Venerdì 29 Agosto, ore 17

LA VIOLENZA DEL SILENZIO

Partecipano:

S. Em. Card. Juan Francisco Fresno Larrain,

Arcivescovo di Santiago del Cile, Presidente del CELAM, Conferenza Episcopale Latino-Americana.

Zhores Aleksandrovic Medvedev,

biochimico e scrittore sovietico; attualmente vive e lavora in Inghilterra.

Se la parola è il gesto prettamente umano, l'uomo tace o perché è davanti all'inesprimibile, e allora il silenzio diviene libertà, o perché gli viene impedito di parlare, e gli viene sottratto, in tal modo, quel gesto umano che lo costituisce. Degli innumerevoli fatti che accadono ogni giorno nel mondo, solo alcuni vengono imposti alla nostra attenzione dalla civiltà dell'informazione. Esistono drammi che i mezzi di comunicazione di massa non ascoltano e non comunicano, dei quali, spesso, rimandano una immagine parziale, funzionale alla conferma di una qualche ideologia. In questo modo il mistero dell'uomo, la sua dignità, vengono cancellati. A narrare due situazioni che in modi e per motivi diversi rompono gli schemi ideologici oggi dominanti, sono il Cardinale Juan Francisco Fresno Larrain, Arcivescovo di Santiago del Cile e il professor Zhores Aleksandrovic Medvedev, sovietico attualmente residente in Inghilterra. Grande educatore e punto di riferimento per il suo popolo, il Cardinal Fresno testimonia del lavoro svolto in questi anni dalla Chiesa cilena e dell'attività della Vicaria di Solidariedad della diocesi di Santiago, volto a salvare migliaia di vite umane e la dignità di un'intera nazione. Accanito difensore dei diritti umani, il professor Medvedev è stato internato in ospedale psichiatrico nel 1970, più tardi espulso dalla sua terra e costretto all'esilio. Come biochimico, ha condotto accurate ricerche che hanno contribuito ad aprire gli occhi dell’Occidente sui gravissimi pericoli dello sviluppo tecnologico in Unione Sovietica.

J.F. Fresno Larrain:

(…) L'America Latina ha circa 170 anni d'indipendenza politica e quasi 500 dalla sua scoperta fatta da Cristoforo Colombo: oggi ha approssimativamente 410 milioni di abitanti. Di questi un 70% vive in centri urbani e un 30% forma la popolazione rurale, proporzione che era quasi inversa circa 40 anni fa. Il continente, che era prevalentemente rurale, si è convertito in continente urbanizzato, con i problemi e le tensioni che tale vertiginosa emigrazione porta con sé. (…) Questa America Latina è una realtà complessa e altamente diversificata. Coesistono simultaneamente distinte culture e forme di vita, dalla indigena con le sue credenze pre-spagnole, a quella tradizionale dei contadini analfabeti o semi-analfabeti, che continuano a coltivare la terra come i loro antenati, fino alla moderna che si esprime con scienza e tecnica avanzata nelle imprese nazionali e oltrenazionali e con sviluppate comunicazioni sociali. Il 20% della popolazione dell'America Latina (circa 80 milioni di abitanti) vive nella miseria, non dispone delle entrate necessarie per comperare un piccolo cesto di alimenti basilari. Ed, all'altro estremo, circa il 10% delle famiglie dispone del 45% del reddito e vive normalmente con livelli di consumo simili a quelli dei gruppi ricchi di Europa e degli Stati Uniti. Questa realtà già la denunciarono i Vescovi nel 1968 nella Conferenza dell'Episcopato realizzata a Medellin (Colombia) e ritornammo a farla presente nella Conferenza di Puebla (Mexico) realizzata nel 1979. (…)

Anche in America Latina "cristiani, laici e pastori, non hanno cessato di lottare per un equo riconoscimento dei legittimi diritti dei lavoratori" e "in molte occasioni il Magistero della Chiesa ha alzato la propria voce in favore di tale causa" (istruzione sopra "Libertà cristiana e liberazione" 13). Il nostro continente è stato chiamato il continente della speranza: e crediamo che l'America Latina potrà rispondere a questo appellativo. Siamo un continente giovane, con tutta la vitalità della gioventù. La nostra esperienza ci dice che possiamo rappresentare una speranza concreta dinanzi a un mondo molte volte stanco e invecchiato. L'America Latina é come un progetto "utopistico" nel senso letterale della parola: un piano che non si è realizzato. Il sogno di Bolivar di creare un'America Latina unita e forte, non è riuscito a piantare le sue radici nella coscienza, a volte limitata, di un nazionalismo senza ampi orizzonti. E oggi siamo una scacchiera di paesi con poco potere internazionale e altamente indebitati. (…) Vorrei ripetere qui quella richiesta che rivolsi lo scorso anno a New York, quando visitai il Presidente e il Segretario Generale dell'Assemblea delle Nazioni Unite: "Per amore al Dio della vita al quale cerco di servire, domanderei che la dignità umana venisse gelosamente rispettata... per amore della pace chiederei che non venga tolto il pane dalla bocca dei bambini per produrre strumenti di morte, per amore ai poveri del terzo mondo, chiederei che si ascolti il richiamo del Papa e che il debito estero dei nostri paesi sia a sua volta considerato nelle sue dimensioni sociali, politiche e umanitarie..." (11 novembre 1985) (…).

Il lavoro della Chiesa in Cile

Il Cile è una bella, lunga e stretta fascia di terra, come un monile pendente dalla catena delle Ande, e si stende lungo il litorale dell'Oceano Pacifico, nell'estremo sud dell'America Latina. I poveri sono la nostra prima sfida! Non sono pure cifre o percentuali. Sono persone. E per un cristiano sono fratelli. (…) I giovani sono la nostra seconda sfida, sono la nostra speranza nel presente e la certezza che è possibile fare un mondo migliore. Figli di un mondo vecchio, desiderano essere padri di un mondo nuovo. E per ottenerlo sono disposti ad apportare la loro vitalità, il loro entusiasmo, la loro capacità d'innamorarsi dei grandi ideali e di offrirsi a Gesù con tutte le loro forze. (id., 32) (…). Parlare dei giovani con entusiasmo e speranza non significa nascondere le difficoltà che li affliggono. Sappiamo che a volte sono incostanti e che l'urgenza con la quale vogliono cambiare le cose, li induce ad essere impetuosi e intolleranti. Ci sono anche giovani che sentono che si chiude loro l'orizzonte. C'è chi non può terminare la scuola secondaria; molti che, terminati gli studi, si ritrovano disoccupati, e i più poveri devono fare qualsiasi lavoro pur di contribuire in qualunque modo al bilancio della famiglia. Constatiamo inoltre con tristezza un aumento dell'alcoolismo e dell'uso della droga, una rassegnazione passiva, o relazioni affettive immature che risultano dannose a loro stessi, l'agguato della violenza che non li porta a nulla e sarà una nuova fonte di frustrazione per la loro vita. (…) La terza provocazione si riferisce alla partecipazione politica. I Vescovi del Cile hanno detto che il loro sguardo pastorale non può eludere la situazione politica che colpisce il paese (id., 41). Con dolore osservano che esiste divisione e ci sono ferite profonde tanto nelle persone che nella convivenza nazionale: "parziale sarebbe il nostro sguardo se ci fermassimo solo al conflitto sociale. Grazie al dono della fede, sappiamo che la radice della riconciliazione si trova nel cuore dell'uomo perché dal cuore procede la rottura con Dio, la quale ha sfigurato tutto l'insieme della creazione". (…) E per ultimo, la quarta provocazione che segnaliamo nell'orientamento pastorale, si riferisce alla violenza. "Sentiamo che mancano la parole per dare un nome a questa aberrazione". Molte volte l'abbiamo prevenuta e denunciata. Ci siamo sforzati di promuovere e difendere i diritti umani, però con dolore abbiamo dovuto seppellire i morti e accompagnare le vittime della violenza. La Chiesa ha la ferma volontà di rispondere alle inquietudini dell'uomo contemporaneo sottoposto a dure oppressioni e ansioso di libertà. (…) Gli anni giovanili sono la tappa dei grandi ideali, delle scelte radicali e totali, del dono disinteressato di se stessi agli altri. E’ pure il periodo della maturazione della fede. Essere giovani significa lottare per una vita degna dell'uomo. Ciò implica la opzione per la giustizia sociale in ogni paese e, a livello internazionale, la opzione per i mezzi pacifici e razionali per risolvere i conflitti, il rispetto leale e sincero per i diritti umani. (…) Che la vostra gioventù pertanto non sia solamente una tappa della vostra vita, ma una attitudine del cuore che si apre permanentemente nella sua capacità d'essere segno dell'amore che il Padre ci ha dato nel Suo Figlio e ci regala con il Suo Spirito. Solo così sarete costruttori della civiltà dell'amore. Permettetemi di terminare con una invocazione alla Vergine Maria. La devozione alla Madonna è un segno che caratterizza i nostri popoli dell'America Latina. (…) A Lei questa sera raccomando in maniera particolare pure voi, cari giovani, perché le parole semplici di questo Pastore della Chiesa del Cile penetrino nel vostro cuore e vi aiutino nei vostri sforzi a essere veri cristiani.

Z.A. Medvedev:

(…) La violenza del silenzio è una parte essenziale delle tragedie della maggior parte delle nazioni del mondo. La gente è perennemente bombardata da un diluvio di informazioni spesso finalizzato a sviarci piuttosto che a informarci, a tenerci zitti piuttosto che a farci porre domande ed esprimere opinioni. La violenza del silenzio può essere legata direttamente alla violenza fisica e politica e può esistere come forza indipendente e brutale. Gli strumenti della violenza fisica sono ben conosciuti: fucili, granate, esplosivi, bombe, squadroni della morte, polizia segreta e spesso unità militari regolari. Gli strumenti della violenza del silenzio non sono visibili, ma anch'essi toccano le vite di milioni di persone. La segretezza, la censura e spesso le leggi servono a questo scopo con efficienza sorprendente. Se pensate che in questa affermazione io abbia in mente solo i paesi comunisti vi sbagliate. Anche l'Occidente spesso non è immune dalla colpa dell'uso della violenza del silenzio come mezzo della politica ufficiale. Quando la pericolosa nube di polvere radioattiva di Chernobyl si mosse dall’Ucraina sopra l'Europa Orientale e Occidentale, tra la fine di aprile e l'inizio di maggio, non fu solo l'Unione Sovietica a mantenere il silenzio e a mancare d'informare la sua stessa popolazione. Anche la Francia e la Finlandia fecero lo stesso: preferirono tollerare il danno alla salute dei loro cittadini e all'agricoltura piuttosto che compromettere le loro politiche ufficiali o di stato per l'energia nucleare. (…) Molti paesi preferiscono distruggere i loro archivi segreti per dimenticare e rafforzare il silenzio. La carestia creata artificialmente in Ucraina e nel Caucaso del Nord nel 1932-33 uccise sette milioni di persone, più della ben nota e persistente carestia in Africa. Ma la carestia in Ucrania è ancora un segreto di stato in Unione Sovietica. Nel 1986 segnammo l'anniversario dell'inizio dei più infami errori giudiziari nella storia moderna, i "processi farsa" di Mosca, il primo dei quali iniziò il 19 agosto 1936 con l'incriminazione di molti ex compagni di Lenin. Le vittime di questi processi-farsa, persino le più eminenti, quali Bukhaun, Zinov'er, Komanev, Rykov, Krestinsky, Tomsky e molti altri, non sono state ancora riabilitate e sono ancora etichettate come criminali nella storia sovietica ufficiale. Noi sappiamo bene che Stalin usò la violenza a larga scala per i suoi scopi politici e come principale strumento di dittatura. Ma i suoi successori, da Breznev a Gorbacev, usano il silenzio per coprire i crimini di Stalin. Questo silenzio è parte della violenza e continua a ferire i figli, i parenti e gli amici di milioni delle vittime di Stalin. L'uso del silenzio per celare crimini può essere più chiaramente illustrato dal "Mistero di Wallenberg", un caso che ancora influenza i sentimenti di Svedesi, Ungheresi, Ebrei, e di molte altre nazioni, ad eccezione dei Russi che non sanno niente di Raoul Wallenberg, il più celebrato eroe nella lotta contro l'olocausto di Hitler. Le vite di centinaia di migliaia di ebrei si trovarono in pericolo mortale a partire dal marzo 1944, quando i nazisti occuparono l'Ungheria. Raoul Wallenberg, un giovane diplomatico svedese, aveva ricevuto l'incarico speciale da Stoccolma di salvare il maggior numero possibile di ebrei. Egli agì coraggiosamente dalla neutrale ambasciata svedese a Budapest, inventò e stampò segretamente dei passaporti provvisori che resero possibile a più di ventimila ebrei di lasciare l'Ungheria per la Svezia e a molte più migliaia di sfuggire per altre vie alle camere a gas. Il 17 gennaio 1945, quando l'esercito sovietico era già a Budapest, Wallenberg fu chiamato al quartiere generale del Maresciallo Malinovsky a Debrecen. Da quel giorno nessuno più lo vide o senti parlare di lui. I funzionari sovietici mantennero il silenzio completo e risposero che non c'era traccia di Wallenberg in Unione Sovietica. Anche Khrushchev continuò a tacere, ma nel 1956 fu costretto a promettere una risposta. Alcuni mesi più tardi Gromyko firmò una breve lettera diplomatica, in cui si affermava che Wallenberg era morto nella prigione moscovita nel 1947, ma che non c'erano informazioni riguardo all'esistenza di una tomba né riguardo alle ragioni della sua detenzione. Nessun leader sovietico, dopo la dichiarazione di Gromyko, riuscì a fornire più particolari e molti in Svezia ritengono che Wallenberg fosse probabilmente ancora vivo nel 1956 o che sia ancora vivo ora. (…) Il silenzio viola le norme naturali della legalità, non solo quando, coloro che sono al potere non ci dicono di repressioni o massacri, di nuove armi e di nuovi piani di occupazione. Il silenzio è una forma di violenza anche quando gli apparati governativi sopprimono informazioni vitali per le nostre vite. I libri statistici delle Nazioni Unite mostrano molto bene chi è colpevole di questa pratica. L'organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura a Roma non sa dal 1981 quanto grano per uso alimentare e per l'allevamento viene prodotto in Unione Sovietica e non lo sanno nemmeno gli esperti sovietici e il pubblico. L'organizzazione mondiale per la sanità a Ginevra non sa dal 1970 l'incidenza delle diverse malattie. Ma se la nazione non sa che cosa minaccia la vita dei suoi cittadini non sa nemmeno come combattere i pericoli. Dobbiamo menzionare anche l'uso della violenza finalizzato a mettere a tacere persone, scrittori, intellettuali e scienziati per impedir loro di dirci ciò che vogliono. Perché Andrej Sacharov è rimasto silenzioso per così tanto tempo? Non era la sua volontà. E quanti altri meno famosi difensori dei diritti umani tacciono in molti paesi del mondo? (…) Queste restrizioni e proibizioni riescono a spiegarci meglio di qualsiasi altra cosa perchè la letteratura, le arti, le scienze, la tecnologia, la medicina, l'economia e l'agricoltura in Unione Sovietica hanno ristagnato. (...)