Mercoledì 23 agosto, ore 15

TESTIMONIANZE: DALLA PARTE DELLA SPERANZA

Incontro con Elfino Mortati

Modera:

Maurizio Vitali.

M. Vitali:

(…) Da dodici anni è in carcere, un lungo tratto della sua vita nella sofferenza di una pena da scontare per reati legati al terrorismo. Lui è di Firenze e a tredici anni ha cominciato a militare nella estrema sinistra, evidentemente per un desiderio, anche intenso, di dare le proprie energie per costruire un mondo più bello, una vita più giusta. L'impegno militante è diventato militanza nel terrorismo fino al '78, quando viene accusato e arrestato per banda armata e associazione sovversiva. Comincia il carcere in diversi istituti di pena e di massima sicurezza: attualmente è a Sollicciano di Firenze. In questi anni ha cominciato a studiare Storia del cristianesimo per prendere la laurea: e non è stato solo uno studio intellettuale ma un incontro con persone concrete, col fatto cristiano, che ha segnato un cambia mento nella sua vita, della sua esperienza e della sua sofferenza dentro al carcere. In autunno uscirà anche un libro che Elfino Mortati ha scritto e il cui titolo è Dalla parte della speranza, editrice "Città nuova", in cui racconta la sua esperienza. Noi vogliamo ascoltarlo come un amico e un compagno di esperienza, con molta attenzione. Vogliamo ascoltare la storia di un uomo che ha sbagliato, perché l'uomo è un essere che sbaglia, e noi possiamo essere aiutati ad una percezione più giusta e più vera di che cosa sia il cristianesimo se prendiamo coscienza di questo (…).

E. Mortati:

La mia storia e quella dei miei amici ha attraversato tutto l'arco degli anni più difficili, fuori e dentro le carceri speciali, segnando passaggi di trasformazione lenti e complessi, ma comunque sempre sofferti e profondi. Ho cominciato a militare nell'estrema sinistra da giovanissimo. Per anni ho letto, studiato e approfondito il marxismo, cercandone poi la applicazione rivoluzionaria nella realtà. Nel corso degli anni '70 ho partecipato a quella corsa affannosa e disperata che, spingendomi su posizioni sempre più estreme, mi ha portato direttamente alla stagione tragica del terrorismo. In quel periodo, molti di noi erano spinti da un'autentica voglia di comprendere il mondo e di trasformarlo. Attraverso l'ideologia, la realtà si presentò a noi sotto forma di una lotta di classe assolutizzante e onnicomprensiva. Questa lotta ci avrebbe aperto le porte di una nuova società, ma l'attesa quasi messianica di questa si trasformò in fanatismo. Il valore della vita umana perse per noi il suo alto significato morale per essere sacrificato sull'altare della ragione positivistica. La morale stessa cessò di esistere sull'essere, per venire trasferita sul futuro. Morale è ciò che serve all'avvento della nuova società, questo ci ripetevamo spesso. Ad appena 18 anni, entrai in carcere. Seguirono anni difficili. Il processo di ripensamento e di autocritica non è stato facile. Quando il dubbio ha aperto un varco nella coscienza per trasformarsi poco dopo nella certezza dell'errore, non è stato facile accettare nella anima il peso della responsabilità tremenda, condivisa per anni nella logica delle mie scelte. Ma una nuova maturità ha preso forma anche su questa coscienza. Sono seguiti anni di impegno faticoso dentro l'istituzione chiusa (…).Inizialmente l'aiuto più grande l'ha dato il costante rapporto che ciascuno di noi ha avuto con la dimensione culturale. Il fondamento antropologico della cultura rimane l'uomo, con tutto il suo patrimonio morale e spirituale. Nei momenti più difficili, confusi dell'esistenza, anche quando tutto sembra crollare dentro e intorno a noi, la cultura riesce ad interpretare ancora un cammino di ripresa, di crescita. E questa è stata anche quella realtà che mi ha fatto avvicinare, inizialmente, ai testi che riportano la parola cristiana. Si potrebbe obiettare che se l'incontro con Cristo avviene nel campo culturale esso perde il suo carattere spirituale, per diventare argomento filosofico. E in effetti anche io pensavo che, avvicinandomi con la mentalità dello studioso, non avrei corso il rischio di essere influenzato da una possibile fede. Cultura è però sinonimo sempre di uomo, perché è ciò che da consistenza all'uomo e alla sua storia. E la cultura nasce dall'esperienza dell'incontro dell'uomo con ciò che è altro da sé. Incontro che alla fine diventa possibilità di incontrare se stessi. Nell'antichità, per esempio, l'incontro degli allievi con il maestro Socrate era l'incontro capace di ricondurre ciascuno a se stesso. Il vero maestro era colui che riusciva a rivelare l'interiorità. Cultura e incontro racchiudono il senso dell'umanità dell'uomo. Così, io credo, nessuno può tirarsi indietro dall'incontrare se stesso, quando avviene l'incontro per eccellenza, l'incontro con quell'evento unico nella storia che è Gesù di Nazareth. Giovanni, nel suo Vangelo, ci dice che il logos, la parola che crea e che è luce e verità, vive con l'uomo Gesù, ed egli è venuto sulla terra per dare a ciascuno di noi questa verità. Leggendo queste parole, ho per la prima volta capito quanto profondo legame ci sia tra la nostra capacità di ragionare, capire, interpretare e il mistero di quell'evento che rivela nell'intimo di noi stessi questa capacità. L'avvenimento cristiano si mise così in luce, ai miei occhi, sia come fatto profondamente culturale (il più importante della nostra storia) e sia come manifestazione di fede. Quest'ultimo aspetto mi ha necessariamente costretto a confrontarmi con la presenza del mistero di ciò che di altro e di più grande c'è in noi e che spesso ci determina. Una presenza che, naturalmente, non si può ridurre a una comprensione logica e intellettuale. Ma anche una presenza che si può manifestare in qualsiasi momento della vita umana, offrendo a colui che ne acquista coscienza, in qualsiasi situazione si trovi, una eccezionalità di cammino. E infatti, negli anni più bui della mia condizione di detenuto, l'incontro con Cristo ha avuto un significato materiale di cambiamento senza precedenti. Fino ad allora, avevo cercato verità e giustizia nella lotta per cambiare il mondo, ma l'inquietudine e l'insoddisfazione del cuore non trovavano pace. Poi, la tragedia delle mie scelte assurde e ancora l'inquietudine della ricerca. Ma dal momento in cui ho vissuto l'incontro con Gesù, il cammino che si è aperto non ha fatto altro che indicare me stesso Tutto ciò che ho vissuto da allora, da un lato mi ha progressivamente affermato nella mia individualità, rivelandomi potenzialità e soggettività, dall'altro mi ha fatto vivere qualsiasi cosa come un dono di quel totalmente altro che vive in noi e sopra di noi e dunque relativizzando qualsiasi mio gesto. In una lettera aperta che ho scritto l'anno scorso dopo la tua visita al Meeting e pubblicata sulla rivista "Litterae Communionis", ho avuto modo di affermare: "Quando l'evento dell'incontro si realizza, cambiando la vita e chiamando l'interessato a essere una persona nuova e a essere egli stesso testimone di questa novità, è inevitabile vivere pienamente quella speranza di redenzione che alberga nell'intimo più segreto di ogni uomo. E quando questo avviene che ogni evento nuovo, ogni esperienza, ogni incontro, non si percepisce più come casuale, ma come parte di un disegno più ampio". Una grande occasione di maturazione e un terreno di verifica concreta della mia fede, è stato il Sinodo della Chiesa di Firenze. Quale può essere il vero, profondo, sconvolgente significato della presenza di un carcere nei lavori per il Sinodo della Chiesa locale? Ciò che la Chiesa di Dio vuole realizzare, attraverso il Sinodo diocesano, è l'unità di tutto il suo popolo. Questa considerazione evidenzia quanto la Chiesa sia al tempo stesso luogo della presenza del Cristo e soggetto inviato ad annunciare e rendere reale tale presenza nella vita degli uomini. È difficile parlare di questa presenza e delle sue conseguenze, se non si opera in modo tale che essa riesca davvero a raggiungere qualsiasi luogo, qualsiasi persona. L'istituto di pena, per sua stessa natura, è luogo ultimo della città, luogo di sofferenza e di marginalità; una zona di confine molto spesso dimenticata dalla società. Entro queste mura vengono rinchiuse tutte quelle persone che hanno apertamente e radicalmente sbagliato e molte di esse, probabilmente, continueranno a sbagliare anche domani. Un contenitore di, confine, dunque, dove la punizione diventa il simbolo di una impossibile vendetta riparatrice (…). La presenza dei detenuti di Sollicciano nel cammino sinodale è un grande segnale di speranza. Riunire insieme un gruppo degli ultimi uomini della città, prodotto della disperazione, dell'errore e dell'emarginazione e restituirgli la parola, la critica, la riflessione, secondo i principi del Vangelo, ha assunto nel carcere un significato concreto di cambiamento e di apertura dei cuori verso quella vita nuova e quella storia di pace che Cristo offre a qualsiasi uomo, qualsiasi cosa abbia fatto. E così, nel luogo più impensabile, si è fatta realtà una esperienza di comunità; quell'amicizia fra molti che, dispersi prima nella confusione e nell'errore delle proprie storie individuali, si sono riuniti nel faccia a faccia dell'unità. L'impegno personale è diventato allora l'appoggio di ognuno a tutto quanto è possibile fare nel cammino, dentro e fuori dal carcere, verso la pace, la solidarietà, la libertà (…). Una libertà intesa innanzitutto come energia che fa aderire alla responsabilità del sentirsi inseriti in un contesto collettivo. Il carcere è privazione della libertà, ma è anche angoscia, inutilità, abbrutimento. Incontrare Cristo nelle mura del carcere ci ha anche restituito il senso della libertà, non quella di fare quello che ci pare, non quella dai vincoli o dai legami, ma quella che ci restituisce il senso della vita, quel senso che vive in ognuno di noi e che nell'angoscia e nella disperazione l'uomo di confine ha perso. Un senso che nasce quando realizziamo quello che siamo, quando individuiamo la nostra personalità e con essa le responsabilità che conseguono nel vivere insieme ad altri. Quel senso di verità del nostro essere che nasce dall'incontro con ciò che lo realizza compiutamente. Il significato della libertà di qualsiasi personalità è il suo rapporto rispettoso con le altre individualità e il significato di ognuno è il rapporto con il totalmente altro che ci ha creato. La disperazione nasce nel carcere, dalla mancanza assoluta di prospettive e possibilità. Quando vengono meno gli orizzonti della speranza e la privazione diventa quotidianità paralizzante, viene meno la dignità dell'uomo e con la sua mancanza può emergere, drammaticamente, l'estremo gesto di rivolta. La legge Gozzini ha restituito la speranza della possibilità e in questo senso ha aperto nuovi e promettenti spiragli di luce nel mondo carcerario. Ma questo particolare pianeta è ancora pieno di numerose zone d'ombra. L'istituzione segregativa agisce ancora, con la sua separatezza e la sua ineliminabile promiscuità, come agente attivo nella esasperazione della quotidianità. Noi abbiamo sperimentato un nuovo modo di vivere quell'orizzonte di liberazione che tutti dentro a un carcere sognano (…). La consumazione completa che avviene nelle esperienze estreme sembra dirci che l'uomo è trasparenza di Dio e che il dolore è un elemento fondamentale dell'esistenza umana. Quando ci siamo ritrovati attorno alla parola di Cristo e abbiamo riconosciuto queste cose dandogli un significato, ci siamo sentiti privilegiati. Riconoscere ciò che di grande ci viene offerto implica, però, anche predisporre il cuore ad un atteggiamento novo: è passare dalla parte della speranza. Il senso che la nostra storia di carcere vuole comunicare, va al di là di ciò che appare nella drammaticità del quotidiano. È il profondo stesso della proposta cristiana: la ricerca della vita e della verità che all'improvviso ci offre l'amore. Nella sintesi delle sette schede sinodali, che completavano la prima fase del sinodo, abbiamo scritto: "Il Cristo evangelizzatore è entrato nelle mura del carcere e ha chiamato noi detenuti ed ultimi uomini al confine della città, per partecipare alla promozione di una Chiesa fiorentina evangelizzatrice (…). Sinodo significa camminare insieme ed è per questo che abbiamo colto questa importante occasione di apertura verso il mondo della città, per richiamare noi stessi e tutti i cittadini al grande significato di valore morale che assume per chiunque la parola stare insieme, muoversi insieme, affratellarsi verso un'unica direzione. Per noi ultimi della città, in quanto prodotto della devianza sociale, il Vangelo dentro le mura della nostra detenzione, la parola del Cristo, ci ha offerto un mondo nuovo e insieme ad esso la stessa possibilità di guardare al futuro con la forza della speranza. L'amore che abbiamo imparato a riconoscere in quello che ci viene offerto da Gesù, è vissuto in qualche modo nello stare insieme che il lavoro sinodale ci ha offerto: è l'amore che ha cercato di essere detto, narrato e in ultimo scritto, emergendo qualche volta con entusiasmo e qualche volta con dolore e rabbia e che si pone il fine di diventare contagioso nella vita di tutti gli uomini, qui dentro come fuori da queste mura. Diamo il nostro umile contributo, nella speranza più grande che la città e la comunità dei fedeli ci accolgano come fratelli e ci vengano incontro accogliendoci con la stessa gioia di Gesù (…). Ci sentiamo riempire di gioia al solo pensare a quella storia di pace e di vita nuova che Cristo offre a qualsiasi uomo, qualsiasi cosa abbia fatto, perché diventi liberante nel cuore di tutti". Voglio fare un'ultima considerazione: nessuno può scommettere sul futuro di chi è rinchiuso entro i confini dell'istituzione penale, ma chiunque può contare nella possibilità di maturazione e cambiamento che viene offerta dall'incontro con tutto ciò che sta al di là di quelle mura. È attraverso l'incontro che Dio chiama gli uomini a cambiare. Il problema dell'incontro riguarda tutta la società e non solo il mondo del carcere. Una società povera di incontri, in fondo, è anche una società povera di verità e libertà.

M. Vitali:

Questo applauso dice molto meglio di qualsiasi parola la simpatia e la profonda condivisione che ognuno di noi ha provato di fronte alla sua persona e alle cose che ci ha detto. Se il desiderio è vero, forse un incontro può di nuovo redimerlo, e trasformare il male stesso, senza togliere la fatica e la sofferenza, trasfigurarlo in un cammino di bene. Ringraziamo per questa testimonianza Enfino e tutti i suoi familiari ed amici che lo hanno accompagnato.

Segue un lungo dibattito col pubblico.