domenica 26 agosto 1990, ore 1700

IL FASCINO DISCRETO DELLE DIVISE:

IN VERSO UN MONDO DI PROTETTI E PROTETTORI

Incontro con:

MAURO ANSELMO Giornalista de La Stampa

DOINA CORNEA Esponente del Movimento Cristiano Contadino Rumeno

LEO MOULIN Docente di Lettere e Filosofia presso l’Università di Bruxelles

MODERA:

GIANCARLO CESANA

Apre l'incontro il Sindaco di Rimini, Marco Moretti che porta al Meeting il saluto della città.

M. MORETTI: Buon pomeriggio. In questo breve saluto voglio innanzi tutto porgervi il caloroso benvenuto dell'Amministrazione comunale e dell'intera città. Sono undici anni che Rimini è scelta come sede delle giornate del Meeting a conferma di un rapporto duraturo, positivo e fecondo. Non voglio qui sottolineare le forme di collaborazione e di compartecipazione che esistono tra la municipalità e questa manifestazione, ma solo l'evidente reciprocità che ci lega. Con soddisfazione osservo che Rimini è diventata il proscenio ideale per investire il grande capitale di comunicazione, di cultura e di testimonianze, rappresentato dalle giornate del Meeting. Ricordo proprio che anni fa, in un'anteprima del suo Nostalgia, il regista Tarkowsky individuò nel Meeting un avvenimento che esaltava la vocazione cosmopolita di Rimini. Scorrendo il fitto programma di questa undicesima edizione appare, ancora una volta, chiaro come queste giornate sappiano affacciarsi nel mondo e confrontarsi con i grandi avvenimenti che hanno coinvolto la società contemporanea. Cito solo alcuni ospiti: Lech Walesa, leader di Solidarnosc, Elena Bonner, moglie di Sacharov, Doina Cornea, dissidente rumena, monsignor Joseph Misue, vescovo di Hiroshima e Hitoshi Motoshima, sindaco di Nagasaki. Lo stesso nucleo centrale di riflessione proposto dalla trilogia " Ammiratore Einstein Thomas Becket" coinvolge e non può lasciare indifferenti perché si apre agli interrogativi dell'uomo, di qualunque uomo del nostro tempo. La ravvicinata correlazione tra ragione e ammirazione svela, nella sua semplicità, quella spinta, quella forza, per alcuni visibile e consapevole nella fede, per altri inspiegabile, che guida l'uomo nell'agire, nel costruire, nell'appassionarsi al proprio e all'altrui destino. L'insondabile mistero di cui parlava Einstein in qualche modo ci mette al riparo dall'illusione d’onnipotenza della ragione, dal tentativo di trovare nella ricerca, nella sperimentazione, nell'attività scientifica tutte le risposte e le certezze. Più la ragione indaga il mondo, allarga le conoscenze, costruisce nuove macchine, sempre di più l'ammirazione deve impedirci di cadere in quel labirinto tecnologico che rischia di farci perdere il gusto di scoprire e la capacità di meravigliarci ancora.

Credo che gli avvenimenti drammatici e straordinari insieme dell'Est europeo, così presenti in questi otto giorni del Meeting, evidenzino questa necessità dell'uomo a ricercare sempre nuove risposte sul mondo e sul futuro, sgretolando teoremi, ordini di pensiero e simulacri di grandi rivoluzioni perdute. Nel rinnovare agli illustri ospiti italiani e stranieri e ai numerosissimi giovani presenti a questa edizione del Meeting il saluto di benvenuto, auguro a nome mio e dell'intera città un lieto soggiorno a Rimini. Grazie. G. CESANA: Ringrazio anch'io molto il Sindaco di Rimini perché dobbiamo riconoscere che la città di Rimini sempre, ma soprattutto in questi ultimi tempi, ha dato spazio a quello che noi vogliamo dire e vogliamo essere perciò non possiamo non essere grati a questa Amministrazione. Adesso do lettura dei telegramma molto bello che ci ha inviato il Presidente della Repubblica Cossiga: "Sono lieto di inviare un fervido e cordiale saluto augurale ai promotori e a tutti i partecipanti ed all'undicesima edizione del Meeting per l'amicizia tra i popoli. L’incontro di Rimini si traduce ancora una volta in un accorato e pressante invito rivolto ai popoli ed a tutti i cittadini del mondo ad analizzare, ad approfondire senza riserve i segni del nostro tempo perseverando in un cammino d’esplorazione e ricerca che va affrontato nel segno di una curiosità operante senza pregiudizi e di un’incondizionata disponibilità nei confronti del nuovo e dell'imprevisto. Con coraggio, con lungimiranza, con felice intuizione il convegno si prefigge quindi di volgersi ad un tema arduo, ma al tempo stesso avvincente quale quello dell'inesauribile desiderio dell'uomo di comprendere e di conoscere ed in questa impresa è di conforto e d’ispirazione l'esempio di tutti coloro i quali, sin dall'albore della storia, hanno perseguito il raggiungimento di una razionalità non parziale né limitata o divisa, ma articolata e capace di dare all'uomo il senso ultimo del suo indagare. Solo per mezzo di una ricerca siffatta, che valga effettivamente a travalicare e a comporre i contrasti e le contraddizioni, l'uomo potrà conquistare un'autentica libertà immune dai dannosi condizionamenti di chimere ideologiche e d’astratti dogmatismi per aprirsi concretamente ed attivamente al dialogo in vista della solidale e condivisa costruzione di un edificio ideale nel quale ospitare e continuamente verificare il significato più profondo della condizione umana. Con questi sentimenti e con questo auspicio, rinnovo a tutti il mio partecipe augurio di sereno e proficuo lavoro. Francesco Cossiga. Mi sembra che sia veramente un gesto d’amicizia e i fatti superano sempre le opinioni, come sapete benissimo. Pavese affermava che non c'è nessun pensiero, nessuna decisione che abbia l'inevitabilità di un fatto. Adesso cominciamo la tavola rotonda di oggi il cui tema mi sembra veramente interessante perché se il totalitarismo impone le divise, la tolleranza, secondo me, le facilita.

Non è che ci siano poi nella sostanza mutamenti molto profondi. Do subito la parola al professor Leo Moulín.

L. MOULIN: Cari amici, comincerò dando una prima definizione della parola totalitarismo: è un regime a partito unico che non ammette nessuna opposizione organizzata nel quale il potere politico, cioè il partito, governa sovranamente e tende a controllare, a confiscare la totalità di tutte le attività della società e dunque tutte le attività dell'uomo secondo un'ideologia globalizzante. Tutti devono partecipare attivamente all'edificazione della "città del sole", della quale parlava il precursore del totalitarismo Tommaso Campanella, tutti sono necessariamente mobilitati. Gli uomini della Rivoluzione francese e più tardi anche Lenin, affermavano che astenersi era un delitto contro la rivoluzione. Si istituiva così il sistema della delazione e l’abolizione della vita privata. Anche se non è crudele, sanguinoso, oppressivo, poliziesco, ma non è mai stato il caso. un regime totalitario rimane totalitario perché la sua natura non si definisce coi soli criteri della violenza, ma come una volontà di controllare l'uomo, il cittadino al cento per cento o meglio di organizzare la sua vita, i suoi tempi liberi, di distruggere le forze vitali, religiose, artistiche, scientifiche che non sono in grado di controllare. Il Franchismo, ad esempio, il Fascismo italiano, i regimi del portoghese Salazar o del cileno Pinochet non sono tipicamente totalitari; sono autenticamente totalitari invece il regime nazista, il regime comunista e tutti gli altri fra cui il rumeno, il cinese, 'albanese, il coreano, il cubano. I capolavori del genere, i modelli perfetti, sono il regime nazista e quello sovietico e sono, oggi, tutti morti o moribondi. Come spiegare questo fenomeno? I regimi totalitari sono recenti dal punto di vista storico, sono un fenomeno di società moderna, costruito e sviluppato sull'idea che l'individuo non conta, conta solo lo stato, la razza, il partito, l'umanità, la classe operaia, la nazione. Per gli utopisti rinascimentali come Moro o Campanella, per i movimenti rivoluzionari della Francia del 1789 o per i socialisti detti utopici o scientifici, per i nazisti o per i comunisti la società ideale è sempre stata rappresentata dal formicaio, dall'alveare, dunque senza la minima autonomia dell'individuo che è annientato, sciolto nella comunità. Un origine intellettuale o, piuttosto, religiosa del totalitarismo sta nella negazione della distinzione fatta da Cristo tra Cesare e Dio: rendete a Cesare le cose che appartengono a Cesare e a Dio le cose che appartengono a Dio. In termini di teologia direi che se Dio inghiotte Cesare abbiamo a che fare con una forma particolare di teocrazia, di totalitarismo religioso. Invece, ed è il caso dei totalitarismi moderni, se Cesiare inghiotte Dio abbiamo a che fare con il Cesarismo o con i movimenti e i regimi totalitari. Naturalmente sappiamo tutti che durante il Medioevo abbiamo potuto assistere al conflitto duro, violentissimo tra la volontà espansionista del Papato e la volontà espansionista totalitaria dei regimi politici. Né la Chiesa, né l'Impero sono riusciti ad imporre la loro visione del mondo, sicché non c'è mai stato un regime totalitario nel senso proprio della parola. Al contrario di quello che dicono alcuni, né la democrazia borghese dei secolo passato, né la Chiesa sono stati mai un totalitarismo. In fondo il sogno d’ogni volontà totalitaria, di Ceausescu, di Lenin e anche della Rivoluzione francese, è quello di negare il peccato originale per delineare l'immagine di un uomo senza debolezze, plasmare quindi un uomo nuovo, una razza pura, un militante al servizio di un'ideologia che serve una minoranza cosciente ed attiva (il partito). L’idea di Pelagio, l'avversario di Sant'Agostino, è che l'uomo può, se vuole intensamente, essere in stato di non peccato. L l'uomo di Rousseau, naturalmente buono; è l'uomo prometeico, del marxismo, è l'essere di pura ragione dei lumi. La nostra società è al riparo da una certa tendenza gregarizzante, massificante? Purtroppo è sul cammino di una forma degradante di totalitarismo strisciante. Fra i numerosi fattori che possono spiegare questa evoluzione è la domanda ansiosa di protezione ad ogni costo, anche a prezzo della perdita della libertà e della nostra dignità d’uomo. Abbiamo ormai, e si vede oggi più che mai, paura di tutto; l'uomo d’oggi cerca il caldo del branco, le comunioni gregarizzanti. Il guaio sta nel fatto che la nostra società risponde a questa domanda di protezione al cento per cento; esistono ormai assicurazioni per tutto, persino contro la pioggia durante i giorni festivi, o contro l'incidente che impedisce di partire in vacanza. Si può anche sottoscrivere una controassicurazione che vi rimborsa in parte il costo dell'assicurazione e così di seguito.

Domandiamo la protezione della società, dello stato, dell'amministrazione, della sicurezza sociale, di tutti contro tutto, ma domandiamo tutti insieme di essere trattati coi riguardi dovuti ad un adulto, un cittadino, un uomo che in verità non siamo più e protestiamo contro il costo enorme di tutti questi mezzi di protezione. Qualcuno potrebbe dire che è più gradevole essere coccolato tutta la vita nel grembo della società, rimanere come Peter Pari sempre bambino, non affrontare questa realtà inesorabile e fuggirla piuttosto, come fanno certi studenti molto studiosi che manifestano la volontà di proseguire gli studi per cinque, dieci o quindici anni, evitando così di incontrare le dure esigenze della vita moderna, per rimanere nel bozzolo magico dell'assenza totale di responsabilità. Ma io ritengo che voler essere protetti contro tutto è proprio la negazione della dignità umana e anche la negazione della sensibilità, della fede cristiana. Nella Genesi gli angeli dicono a Lot in Sodoma: "Scappa, per l’anima tua!. Non guardare indietro. Sono i vecchi che vivono nel loro passato, il cristiano dovrebbe vivere nel suo divenire, è un uomo d'azione, attiva o contemplativa. E non fermarti nella pianura: scampa verso il monte La vita non è una pianura, una serie di cose facili, senza problemi, senza difficoltà, bisogna lottare duramente. Ma Lot, come tutti noi, si lagna, ha paura, non vuole affrontare le difficoltà e dice: Io non potrò scampare verso il monte, il male mi raggiungerà onde io morirò". La cosa più importante per lui è vivere, ad ogni costo. Un'altra citazione dalla Bibbia: Cristo dice al paralitico "Levati e cammina" senza bastone, senza aiuto dagli altri e aggiunge levati, togli il tuo letto e vattene a casa tua" cioè prendi su di te il peso delle cose della vita, della vita stessa, e non essere uno di quelli di cui parla San Benedetto sempre in giro, mai stabili, asserviti ai propri capricci". Devi la casa familiare, la stabilità, la tradizione, la tua fede. E San Paolo avere uno scopo: " Finché ci scontriamo tutti in stato d’adulti alla misura dell'età matura del corpo di Cristo". In Colossesi 1,28 aggiunge: `Ammaestrando ogni uomo in ogni sapienza che presentiamo ogni uomo compiuto in Cristo". San Paolo dice ancora che i cristiani adulti o compiuti, cioè uomini che hanno raggiunto il pieno sviluppo della vita e del pensiero cristiano, è ora che si risveglino dal sonno, perché chi sonnecchia scrolla la testa, dice di sì dice mai di no perché non sveglio. Chi vuol essere protetto trova sempre un protettore ma questa è la via sicura della servitù. Vi propongo di affrontare la vita da adulti.

G. CESANA: Ringrazio molto il professor Moulin per la lucidità con cui ha definito la pretesa globale che il totalitarismo ha sulla persona, ma anche per l'indicazione dei pericoli che corriamo oggi, perché noi come cristiani pur non essendo in una società totalitaria, almeno qui nell'Occidente stiamo subendo gli effetti di una persecuzione più efficace di quando c'erano i leoni. D’ora la parola a Doina Cornea, rumena, cattolica di rito orientale, che è la voce, più appassionata del dissenso nel suo Paese. Lei ha chiesto di essere presentata come una

testimone, il professor Moulin ha detto come un motore della liberazione. Ascoltiamo.

D. CORNEA: Ringrazio gli organizzatori del Meeting, ringrazio l'Italia, e gli italiani per l’accoglienza. la prima volta che vengo in Italia e per noi rumeni, che ci sentiamo latini, l'Italia rappresenta qualcosa di straordinario. Dovunque, dove il sistema comunista totalitario è in opera nel mondo, e lo so per esperienza, rovescia letteralmente l'ordine naturale delle cose, ordine costruito sulla base d’esperienze collettive da molti secoli, distrugge il sistema di valori, il sistema di concetti culturali e religiosi, le strutture e i concetti politici, sociali, economici. I nuovi concetti proposti dal comunismo sono viziati nel loro principio e portano a blocchi nel campo della riflessione e dell'azione, blocchi insormontabili per tutta la società. Una società comunista diviene inevitabilmente una società colpita da entropia. I suoi sistemi d’autoregolazione e di rinnovo sono paralizzati. Quali sono dunque questi vizi fondamentali che paralizzano tutto? Anzitutto il comunismo parte dalla svalutazione di tutta una visione metafisica e attribuisce un valore assoluto al pensiero materialistico e riduttivo con tutte le conseguenze che possono derivarne: la predominanza di una causalità meccanica, della quantità e della forza della materia sullo spirito. Trasposti nell'orizzonte della società umana, questi vizi di principio comportano la predominanza del determinismo economico sulla vita sociale, sul politico, sulla morale, sulla spiritualità; la predominanza del potere, il centralismo, il culto dello Stato e del Conducator, il duce; la negazione della libertà dell'uomo in quanto essere morale individuo è responsabile dinanzi al potere costituito.

Il comunismo si basa ancora su un falso principio d’uguaglianza che è omogeneizzante e che va contro le leggi fondamentali della vita perché la vita è eterogeneizzante. Il trasferimento del principio d’uguaglianza, riguardante le relazioni sociali dell’individuo di fronte alla legge, alla realtà essenziale della vita che non è retta dall'omogeneità ma dall'eterogeneità, dalla diversificazione, dalla selezione e quindi questi trasferimenti comportano i più grandi blocchi nel comunismo. Questi blocchi sono l'incapacità di promuovere il nuovo e il valore, la ripetizione dell'identico fino a saturazione, la stagnazione, la mozione della mediocrità e infine il centralismo. Il pensiero materialistico riduttore opera ancora come uno specchio deformante dandoci una falsa immagine del mondo; questa immagine, per renderla credibile, bisogna giustificarla ad ogni costo dinanzi alla gente ed è appunto nella giustificazione filosofica dell'utopia comunista che bisogna ricercare le radici della menzogna generale che prolifera in seguito come un cancro nelle società comuniste. t per questo che il comunismo non si basa su un'aspirazione verso la verità, bensì sulla preoccupazione della giustificazione logica delle sue false premesse. Infine e come conseguenza assistiamo ad uno sviluppo mostruoso del otere dello stato strutturato in un sistema piramidale, che non potrebbe reggere senza la costituzione di metodi repressivi che sono gli unici efficaci dinanzi alle esigenze della vita, oppure dinanzi all'impoverimento progressivo della popolazione. Eppure, paradossalmente, il potere di stato tende ad esprimersi sia tramite la forza, sia come oggetto di contemplazione offerto alle masse manipolate sostituendosi al concetto di divinità (e qui credo di riallacciarmi alle idee del professor Moulin).In conclusione, nel comunismo il rapporto tra l'individuo e il potere diviene sproporzionato e squilibrato. Per questo, sia colui che è al potere sia colui che non lo ha più sono sottoposti ad una grave usura morale. Il primo commetterà abusi, erigerà la menzogna come legge per legittimare il proprio potere, farà appello alla violenza per conservare questo potere. Partendo da tali posizioni la via verso il dialogo e la sincerità gli rimane definitivamente chiusa. Il comunismo non si basa sui criteri di funzionamento specifici della vita e dello spirito, il comunismo non si basa sulla verità. Quanto all'individuo senza potere, il comunismo lo priva anche del proprio sistema di valori morali e materiali, la sua dipendenza dallo stato lo obbliga addirittura ad accettare la menzogna divenuta legge, lo sgomento morale, l'asservimento della propria coscienza, la corruzione ed infine lo priva della propria dignità e della propria libertà; in altri termini lo disumanizza. L la degradazione dell'uomo che in fin dei conti è il pregiudizio più grave che il comunismo apporta nella società. Ed è anche ciò che spiega le difficoltà che devono affrontare i paesi dell'Est mentre si trovano sulla via del ritorno alla democrazia. Parlerò ora della via specifica del mio Paese, la via che sembra aver scelto, e parlerò anche delle convulsioni che si erigono su questa via. Il popolo rumeno deve la sua liberazione dal regime totalitario di Ceausescu ai sacrifici e al coraggio di tutta una giovane generazione. Questa esplosione della purezza morale dinanzi alla corruzione di un sistema è stato per i miei occhi un miracolo. La rivolta dei giovani è stata una rivolta per l'instaurazione della democrazia contro il sistema comunista. La purezza morale nel nuovo regime dovrebbe essere l'unico potere legittimo. Tuttavia questa forza si è rivelata purtroppo minoritaria, quarant'anni di comunismo hanno lasciato al popolo rumeno una pesante eredità. Dopo alcune settimane di libertà, di speranza e di beatitudine ci siamo resi conto che siamo un popolo malato, che una dittatura è caduta semplicemente per lasciare il posto ad un'altra. Era possibile? Sì questo era possibile poiché gli strascichi dell'ideologia comunista totalitaria sono rimasti attivi nella mentalità della gente, sia della gente che ci dirige che della gente che è diretta. Nel potere instaurato coloro che sono malati di comunismo continuano a proclamarsi democratici, ma questa proclamazione non è sufficiente. Per mettere in luce queste sequele, veri e propri fantasmi del comunismo morto, prenderò come criterio d’analisi la posizione che si può avere nei confronti del potere nella società rumena post-totalitaria: la posizione, anzitutto, del potere stesso nei confronti del proprio potere, poi la posizione di coloro che non ne hanno nei confronti di questo stesso potere, ed infine la posizione di coloro che hanno trovato o che trovano risorse di fronte al potere nella loro forza spirituale. La posizione del potere nei confronti del potere stesso è di conservarlo e di legittimarlo ad ogni costo. In questa relazione le sequele ideologiche del comunismo possono facilmente essere riconosciute. Come forma di governo, ad esempio tentano di accreditare il concetto della democrazia originale. In questa restrizione della nozione di democrazia appare il timore più o meno cosciente della libertà e dei valori democratici reali. E questo in virtù dei concetti errati di potere e di centralismo. I nostri attuali dirigenti sono incapaci di liberarsi dalla loro mentalità totalitaria poiché non vogliono riconoscere la trascendenza, provano un timore atavico nei confronti della libertà dell'altro. I dirigenti comunisti sono incapaci di capire che la società è un'entità che vive e che loro stessi hanno bisogno, perché la società funzioni normalmente, della libertà degli individui, di questo spazio, dell'iniziativa, ma anche della responsabilità morale. Distruggendo un tale spazio di libertà, distruggono la coscienza morale, la creatività, la responsabilità degli individui. A causa dei loro errori di pensiero si oppongono alla rigenerazione della società, alla rinascita dei valori democratici.

Un altro errore comunista nei concetti dei nostri attuali dirigenti riappare nel fatto che ricorrono alla tattica totalitaria di monopolizzazione della realtà: anziché mettere la propria immagine del mondo in accordo con la realtà, vorrebbero che la realtà stessa si piegasse alla loro immagine del mondo. Quindi il blocco permanente di tutte le sfaccettature della vita sociale nel marasma e nella mistificazione. Così la televisione e la stampa ufficiale offrono immagini deformate dei fatti e allo stesso tempo delle immagini destinate a deformare le coscienze. Le conseguenze di un tale monopolio di stato sulla realtà sono gravissime, sia per i nostri dirigenti sia per coloro che dirigono. 1 nostri governanti si mettono così nell'impossibilità di riconoscere i loro propri errori e di conseguenza nell'impossibilità di correggerli. Così incaricano gli altri di torti immaginari. La società rumena attuale è già bloccata in una rete sempre più fitta di mistificazioni, di calunnie, di messe in scena organizzate dal

potere che mirano così come dicevo a mettere in accordo la realtà con la versione ufficiale dei fatti. Questo immerge la nostra società nello sgomento e la spinge verso l'odio e la divisione. Vorrei dare alcuni esempi di questa messa in scena: gli scenari delle contro-manifestazioni di quest'inverno a Bucarest, l'attacco della televisione, l'incendio delle macchine della polizia, che sono serviti a far venire i minatori a scopo di ridurre al silenzio le forze d'opposizione. Poi il governo ha dato la propria versione dei fatti: colpo di stato di tipo fascista il 13 giugno. Un altro complesso dei nostri dirigenti attuali è il complesso della legittimità, legato di anche questo alla monopolizzazione della realtà e il cui obiettivo è la falsificazione della storia, la distruzione della nostra memoria collettiva. Dal primo istante si sono autodesignati come un’emanazione della rivoluzione nascondendo la loro vera identità meno nobile e che ricorda piuttosto il complotto, un complotto organizzato da una fazione comunista contro un'altra fazione comunista. La loro legittimità rimane dunque discutibile e si accompagna ad un complesso di colpevolezza ed inferiorità; se non ché l'impostura risveglia un sentimento d’insicurezza in loro, in coloro che la praticano ed il sospetto da parte degli altri nei loro confronti. A causa di questa mentalità che ci è venuta dal totalitarismo comunista che ha il monopolio del potere poco di ciò che è stato promesso nella proclamazione del 22 dicembre rimane attualmente in piedi, è stata promessa l'autonomia delle istituzioni eppure si continua a subordinarla agli interessi del potere e penso in particolare e soprattutto alla giustizia, poiché ultimamente essa ci ha fornito la dimostrazione della sua infeudazione al potere centrale attraverso il modo con cui sono stati arrestati i manifestanti della piazza dell'università e per la maniera in cui sono stati istruiti i dossier.

E’ stata promessa una legislazione democratica ma le nuove leggi sono sempre più restrittive e le procedure messe in atto per la loro adozione nel parlamento sono sempre più violate; se si sono abrogate numerose leggi poco significative per un'apertura democratica del paese, si è mantenuta tutta una serie di leggi essenzialmente restrittive. Malgrado le promesse ripetute da parte del governo, si è aspettato invano una legge sulla stampa veramente democratica, una legge che assicuri l'autonomia delle università, un'altra che dia una base legale alla proprietà privata, un'altra riguardante l'insegnamento privato.

L stato abrogato, è vero, il decreto del 1948 secondo il quale si era soppressa la Chiesa cattolica di rito orientale: oggi questa Chiesa ha finalmente ritrovato uno statuto legale. In cambio non le è mai stata resa una sola delle sue chiese. Di conseguenza i nostri preti greco-cattolici celebrano la Messa ogni domenica ancora oggi sulle piazze pubbliche. Ed è ancora in base a questa incapacità psicologica dei nostri dirigenti di adattarsi al liberalismo, alla tolleranza e al dialogo sulla base delle leggi e dei trattati in vigore che il potere a poco a poco ha riattivato le unità della Securitate, la polizia politica, ricorrendo anche ogni tanto alla forza brutale dei minatori organizzati in commando pilotati dalla Securitate. In questo modo è stato periodicamente sostituito e si continua a sostituire lo Stato di diritto con un regime di terrore sanguinario.

Si è promesso anche il pluralismo politico, ma i dirigenti d’oggi non sono neppure capaci di vedere nei partiti d'opposizione degli avversari politici, certamente di un altro parere, ma almeno necessario quanto loro per il funzionamento della democrazia. Vedono in questi, secondo il cliché staliniano, nemici, traditori fasdsti che devono essere eliminati. E si potrebbe dire che sempre per questi motivi provano una uguale paura nei confronti della proprietà privata che anch’essa mette in pericolo H monopolio assoluto dà potere nello stato. Ecco quindi qual è la posizione dei dirigenti nei confronti del popolo è Me. Esamineremo cm la posizione dinanzi al potere del comune cittadino, liberato da coli poco dal totalitarismo comunista. Da otto mesi è letteralmente preso in una rete sempre più densa di mistificazioni, di disinformazione, di calunnie dirette dall'ombra, istituzionalizzate e di esplosioni di violenza. Si può in queste condizioni pretendere da parte di questo comune cittadino che modifichi la proprie relazioni nei confronti del potere? Poco tempo fa le uniche risposte chi che poteva dare al potere erano la corruzione, la complicità, il conformismo. A volte la resistenza silenziosa e molto raramente l'opposizione aperta. Il conformista, questo complice malgrado tutto, costretto dai fatti, ha già da molto tempo perso la propria libertà interna, per lo meno in pane Ha perso i suoi riferimenti morali, i suoi criteri di giudizio dei valori. In tali condizioni e tenendo conto delle facoltà di giudicare, quasi totalmente ambientate da questi anni di comunismo, quest'uomo può ancora essere reso responsabile dalla sua mancanza di orizzonte politico? t un essere talmente facile da manipolare oggi, vittima potenziale di tutte le manovre ideologiche, politiche così facili da realizzare quando si ha in pugno la stampa e la televisione! Questo spiega ampiamente il risultato delle

elezioni del 20 maggio. La maggioranza dei rumeni ha votato per il fronte. Alcuni erano convinti che votavano per E democrazia pur votando per il fronte; altri hanno votato per questo gruppo neo-comunista solo perché erano convinti che avrebbe loro permesso di mantenere le abitudini acquisite durante il comunismo, abitudini e sono inerzia, apatia, corruzione, pigrizia; senza parlare di coloro che avevano prima delle funzioni importanti nello stato. Rimane quindi ancora la categoria di coloro che sono rimasti puri. Generalmente si tratta dei giovani, allievi, studenti e operai, di coloro che sono andati per le strade in dicembre, che hanno fatto nascere la Piazza dell’Università, che hanno manifestato di nuovo anche dopo essere stati battuti, che sono usciti a decine di migliaia, in realtà più di 150 mila, H 13 luglio nelle vie della capitale. Rispetto alla totalità della popolazione sono poco numerosi? è ancora troppo presto per poterlo dire. Erano il 33 per cento il 20 maggio, ma la Romania continua a risvegliarsi e le coscienze continuano a purificarsi. Sarà forse lento il processo di ricostruzione di una società su basi democratiche, una società ove il pluralismo politico, la proprietà privata, la società civile, il quadro istituzionale indipendente avranno il proprio posto. Più il livello di intossicazione è forte e più il processo di rigenerazione è indispensabilmente lungo e difficile. Lo sforzo personale, lo sforzo di coloro che hanno in mano il potere e soprattutto lo sforzo di coloro che ne so lemma no privati rimane nell'ambito di questo processo di rinascita spirituale ciò che vi è di più importante. Ogni uomo deve accettare di uccidere il vecchio uomo corrotto che esiste nel più profondo di se stesso per poter dare nascita ad una nuova coscienza libera e degna; con la propria presenza l'individuo può arricchire la società nella quale vive portandovi in misura ancora maggiore il bene, il vero, l'amore, ma può anche distruggerla se vi porta corruzione, menzogna, egoismo, sete di potere e violenza. Per tutti questi motivi oggi il destino della Romania è nelle mani della giovane gene razione nata come un fiore candido in un mondo corrotto.

G. CESANA:

Ringrazio Doina Cornea non solo per quello che ci ha detto ma per e tanto esile quanto irriducibile; è proprio vero che il quello che lei è, per questa voce mondo avanza perché i vasi di coccio resistono in mezzo ai vasi di ferro. Se è così vuoi dire che la storia è un miracolo. Sentiamo ora Mauro Anselmo, giornalista de La Stampa inviato a questo Meeting, che, partendo dalla sua esperienza diretta della nostra società, affronterà il tema per quanto riguarda noi.

M. ANSELMO: Sono venuto a parlare di due intellettuali, due intellettuali che la cultura ufficiale non ha mai amato, che ha sempre tenuto rigorosamente separati: Pier Paolo Pasolini e Augusto Del Noce Perché Del Noce e Pasolini in questo discorso? Perché ci aiutano a capire la realtà di oggi. E come se nei loro scritti di vent'anni fa avessero dipinto un quadro con le tinte, i colori e le divise che ritroviamo proprio nella realtà di oggi. Voi sapete che Pasolini era molto esperto nel decifrare i comportamenti, quello che lui chiamava linguaggio fisico-mimico dei corpi; Pasolini osservava la gente del suo tempo, viveva profondamente le contraddizioni del suo tempo e tirava delle conclusioni, scriveva delle teorie; Del Noce analizzava invece quelli che erano i presupposti filosofici della nostra cultura e arrivava a delle conclusioni che, su un piano diverso ma complementare erano le stesse di Pasolini. Nella hall di un albergo di Praga, a metà degli anni Sessanta, Pasolini vede due giovani stranieri con i capelli lunghi fino alle spalle. t la prima volta che incontra i capelloni e li osserva. I due passano indifferente davanti alla gente che si accalca all'entrata dell'albergo, raggiungono un angolo appartato, si siedono. Non hanno bisogno di parlare: sono i capelli a parlare per loro. I capelli che lanciano un messaggio, esprimono un segno, sono una forma di quel linguaggio della "presenza fisica" che Pasolini si è abituato a decifrare. Nell'albergo di Praga i capelloni sono silenziosi, siamo a metà degli anni Sessanta. Qualche anno dopo i capelloni saranno vocianti, cioè prenderanno parte ai cortei, lanceranno gli slogan e saranno parte integrante di quella piccola rivoluzione ma molto importante, che sarà il Sessantotto. Nell'osservare il Sessantotto Pasolini si rende subito conto di non amare i contestatori. Non sto qui a ricordarvi quella poesia che aveva scritto durante i primi scontri tra studenti e polizia a Villa Giulia, in cui Pasolini aveva preso la parte dei poliziotti dicendo che quelli erano i figli del popolo mentre i contestatori erano figli della borghesia. Le sue simpatie erano per i poliziotti che stavano effettivamente a rappresentare la povertà, mentre i contestatori del Sessantotto stavano a rappresentare qualche cosa di diverso. Nel '73 Pasolini comincia la collaborazione al Corriere della Sera ed è proprio su quelle pagine che pubblica gli articoli che faranno poi parte della raccolta Scritti Corsari pubblicata da Garzanti. Nel primo di questi articoli Pasolini trae il bilancio della conte stazione e scrive delle parole che saranno profetiche. " Ora che siamo nel gennaio del '73, quindi cinque anni dopo il Sessantotto - i capelli lunghi dicono nel loro inarticolato e ossesso linguaggio di segni non verbali, nella loro teppistica iconicità, le cose della televisione o della reclame dei prodotti, dove ormai è assolutamente inconcepibile prevedere un giovane che non abbia i capelli lunghi: fatto che oggi sarebbe scandaloso per il Potere". In queste poche righe c'è tutto il Pasolini corsaro degli anni successivi. La cultura dei Potere ha assimilato e omologato la cultura dell’opposizione. La contestazione ha finito con l'investire solo la sfera del costume ed è diventata principalmente una moda.1 contestatori, che credevano di combattere il Potere, non hanno fatto altro che aiutare il Potere a liberarsi di quei valori propri dell'Italia contadina e religiosa Dio, patria e famiglia - che ancora ostacolavano la modernizzazione e i consumi. Tutti gli obiettivi, le ragioni, i risultati della contestazione si sono realizzati, in realtà in una sola vera conquista: una falsa liberazione sessuale che si è ben presto trasformata in obbligo, un'ansia di conformismo sostenuta, dice Pasolini, da "una nuova ideologia edonistica completamente, anche se stupidamente, laica". t, interessante notare come anche in questo caso Pasolini sfati un mito: coniuga l'aggettivo stupido al termine laico. Non è detto che la cultura laica sia sempre e comunque intelligente. Essa può essere stupida, e lo è in questo caso, spacciando come conquista di libertà e di progresso una cultura permissiva che in realtà si traduce nel più tremendo degli obblighi: l'ansia di conformismo. E a dettare il conformismo Pasolini vede una realtà tremenda, totalitaria e totalizzante: il Consumo. E, infatti, c'è un'altra frase che suona come una profezia per gli anni Ottanta: "Il nuovo potere - dice Pasolini nel '73 - necessita, nei consumatori, di uno spirito totalmente pratico ed edonistico: un universo tecnicistico e puramente terreno è quello in cui può svolgersi secondo la propria natura il ciclo della produzione e del consumo. Per la religione e soprattutto per la Chiesa non c'è più spazio". Se noi analizziamo questa frase e osserviamo quelli che sono i valori dominanti degli anni Ottanta, vedremo come Pasolini avesse colto nel segno e come avesse capito che la contestazione, nel fare piazza pulita di tutti i vecchi valori non abbia poi in realtà saputo sostituire questi valori che con il nulla. Quali saranno, infatti, i valori dominanti degli anni Ottanta? Il consumo l'effimero, l'affermazione di sé e gli abiti firmati, la cultura dell'immagine e una più radicale rappresentazione dell'eros. In altre parole, il mercato, il piacere e lo spot televisivo. Molti ex contestatori del Sessantotto saranno risucchiati negli anni Ottanta dall'odiato potere che credevano di combattere e finiranno nei settimanali patinati a dettare le nuove regole della società post-moderna; altri diventeranno yuppies, agenti di Borsa, esperti di pubblicità e marketing, gente che parla di business, disimpegno e carriera. Gran parte degli ex rivoluzionari del Sessantotto andrà negli anni Ottanta ad esibire il proprio look professionale fondato sul trinomio efficienza-successo-voglia di vincere. Dal dogma del collettivo si passerà al trionfo del privato, dai "nuovi bisogni" e dalla lotta di classe ai mocassini Timberland e al fast-food. L'intellettuale arrabbiato che nel Sessantotto volantinava davanti alle università e leggeva Quaderni Piacentini sarà individualista e deluso: abbonato prima alla Gola, mensile post-marxista del cibo e delle "tecniche di civiltà materiale" e poi al Gambero Rosso, il "mensile dei consumatori curiosi e golosi", porterà jeans classici e camicie in cotone celestino, andrà a sciare con regolarità, esibirà Panorama e l’Espresso e con i colleghi d'ufficio si definirà laico e progressista. Avrà letto più di una volta Il nome della rosa di Umberto Eco (guai a chi non ha letto negli anni Ottanta Il nome della rosa di Umberto Eco), e La sera andavamo in via Veneto di Eugenio Scalfari. Citerà frasi a memoria di entrambi i volumi e si sentirà protagonista del nuovo grande "partito degli intelligenti". Rivestirà di contenuti filosofici il film Nove settimane e mezzo e ne metterà a fuoco in lunghe discussioni le differenze con Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci. Sarà obbediente alla moda ma "liberal"; conformista, ma secondo lo stile dei settimanali patinati e del Venerdì di Repubblica. Vent'anni dopo, riferendosi al Sessantotto Piergiorgio Bellocchio, fondatore dei Quaderni Piacentini, scriverà nelle prime pagine del volume Dalla parte del torto: "Quando ero giovane non potevo immaginare un fallimento di queste proporzioni". Pasolini lo aveva detto: "L’ansia del consumo è un’ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l'ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell'essere felice e nell'essere libero: perché questo è l'ordine che egli ha inconsciamente ricevuto e cui deve obbedire a patto di sentirsi diverso. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza. 'uguaglianza non è stata infatti conquistata ma e una falsa eguaglianza ricevuta in regalo". Siamo agli inizi degli anni Settanta. Ma Pasolini non è il solo a scrivere queste cose. Mentre egli delinea la sua profezia sulle colonne del Corriere della Sera scatenando l'ironia degli intellettuali di sinistra e l'ira della stampa comunista, proprio nello stesso periodo, agli inizi degli anni Settanta, un filosofo che non conosce personalmente Pasolini giunge, per altre vie, alle stesse conclusioni. Questo filosofo è il cattolico Augusto Del Noce. Un uomo isolato, ignorato dalla cultura ufficiale, emarginato dagli stessi ambienti cattolici che contano, preoccupati soprattutto di presentarsi allora come "aperti, laici, progressisti" - e spesso marxisti. Del Noce pubblica nel 1970 un volume intitolato L'epoca della secolarizzazione. Il primo capitolo si intitola Contestazioni e valori il secondo Appunti per una filosofia dei giovani, il terzo Tradizione e innovazione. E un testo quasi introvabile, come molte delle opere di Del Noce. Il volume è una raccolta di saggi già apparsi su altre riviste, dove partendo dall'analisi della modernità e riflettendo sulla sua conseguenza, Del Noce arriva a delineare, con vent'anni di anticipo, il ritratto culturale della società di oggi. Le analogie con Pasolini sono evidenti. asolini è un poeta, Del Noce un filosofo. Il primo scruta i volti, indaga il comportamento, traduce in profezia il modo di essere delle persone. Il secondo analizza le matrici filosofiche della modernità, fa i conti prima con le radici, l’illuminismo, poi con il tronco e i frutti, il pensiero rivoluzionario e il marxismo, quindi con logica stringente tira le conclusioni. In che cosa concordano Pasolini e Del Noce? Su due punti fondamentali. Primo punto: il marxismo e la cultura della contestazione sono destinati a soccombere davanti alla cultura neoilluministica e al Potere dei consumi che di questa cultura è l'espressione. Il marxismo e il pensiero rivoluzionario, dice Del Noce, cosi efficaci nella demolizione dei valori, del pensiero religioso e di ogni metafisica, finiranno con l'abdicare davanti alla società tecnologica e opulenta, anzi, ne prepareranno le condizioni per il trionfo. Il marxismo in particolare finirà col perdere il momento dialettico e rivoluzionario per diventare semplice materialismo e "spirito borghese allo stato puro". Questa veramente una definizione che io ritengo fondamentale. Se leggiamo certi libri che sono usciti sul Pci e certe istanze sul nuovo partito radicale di massa troveremo perfettamente le definizioni di Del Noce. Secondo punto: la contestazione e il marxismo saranno a loro volta omologati, cioè - dice Del Noce - il marxismo ha con risucchiati. Per una singolare eterogenesi dei fini dotto lo spirito borghese a manifestarsi allo stato puro. Ma una volta raggiunto questo risultato si è trovato impotente a combatterlo". Richiamo la vostra attenzione su questa frase: "eterogenesi dei fini". Una definizione filosofica che risale a Giambattista Vico e che ha un significato preciso: nel fare la storia, gli uomini si propongono il raggiungimento di determinati obiettivi, ma molto spesso, al termine del processo, si accorgono che i risultati ottenuti sono l'esatto contrario delle aspettative. Il concetto di "eterogenesi dei fini", ripreso da Del Noce, non ha naturalmente avuto nessuna fortuna nella cultura ufficiale. I marxisti lo hanno da sempre bandito, i laici lo hanno semplicemente ignorato. Eppure a leggere il '68 secondo questa chiave è, insieme a Del Noce, anche Pasolini. Il 20 ottobre 1973 Pasolini partecipa ad una trasmissione televisiva, "Controcampo", con altri intellettuali. Il resoconto completo di quella trasmissione non e mai stato pubblicato. Pasolini fa un discorso che è una condanna senza appello del Sessantotto.

Ecco le sue parole precise: è cambiato il potere e quindi il mondo dei valori morali. Per schematizzare: che tipo vuole il nuovo potere, il potere della seconda rivoluzione industriale? Non vuole più che l'uomo sia un buon cittadino, un buon soldato, non vuole che sia una persona onesta, previdente. Non vuole che l'uomo sia un tradizionalista e nemmeno religioso. Il potere vuole che l'uomo sia semplicemente un consumatore Allora riprendiamo l'elenco che abbiamo fatto prima. 1 rivoluzionari contestatori del Sessantotto volevano essere dei buoni cittadini? No. Volevano essere dei buoni soldati? No. Volevano essere dei tradizionalisti? No. Volevano essere delle persone oneste, per bene, previdenti? No. Dei buoni padri di famiglia, dei bravi religiosi? No. Praticamente il Sessantotto ha aiutato il nuovo Potere a distruggere quei valori di cui il Potere voleva liberarsi". R la stessa analisi che fa Augusto Del Noce: "Il tratto più nuovo della situazione d’oggi - scrive nell'epoca della secolarizzazione - è proprio questo: una volta era l'apparire di un nuovo ideale a mettere in crisi gli ideali esistenti, discriminando tra essi, salvandone alcuni, negandone altri; oggi si parte dalla negazione totale e l'ideale nuovo resta indeterminato proprio in dipendenza di questa totalità della negazione". "Il ciclo si è compiuto", direbbe ancora una volta Pasolini. Gli anni Ottanta e l'epoca presente hanno da tempo messo in vetrina le loro divise: disincanto e malessere, valori minimi, pensiero debole, lo slancio di Dioniso che danza sulle macerie delle ideologie. E le divise sono andate a ruba. Il contestatore che nel 1970 nel film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni immaginava l'esplosione d’automobili e grattacieli in un simbolico rogo della civiltà industriale, ha abbandonato l'eskimo per indossare il nuovo abito. Un abito soprattutto mentale: la consapevolezza della fine assoluta, radicale, irreversibile dell'idea di verità. Scrive Umberto Eco ne Il nome della rosa: "il diavolo è la verità che non viene mai presa dal dubbio"; e Leonardo Sciascia nel romanzo 1912 più uno, domanda ironico: l'essere è, il non essere non è. E se fossero la stessa cosa?" La divisa degli anni Ottanta spicca tuttora in tutti i punti di vendita dell'industria culturale. Abiti e idee per uomini disincantati, orfani di certezze e senza maestri, la realtà ridotta ad apparenza e spettacolo, lampi di effimero sul palcoscenico delle cose. "L'età neobarocca" ha definito l'epoca attuale il sociologo Omar Calabrese nel volume pubblico tre anni fa che porta lo stesso titolo. Del Noce, vent'anni prima aveva affermato che la nostra è la società neolibertina e cioè, che il modo di pensare dei neolibertini, questi filosofi aristocratici del Seicento che non credevano in nulla se non nel potere sarebbe diventato il modo di pensare di oggi. La cultura libertina - diceva Del Noce - è l'esito estremo della modernità che fa seguito all'assorbimento del marxismo in spirito borghese allo stato puro". "Sono un libertino. ha confessato Eugenio Scalfari su l'Espresso del 14 febbraio '88.

Il libertino mescola stili, culture, esperienze". Lo aveva detto anche in un'intervista precedente: "Le epoche di trapasso come la nostra hanno bisogno di libertini, di persone ambigue, poco coerenti in tutto salvo che nel libertinaggio intellettuale". 'Espresso è dell'8 settembre 1979. Che cosa resta oggi? C'è ancora spazio per l’anticonformismo al di là degli apparati dell'industria culturale? C'è ancora posto per un'opposizione di idee e di valori oltre i fregi e le cornici della società neobarocca? E la speranza? Dove sta la speranza? In un capitolo di Cercate ancora il marxista Claudio Napoleoni ha fatto sua la certezza di un Incontro e di una Presenza. Una Presenza che attraversa la storia e la società neobarocca. Un Incontro che anche davanti alla morte ha portato Napoleoni alla speranza. Proprio questo Incontro oggi, soprattutto oggi, nella società neolibertina e neobarocca, dà anche a noi il coraggio di sperare.

G. CESANA: Grazie anche ad Anselmo. Gli uomini certi, certi non nel senso strafottente del termine, ma certi nel senso della consapevolezza umile di una verità incontrata e non posseduta, non hanno bisogno di divise. Noi ci riconosciamo e siamo riconosciuti ma non per la divisa che abbiamo ma per questa umile certezza. Comunque ciò che distingue l'unità tra gente che non ha la divisa è ciò che distingue un popolo da un esercito. E questa è l'esperienza che facciamo noi.