Il non profit nell’ente locale: politiche di bilancio e modelli innovativi nei servizi rivolti alla persona

In collaborazione con la rivista "Non profit" (Maggioli Editore)

 

 

Mercoledì 26, ore 11.30

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Relatori:

Giorgio Lisi, Consigliere Regione Emilia-Romagna

Mario Ferri, Assessore al Bilancio, Programmazione e Innovazione Gestionale del Comune di Rimini

Piero Banna, Assessore al Personale, Politiche Giovanili e Decentramento del Comune di Catania

Tom Benetollo, Presidente ARCI

 

Lisi: Recentemente, nel nostro paese c’è stata una evoluzione del dibattito complessivo - sia a livello di mass media che di opinione pubblica - nei confronti del non profit, e quindi più in generale nei confronti del principio della sussidiarietà. Difficilmente si troverebbe qualcuno che sia contrario, in linea teorica, all’affermazione di questo principio: discutere però di come dai principi si debba passare ai fatti è estremamente significativo, perché consente anche di verificare se ci si capisce quando si parla di principi e soprattutto se le volontà dichiarate sono volontà reali che si tradurranno in fatti concreti. Gli enti locali avranno nei prossimi mesi delle opportunità rispetto alle quali verificare se si può finalmente passare della stagione di dichiarazione di principi alla stagione della operatività. Ci sono in particolare due opportunità a noi vicine per contingenza politica.

La prima è quella parte del decreto 460 - il famoso decreto di riordino del trattamento fiscale delle ONLUS - che norma una nuova situazione contributiva e fiscale per le imprese non profit nel loro rapporto con lo Stato. Una parte di questo decreto, l’articolo 21, attribuisce agli enti locali - regioni, comuni, provincie - la facoltà di esenzione parziale o totale dai tributi di propria competenza per il soggetto ONLUS. Il fatto che comuni, provincie e regioni comincino ad applicare questo articolo 21 è importante, perché consentirebbe di far crescere nella cultura e nella prassi amministrativa una consapevolezza, che oggi non c’è, di quanto sia eccezionale il contributo che il sistema del non profit può fornire a questo tema della risposta ai bisogni sociali, soprattutto in riferimento ai servizi alla persona.

La seconda opportunità è il cosiddetto recepimento del "pacchetto Bassanini", il poderoso trasferimento di competenze dallo Stato alle periferie, quindi a regioni, provincie e comuni, che con la legge 59 e con i decreti attuativi - soprattutto il decreto 112 del 31 marzo di quest’anno - trasferisce alle regioni, con livelli diversi di autonomia, numerose competenze, e dà alle regioni sei mesi di tempo, per ridistribuire, secondo il principio del federalismo, o sussidiarietà verticale, le medesime competenze ai comuni ed alle provincie. Dal punto di vista qualitativo, è un processo a Costituzione invariata, in cui viene attuato del semplice decentramento: non c’è la responsabilizzazione dei soggetti a cui vengono affidate le competenze, c’è molto di nominale, perché vengono attribuite delle competenze ma non ci sono trasferimenti di risorse, e c’è anche molto di contraddittorio perché in alcuni settori rimane una impostazione centralista, come ad esempio nel settore dei beni culturali e dello spettacolo. Pur nella contraddittorietà, l’elemento interessante del processo è rappresentato dal fatto che per la prima volta le regioni italiane hanno la possibilità di esercitare una propria opzione politica, di fare vedere una scelta e di dimostrare così una maggiore o minore sintonia con il principio di sussidiarietà, una maggiore o minore volontà di valorizzare l’esperienza del non profit.

Ferri: In questo momento di particolare difficoltà, l’ente locale ha una grande occasione, perché si impone una modifica radicale nei modelli gestionali. Oggi all’ente locale si richiede la costruzione di infrastrutture, la copertura di servizi sociali per le nuove emergenze e - è il punto più difficile - l’intervento sulla spesa. Anche a livello nazionale, per raggiungere i famosi parametri di Maastricht si è intervenuto sulle entrate tributarie: certo si sono anche ridotti gli investimenti, ma interventi strutturali sulla spesa non sono stati operati. Ecco perché oggi esiste una grande occasione, l’occasione di rivedere quei modelli gestionali che sono sorti negli anni Settanta allorché il comune poteva impostare bilanci a deficit, con mutui ripianabili a carico dello Stato. Ovviamente, non è stato fatto altro, con i mutui ripianati e con l’indebitamento, che trasferire il costo dalla generazione passata alla nostra generazione. Ci troviamo così di fronte ad un debito pubblico che supera abbondantemente i 2 milioni di miliardi. Quindi, bisogna fare interventi sulla spesa.

L’introduzione e il riconoscimento legislativo delle imprese non profit rappresenta un’occasione in questo senso. Il primo passo che stiamo impostando è la contabilità analitica per centri di costo: tale contabilità ha infatti una valenza politica, perché bisogna conoscere il costo dei servizi - in particolare quelli rivolti alla persona - e in quale modo tale costo viene ripartito e imputato alla collettività tramite il bilancio. Oggi invece non conosciamo neppure in modo certo il costo delle singole prestazioni che l’ente pubblico svolge rivolte alla persona. La conoscenza della contabilità analitica rimedierebbe alla situazione attuale, nella quale si tendono a considerare costi sociali quei costi che comunque debbono essere supportati dalla collettività, senza guardare se questo costo viene ripianato, in quale modo e in quale percentuale dall’utenza. In particolare l’ente locale svolge questi servizi in condizioni di monopolio: non esiste non concorrenza, e allorché non esiste concorrenza e si svolge il servizio in condizioni di monopolio, che il monopolio sia svolto da un soggetto pubblico o da un soggetto privato non fa differenza.

Recentemente sono state riconosciute le imprese non profit a livello istituzionale. L’impresa non profit rappresenta uno dei più classici esempi di sussidiarietà di livello sociale; l’ente locale rappresenta un concreto esempio di sussidiarietà intesa in senso istituzionale e territoriale. Quindi, queste due forme di sussidiarietà si possono incontrare. È vero che il legislatore riconoscendo istituzionalmente le imprese non profit ne ha fatto un uso soprattutto di carattere tributario: lo Stato non potendo intervenire sulla patrimonializzazione delle imprese non profit ha usato la leva fiscale concedendo agevolazioni di carattere tributario per imposte statali, regionali e comunali. Ma bisogna andare oltre, perché nella fine del monopolio dei servizi erogati alla persona da parte dell’ente locale, l’impresa non profit rappresenti la controparte naturale. L’impresa non profit rappresenta l’evoluzione, avvenuta nel tempo, delle iniziative di volontariato: è una ricchezza storica, ma ormai l’ente locale ha bisogno di rapportarsi con un’impresa, con una organizzazione permanente di tipo imprenditoriale che coordini risorse umane e beni materiali.

L’ente locale ha una struttura rigida, non flessibile, gestita in condizioni di monopolio. Mancano le condizioni per l’efficienza. L’efficienza può essere data dalla concorrenza: per questo occorre che l’ente locale in modo progressivo, graduale, senza rivoluzioni, tenda a gestire in misura minore i servizi pubblici, affinché si realizzi l’avvento dell’impresa non profit in modo da poter assicurare libertà di scelta all’utente o alla famiglia utente. Se si vuole migliorare l’efficienza del sistema pubblico, si devono introdurre elementi di competitività. Per questo l’ente locale oggi ha una grande occasione; essendo una struttura rigida, con un numero di dipendenti che ovviamente non si possono eliminare, occorre programmare una politica nel medio periodo, valutando anche l’opportunità delle assunzioni del personale. Occorre identificare quei settori nei quali le imprese non profit sono più praticabili rispetto ad altre, e adottare politiche consequenziali nell’ambito dell’ente locale. L’ente locale ovviamente si dovrà dotare anche di strutture di controllo, oggi pressoché inesistenti: ci deve essere quindi da una parte il ritiro dell’ente locale gestore, dall’altra l’ente locale deve predisporre elementi di controllo.

Banna: Catania è una città come tante altre, piena di contraddizioni: se in un quartiere del centro la richiesta più pressante dei cittadini è di non fare andare in giro tre cani randagi che sporcano la piazza, invece in uno dei quartieri periferici, san Giovanni Galerno, un enorme casermone dove sono ospitate circa 400 famiglie, il 60% delle quali fatte di persone agli arresti domiciliari, molti non hanno i soldi per pagare la luce o il gas.

Ho conosciuto proprio in questo quartiere le "suore squatter", delle suore che hanno occupato abusivamente delle botteghe disabitate e in stato di abbandono e di deterioramento. Le hanno ripulite, hanno messo la porta, hanno pulito i gabinetti ed hanno iniziato un laboratorio di taglio e cucito per le ragazze e le donne del quartiere. Le suore avrebbero dovuto essere arrestate, o comunque subire vicende giudiziarie. Fortunatamente, la disponibilità e l’intelligenza del sindaco - dimostratosi così capace di sussidiarietà orizzontale in atto - hanno permesso di prendere contatto con l’istituto case popolari; le botteghe dove c’è in atto una occupazione abusiva sono state prese in affitto dal comune e date alle suore. La mia città non scoppia grazie a esperienze come questa, a "presidi di solidarietà" che sono presenti a dare quelle risposte che le istituzioni non solo non sono in grado di dare, ma non devono: il comune non può più essere ente erogatore, deve passare ad essere un ente che favorisce lo sviluppo. Se invece io guardo il rapporto del comune di Catania con le istituzioni non profit, è quasi sempre o di volontariato gratuito e quindi di benevola concessione a fare, oppure di convenzione, spesso fatta con gare al maggior ribasso, così come impone la normativa regionale. Ma ci sarebbero altre due modalità da sperimentare e con cui ci dobbiamo cimentare, quella della concessione - che è l’esperienza nel settore delle municipalizzate - e quella del voucher - il cittadino non deve solo pagare le tasse, ma deve poter scegliere il tipo di servizio e il tipo di risposta al suo bisogno.

Vorrei citare due esempi di una possibile nuova fase nei rapporti tra istituzioni e settore non profit.

Il primo è rappresentato dall’incubatore sociale, che il comune di Catania ha avviato dal mese di ottobre del 1997. È stato realizzato, presso l’assessorato alla dignità, un servizio di "incubazione", rivolto a cooperative sociali già esistenti, che vivono la difficile fase dello start-up, sia sotto l’aspetto del management che della gestione delle risorse umane, nonché a gruppi di potenziali imprenditori desiderosi di costituire le proprie cooperative sociali. Il servizio è costituito da un pacchetto organico di interventi che vanno dall’aiuto alla redazione del proprio piano d’impresa alla consulenza amministrativa e del lavoro; dall’assistenza finalizzata all’acquisizione di strategie di intervento che garantiscano la qualità del servizio prodotto e la corretta gestione delle risorse umane alla consulenza burocratico-amministrativa. L’incubatore sociale realizzato non è un semplice sportello informativo e consulenziale, ma piuttosto un agente di sviluppo e di promozione sociale che si pone come nodo di una rete d’attori sociali tutti egualmente impegnati, sia pure con modalità diverse, nella promozione della persona umana.

Il secondo è il Protocollo di intesa, sottoscritto il 16 gennaio 1998 da quasi venti enti non profit operanti nella città di Catania, "Laboratorio terzo settore - patto territoriale per l’occupazione Catania Sud", che può costituire, da un punto di vista culturale e operativo, un punto di partenza per costruire un percorso secondo le coordinate di novità dell’ente locale. Fra i soggetti sottoscrittori come azioni di accompagnamento si è convenuto: la pianificazione di un progetto qualità che possa comprendere la definizione degli indicatori, il grado di coerenza con le finalità sociali delle imprese non profit e il confronto con le imprese profit; l’individuazione e la costituzione di un organismo per la certificazione della qualità; l’istituzione di un corso per il diploma universitario in economia e gestione delle imprese cooperative e delle organizzazioni non profit; l’implementazione di un "incubatore" di imprese non profit per il sostegno dalle nuove iniziative; l’incardinamento di un centro servizi per l’assistenza alla progettazione di piani di intervento finalizzati a nuovi modelli di integrazione sociale e lavorativa; l’attivazione di un infopoint RISE (Rete per la Informazione Sociale Europea), per l’instaurazione di un circuito di informazione e documentazione sull’Unione Europea, sul suo processo di integrazione e coesione, sulle politiche e sui programmi che essa conduce per gli scopi sociali, il benessere e lo sviluppo equilibrato; l’istituzione di un osservatorio permanente del non profit, per promuovere ricerche, iniziative sui bisogno emergenti e non soddisfatti, per analizzare e stabilire strategie di interventi e nuovi modelli di sostegno nel settore dei servizi sociali, nella guida, nella gestione del moderno Stato sociale.

Benetollo: Le associazioni e i movimenti civici si presentano alla sfida di questi anni in una condizione profondamente diversa da quella degli anni passati; ci sono infatti stati degli stacchi fortissimi, uno dei quali è la costituzione del Forum del terzo settore. Come Forum, abbiamo aperto una interlocuzione nuova con il governo, sulla base della presentazione di un programma tra 70 associazioni e movimenti molto diversi. Dentro questa ampia piattaforma è scaturita l’iniziativa vostra a favore di una spinta di carattere popolare, di cittadinanza attiva per quanto riguarda il tema della sussidiarietà: noi l’abbiamo sostenuta, l’abbiamo firmata e stiamo facendo la nostra parte di pressione verso i partiti della sinistra.

Sappiamo tutti quali sono le modifiche strutturali e i colpi che ha preso il vecchio Stato sociale: noi oggi siamo a un bivio, se puntare a buttare a mare lo Stato sociale - questo sarebbe il suo destino naturale - oppure se puntare a creare, con un’altra forma, con un altro esercizio di intelligenza, coesione sociale, coniugando innovazione e solidarietà.

C’è bisogno in primo luogo di una riforma dello Stato e del rapporto che hanno gli apparati statali, nelle loro varie articolazioni, con i cittadini. C’è bisogno di riqualificare la spesa, ma soprattutto c’è bisogno di non fermarsi alle colonne d’Ercole che conosciamo; quello di cui c’è bisogno lo dicono i cittadini, e dobbiamo farlo emergere ancora di più, perché c’è una domanda sociale che non è espressa e che non riesce ad esprimersi. Invece dobbiamo riuscire a farla esprimere, perché sono i soggetti più deboli che molte volte non sono in grado di porre le questioni. Occorre uno sforzo di radicamento nella realtà reale, non solo in quella virtuale, per dare protagonismo ai cittadini e costruire un tessuto di responsabilità e di attività.

La sussidiarietà ha una motivazione morale e ideale se è tesa alla costruzione di quello che chiamo "il bene comune", di una comunità innanzitutto. Il Forum del terzo settore ha un senso se si radica sul territorio; questo mi sembra il punto forte di una idea di sussidiarietà, fare emergere la realtà, dare risposte il più possibile concrete, in un rapporto leale e trasparente con gli enti locali. Credo ci debba essere anche da parte degli enti locali meno opportunismo, e più disponibilità a lavorare sul tema dello standard di qualità.

In secondo luogo, occorre trovare un modo di regolamentare i rapporti tra gli enti locali e le forme associative varie. Questo significa lavorare su una carta della trasparenza, fare in modo di non dover contare sull’assessore amico e fare invece in modo che chi ha le proposte migliori vinca sulla base della qualità del proprio impegno e sulla base di alcuni criteri inoppugnabili. Il cittadino deve avere la possibilità di misurarsi con gli enti locali, che sono il primo momento di approccio con le istituzioni, sapendo che il nome di chi governa questo ente locale è indifferente rispetto ad una questione di merito.

Infine, occorre chiedersi come l’ente locale possa essere promotore dello sviluppo locale. Anche per questo, bisogna fare il più possibile degli incontri o stabilire dei tavoli di conferenza permanenti per lo sviluppo delle comunità: è importante che ci sia un disegno sulla prospettive e sul futuro di una comunità. L’ente locale deve corrispondere alle missione istituzionale delle leggi nazionali, seppure nella variabile politica dei risultati elettorali. Deve esserci un ragionamento su un disegno per dare prospettiva alla comunità: questo credo sia di fondamentale importanza, altrimenti si cade in un ragionamento di delega e lo stesso sistema elettorale permette che per quattro anni ci sia questa forma di delega. Credo invece che ci voglia una dinamica sociale più sofisticata, più forte, più attiva.

Questo è il contesto entro il quale collochiamo anche la nostra adesione convinta alla campagna sulla sussidiarietà, che deve avere lo scopo di suscitare un dibattito fra le forze politiche che sia molto stringente in termini di operatività e di proposta.