Carità off limits: testimonianze

Mercoledì 21, ore 18.30

Relatori: Oreste Benzi, Antonio Mazzi,
Aldo Brandirali, Responsabile della Comunità Responsabile della Comunità
Consigliere Comunale di Milano Giovanni XXIII Exodus

Brandirali: Nella storia del mio cammino umano ciò che ho incontrato mi ha restituito le ragioni originarie di una voglia di giustizia, di libertà, di condivisione della vicenda comune del mio popolo, ha dato risposta a ciò che nel cammino perdeva continuamente ragione. Prima di questo incontro non erano possibili libertà, giustizia, condivisione: tutto ciò infatti non poteva essere fatto con le mie mani o con la mia intelligenza; rimaneva solamente il desiderio nelle rovine degli esiti di esperienze, di tentativi, di sforzi che nella prova del tempo non reggevano. Ciò che ho incontrato mi ha invece restituito la risposta possibile al desiderio.

Con le mani tese dentro la condivisione delle condizioni umane di uomini come me, non mi restava che questo: chiedere che in qualche modo si rispondesse. E l’Attore della storia, Colui che risponde, Colui che costruisce e che rende positiva la storia ha reso continuamente possibile che trovassimo lavoro, soldi, possibilità, case, una risposta, una positività. Il Costruttore mi ha mostrato la via, la via di un desiderio che deve solamente convertirsi, deve essere capace di tendere le mani, di pregare e di chiedere, di desiderare che la vicenda umana possa essere trasformata in una positiva esistenza qui ed ora, per me e per il mio popolo.

L’opera San Martino nacque per extra-comunitari, carcerati, emarginati che gridavano perché qualcuno diventasse loro compagno. L’emarginazione e la perdita dell’essere parte di qualche cosa da un lato, e dall’altro il bisogno di condivisione e di accettazione di questo destino comune, hanno reso possibile per me riprendere quella profonda passione politica che mi ha motivato sin da ragazzo. L’opera di carità mi ha sospinto a riprendere la politica proprio perché in qualche modo nella mia esperienza precedente si è verificata l’assenza di una risposta politica, di una capacità di presentarsi davanti a realtà esistenti, ad operatori realmente presenti, ad una positività già in opera, già in azione. Avessero i politici come coscienza politica, cioè come coscienza del fatto comune dell’opera pubblica, la capacità di riconoscere e di rendere servizio a questa dinamica già in atto, a questa costruzione già presente! Davanti a me invece c’é una politica tutta fatta di una pretesa di essere il soggetto che risponde, di una pretesa di essere l’intelligenza che sta dentro il bisogno e che rende gli uomini semplicemente in attesa supina, subalterna. L’opera della politica pone così se stessa come la salvezza.

Qualcosa è però sempre iscritto nella storia, ineliminabile, capace di essere continuamente suscitato, malgrado la gestione e la coscienza pubblica tentino di renderlo un insieme anonimo. Si chiama popolo. La domanda allora per me è stata: perché la politica non riesce a farsi fattore d’incontro con il popolo, di riproposizione del popolo, di rifacimento del popolo, di ricostruzione del popolo, cioè fattore continuo di servizio che riconosce la ricchezza della società e la dinamica continua di una comunità umana protesa verso una costruzione ed una positività? Perché la politica non si fa servizio del popolo? Io sento il bisogno che la politica cambi orizzonti, uscendo da una logica della struttura pubblica che si autoserve e si autocostruisce, così da reincontrare la società, la comunità umana, i soggetti, le opere, le associazioni, le imprese, le famiglie, le persone. Abbiamo in questi giorni notizie sempre più drammatiche dell’aumento della povertà e situazioni di emarginazione. Perché? Perché c’é un fallimento della gestione della cosa pubblica. Questo potere che si autoserve, che gira su stesso, che è diventato una sfera separata dalla società e dagli uomini, non ce la fa più, davanti ai vecchi, ai bambini, alla realtà del bisogno; non ha i mezzi, è solamente pieno di debiti, non ha saputo puntare sul costruttore e così è diventato fattore di distruzione. Questa è la crisi che abbiamo davanti.

Il mio grido drammatico allora è questo: oggi il gestore della cosa pubblica è il principale responsabile del fatto che via via sempre più persone vengano abbandonate a se stesse, che la comunità umana non riesce più a rispondere con la solidarietà e con la condivisione.

Ciò che non è risolto dentro questa cultura e dentro questo modo di affrontare la vicenda è che c’é una sola possibilità che la coperta si allarghi e che la risposta arrivi davvero dovunque: la possibilità che la società sia resa libera di esercitare le azioni potenziali di tutti i suoi soggetti. Che la famiglia possa assumersi le responsabilità di accoglienza che sono inscritte geneticamente nella sua storia; che le comunità e le associazioni possano diventare capaci di auto produrre reddito, profitto, reinvestimento e potenzialità; che gli imprenditori possano condividere la vicenda dei loro uomini, dei loro lavoratori, costruendo una realtà economica secondo la condivisione della squadra di uomini che fanno l’impresa. Ma che questa libertà sia data ai soggetti della società vuol dire che chi gestisce la cosa pubblica creda veramente che la realtà è fatta da un insieme di soggetti sociali. Ma c’è solo Uno che crede veramente al fatto che nella realtà è continuamente inscritta la ripresa di soggettività, identità e solidarietà: si chiama Cristo!

Benzi: Dalla condivisione che Cristo ha voluto fare in forma radicale con noi prendendo la forma di schiavo, è nato per me il desiderio di condivisione con il prossimo. Dobbiamo dare ai poveri non la risposta che possiamo dare noi, ma la risposta di cui hanno bisogno: per questo dobbiamo mettere in crisi le nostre sicurezze, per poter realizzare quella creazione nuova di cui parla Gesù in Matteo 19,38. È il dono più grande che si possa fare, ed è evidente che bisogna metterci di mezzo il rischio! D’altra parte, i disperati e gli ultimi sono quelli che rischiano nei nostri confronti. Partendo da situazioni recenti e drammatiche vi darò alcuni esempi di questa condivisione e di questo rischio.

Spesso a Modena abbiamo incontrato delle prostitute nigeriane, con tutta la loro disperazione: i nostri politici vogliono fare i villaggi dell’eros, le colline dell’amore, parlano di comitato delle prostitute... ma quelle nigeriane sono schiave! Dovrebbero invece vedere la festa che mi fanno quando arrivo, la loro gioia nel vedermi, specialmente quando dico loro di pregare insieme. Si concentrano in una profonda preghiera, poi cantiamo, e mi sembra di sentire gli Spirituals degli schiavi di 400 anni fa. Così, si fa sempre più grande il numero delle ragazze che ci chiedono di venir via.

Una volta mi hanno raccontato di come sono ingannate: la prospettiva del lavoro, la firma del contratto... Arrivano a Torino, a Verona, a Livorno, e nel giro di due o tre giorni devono essere vendute. Il costo di mercato è dai 9 ai 15, o anche 18 milioni. E qui inizia il dramma; gli dicono che il lavoro che avrebbero dovuto avere non c’è, ma poiché devono pagare il debito, dovranno prendere il lavoro che c’è, sulla strada. Dopo due, tre giorni di resistenza, si arrendono alle minacce. Ho detto loro, nel mio inglese stentato: "siete simili agli schiavi", e una ha gridato: "no padre, noi siamo schiave!". E Stella, una di loro, ha tirato fuori le mammelle di fronte a noi e ci ha fatto vedere come la sua "Madame" quando non guadagna quello che deve guadagnare, le passa sul seno il ferro da stiro bollente... ma questa creatura è amata da Gesù, io e lei formiamo una sola cosa perché siamo membra gli uni degli altri, e se Gesù la ama, anche io la voglio amare.

Riceviamo quotidianamente minacce, ma dobbiamo rischiare, perché siamo fratelli, amati da Cristo che si è incarnato e ha preso per noi la forma dello schiavo, del povero. Se tutti noi uniti in Cristo scattassimo, queste 30000 schiave nigeriane sarebbero liberate. Sono schiave per colpa della nostra indifferenza, proprio come Giovanni Battista, ucciso non da Erode, Salomè, Erodiade, ma dai commensali che sono stati zitti e hanno guardato la testa staccata di Giovanni.

Giovani, dovete rendervi insopportabile l’ingiustizia e portare la giustizia, non quella degli uomini ma quella di Dio. La giustizia per noi è Cristo Gesù: è Lui la nostra speranza.

Le albanesi sono messe molto peggio delle nigeriane: devono guadagnare un milione al giorno, altrimenti non solo i loro aguzzini spengono le cicche delle sigarette accese sul loro petto, ma ogni tanto ne uccidono anche qualcuna per dare il segno che fanno sul serio.

Questa società continuerà così se non si creano mondi vitali nuovi: è la grande ora della Chiesa, non c’è altra possibilità per l’uomo al di fuori della Chiesa, la Chiesa Cattolica, universale. Solo Cristo è colui che salva, al di fuori di lui non c’è nessun altro.

In un processo ho testimoniato contro il racket: quando il p.m. mi ha chiesto di testimoniare ho avuto paura, ma il coraggio non è non aver paura bensì vincerla per un amore più grande. E non solo ho testimoniato, ma ho anche parlato agli imputati e alle imputate, nonostante mi abbiano assalito dicendomi che avevo sbagliato e che si sarebbero vendicati.

Concludo con le parole di un nostro piccolo di nove anni, un bimbo siero-positivo; ha trascorso gli ultimi venti giorni in ospedale sempre stretto tra le mani di papà e mamma – non i suoi, ma i nuovi che l’hanno rigenerato nell’amore – e ad un certo momento, due giorni prima di morire, a una persona che cercava di consolarlo con parole vuote e scontate ha detto: "Le cose che lei mi dice, io le so già, non mi servono: invece, fate qualcosa per me! Io soffro, voi non soffrite, non potete capire..." Queste sono le parole che il mondo ci grida: ai piccoli e ai poveri diamo non quello che possiamo, ma rendiamo possibile l’impossibile mettendoci in crisi, perché solo così i cieli nuovi e le nuove terre verranno.

Mazzi: Ho sempre cercato di far capire alla gente che non è possibile pensare di risolvere un problema come la prostituzione aprendo le case chiuse o creando un Parco Lambro a luci rosse. Anche perché la prostituzione moderna non è come quella degli anni passati; oggi ci sono vari tipi di prostituzione: la prostituzione dei minori, dei bambini, la prostituzione delle donne che vengono deportate, imbrogliate (che sono schiave, dopo essersi illuse di un lavoro), la prostituzione dei tossicodipendenti che per mantenersi si prostituiscono, e infine le prostitute "vere", che non hanno nessuna voglia di abbandonare il marciapiede. Ciò che mi spaventa è che all’interno di questo problema della prostituzione sta di nuovo emergendo l’antica posizione di chi vuole mandare gli appestati fuori dalla città: i tossicodipendenti vanno mandati in comunità, i ladri vanno i galera, le prostitute vanno nelle case chiuse... Gli stessi cattolici sembrano sostenere questa posizione: ma nel Vangelo Cristo ha cercato di far capire alla gente che bisogna togliere ai lebbrosi la campanella.

Come già diceva don Benzi, ciò che uccide le persone è l’indifferenza: 60 milioni di italiani stanno assistendo silenziosi – il silenzio dei neghittosi!- ad un fenomeno di regressione storica e sociale che è tra le peggiori degli ultimi anni. Ma siamo un unico corpo: o ci salviamo tutti o crepiamo tutti. Se non ritorna lo Spirito Santo non ci salviamo, perché il meccanismo dell’egoismo dei buoni o dell’egoismo dei cattivi è lo stesso, ed è il meccanismo che divora il corpo sociale.