Evangelizzazione, architettura
e nuova cultura nell'America Latina

Venerdì 25, ore 18.30

Relatore:
Bernardo Moncada,
Docente di Storia dell'Architettura e Storia dell'Arte presso l'Università de Los Andes di Mérida, Venezuela

 

 

Moncada: "Con l'arrivo del Vangelo in America — ricordava Giovanni Paolo II ai Vescovi di Santo Domingo — si allarga la storia della salvezza, cresce la famiglia di Dio, si moltiplica 'per la gloria di Dio il numero di coloro che danno grazie' (2Cor 4,15). I popoli del Nuovo Mondo erano popoli nuovi totalmente sconosciuti per il Vecchio Mondo fino all'anno 1492, però 'conosciuti per Dio da tutta eternità e da Lui sempre abbracciati con la paternità che il figlio ha rilevato nella pienezza dei tempi' (Gal 4,4)". Aggiungeva il Papa alla fine delle sue parole: "Anche se il Vangelo non si identifica con nessuna cultura particolare, sì deve ispirarle per così trasformarle da dentro, arricchendole. In verità, l'evangelizzazione delle culture rappresenta la forma più profonda e globale di evangelizzare una società, giacché attraverso di essa il messaggio di Cristo penetra nelle coscienze delle persone e si proietta nell'ethos di un popolo, nelle sue attività vitali, nelle sue istituzioni ed in tutte le sue strutture"1.

L'avventura che è il Cristianesimo avviene in America esattamente in questo modo. A partire dal secondo viaggio di Cristoforo Colombo, quando i primi missionari si imbarcarono verso terre ignote, la presenza che illumina tutta la vita — la vita di quegli uomini semplici, viaggiatori verso lo sconosciuto, ed anche la vita di coloro che, ignoranti di quello che stava per succedere, continuavano la loro routine abitando quelle terre — cominciò il suo manifestarsi davanti al Nuovo Mondo.

Per lo sviluppo di questo processo, che per la sua relativa vicinanza cronologica è facilmente conosciuto oggi, non caratterizza unicamente la nascita del popolo latino-americano, come ho potuto intuire chiaramente durante il mio recente soggiorno di lavoro in Gran Bretagna. Lì ho potuto approfondire le origini poco conosciute dell'architettura ecclesiale britannica, la cui memoria si conserva in circa duecento chiese antiche, costruite precedentemente all'invasione normanna. La testimonianza espressa dal permanente "vigilare" di questi modesti edifici nella tranquillità dei campi d'Inghilterra, completa i testi, rispettati dagli storici e venerati dalla Chiesa, dei Santi cronisti, Beda, Ninias, mostrando chiaramente che "L'Inghilterra non è sempre esistita, nonostante quello che l'onnipotente mentalità moderna, che ha incontrato il suo più efficiente veicolo nella cultura anglosassone oggi prevalente, cerca di farci credere. La sua nascita, in mezzo al nulla, è in molti aspetti simile a quella di quelle piccole chiese: ha costituito una complessa realtà umana dove prima del Cristianesimo c'era un deserto culturale, precariamente e disordinatamente abitato"2. È stato il nuovo sguardo su quella storia che non conoscevo, la storia commovente di un popolo che adesso sento più vicino e le cui qualità migliori sono definite dalla sua storia cristiana, ciò che mi ha permesso di guardare in modo nuovo la mia storia, lo sviluppo della mia storia e della sua architettura.

Questo nuovo sguardo che, come scrive don Francesco Ventorino recentemente, abbraccia con "un'intelligenza e un'affezione 'in azione', che ti fa penetrare dentro la realtà sempre oltre, più in là di dove arriveresti da te"3, mi ha permesso di vincere la dissociazione che si è instaurata come atmosfera che avvolge gli studi che si sono realizzati riguardando questi cinquecento anni di cultura e di architettura nel continente latino-americano.

Tale dissociazione, seminata da una predisposizione a negare l'essere, la verità profonda che le cose significano, presenta una contraddizione definitiva ed impossibile da risolvere tra la cultura latino americana, e specialmente l'architettura che nasce agli inizi di questa cultura, ed il fatto umano che ha generato, più che una nuova cultura, una nuova ontologia in America Latina.

Così si è reso possibile, anzi normale, elogiare entusiasticamente l'eredità artistica degli anni dell'evangelizzazione mentre si ignora o si attacca duramente l'operato della Chiesa.

L'impatto che subisce chi visita l'America Latina deriva soprattutto da due fattori del suo ambiente: la natura e la sua architettura, fondamentalmente il patrimonio precolombiano e quello coloniale. Questi due elementi convivono nell'ammirazione di tutti. In un'armonia misteriosa il linguaggio dei grandi recinti cerimoniali degli aztecas, mayas, taironas e incas, non è negato né combattuto dalle città sorte intorno alle chiese e alle piazze maggiori dell'epoca coloniale.

Sono molti gli storici e i critici di arte che hanno dedicato tutta la loro vita a ricercare e a comprendere questo patrimonio. Tra loro, la maggior parte cerca di spiegare il legame che, integrando la realtà già preesistente con la cultura che giungeva, ha prodotto tra le altre cose una potente architettura.

Dice l'architetto e storico spagnolo Fernando Chueca Goitìa: "L'architettura per l'America spagnola è un'arte decisiva che si impone e domina su tutto un continente, marcandolo con una traccia indelebile. A lato dell'architettura, le altre arti... mancano di importanza. Se l'arte virreinale (il Virreinato è stata l'amministrazione provinciale spagnola delle colonie americane) si misurasse oggi da quello che ci hanno lasciato la scultura e la pittura, non sarebbe altro che un'appendice dell'arte peninsulare, ingenua, primitiva e provinciale... Ma per contro, l'architettura innalza su tutto questo panorama, un po' rinchiuso e limitato, la sua gigantesca presenza"4.

Questa architettura non può essere concepita senza il Cristianesimo. Il Cristianesimo, infatti, dando all'architettura e alla lingua il loro fondamento e la loro ragione d'essere, ha generato un'immensa energia unitaria, uno spirito di integrazione, sfidando interminabili pressioni e complotti che, dalle guerre di indipendenza in poi, hanno tentato di dividere e disintegrare i popoli latino-americani.

In una unità che supera le differenze di temperamenti, di razze di lingue, come avviene per esempio in Brasile, l'America Latina è resa una dallo spirito nella chiesa di Cristo. Essa è un popolo, come ha detto con espressione felice Simon Bolivar: "Non siamo una razza ma un piccolo genere umano" (Paolo VI definisce "popolo cristiano", "una realtà etnica sui generis"), e noi potremmo aggiungere che è un popolo il cui cuore ha espresso il suo senso originario in modo meraviglioso attraverso l'architettura.

Architettura del virreinato in America Latina: costruire un popolo nuovo

Parto da una descrizione presente in molti autori contemporanei, riassunta da Chueca: "L'importanza dell'architettura nell'America spagnola è tale che, per molti aspetti, le sue realizzazioni monopolizzano l'interesse che in altri casi avrebbero i fatti della storia. Durante il periodo del virreinato, l'America Latina non aveva una storia politica propria, poiché questa veniva fatta da Madrid. Rimane oggi la storia sociale, economica, artistica, e la cronaca locale. La storia dell'arte è a sua volta riflesso di quella sociale ed economica, e perciò il suo valore come documento ha una importanza straordinaria. Come già abbiamo detto,... l'architettura... rappresenta non solo la realtà più preziosa, ma anche la più significativa nella creazione artistica di questi popoli. Oggi, quando un americano del sud vuole dirigere lo sguardo verso il suo passato, la sua attenzione si imbatte nelle manifestazioni di una architettura che è la realtà migliore della sua storia e forse quella di cui maggiormente può vantarsi senza riserve né pregiudizi. La storia dell'architettura latino-americana raccoglie il meglio della storia dell'America Latina"5.

Quanto fin qui detto, si chiarisce col fatto che il fattore di integrazione sottostante alla conquista è stato fin dagli inizi l'evangelizzazione, la quale ha avuto come strumento le "Fundaciones". Fondare paesi, missioni e conventi, fu riconosciuta come l'attività chiave in risposta all'impresa incommensurabile che, di fronte alla vastità mai immaginata di quelle terre incontrate, si presentò ai regni spagnoli. Non "Fundaciones" per proteggersi dagli indios, ma per integrarli nella possibilità di una nuova ecumene. Per questo compito gli spagnoli hanno usufruito di una provvidenziale espressione della cultura cristiana: il "Derecho de Gentes" (diritto alle genti). Sorto dall'università di Salamanca e inaugurato immediatamente come primo fondamento giuridico della complessa operazione colonizzatrice, il "diritto delle genti" si realizzò integrando sistematicamente le grandi differenze tra le varie culture precolombiane, così come le differenze tra le molteplicità nazionalità che con difficoltà si unificavano dietro il nome di Spagna.

Un po' come per lo "ius" romano che unificò mezza Europa, così si attuava il "Derecho de Gentes". Quest'ultimo, una volta sviluppatosi nelle "Leyes de Indias" (Leggi delle Indie), si differenziava dal diritto romano perché assegnava a Cristo una centralità che aveva mutato il posto dell'uomo nell'universo e che, lungi dal proclamare una religione di Stato o una teocrazia, era capace di generare nell'uomo una nuova attitudine di fronte alla legge e alla convivenza con i suoi simili. Queste Leyes sono state il fondamento che ha dato struttura a nuove città come Cartagena de Indias, Santiago del Leon de Caracas, Santa Maria de Los Buenos Aires e tante altre che caratterizzano il nostro continente.

L'efficacia di questa operazione attuata dalle "Leyes" può notarsi anche oggi, poiché secoli di erosione illuminista, nazionalista e anticristiana, attuata senza tregua sulle nostre nazioni latino-americane, non sono stati capaci di terminare la distruzione del nostro cuore comune, sorto nella drammatica storia dell'evangelizzazione. Come hanno detto alcuni storici spagnoli, sembra che oggi sia maggiormente possibile la disintegrazione della Spagna, o che in questa terra di Santi e guerrieri si voltino le spalle alla Chiesa piuttosto che in America Latina.

 

"Teocallis" di un Dio da conoscere

Come avvenne per san Paolo in Grecia così anche il conquistatore e il missionario incontrarono in terra americana il desiderio di un Dio sconosciuto. Secondo il cronista Tolteca Ixtlilxochitl, in Texcoco, Messico, fu costruita una torre senza idolo dedicandola al "dio sconosciuto, creatore di tutte le cose", una divinità chiamata Tloque Nahuaque, che significa "colui che è molto vicino" o "colui che è presente attraverso le cose", chiamata anche "Ipalnemohuani" che vuol dire "colui per cui tutto vive"6.

Non è questa l'unica testimonianza di una attesa vissuta dagli Aztecas e dai Mayas, attesa di un nuovo tempo i cui segni profetici coincidevano approssimativamente con i fatti avvenuti a partire dal 1492. Anche in un altro Grande Impero, l'Impero degli Incas, si ritenevano vere, anche se in minor grado, previsioni simili. Quando il cronista Inca Huaman Poma de Ayala definiva i re di Spagna, a cui si riferiva nel suo libro, lo faceva in funzione del mondo incaico, nel cui universo erano ormai entrati gli spagnoli compiendone il senso. In questo universo adesso più ampio, dove già si venerava il segno della croce, letto nella costellazione della Croce del Sud, i re di Spagna ricevevano — secondo Poma de Ayala — la dignità di Imperatori Incas: il centro dell'Impero — il centro della croce dell'universo — si era spostato nella metropoli spagnola.

È di una gran bellezza questo campo di lavoro quando è affrontato a partire dall'ottica dell'avvenimento cristiano, perché attraverso quest'ottica vediamo due immense realtà umane desiderose di incontrarsi nell'adorazione della Verità, nonostante le loro dolorose mancanze, le loro profonde fragilità. Inoltre incontriamo in tutti i popoli questa necessità insaziabile di costruire per il Mistero: questa necessità, questo impulso che ho ritrovato nelle primitive culture dell'Europa, è facilmente riconoscibile anche in America. In Nahuatl, la lingua degli aztecas, si chiamava teocalli la costruzione a cui si applicavano le tecniche e le conoscenze più perfette dell'architettura. Teocalli viene da teotl (dio) e calli (casa)7.

Per tutto questo non può sembrarci strano il fatto che l'architettura ecclesiale si radicò rapidamente nell'America Latina, e non solo conquistando le varie nazioni precolombiane come spettatrici passive: infatti, gli edifici cristiani cominciarono, in pochi anni, ad essere costruiti da una moltitudine di artigiani entusiasti, curiosi e molto abili, "indigeni", che mai furono operi schiavizzati, alienati dalla loro propria personalità, ma costruttori per vocazione che, edificando i nuovi teocallis, costruivano se stessi e tutto un popolo nuovo.

Così come si può dire che per le civiltà precolombiane non c'era un'arte profana, si può anche affermare che la sacralità e la dignità delle chiese dell'evangelizzazione americana si estese al resto dell'architettura coloniale. Per i motivi che possono addursi — necessità di prestigio e imponenza richieste per imporre una cultura centrata sul Cristianesimo, come sottolineavano alcuni autori, autentico sentimento della sacralità di ogni lavoro e della preminenza dell'architettura di tutti i lavori — il phatos religioso si irradia in ogni costruzione coloniale, per umile che sia. Come dice Chueca, la costruzione coloniale "è pensata per provocare lo stupore e l'estasi verso il Mistero. Poche volte si può sentire la forza assorbente della religiosità come la percepiamo davanti a facciate del tipo di quelle delle Chiese di Tepotzotlan o di Ocotlan. Sembra che una forza superiore a noi ci afferri e ci domini... gli oculi a forma di stella che costituiscono il centro delle loro facciate sono come un vortice affascinante"8. Questo succede laddove lo sviluppo dell'architettura non si era mai realizzato, come nei paesi delle tribù caribes, così come nei grandi imperi che hanno prodotto Teotihuacan e Macciu Picciu.

Nuovi teocallis! Veri teocallis! L'architettura ecclesiale riuscì a sintetizzare il senso universale precolombiamo in un modo mai ottenuto, incorporando esattamente nel suo centro il senso cristiano. Non posso dirlo con parole migliori di quelle del professore Pedro Morandé: "il Tahuantinsuyo (territorio dell'Impero degli Inca), così come Tenochtitlan (capitale del regno azteca), costituivano per i loro abitanti la totalità dell'universo. Non erano regni né imperi al modo di quelli costituiti dal re di Spagna o dall'Imperatore del Sacro Romano Impero. ... In terra americana l'organizzazione della società coincideva totalmente con l'universo e quindi era divisa in quattro quadranti che corrispondevano ai quadranti dell'universo. ... L'arrivo degli spagnoli non si percepisce come quello di qualcuno che arriva fuori del sistema, irrompendo nel suo interno, come supporrebbe la logica dell'amico o del nemico applicata alla presenza dello straniero, ma è un avvenimento che accade all'interno dell'unico universo. ... Sebbene gli stessi indigeni vedessero questo avvenimento come una catastrofe, non lo vedono però al modo della distruzione dell'Impero Romano: lo vedono come un pachacuti cioè come l'emergere di una nuova epoca, di un nuovo sole nella storia universale"9: così, si costituisce la nostra realtà di latino-americani (il cui senso siamo sul punto di perdere).

È una realtà "trans-storica" perché ha nel cuore il senso della storia, così come fu "trans-storica" la sua architettura. Ha nel suo cuore una storia, non uno storicismo, non un catalogo di stili che si succedono, ma una coesistenza di espressioni europee, musulmane ed indigene che costituiscono, per dirlo con Erwin Walter Palm, "una permanenza simultanea di espressioni che hanno perso il loro significato di enunciazione storica"10. La vera cultura cristiana ha realizzato, con la sua luce, una realtà trasparente, aperta a tutto e nella quale non è stato estraneo che Maria, apparendo a Tepeyac, chiedesse all'Indio Juan Diego, parlando in Nahuatl, che le fosse costruito un teocalli.

 

Architettura di una presenza: la sfida per un'architettura di oggi

L'architettura cristiana dell'America Latina, così come l'architettura del Cristianesimo in qualsiasi posto del mondo, si fonda sulla testimonianza di una presenza, corporale, materiale in cui il cosiddetto "spirituale" non ha il significato limitante che le si dà nella cultura moderna. È la presenza del mistero tra gli uomini; un'importante modalità di questa presenza, che si fa sperimentabile anche nella liturgia e — soprattutto — nella vita del popolo cristiano.

L'architettura può integrare le arti religiose in un esperienza totalizzante; l'architettura del Cristianesimo è capace di integrare gli uomini nel suo grandioso insieme di simboli portatori di un contenuto difficilmente trasmissibile in parole. Un insieme che non ra-presenta una realtà, ma che la presenta, la pone tra di noi di fatto, de facto: converte in fisico quello che, come ha scritto Ignace de la Potterie, è "quasi fisico" ("c'è — dice Ignace de la Potterie — chi sta nell'oscurità e chi sta nella luce, chi sta con Cristo e chi no, esattamente come chi nella notte si pone sotto un lampione e chi rimane fuori dal cono di luce che questo irradia"11). L'architettura dell'evangelizzazione, insomma, è stata sempre capace d'evangelizzare.

Ogni chiesa è un fenomeno unico di questa dinamica, non un esempio casistico di una tipologia architettonica determinata. O è un fenomeno costruito per realizzare la dinamica dell'incarnazione, per dar luogo nella sua individualità, anche nel senso letterale del termine, all'incarnazione in tutta la sua ampiezza, o non è una chiesa. Se l'importanza, la funzione delle icone, riconosciuta dal secondo Concilio di Nicea, è che Cristo sta in esse, sta con la consistenza della Sua persona viva, carnale (e non semplicemente come rappresentazione di un'idea!), qual è l'importanza dello spazio ecclesiale, che integra in se stesso molteplici icone, che è una grande icona esso stesso?

Fin dalle prime tappe della sua evoluzione, lo spazio architettonico generato dal cristianesimo è modalità della presenza divina ed espressione riconoscibile della ricca totalità di una teologia che diventa un'estetica. È un popolo la cui immagine diventa architettura. Dice S. Paolo: "così dunque non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei Santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In Lui ogni edificazione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore. In Lui, anche voi, insieme con gli altri venite edificati per essere dimora di Dio per mezzo dello Spirito" (Ef 2,19-22). Non è altro il senso seducente dell'architettura che hanno costruito e di cui hanno goduto i popoli americani dopo l'evangelizzazione!

Penso che quanto fin qui detto, per adesso, sia sufficiente come suggerimento, come provocazione. Se questa visione dell'architettura, il cui incontro per me è stato così affascinante, permise di costruire un popolo, di costruire la persona dell'architetto stesso e di formare un patrimonio umano così inestimabile, pieno di amore verso le generazioni che sarebbero venute e verso la realtà che lo avrebbe preceduto, sarebbe inumano non rivolgersi ad essa tentando di capire la sua origine, non sentire anzi la nostalgia di essa.

I tentativi attuali nati dalla crisi della modernità (che al fondo spinge a non cambiare, a mantenere la sua essenza profonda), tentativi di riprendere una dimensione, una profondità che il discorso architettonico aveva perso, sono patetici. Noi architetti di oggi tentiamo di "rappresentare", con un'architettura "simbolica", una foresta di "simboli" presi dalla psicanalisi, dalla fisica o dall'occultismo, perché abbiamo radicata la convinzione atroce del fatto che non ci sia niente dietro questa foresta.

La storia, invece, ci dimostra un'altra cosa. La presenza di Cristo ha generato elementi fondamentali, basilari, comuni che si incontrano in Asia Minore come nel Nord Africa, sino agli estremi occidentali dell'Europa e nella nostra America, collegando l'Armenia con l'Inghilterra, il Messico ed il Cuzco, accogliendo senza alcuna limitazione le componenti etnologiche ed antropologiche locali. L'esperienza cristiana ha generato una nuova geografia che, basata sulla dinamica misteriosa dell'elezione, può oggi essere letta sul pianeta. Può essere letta a partire da queste chiese e cappelle, erette in posti determinati, fatti di pietre determinate ed in un istante determinato, dimore della presenza di Cristo nel mondo, collaboratrici con i cristiani come i terminali capillari di un sistema circolatorio che alimenta la terra, legato al particolare contesto fisico ed alle circostanze storiche precise nelle quali il Mistero, l'Essere, si è incarnato, si è fatto presente.

Tutte le cose, infatti, acquistano la loro consistenza da Cristo, ma una chiesa, per piccola che sia, risalta tra tutte le altre cose, mette in evidenza questo fatto (come il vergine, tra le altre persone), lo manifesta in modo unico ed unicamente si dedica ad esso, come si vede chiaramente nel caso dell'architettura dell'evangelizzazione americana, anche se ci troviamo di fronte a dei resti rovinati di San Francisco del Tocuyo in Venezuela o di una Reduccion in Paraguay.

È questo il modo con cui le costruzioni delle quali ho parlato partecipano anche in America alla generazione del nuovo popolo di Cristo: il popolo che si riconosce in tutto il mondo non avendo altra patria che quella Gerusalemme, visione dell'Apocalisse. Un'immagine così cara agli architetti del primo Impero Cristiano, immagine generatrice per eccellenza, nata dal Mistero e per il Mistero.

Che questo pensiero non abbandoni gli architetti di oggi affinché l'architettura ecclesiale possa ritrovare il suo significato, il suo valore comunionale, eucaristico, e così ritornare alla vita.

 

 

1 Conferencia general del Episcopado Latino-americano; Santo Domingo. Colleccion con Puebla y Santo Domingo numero 17. Caracas, Ediciones Tripode, 1992.

2 B. Moncada, En medio de la nada: arquitectura como signo cristiano, Mérida, Universidad de Los Andes, 1995.

3 "Non un 'criterio' da apprendere ma uno 'sguardo' da imparare", p. 10, Tracce, luglio-agosto 1995.

4 F. Chueca Goitia, Invariantes castizos en la acquitectura hispanoamericana, pp. 158-159.

5 F. Chueca Goitia, op. cit., p. 163.

6 Vedi Historia, giornale del Centro de Estudios Guadalupanos en Francia, n. 3, 1978, ed anche M. Vaillant, La civilizacion azteca, Mexico, Fondo de Cultura Economica, 1977.

7 F. Johnston, The wonder of Guadalupe, Tan Books, Rockford, Illinois 1980, p. 49.

8 F. Chueca Goitia, op. cit., p. 181.

9 P. Morandé, Partir nuevamente de una presencia y un hecho, Editorial El hilo rojo, Buenos Aires, 1992.

10 E.W. Palm, Estilo y Epoca en el arte colonial, Anales del Instituto de Arte Americano y de Investigaciones Esteticas, Madrid 1949, 2, p. 7.

11 I. De la Potterie, Esegesi: il luogo della vera adorazione, 30 giorni nella Chiesa e nel Mondo, Febbraio 1994, pp. 60-61.