Giovedì, 29 agosto, ore 11.15

PRODURRE SPETTACOLO: L'ESPERIENZA INTERNAZIONALE TRA PUBBLICO E PRIVATO

partecipano:

Bernard Faivre d'Arcier,

consigliere per la cultura del Primo Ministro francese

Renzo Giacchieri,

Sovrintendente dell'Arena di Verona e Presidente degli Enti Lirici

Jerome Clements,

responsabile dell'Ufficio Cinema del governo francese

Intervengono inoltre:

Tadao Nakané,

produttore della Toho

Enrico Biscaglia,

responsabile del Movimento Popolare in Emilia Romagna, promotore della legge popolare sul pluralismo culturale in Emilia Romagna

Mario Guaraldi,

editore di spettacoli

Per la prima volta, il Meeting propone una riflessione sul problema della produzione di spettacoli e, più in generale" di cultura.

B. Faivre D’Arcier:

... Mai si sono prodotti tanti spettacoli nel mondo, ciò che sta a comprovare che effettivamente siamo e viviamo la società dello spettacolo. Tutto oggi è reso spettacolo, dalla politica agli sport, e credo che questa sia la peculiarità della nostra società. Una società dove i mass media hanno assunto una importanza crescente, e questo fa sì che oggi l'attenzione del politico si volga verso lo spettacolo, il suo funzionamento, la sua organizzazione interna. Siamo quindi in una società in cui c'è una certa inflazione di suoni, di immagini; è questa fame, questo appetito che in un certo qual senso mi preoccupano, perché c'è anche il problema del senso e del valore di questi spettacoli...Lo Stato quindi è portato, in Italia, in Francia e altrove, a legiferare sullo spettacolo, le Regioni, le città hanno responsabilità in questo campo. Ma la ventilazione dei ruoli fra la mano pubblica da un lato, e le industrie private dall'altro, viene giudicata differentemente a seconda delle opzioni politiche di ognuno. Grosso modo in Europa le posizioni politiche sono queste: da un lato c'è una destra liberale che valuta che la cultura è dapprima un problema individuale: che lo stato non deve occuparsi di spettacolo, delle forme o delle modalità artistiche, salvo forse per la protezione del patrimonio. In questa ottica non si parla più dello stato mecenate, tutto deve essere del privato: la televisione, il teatro, il cinema devono essere gestiti come delle industrie, e se si tratta di finanziare, senza speranza di qualsiasi redditività, l'attività dell'artista, questo tocca al mecenate privato, come accade in USA o in Giappone. L'altra opzione politica, è la sinistra sociale. Questa pensa che le opere artistiche o i prodotti culturali non sono beni di consumo come gli altri ma meritano un trattamento speciale... Questa opzione prevede quindi che i pubblici poteri abbiano un ruolo importante di regolamentazione della concorrenza, di protezione e di promozione, di educazione artistica, e di democratizzazione culturale del pubblico, con due possibili varianti per l'organizzazione di questo pensiero culturale. Questo è molto vicino alla tradizione di ogni paese: o una struttura centralizzata forte, come avviene un po' in Francia, oppure, al contrario, il ricorrere alle autorità regionali o locali, cioè alle Regioni o ai Comuni. Per 20 anni il potere politico si è interrogato in modo spesso più ideologico che non pragmatico sui ruoli rispettivi dell'iniziativa pubblica e dell'iniziativa privata. In realtà, io penso che il problema oggigiorno sia largamente superato e che possiamo assistere ad un riavvicinamento delle posizioni, anzi delle politiche. Così il Giappone, dove tutte le attività sono di natura privata, si sta interrogando sulla necessità di creare un Ministero della Cultura; negli USA, allo stesso modo, c'è un ampio dibattito che si è aperto sulla necessità di sviluppare le sovvenzioni pubbliche a certe attività artistiche. Disposizioni antitrust molto severe sono state emanate negli USA nell'ambito delle comunicazioni...

Viceversa, in Gran Bretagna, in Francia, in Italia, si sono sviluppati ampi settori per le industrie culturali private; la televisione pubblica, ovunque nell'Europa occidentale, perde il proprio monopolio, ovunque si tende ad incoraggiare lo sviluppo del mecenate individuale o aziendale; anche in Francia si sono appena state create delle agevolazioni fiscali per consentire ad ognuno di investire e sostenere la produzione audiovisiva. Si può quindi prevedere che nei prossimi 10 anni assisteremo ad una miscela via via più riuscita fra finanziamento pubblico e finanziamento privato, dove il ruolo dei produttori, degli operatori, degli organizzatori, diventerà sempre più importante...Finanziamenti incrociati consentiranno una maggiore indipendenza artistica alle manifestazioni; nessuna tutela potrà reclamare per se stessa il beneficio politico di un festival perché, a quel punto, ciò che Mario Guaraldi chiama l'editore, difenderà con molto rigore professionale la qualità, la genuinità, l'autenticità del progetto artistico...A questo proposito consentitemi di fare qualche esempio, tratto dalla mia personale storia; il Festival di Avignone, un festival di teatro, di danza e di musica contemporanea, è un Festival di creazione, che coproduce nuove opere e non si limita a ricevere le tournées di spettacoli già preconfezionati. Dato che si tratta anche di un festival popolare, che si orienta verso un ampio pubblico con prezzi molto bassi, abbiamo bisogno comunque di finanziamenti pubblici. Un tempo, il finanziamento veniva esclusivamente dal Comune di Avignone, ma oggi il festival riceve una miscela di finanziamenti provenienti dalla città, dal Dipartimento, dalla Regione, dallo Stato e dal mecenate aziendale. Ciò sta a comprovare che un festival con una tale nomea può avere finanziamenti pubblici e privati; penso che questa sia una via per il futuro di tutte le grosse manifestazioni in Europa. Mentre il festival di Avignone vive principalmente delle sovvenzioni pubbliche, il Festival di Los Angeles, organizzato l'anno scorso in occasione dei Giochi Olimpici, ha una struttura di finanziamento assai diversa. Usufruisce di contributi da parte di sponsor, ma anche di contributi pubblici indiretti (ad esempio le troupe invitate dall'Europa, hanno il rimborso viaggi da parte dei vari governi europei)...C'è poi un altro motivo di avvicinamento fra il privato ed il pubblico dovuto ai problemi fra lo (6spettacolo vivente" e l'audiovisivo. Lo "spettacolo vivente" non può più vivere esclusivamente delle sue risorse, perché il prezzo di vendita dei biglietti a teatro è aumentato seguendo l'indice della lievitazione della vita, mentre i costi di produzione degli spettacoli, l'opera lirica, il teatro, la danza, hanno subito un aumento molto più importante ... I disavanzi quindi crescono e questo vale per tutte le attività difficili da riprodurre. L'idea quindi che sta avanzando, ormai, è di chiedere al settore audiovisivo di coprodurre lo "spettacolo vivente". Forse, fra dieci anni, arriveremo ad uno spettacolo creato sia per il palcoscenico, sia per lo schermo. Inoltre, va detto che c'è un altro problema anche per il finanziamento dell'immagine: un semplice mercato nazionale non è sufficiente per il cinema, bisogna immaginare meccanismi pubblici o meccanismi di redistribuzione, per consentire ad ogni cinematografia di reggere il confronto, pena l'essere plagiata dai grossi paesi come gli Stati Uniti, che hanno un mercato indigeno importantissimo. Arriveremo forse a questa situazione: il cinema, come il teatro, dovrà anch'esso essere finanziato da pubblici poteri. Infine la televisione: anche qui c'è un problema di costo e di remunerazione dell'immagine. La televisione segue ormai l'andamento della stampa, nessuno compra un giornale al prezzo di costo. Lo stesso avviene per la televisione che è maggiormente finanziata dalla pubblicità, quindi dal settore privato; questo comporta degli effetti negativi sulla programmazione, e un ostacolo notevole alla diffusione di prodotti prettamente culturali...Da un lato, quindi, il pubblico di massa sarà il bersaglio delle televisioni europee o americane diffuse per via satellite, che offriranno prodotti internazionali a scapito delle culture nazionali; dall'altro lato rimarrà un piccolo settore, con un pubblico più unitario e ristretto, che avrà un consumo culturale elevato. La sfida lanciata alle nostre società, è oggi di evitare questo taglio e di proporre prodotti di gran qualità al più largo pubblico possibile. Grazie.

R. Giacchieri:

Sono un po’ innervosito, perché nella splendida relazione che Bernard ci ha proposto, ho sentito troppe volte, con molta insistenza, parlare di mano pubblica: questa è la realtà di cui prendere atto. Ma nel mondo della creatività, io credo che la mano pubblica debba entrare il meno possibile, perché il rapporto tra spettacolo e spettatore è corretto laddove il prodotto è esattamente quello che il pubblico chiede. Non parlo così perché ho la fortuna di gestire un teatro unico al mondo, che in 49 o 51 manifestazioni, a seconda che si considerino anche concerti particolari, ha un pubblico di circa 600 mila spettatori; non parlo perché ho la fortuna di avere un pubblico che dà un incasso di 13 miliardi a questa istituzione... Chi intraprende un'attività musicale, per prima cosa chiede una sovvenzione allo Stato allo scopo di riprodurre repertorio, e non di fare della ricerca. lo credo che qui ci sia qualcosa di sbagliato. Allo Stato la nuova legge del finanziamento dello spettacolo, costerà quest'anno 700 miliardi, 800 il prossimo anno, 900 l'anno successivo. Significa che lo Stato, e questo dobbiamo riconoscerlo, ha ritenuto di dare questa certezza di finanziamento agli enti lirici, che altrimenti, come diceva il nostro amico Giulio Andreotti, avrebbero finito soltanto per suonare musica per le banche. L'incertezza della sovvenzione, infatti, ha sempre costretto gli enti, le istituzioni, a chiedere delle anticipazioni alle banche, le quali a loro volta chiedono il 19 e 50, il 20 o il 21 % di interessi: c'è stato un momento in cui, su queste anticipazioni, chiedevano anche il 22%. Sicché i grandi buchi neri della produzione dell'opera lirica e dei concerti, ammontano a 260 miliardi negli ultimi otto anni, tutti dovuti a interessi passivi. Per quest'anno lo Stato spende 700 miliardi: 370/80 andranno alla musica, non solo all'opera, ma alla concertistica; parte di questi andranno al cinema, parte alla prosa. Ma non è finita, perché i Comuni, le Province e le Regioni, a loro volta, stanziano miliardi per queste attività. Quanti? Non lo sappiamo. 0ra c'è, appunto, una inchiesta della Corte dei Conti che desidera conoscere quanto dei bilanci degli enti locali viene speso per questo tipo di attività cosiddetta culturale. Scusate, sarò un po’ polemico. Perché la verità è che la Settima Commissione del Senato, non è riuscita a conoscere, avendone fatto relativa richiesta, l'ammontare della spesa di queste attività. Con tutto ciò il cittadino va a teatro, a sentire un'opera, il concerto, e paga un biglietto che non sempre ha un prezzo politico: può costare anche 450 mila lire, come è accaduto per l'inaugurazione del Teatro alla Scala, nell'ultima stagione. Allora, ripeto, c'è qualcosa che non funziona. Diamo uno sguardo alle cifre: nel 1960, per il Teatro e la Musica, un italiano spendeva L. 164, nell'83 ne spendeva 2.701, probabilmente oggi saremo a L. 3.000. Per il cinema spendeva L. 2.418, nell'83 ne spendeva 8.903, probabilmente ora ne spende un po’ più di 9.000. Per lo sport spendeva L. 286, ora spende L. 5.129; cioè, per il teatro e la musica, la spesa è aumentata di 16 volte, per il cinema soltanto di 3 volte e mezzo, per lo sport è aumentata di 18 volte. Ha questo cittadino un salto di qualità, pari all'incremento della spesa? C'è il rovescio della medaglia: la prosa ha perso quasi il 10% tra l'82 e l'83 e ancora di più nell'84, sia a livello di spettacoli che di spettatori, nonostante la spesa teatrale sia cresciuta di circa il 25%. La lirica ha perso nell'84 circa il 16% del proprio pubblico, mentre aumenta il pubblico dei concerti. La spesa pro capite nel 1984 è stata di 0,71 contro l'1,34 del 1965. Ora io credo che sia necessario riflettere sulla differenza tra Festival, Repertorio e Stagione. li Festival, a parer mio, è il momento particolare della presentazione al pubblico di un prodotto che dovrebbe essere destinato a rimanere nella storia, che dovrebbe essere il punto di arrivo di una determinata ricerca. Un punto quindi di superamento e di evoluzione. Ma, ormai, anche a Bovolone c'è il Festival e l'assessore al Comune, l'assessore alla Provincia, devono stanziare dei soldi. Non solo, gli organizzatori del festival, per esempio del Festival di Trastevere, un quartiere di Roma, dopo aver ottenuto la sovvenzione dall'assessore al Comune, e probabilmente anche dalla circoscrizione, dall'assessore alla Provincia, dall'assessore alla Regione, fanno domanda al Ministero che, per il "Titolo Terzo", che comprende tutte queste attività collaterali, quest'anno, di quei 700 miliardi, ne stanzia 90. Allora si riunisce la Commissione Centrale per la Musica, della quale io faccio parte da pochissimo tempo e lì si assiste ad una sceneggiata che è molto singolare. Gli ottimi funzionari ministeriali preparano le schede dove è scritto se è la prima volta che viene presentata questa domanda o se l'iniziativa ha già una vita alle spalle, si fa una ipotesi di sovvenzione oppure si dice che quella iniziativa non è degna di sovvenzione. A questo punto si scatena la bagarre, perché naturalmente in seno alla Commissione Centrale per la Musica, molto vasta, ci sono rappresentanti sindacali, di organismi, e così via; pensate voi che ciascuno di questi non sia stato precedentemente sollecitato a prendere a cuore quella determinata nuova iniziativa? Si crea una maggioranza ed una opposizione e poi finisce sempre che i soldi si danno, perché altrimenti verrebbe messo in discussione qualcosa di valido, soltanto perché appoggiato da chi, magari, alla precedente richiesta ha detto no. Ora vedete quanto è difficile e complicato riuscire a capire quando la mano pubblica è troppo generosa... Gli organizzatori dei teatri ritengono in genere giusto fare, anziché la loro normale stagione d'opera, un festival... L quindi necessario arrivare ad una forma di medianità tra festival e repertorio...

J. Clements:

Vorrei dedicare qualche minuto al cinema, al suo posto nella produzione di immagini e in particolare ai suoi rapporti con la televisione. Il cinema è l'arte più popolare e, nonostante abbia conosciuto una estrema felicità nel corso del XX sec., con un'espansione notevolissima in tutti i paesi del mondo, oggi è minacciato di morte. Le cifre di occupazione di tutti i paesi d'Europa, mostrano un declino rapido di cui ci si può anche chiedere se non sia irreversibile e se forse non porterà addirittura all'impossibilità di festeggiare il centenario di un'arte nata e creata nel 1895...E quindi un problema importantissimo sapere qual'è il ruolo dello Stato nei confronti di questa situazione. E’ vero che si può constatare, negli Stati Uniti, come il mercato del cinema oggi stia relativamente bene, nonostante abbia dovuto subire una riduzione degli spettatori. Ma è l'economia degli Stati Uniti all'origine di questa situazione piuttosto originale. La creazione di un film americano, infatti, può disporre di un mercato notevole, quello del Nord America, Stati Uniti, Canada, ma anche dell'insieme dei paesi del pianeta e quindi l'ammortamento stesso del filmato avviene in condizioni che non ha pari in altri paesi. Il costo medio di un film in Francia, ma le cifre penso siano abbastanza equivalenti per gli altri paesi europei, è di 10 milioni di franchi, cioè due miliardi di lire, circa. Il costo medio di un film americano è di circa 20 miliardi di lire; è, ad esempio, questa la cifra del film di cui parleremo questa sera, una produzione franco-giapponese, Ran di Kurosawa. A partire da questo punto, se non c'è un ammortamento che consenta di trasferire i costi di produzione sullo spettatore, il costo d'acquisto da parte delle reti televisive non va a compensare il disavanzo causato dalla diminuzione degli spettatori nelle sale cinematografiche. Siamo passati da un sistema in cui la diffusione dei filmati e il loro ammortamento erano assicurati nelle sale cinematografiche e dalla frequenza del pubblico, ad un altro sistema in cui la diffusione dei filmati è molto più massiccia, grazie alla televisione, ma con dei costi d'acquisto che nulla hanno a che vedere con la riduzione degli spettatori e la riduzione conseguente dell'incasso. Possiamo considerare due obiettivi complementari da non perdere di vista se vogliamo conservare al cinema il suo ruolo. L'obiettivo culturale, perché il contatto fra l'opera cinematografica e il pubblico è assolutamente indispensabile, e la pubblicità. Se, infatti, non c'è questo fenomeno relativamente magico ed eccezionale di un incontro fra l'opera e il pubblico, non c'è più capacità di diffusione...Secondo obiettivo è quello economico e scaturisce direttamente dal trovare soluzioni di ammortamento per pareggiare i bilanci...La risposta certo non sta in un liberalismo selvaggio o in una fiducia cieca nei meccanismi del mercato, perché l'esperienza ci dimostra che ovunque questo sistema è stato utilizzato, le leggi del mercato hanno portato alla brutale e rapida scomparsa del cinema...Di fronte a una tale situazione, ci sono tre direzioni nelle quali si può andare. La prima è di costituire un regime di organizzazione di mercato e di protezione giuridica, che riesca a stabilire un certo ordine fra i vari mezzi di comunicazione: priorità alla sala- cinematografica, ai mezzi del video, alle televisioni che pagano e poi alle televisioni pubbliche...La seconda è di lottare contro la pirateria evitando l'anarchia che fa sì che non ci sia più nessuna remunerazione degli autori, degli interpreti, nonché dei produttori. Bisogna anche stabilire degli obblighi per le reti televisive, sia per quanto riguarda il numero di film comprati, sia il prezzo all'acquisto... Il secondo filone sta nel finanziamento: si può dire che finora è esistito un meccanismo che si fondava essenzialmente sugli spettatori... La seconda fonte di finanziamento sono gli aiuti diretti al budget. Terzo aiuto o intervento dello stato, sono gli incentivi fiscali all'investimento nel cinema e nella produzione audio-visiva. Disposizioni analoghe sono state prese in un certo numero di paesi, in particolare Canada, Nuova Zelanda, Australia, Stati Uniti per un certo periodo, poi recentemente in Francia. Si tratta di proporre, dare, offrire vantaggi fiscali sia alle aziende, sia ai privati...Se si aggiunge a ciò un ordinamento giuridico favorevole per il danaro investito dal mecenatismo, per esempio dalle aziende, si capisce che si ha una miscela abbastanza complessa fra ciò che paga lo spettatore, come biglietto, e gli interventi, diretti o indiretti che siano, dello Stato. Tutto ciò rappresenta un terzo, se non la metà, a volte anche più, dell'aiuto apportato alla produzione cinematografica; è da questo intervento che ci si può aspettare la conservazione, il proseguimento di un'arte che per ora è gravemente minacciata. La terza direzione consiste nel far capire che c'è una complementarità e non una concorrenza fra le due arti, fra il cinema e l'audiovisivo. Ciò significa che sia per le sale cinematografiche, sia per le televisioni pubbliche o private, sia per i video, dobbiamo ottenere, invece di una concorrenza spietata, l'armistizio... Credo che non siamo ancora arrivati a questo stadio e che la separazione sia ancora viva... La ricerca deve essere fatta in Comune fra i vari paesi europei: da questa unità nascerà un nuovo equilibrio...Quindi, come prima cosa, dobbiamo agire sul nostro territorio, in modo da avere una produzione autonoma che corrisponda alla cultura nazionale; stilare poi intese a livello europeo per armonizzare queste regole, in modo che fra i vari paesi non vi siano regole troppo diverse; poi creare dei fondi europei di aiuto all'investimento. Queste soluzioni sono studiate oggigiorno, in particolare, dalla Commissione Economica di Bruxelles, allo scopo di aiutare le coproduzioni fra Francia, Germania e Italia e far sì che i filmati e le trasmissioni televisive abbiano una dimensione europea e si possano amortizzare sul mercato europeo, piuttosto che far appello a prodotti esteri....

T. Nakanè:

Vengo da un altro pianeta, questa è la mia sensazione dopo le parole dei nostri colleghi. Vedo una differenza profonda tra la situazione culturale giapponese da una parte, ed europea e americana dall'altra. Vorrei in primo luogo sottolineare che in Giappone le sovvenzioni a favore della cultura non esistono. Siamo noi invece a dover pagare delle tasse governative se il biglietto costa più di 50.000 lire; la bagarre, dunque, che ogni anno si sviluppa tra il governo e noi stessi, non è relativa alla importanza delle sovvenzioni, ma all'importo delle tasse che noi dobbiamo pagare. La situazione è dunque completamente inversa alla vostra. In Giappone tutta l'attività è privata, io stesso sono un privato che produce teatro. Non esistono assessori, amministratori o gestori di Festival, consiglieri culturali dei Ministeri... La caratteristica in campo teatrale del mondo giapponese è l'esistenza di grandi imprese culturali...Io lavoro in una grande società, la Tolio, che conta circa 1500 impiegati. Abbiamo una sezione teatrale, una sezione televisiva, studi di produzione e distribuzione cinematografica, abbiamo anche delle sale cinematografiche, un centinaio in tutto il Giappone, quattro grandi teatri a Tokyo: tutto ciò non ha pari in Europa. La fondazione di questa organizzazione risale a 60 anni fa. Posso dunque dire che, già prima della guerra, la cultura era, in Giappone, industrializzata. Questo sistema ha funzionato bene fino a ieri, oggi ci troviamo davanti a delle difficoltà. Kurosawa è il più grande autore che abbia lavorato per la Tolio; fino a Kagemusha, la Tolio è stata capace di sopportare la maggior parte delle spese, ma con la produzione successiva dell'ultimo film, Ran, che sarà distribuito tra breve in Europa, la Tolio non è stata più in grado di affrontare la maggior parte delle spese ed è stata la capitale francese che le ha sopportate con la partecipazione della Tolio. Per quanto riguarda il cinema, la situazione rimane alquanto miserevole. Con il teatro è andata piuttosto bene, siamo riusciti ad alimentarci con il denaro portato dal pubblico, senza avere rapporti di nessun genere con il governo: andavamo orgogliosi di questa situazione. Sento tuttavia che siamo agli sgoccioli persino in Giappone; perché, come i relatori precedenti hanno indicato, le spese per il teatro sono in continuo aumento e il biglietto d'ingresso deve aumentare di pari passo. Oggi il biglietto in Giappone ha un costo che va dalla 70.000 lire, già eccessive per il pubblico, fino a somme anche maggiori e con tutto ciò il teatro non va bene dal punto di vista finanziario. Dobbiamo dunque trovare una diversa soluzione, almeno per il futuro. Non pensiamo di ottenere una sovvenzione governativa, perché sappiamo che perderemmo, di conseguenza, la vitalità stessa della nostra attività. C'è comunque qualche eccezione: il teatro classico di marionette ottiene un contributo dal municipio di Osaka... Se me lo consentite, vi dirò la mia esperienza personale, soprattutto col signor Guaraldi. Il nostro Medea di Euripide, uno spettacolo contemporaneo giapponese.... è stato la prima esperienza del genere in Europa. Le difficoltà di carattere finanziario cui siamo andati incontro, sono state importanti: vi è in Giappone una fondazione, simile al British Council, che sovvenziona le tournées estere, ma in una piccola percentuale per il totale di queste spese. Portare, dunque, questo spettacolo in Europa, è stato consentito, sì, da questo contributo della fondazione giapponese, ma anche da mille altre attività, da mille altre fonti ... Senza l'insieme di queste attività, non saremmo mai riusciti a venire in Europa. Con il Macbeth alla giapponese ho appena concluso la mia tournée in Irlanda e in Inghilterra. In questo caso, abbiamo ricevuto il 20% delle spese dalla fondazione giapponese già menzionata, il 13 e il 14% dall'Irlanda e dall'Inghilterra. Tutto il resto è stato finanziato da un'agenzia di pubblicità fra le maggiori del mondo. Sono così riuscito a raccogliere denari pubblici e privati di qualsiasi origine. Questa è la prova del fatto che la situazione attuale in Giappone è a una svolta... Nuove prospettive si aprono così per il futuro. L'agenzia pubblicitaria raccoglie denaro dalle grandi imprese che cercano l'occasione per valorizzare la propria pubblicità rivolta, per lo più oggi, alla televisione... Abbiamo cominciato ad avere dei patrocinatori anche per il teatro, e ci troviamo, ora, ad organizzare un modo per cooperare con le grandi imprese, soprattutto attingendo al loro bilancio pubblicitario con agenzie di pubblicità che facciano da tramite con noi produttori...Anche così, certo, rischiamo di perdere qualcosa in termini di qualità artistica. Non v'è tuttavia, a mio avviso, altro mezzo. Mi sento ora come un gladiatore romano, non si sa mai chi vincerà, siamo agli inizi; se il pubblico aumenterà, riuscirò a sopravvivere, se il pubblico diminuirà, perderò il posto.

E. Bisaglia:

Il mio intervento vuol raccontare un'iniziativa civile e politica svolta nell'ambito della regione Emilia-Romagna. Questa iniziativa, è finalizzata a modificare la legge regionale che regola gli interventi e i contributi pubblici nel campo della promozione e della promozione culturale. Svolgo una breve premessa: la cultura nella esperienza umana è lo svelarsi del significato delle cose, è la comprensione del nesso che lega una cosa all'altra, e tutte le cose fra di loro. Questa idea di cultura, strettamente legata all'idea di civiltà, si attua attraverso un continuo confronto fra la verità che si è incontrata e tutta la vita nelle sue molteplici implicazioni di attese, interessi, bisogni personali o collettivi. La cultura così intesa è perciò una dimensione dell'esperienza dell'uomo ed è comune a tutti gli uomini. Per noi quindi, tutelare l'espressione culturale coincide con il tutelare la nostra stessa esperienza, la possibilità che la nostra realtà possa crescere e comunicarsi agli altri, che l'esperienza cristiana, di cui noi siamo partecipi, come qualsiasi altra esperienza possa avere una dignità pubblica, cioè la possibilità di incidere nella vita sociale. Questa è la ragione per cui da un anno, nella nostra regione, abbiamo intrapreso una battaglia per difendere l'insopprimibile esigenza di libertà della cultura. Libertà dell'invadenza del potere pubblico ed in particolare degli enti locali, nella nostra regione, che si pretendono privilegiati gestori in questo campo, libertà dall'uso ideologico e strumentale degli interventi in campo culturale, libertà dalle discriminazioni che le amministrazioni comuniste hanno operato in questi anni a favore delle realtà più consonanti al potere politico, libertà di mettere alla prova la verità incontrata per sé, nel confronto con tutte le diverse esperienze ed espressioni culturali. Questa battaglia, che è stata significativamente proposta da numerose e differenti associazioni, movimenti, personalità di diversa fede culturale e politica, ha raccolto, nel breve spazio di un mese, circa 40.000 sottoscrizioni di cittadini elettori della nostra regione, sottoscrizioni apposte ad un progetto di legge di iniziativa popolare intitolato "Promozione delle attività culturali". Con questa iniziativa ci siamo proposti innanzitutto, di aprire un dibattito sull'esperienza trascorsa di 10 anni di gestione nel campo culturale da parte della giunta dell'Emilia Romagna, in assenza di criteri legislativamente stabiliti, in assenza di spazi aperti alla partecipazione e al,confronto ed all'insegna, pertanto, della più assoluta discrezionalità. Ci siamo fatti promotori di una proposta di legge, che contenga un minimum, un nucleo centrale di diritto e di garanzie, salvaguardati in ogni intervento regionale nel settore culturale, sia esso riguardante lo spettacolo, ossia le manifestazioni artistiche, cinematografiche, teatrali e musicali, sia nella promozione culturale in senso stretto, che si realizza attraverso l'organizzazione di convegni, mostre, rassegne ed altre iniziative di carattere culturale. La nostra proposta favorisce un protagonismo delle diverse espressioni culturali della società civile, salvaguarda una equa ripartizione dei fondi destinati a questo settore, stabilisce un tetto di contributi da destinarsi agli enti locali, in misura pari ai contributi assegnati ai privati. Prevede, inoltre, precisi e aperti spazi di partecipazione per i più significativi atti politici ed amministrativi, spettanti alla regione in questo campo. La presentazione di questa proposta ha già ottenuto notevoli risultati, che sono andati oltre le nostre stesse aspettative. Il primo: si è ricominciato a discutere e a dialogare sulle modalità dell'intervento pubblico nella cultura, nella nostra regione, in numerose tavole rotonde e interventi apparsi sulla stampa. Il secondo: le forze politiche regionali hanno raccolto l'invito ad una riformulazione legislativa, in questo campo, presentando proprie proposte di legge (oggi ne sono state depositate ben 5 compresa la nostra). Il terzo: si è impedito al partito di maggioranza, che guida la giunta regionale, di operare in sordina una istituzionalizzazione della politica culturale fino ad ora condotta. Che cosa ci aspetta e che cosa abbiamo in programma nei prossimi tempi? Innanzitutto, la proposta che abbiamo avanzato dal Consiglio, nei prossimi mesi, dovrà essere esaminata insieme alle altre successivamente presentate. Occorre, pertanto, che le forze politiche sappiano in questo momento raccogliere con apertura, la sfida che queste hanno lanciato per una legislazione in campo culturale. Da parte nostra, in questi mesi, ci proponiamo di mantenere consolidale il più significativo risultato, che riteniamo sia stato l'aver dato vita ad un soggetto nuovo nella nostra regione. Le 40.000 firme rappresentano, infatti, l'esprimersi di una realtà popolare, amante e desiderosa di esprimere e difendere energicamente la propria identità e quella di ciascuno. Il nostro lavoro sarà teso a che questa realtà nuova non venga né censurata, né disattesa.

M. Guaraldi:

Ieri Don Giussani ha concluso il suo intervento augurandoci di non essere mai più tranquilli e noi abbiamo subito messo in atto questo intendimento, perché vi abbiamo sottoposto a quello che, normalmente, si chiama un dibattito per gli addetti ai lavori. Ebbene, io credo che l'avere tentato questa operazione rischiosissima di un dibattito per gli addetti ai lavori di fronte a un pubblico come quello del Meeting, sia stato necessario, perché voi avete assistito in questo giorno ad alcuni spettacoli dietro ai quali c'è tutta la problematica che quest'oggi vi è stata presentata. Pensate solo che, per organizzare queste ancora poche, ma a mio avviso, significative iniziative, c'è il lavoro di mesi, c'è una problematica estremamente complessa, c'è un lavorio gigantesco e io credo che non si possa permettere di vivere tutto questo come un dato scontato, come luogo comune. Non esiste, per un popolo che voglia davvero partecipare, un rapporto freddo, semplice, di fruizione; questa è la passività, la negazione della libertà nella quale noi crediamo. lo non ho molto da dirvi, vi pongo solo un interrogativo che mi ha colpito molto e che ha determinato un po' tutte le mie scelte: quando voi comperate un libro, andate ad uno spettacolo o entrate in una sala cinematografica, avete sempre un problema, una caratteristica comune. Voi non sapete giudicare questo libro, questo spettacolo, senza prima averlo fruito; è come comperare qualche cosa in una scatola chiusa. Come si supera questa contraddizione pazzesca? La storia ha dato dei modelli: nel caso del libro, cioè della cultura scritta, ha prodotto la figura dell'editore. L'editore era storicamente quella figura necessaria, di grande dignità e grande prestigio culturale, che si rendeva garante della qualità dell'autore e del libro nei confronti del pubblico cui era destinato. Nel mondo dello spettacolo, questa figura non è mai nata, stranamente: sono nate altre figure, come quella dell'impresario o dell'agente, ma la figura dell'impresario assomiglia di più, se mi permettete questa analogia un po' provocatoria, a quella del tipografo che produce lo spettacolo, cerca di metterlo in piedi, ha i mezzi di produzione per farlo. La figura dell'agente, invece, è più una figura di mediazione commerciale. Tutte queste figure non rappresentano assolutamente quel momento di grande dignità culturale e creativa che invece, nel mondo librario, la figura dell'editore rappresenta. Tutti, coloro che hanno lavorato per la parte spettacolare di questo Meeting, si sono posti questo problema: è possibile per il futuro che nasca, si qualifichi una figura di editore dello spettacolo? Ecco, questa è la domanda che ci siamo posti e, credo, anche una possibile risposta all'insieme dei problemi che sono emersi da questa tavola rotonda, perché solo in questa maniera sarà possibile realizzare ciò che apparentemente non sembra coniugabile: la presenza attiva del pubblico rispetto allo spettacolo, con la complessità dei problemi che stanno dietro le difficoltà organizzative ed economiche, e, soprattutto, le difficoltà artistiche. La qualità del prodotto rimane per noi un elemento determinante. La cultura è una cosa strana, delicatissima, si propaga per forme e vie molto spesso sconosciute e non indagate, ma una cosa è certa: quando voi proponete ad un pubblico, piccolo o grande che sia, un prodotto di grande qualità, credetemi, questo prodotto lascia il segno, fa crescere la persona, la sua dignità, la libertà, la sua capacità di essere uomini liberi. Se questo prodotto è cattivo e superficiale o modesto, potrà anche piacere e godere di applausi, ma non cambierà, non farà crescere nulla e nessuno. Noi crediamo che lo spettacolo sia un grande momento culturale, e ci auguriamo che, anche su questa iniziativa rischiosa di un dibattito apparentemente per addetti ai lavori, possa fondarsi un progetto di crescita per il futuro, che metta il nostro paese, Rimini in particolare, questa nostra manifestazione del Meeting, in grado di essere un momento fertile di produzione di momenti di creazione e di arte vera, che sappiano fare crescere la dignità, la libertà, la cultura di tutti noi. Grazie.