguardo, un desiderio appassionato, un bisogno di cercare ciò che non sai, ma sai che c’è. E’ questa direzione dello sguardo che ti fa parlare di mistero, cioè di qualcosa che non sai, di cui non sai nulla, ma la cui sola evidenza, il sapere che è misterioso, è già sufficiente per, darti tutta la forza di vivere, di camminare, di proseguire. E però la vita ti cambia e il cammino riprende e tu hai bisogno di sentire che le tue mani sono ritornate ad essere utili. Allora come immediata conseguenza, senza nessun ragionamento, l’incontro con i miei amici cristiani è diventato anche contemporaneamente il fatto che ho assunto a lavorare con me un carcerato, poi un altro, poi un altro e poi extracomunitari e poi ragazzi che uscivano dalle comunità terapeutiche ed alla fine questa mia impresa non ce la faceva più. Poi gli amici, hanno condiviso quest’esperienza ed è nato il centro di solidarietà San Martino e l’associazione "Incontro e Presenza" sul problema del carcere ed ancora oggi sono praticamente coinvolto in tutto quello che è simile, che assomiglia, che è interessante perché ci può aiutare ad incontrarci. Questo fiume, questo

torrente ha la sua origine in quel primo carcerato, per me ha la sua origine lì, e quindi non e un progetto di caritativa o non so cosa, è veramente e semplicemente partire da quello che accade e quest’accadimento è uno che ti guarda, che ha la potenza di coinvolgerti e del quale non puoi più fare a meno e con cui devi stare fino in fondo. Molte volte questo per me era un problema, come dire: ma allora davanti al fallimento dei grandi progetti, delle grandi utopie, tutta la mia vita si spende su uno? E’ solo questo piccolo fatto, è solo questo che oggi posso fare? Ed è come una sensazione di piccolo perché sconfitto, non so come dire. Ma allora stare a ciò che accade e a ciò che ti coinvolge concretamente, a quell’uno, a quella persona, e starci così profondamente da sentire che quella persona e quel dramma non è isolato dal resto ma è così potentemente carico d’implicazioni e di cose che investono tutto il pulsare e il vivere umano, è come se costituisse appunto questa forza che scorre, che travolge, che apre a tutta la dimensione dell’umano, che cambia non solamente la vita singola, ma che riverbera continuamente sulla capacità di essere sempre più amici, tanti amici che da questo "a fondo", da questa accettazione di provocazione più profonda trovano poi, in quella persona in quel dramma specifico, tutto ciò che ti costituiva fin dall’origine, come se quel volto rivelasse profondamente quello di Cristo. E allora non è affatto un ritirarsi dai problemi comuni, dai grandi sistemi, dai problemi della società e della politica, un ritirarsi nella dimensione dell’opera cristiana che fa da medicamento ad una tensione ad una bruttura della società e, diciamo, che mette la sua pezza. Non è un essere andati fuori di sé per far qualcosa, ma è proprio un gusto del vivere, una passione, un approfondimento di sé e dell’essere e non di un dover essere. Ed è il tuo volto che comincia a diventare luminoso perché ricomprende totalmente quello che dentro ti si muove, ti si agita. Ecco, questo coinvolgimento, questa carità che ci fa colui che abbiamo accolto e che ci restituisce la passione e il gusto del vivere, questo è infinito. E allora non è semplicemente il pannicello che tu metti ad una piaga sociale per un ordine più generale, ma è come se tu, a partire da questo bisogno umano, arrivassi ad attraversare tutta la realtà e a sentire che non solo cambia la tua vita ma è un cambiamento, una novità che si inserisce nella comunità umana, è la società che incomincia a cambiare nel suo essere via via composta da gruppi umani, da comunità d’uomini che da oggetti di una struttura sociologica sono diventati soggetti che sono carichi di capacità di risposta, di partecipazione al bisogno, carichi di una capacità di interrogare la struttura politica. E questa ricomposizione della società, questa novità che si genera nella vita comune degli uomini per me è la provocazione politica fondamentale: il riproporsi di una possibilità di ripristino della rappresentanza alla luce di un soggetto che opera e che è presente. Ho cominciato con la mia cooperativa d’elettricisti, poi siamo partiti con la San Martino e con "Incontro e Presenza". Nel centro San Martino, è un anno che è costituito, sono arrivati quasi 1000 extracomunitari di 40 paesi del mondo con una pressione spaventosa, terribile, perché i nostri 50 volontari che a turni accolgono, incontrano, si trovano continuamente di fronte alla propria impotenza. Com’è possibile risolvere ogni giorno i problemi di 50-60 persone che praticamente chiedono tutto? In realtà lì tu proprio ti misuri, impari a dire di no e impari ad evidenziare il tuo limite, il limite umano, a non generare illusioni, tanto che noi l’abbiamo chiamata l’opera del no. Ma noi abbiamo voluto occuparci di questo, d’emarginazione e l’emarginazione si presenta proprio come la piaga fondamentale della vita moderna, perché essa colpisce pressoché ovunque. I processi di cambiamento e di ristrutturazione, l’incapacità di star di fronte ad una comunità realmente aperta all’umano, continuano a gettare rabbiosamente, voracemente nella disperazione nuovi nuclei. E allora l’emarginazione è proprio il continuo prodotto di questa modernità che genera gli uomini senza un nome e che sono individualmente nella vita senza una relazione, senza una trama. Ecco allora che il bisogno fondamentale di questa condizione umana è il ritrovare gli amici. Tutto si ripresenta sotto questa chiave, perché tutto è carico di bisogno: la casa, il lavoro, la malattia, la scuola, tutto; ma questo tutto che viene richiesto è nello stesso tempo carico proprio della richiesta di poter ritornare nella comunità, essere nella trama d’amici, di gente che condivide un aiuto, si passa la voce e si aiuta a trovare gli spazi nella società. Quello che vi voglio dire come ultima cosa è che con i miei amici della San Martino, che hanno vissuto con me dentro questo no difficile da dire ogni giorno, è fiorita, è sbocciata una compagnia di persone amiche che fanno quest’opera, che sentono proprio di condividere l'un con l'altro un cammino e un destino per la vita, di dipendere l'un l’altro in tutto lo sguardo verso il domani. Di fronte al fiorire d’uomini e di compagnia non so se i 100 posti di lavoro trovati sono più rispetto al fatto di questi 30-40 amici che hanno ricevuto la carità dal bisogno a cui sono stati di fronte, hanno ricevuto la carità di diventare una compagnia nuova e una vita appassionante per chi la sta facendo. Grazie. Do adesso la parola alla mia amica Mirella Bocchini.

Mirella Bocchini:

La mia storia dentro al movimento comincia 30 anni fa al Liceo Berchet. Nel 1985 mi era stato chiesto di lavorare un po' in politica ed ero stata eletta nel consiglio comunale di Milano. E devo dire che dopo pochi mesi avvertivo già una sottile disperazione oltre che noia. Poi un giorno una commissione di cui facevo parte è andata a fare un giro nel carcere di San Vittore, perché per fortuna aveva questo compito. In questo luogo nei volti dei detenuti comuni, migliaia così spaventosamente assetati di tutto, ho colto una domanda: ma sei venuto proprio per me? Non ci credo, perché mi hanno già preso in giro tante volte, perché sono già venute mille commissioni, perché mille volte sono passati tanti a guardarci come bestie dello zoo, però in fondo desidero ancora, se fosse possibile che... Quell’inizio è l’inizio vero, è quello che ha costruito tutto. Dunque per combinazione c’erano tutti i terroristi d’Italia, o quasi, tranne quelli da Roma in giù. Un piano di San Vittore era occupato da tutta la "Walter Alasia" che era li, diciamo stabile, a scontare la pena e su un altro piano, c’era tutta la Prima Linea, credo quasi tutta, per una processione di quelli che facevano a Milano in quegli anni. Mi aspettavo magari della dialettica, mi aspettavo qualcuno che stesse più al dialogo o qualcuno che non ci stesse affatto; erano gli anni della grande dissociazione, del faticoso, tormentoso ma affascinante processo della dissociazione. Lì però c'era l'impressione di qualcuno con cui dialefizzarsi, c’era la percezione fortissima di un nascere, di un germinare di qualcosa che stava nascendo. 16 lì che ho avvertito questa violenta presenza di Cristo vicino a me. Ho fatto un giro di telefonate, ho chiamato Alberto Garocchio, che è stato deputato e che si è occupato di carcere, Aldo e alcuni dei miei più cari amici del Movimento e ho detto: io credo che stia per accadere qualcosa. Tre giorni dopo, tre ex terroristi di Prima Linea che erano fuori, mi hanno telefonato, da notare che la commissione era composta da tutti i partiti, quelli di sinistra, DP, verdi ecc. Dopo questa telefonata ci siamo incontrati, è iniziato un cammino insieme, pochi mesi dopo è nata un’associazione che appunto si chiama "Incontro e Presenza" che dura da cinque anni. Dopo tre anni circa abbiamo scoperto che, in modo totalmente autonomo ed indipendente da noi, altri amici di CL del nord Italia, sempre con questo caso rovesciato, che non è caso, ma è la trama sottile, bizzarra ed estrosa del mistero, frequentavano il carcere per varie ragioni. Naturalmente li abbiamo contattati e adesso cerchiamo di vivere questa avventura insieme. Quindi la prima cosa che volevo dirvi è semplicemente questa: è stato veramente un disegno misterioso che ci ha posto di fronte a questi uomini e proprio gli uni agli altri. Come ha già detto Aldo, questi incontri toccano il punto più profondo, la ferita più profonda del proprio cuore, perché mettono a nudo il nostro bisogno, il nostro desiderio d’essere e quindi ci obbligano ad una verità di noi stessi ben più radicale e quindi sono loro a farci la carità. Oltre a questo, volevo dirvi che quel mondo, quell'istituzione è rigida, separata, disumanizzante, brutale ed è il prodotto di una cultura nelle cui strutture di pensiero da secoli sono assenti, non negate o combattute ma assenti, le ipotesi dell'uomo che ritorna al proprio essere autentico e naturalmente anche la misericordia. Certo ci sono leggi che migliorano, che aprono spazi, grazie a Dio, ma in sé l'istituzione è questa cosa. Per fortuna alcuni piccoli cambiamenti sono stati fatti, altri ci sarebbero da fare, abbiamo anche fatto un documento con Aldo. Il punto è che noi non siamo d'accordo sul fatto che i detenuti politici o comuni passino ed escano da questo luogo tutti uguali, tutti fatti con lo stampino, tutti omologati e normalizzati. Invece noi, come dice Aldo, facciamo compagnia all'uomo e lui fa compagnia a noi, e vogliamo essere uomini, pienamente uomini, talenti e limiti, perdonandoci i tradimenti reciproci. Allora noi viviamo questa avventura umana con loro per quella tensione all'infinito che è identica precisa in quello che sta dentro e in quello che sta fuori.

 

 

Aldo Brandirali:

Ora parlerà Don Carlo che ha messo in piedi la casa per i nostri extracomunitari di Tolmezzo.

Carlo Gaviraghe

Il punto di partenza è una sproporzione enorme o vertigine se volete. Vivo in un paesino piccolo piccolo e di solito si dice che ogni paese ha il prete che si merita, però con una coscienza che quel che ti è chiesto, interpella la tua persona e la tua responsabilità. E allora dentro questo stupore della sproporzione, invece di provare spavento provo stupore perché non riesco ancora a capire adesso perché sono al mondo. So perché sono al mondo, per un amore grande, ma non riesco a capire perché questo amore sia arrivato a me, non riesco a capire perché mi ha chiamato ad essere prete, da 25 anni, perché nella mia strada capitano così tante cose. Il fatto di Cristo l’ho visto incarnato dentro l’accoglienza meravigliosa della mia famiglia e della comunità d’origine. L’accoglienza che ho sperimentato già dal primo istante del mio concepimento, nella mia famiglia, sono l'ultimo di nove fratelli, è diventata coscienza per tutta la mia vita; per cui la sproporzione diventa stupore e meraviglia proprio perché questa differenza è sostenuta da Uno più grande di noi. Il secondo punto è una compagnia che ha un cuore grande, il movimento, che è la comunità che ho incontrato nei vari spostamenti diocesani. Ha un cuore grande e un’intelligenza, per cui una capacità di vedere e di aprirsi al reale con la misura giusta, che vuol dire la totalità dell'offerta senza l'incoscienza che di solito mi caratterizza. Quando dico che io sono al mondo in quanto accolto, allora diventa necessario esprimere la fede in un gesto d’accoglienza, perché altrimenti sono uno sfruttatore. Quando ho capito questa cosa e l’ho detta in diaconia, il bisogno è diventato l’occasione per far diventare struttura la fede. Questo è stato l'inizio della casa d’accoglienza che tutti chiamano d’extra-comunitari, ma nella logica della fede non lo sono, sono dentro la comunità. L’ultima cosa che volevo dire è che siccome questa passione o coscienza, questa fede, è dappertutto, è necessario che diventi struttura dovunque. Grazie.

A. Brandirali:

La parola adesso ad un amico somalo: Osman Aboul Gadir.

Osman Aboul Gadir:

Sono molto contento di essere qui soprattutto perché mi è data la possibilità di parlare nonostante sia straniero. La mia storia nell’Associazione S. Martino è la storia del mio diventare sempre più protagonista della mia vita. Non ho da raccontare un’esperienza di sfruttamento o di discriminazione, a differenza di molti miei connazionali o di altri stranieri. Da quando sono arrivato in Italia, 16 anni fa, nessuno ha negato la mia dignità personale, che del resto ho conquistata con il mio studio e il mio lavoro. Però finora non avevo mai avuto occasione di attivare delle potenzialità che sentivo in me. Ora grazie all’amicizia con alcuni somali ed alcuni italiani fondatori della S. Martino, sono riuscito a fondare una cooperativa di servizi, "L’acquarello" di cui sono presidente. Nell’esperienza d’accoglienza di altri somali che vivono a Milano ho modo di sapere finalmente se queste potenzialità, che ho sempre creduto di possedere, sono reali o no. In definitiva in questa attività conosco meglio me stesso. Sembra strano, ma ciò di cui hanno bisogno gli immigrati è proprio questo: l’incontro con qualcuno che li sappia valorizzare e sia disposto a condividere il cammino. Spesso ci troviamo di fronte a studenti universitari o diplomati, persone che rimanendo a casa magari non avrebbero problemi di sopravvivenza, ma certo non potrebbero sviluppare le proprie potenzialità e realizzare sé stessi, come è successo agli immigrati italiani. L’immigrato è per l’Italia una persona che arriva già parzialmente istruita, per cui lo Stato non deve spendere nulla a livello pedagogico, spesso l’immigrato non resta in Italia durante la sua vecchiaia e perciò non può godere della pensione che ha pagato in contributi durante la vita passata in Italia. Soprattutto l’immigrato fa dei lavori sempre più rifiutati dai lavoratori italiani. Il problema è quello di offrire sbocchi in senso democratico, in senso del diritto dei popoli, dei diritti umani. In questo terreno di democrazia, di legge, va riconosciuta e valorizzata la dignità della persona in un momento in cui prendono sempre più piede egoismi e atteggiamenti che, non riconoscendo l’esperienza umana dello straniero, puntano più al suo sfruttamento. Agli stranieri devono essere concessi gli stessi strumenti, normativi e giuridici, al fine di un raggiungimento effettivo di pari dignità rispetto agli italiani, come è indispensabile che abbiano pari opportunità, perché solo in questo modo si riuscirà a costruire una società multiculturale dove ognuno si senta parte integrante, attore e promotore dello sviluppo sociale e democratico al cui centro ci sia sempre l’uomo. Questo è ciò che volevo dirvi.

A. Brandirali:

In questi giorni, parlando più profondamente con Gelmini, siamo andati anche a fare una visita a S. Patrignano e ci colpiva l’evidenza di questo immenso potenziale umano, che nell’emarginazione non si esprime, ma quando ritorna nella possibilità di essere soggetto esprime una potenza ed un’energia infinita. Non so se Sante Maletta, che è il cuore della S. Martino, sia d’accordo.

Sante Maletta:

Noi abbiamo iniziato a lavorare applicando sin dall’inizio il metodo dei centri di solidarietà, che facevano accoglienza e trovavano lavoro agli italiani. Non essendo però nessuno specialista del problema di extra-comunitari, ci siamo fatti dettare le condizioni del nostro lavoro dall’esperienza fattuale dell’accoglienza. A livello di metodo, ci siamo accorti che quello attuato dai centri di solidarietà andava bene, puntando sul rapporto personale, però c’erano differenze, avendo a che fare con stranieri. Gli stranieri non hanno in genere la possibilità di aspettare lo sviluppo di un rapporto, si tratta di persone con difficoltà enormi di stabilità, di abitazione, e magari cambiano facilmente luogo, sperando che in altri posti ci siano migliori possibilità. Altra differenza è che spesso gli stranieri, soprattutto quelli che provengono dal mondo arabo, non hanno l’educazione alla gratuità dei rapporto, e noi dobbiamo lottare contro il pregiudizio che siamo dei patronati statali, spesso non credono che operiamo come volontari senza guadagnare nulla. Altro atteggiamento molto frequente è la passività, effetto dell’assistenzialismo. Di fronte a queste cose, abbiamo cercato di valorizzare la positività con le persone che mostravano un senso maggiore di dignità personale, di voglia di fare. Per cui piano piano abbiamo differenziato il nostro metodo in vari livelli. C’è un primo livello che è quello della presentazione del centro, per cui raccontiamo chi siamo, e prima di tutto diciamo che non siamo dello Stato, che non li vogliamo controllare. Evidenziamo i nostri limiti e diciamo di non aspettarsi troppo da noi che siamo solo dei volontari, però puntiamo sull’offerta di un rapporto. Un secondo livello è quello della scheda in cui raggruppiamo una serie di dati che ci interessano. Poi iniziamo una serie d’appuntamenti in cui cerchiamo di fare sviluppare il rapporto di conoscenza personale. Poi gli altri livelli più elevati sono il rapporto d’amicizia, della collaborazione al centro. In tutti questi passaggi c’è una perdita, un dimezzamento continuo. Dal primo colloquio agli appuntamenti successivi, si perde ogni volta il 50% delle persone. I rapporti d'amicizia stabili sono un centesimo. Anche la collaborazione, cioè le persone che collaborano con il nostro centro, si attesta circa sulla stessa cifra. Nel fare questo abbiamo sentito l’esigenza di altre attività collaterali a quella propria dell’accoglienza. Prima di tutto la ricerca del lavoro, con contatti di Associazioni di imprenditori, con i Centri di solidarietà, la Compagnia delle Opere, attraverso rapporti personali, attraverso il rapporto con il comune e le istituzioni. Poi sono nati all'interno della San Martino alcuni gratis per tutti gli stranieri, un servizio di consulenza legale e un servizio di corsi di lingua, che è il primo problema che si pone. Non vorrei però darvi l’idea che queste cose siano state fatte sulla base di un progetto, questi servizi sono stati attivati quasi in maniera casuale. Piano piano, in maniera stupefacente ci siamo ingranditi, eravamo all'inizio in una stanzetta dei Centri di solidarietà, in Via Ricotti a Milano, e adesso abbiamo tutto il piano. Anche la casa d’accoglienza è stata una cosa del tutto gratuita. Questo è una conferma di ciò che diceva Aldo prima, cioè che tutto ciò che abbiamo fatto è stato possibile perché c'è una trama sociale sotto, una trama d’amicizia, gente che si è offerta a collaborare senza che noi l'avessimo previsto. Grazie.

A. Brandirali:

Adesso Giuseppe da Brescia con la sua comunità nuova.

Giuseppe Bertazzoli:

Siamo una cooperativa di solidarietà nata dalla sollecitazione della Caritas Diocesana in risposta al bisogno di lavoro dei carcerati nella nostra provincia. Siamo nati dal desiderio che avevamo al tempo della scuola, di costruire qualcosa che fosse veramente la realizzazione della nostra vita e nello stesso tempo aiuto a un bisogno concreto. Mai c’eravamo immaginati di metterci a lavorare per il carcere e per i carcerati, tanto più con tutti i preconcetti che avevamo e che sicuramente la maggior parte di noi ha oggi. L’impatto è stato molto difficile e problematico anche per noi, soprattutto perché eravamo giovani e stavamo rischiando tutto, la nostra famiglia, i nostri figli, e i nostri amici. Comunque siamo partiti incominciando ad accogliere persone che potevano usufruire delle forme alternative alla detenzione, come semi-libertà, affidamento sociale, ecc. e l’esperienza è al quinto anno di attività. Noi coltiviamo ortaggi e facciamo manutenzione di aree verdi, a Brescia e in tutta la provincia. Abbiamo uno spazio in cui vendiamo i nostri prodotti e insieme a noi, che ormai siamo sei, lavorano sempre cinque o sei detenuti. L’esperienza sicuramente sta dando i suoi frutti e per noi è una cosa grandissima, soprattutto per il fatto che sta coinvolgendo tutta la comunità, tanto è vero che tanti nostri amici vengono gratuitamente ad aiutarci a raccogliere gli ortaggi, magari anche alla domenica. Addirittura alcuni, insieme alle nostre famiglie, hanno ospitato dei carcerati durante i permessi o durante periodi di affidamento sociale e questa è un’esperienza davvero grande soprattutto perché cambia il rapporto tra me e mia moglie, tra me e i miei figli, perché mi costringe ad essere sempre più vero. Il desiderio che abbiamo è di vivere con le persone che facciamo uscire dal carcere, di condividere con loro un’amicizia e una vita vera. Così l’altra cosa è che l’esperienza di questi anni ci sta facendo fare delle scelte, ci sta portando ad andare fino in fondo all’esperienza di questo bisogno e proprio in questi ultimi giorni, abbiamo avuto la risposta positiva di una società che ci regalerà 700 milioni per ristrutturare la cascina dove già abitiamo per portare fino in fondo il progetto di accoglienza ai detenuti in affidamento sociale, che vivranno e lavoreranno insieme a noi. R un progetto grande e noi speriamo, anzi siamo certi, di poterlo realizzare con tutta l’amicizia e l’aiuto concreto che la Compagnia delle Opere ci sta dando. Anche perché il miracolo del cambiamento è possibile e avviene ogni giorno e i nostri amici ce lo fanno vedere ogni giorno. Questa è una cosa che darà frutti ancora più grandi perché viviamo dentro una compagnia grande.

A. Brandirali:

Piccoli spazi di tempo per mostrare qualcosa, ma si potrebbe proseguire e potrebbe non finire mai. Saluto il Dott. Marino Corona presente con noi, perché avendo la piena consapevolezza, abbiamo un'attenzione, possiamo confermare ancora con più forza ciò che abbiamo visto e che si chiama comunemente orrendo connubio tra fede e affari. Questi sono comunemente i nostri affari, sono gli affari che stiamo facendo nella città anonima della civiltà moderna e il corpo di Cristo compone un popolo per cui si può ancora parlare di popolo italiano.