Esperienza religiosa, esperienza
dei valori: presenza della Chiesa in USA

Venerdì 23, ore 16.30

Relatori: Lorenzo Albacete,
Sua Ecc. Mons. Edwin F. O’Brien, Magnifico Rettore della Pontificia
Vescovo Ausiliare di New York, Università Cattolica di Porto Rico
Rettore del St. Joseph’s
Seminary di New York

O’Brien: Nel corso dei miei 31 anni di sacerdozio e nei 5 mesi circa di vescovato, sono stato un osservatore della scena americana. Da ormai 12 anni, conosco Comunione e Liberazione; ho ammirato grandemente l’amore e lo zelo dimostrato verso la nostra Chiesa dai suoi membri; mi ha colpito la profonda visione spirituale di Monsignor Giussani e di molti che sono stati spinti alla loro vocazione da questo movimento, come la fraternità di San Carlo Borromeo.

Nel quadro che traccerò della realtà religiosa in America, ci sarà certo spazio per ulteriori affinamenti o sviluppi, e anche per visioni contrastanti, e infatti Monsignor Al-bacete verrà in soccorso in quest’opera.

In molti dei sintomi attuali di religiosità e di non religiosità in America di cui parlerò, si potrebbero intravedere delle rassomiglianze con l’esperienza religiosa in Europa: le radici che hanno portato al sorgere di questi segni in Europa potrebbero però essere diverse da quelle che ho vissuto e che vedo io come americano. Mi auguro che, per poter avere un incontro valido con la cultura, lo si possa fare senza fermarsi all’analisi dei segni esteriori, ma approfondendo le origini storico-culturali e gli sviluppi probabili: ciò che segue è un fiore, una radice, uno stelo, assolutamente made in the USA.

Incomincerò parlandovi del Montana, uno dei 50 Stati americani: benché occupi soltanto il 44° posto tra i 50 Stati Uniti, in termini di popolazione, nella primavera scorsa ha trovato posto sulle prime pagine dei giornali sia americani che stranieri perché vi si sono verificati due fatti nei quali si può ritrovare una simbolica chiave interpretativa dello spirito degli Stati Uniti, uno spirito che è utile conoscere se si vuole tastare il peso e calibrare la vitalità della religione in America. Per più di tre mesi, un gruppo paramilitare chiamato "The freemen" – gli uomini liberi – si è barricato, circondato da centinaia di agenti federali del tutto impotenti. Questi freemen sono una dozzina di gruppi di vigilantes che si oppongono all’esistenza stessa di un governo federale, ritenendo che esso interferisca e violi il loro concetto di libertà totale. La loro posizione ha richiamato l’attenzione pubblica, e nel frattempo, sempre nel Montana, l’FBI ha arrestato un presunto bombarolo di nome Theodor Cocinski, che da un decennio ormai manifestava mediante l’invio di bombe la sua condanna di ogni persona il cui comportamento considerava pericoloso per la sua autonomia. Questi due fatti esemplificano una sorta di "sindrome del Montana": questo Stato infatti, situato nella parte occidentale degli Stati Uniti, è un simbolo del selvaggio West, in cui gli uomini davano prova di un tenace individualismo, di una invidiabile autonomia, e di una totale libertà personale dai vincoli istituzionali di qualsiasi natura. Ogni sorta di vincolo sembrava praticamente assente nell’occidente degli Stati Uniti in cui generazioni di pionieri sfuggivano ai vincoli della società.

Questa visione di libertà è centrale ancora oggi nell’esperienza comune americana, ma lo è non meno per il Vangelo. E infatti, nelle diverse interpretazioni di questa visione si ritrova il fulcro degli interrogativi che ci poniamo oggi. Ecco quindi che l’interrogativo fondamentale, critico per la sopravvivenza della comunione che risiede nel concetto stesso di Stati Uniti, è questa: alla fine l’America sceglierà l’ego, l’individualismo, e la liberazione violenta dell’esperienza del Montana, o la comunione e liberazione, anch’esse parte del suo patrimonio?

Per far luce su una possibile risposta, vorrei sollevare alcuni quesiti che dovrebbero essere illuminanti. Qual è lo stato del credere religioso negli Stati Uniti odierni? Quanto forte, autorevole, interessante, allettante, è la comunione religiosa americana? Quanto viva è la nostra communio cattolica e qual è il suo ruolo nel contesto americano? Piuttosto che cercare di dare una risposta definitiva a temi così vasti, vorrei piuttosto sottoporre alla vostra attenzione alcune osservazioni generali che riguardano le tendenze attuali e la psiche religiosa americana, e cercando anche di evidenziare come la nostra Chiesa e i nostri gruppi apostolici possano intervenire e avere un impatto più positivo su quell’esperienza che chiamiamo "Stati Uniti d’America".

Fin dalle sue origini – notate: "origini", al plurale –, l’America ha sempre avuto la tendenza di attribuire a Dio un ruolo importante nella vita pubblica e in quella privata; atteggiamento che è tuttora vivo, anche se con diverse e significative riserve. Alexis de Tocqueville raggiunse le coste degli Stati Uniti nel 1830 e divenne uno dei turisti più noti della storia per le sue acutissime osservazioni sul ruolo della religiosità nella vita quotidiana degli americani. In una delle sue descrizioni affermò: "Ho cercato la grandezza e il genio dell’America nei suoi vasti porti, nei suoi ampi fiumi, ma non l’ho trovata. Li ho cercati nei suoi fertili campi, nelle sue sconfinate praterie, ma non li ho trovati. Li ho cercati nelle sue ricche miniere, nel vasto commercio, ma non c’erano. Fu soltanto quando mi recai nelle chiese dell’America e sentii i suoi pulpiti infiammarsi dal desiderio di rettitudine che compresi il segreto del suo genio e della sua potenza". Il Cattolicesimo spagnolo, Cristoforo Colombo e gli spagnoli che lo seguirono, nonché i coloni puritani del nuovo mondo che arrivarono in America molte generazioni dopo, lo fecero con delle precise, sebbene diverse matrici e convinzioni religiose, rispecchiando l’Europa da cui provenivano. Nonostante la possente forza del secolarismo abbia indebolito nel corso del XX secolo, l’impegno religioso negli Stati Uniti, il fatto che gli spagnoli e i coloni puritani traducessero la loro esperienza americana in immagini bibliche, ha contribuito a conferire alla religione una resistenza che è difficile riscontrare nella cultura occidentale odierna.

Si è calcolato che il 90% dei 100 milioni di aborigeni che attualmente chiamiamo "indiani" o "americani nativi" furono sterminati da successive incursioni di europei: un disastro demografico che non ha pari nella storia, neppure ai tempi della peste. Questa tragedia storica, unitamente alla tragica esperienza di schiavitù vissuta da milioni di africani, sono le ombre che oscurano la storia dell’America, che se non vengono ammesse e affrontate con onestà attanaglieranno per sempre la coscienza del Paese. Alla luce di questo, sorprendono le parole usate da Colombo per descrivere i nativi, paragonandoli ai primi abitanti dell’Eden: "Sono tutti nudi, uomini e donne, come madre li fece; appaiono timorati, privi di malizia, pronti a dare ciò che possiedono; chi non l’ha visto, non può crederlo. Danno la prova di amore che dà solo chi dona il proprio cuore". I successivi coloni spagnoli si aspettavano di trovare traccia del paradiso in questa nuova terra, come testimoniato nella loro ricerca dell’Eldorado, della fontana dell’eterna giovinezza nascoste da qualche parte in quella natura immacolata. Il territorio del Maryland venne descritto inizialmente come un paradiso terrestre, e lo stato della Georgia come la Canaan promessa. I primi esploratori cattolici erano spesso missionari o persone con vocazione da missionari e la loro identificazione con la propria eredità religiosa si evince dai nomi che diedero ai loro insediamenti: Sant’Agostino, Corpus Christi, Los Angeles, San Francisco, San Joseph, per menzionarne solo alcuni.

Diversi – ma sicuramente più illuminanti sulla futura religiosità degli americani – furono gli insediamenti del XVI e XVII secolo dei puritani nella zona nord orientale, insediamenti che avrebbero poi costituito le prime tredici colonie formanti gli Stati Uniti d’America. L’immagine dell’esodo era ricorrente nel loro pensiero: erano stati liberati dalla terra delle lacrime per entrare nella libertà promessa, e la loro risposta al patto era una risposta di conversione e di riforma personale. L’incrollabile credo calvinista veniva irrigidito dai loro persecutori, appartenenti alla consolidata comunità americana, ma ancor più profondo e perdurante era il loro orrore per tutto ciò che era romano o cattolico. Da un lato la parola "riforma" descriveva la loro insistenza evangelica su una conversione religiosa radicale; dall’altro lato, la parola "riforma" li contrassegnava come dei figli della Riforma – con la R maiuscola!–, liberi dalle catene papali. Ad esempio, una legge del Massachusetts dettata nel 1647 descriveva ogni sacerdote come un incendiario, un disturbatore della quiete pubblica e un nemico della vera religione cristiana: egli dovrebbe quindi essere condannato al carcere eterno. Il Maryland si ritrovò solo nel 1649 a dichiarare la totale libertà di religione per tutti, ma soltanto cinque anni dopo cancellò questo diritto per chiunque professasse quella che veniva chiamata "la religione papista". All’inizio del XVIII secolo, tutti gli Stati, eccetto il Rhode Island e la Pennsylvania, vietarono l’esistenza del Cattolicesimo.

Nonostante i pregiudizi anticattolici, la vicinanza di Dio sentita da questo popolo del nuovo mondo creò fin dall’inizio una religione civile americana, di tipo protestante. Tutti i presidenti americani hanno sempre inteso il favore di Dio in questa terra come un dono speciale all’America: molto spesso questo è apparso anche nei loro discorsi inaugurali. Mentre la Costituzione americana non si esprime sulla divinità, la nota Dichiarazione di Indipendenza di Thomas Jefferson proclama che tutti gli uomini sono dotati dal loro creatore di diritti inalienabili, tra cui la vita, la libertà e la ricerca della felicità, rivolge appelli al giudice supremo del mondo e fa affidamento sulla tutela della provvidenza divina.

In ogni periodo della nostra esistenza americana la presenza di Dio è evocata, e la religione viene vista pubblicamente come un garante dell’ordine e della moralità. Sono tipiche le parole di uno dei giuristi più liberali della nostra storia – il giudice della Corte Suprema William O. Dubbliss – che ricordò ai concittadini americani che "siamo un popolo religioso e la nostra istituzione presuppone un essere supremo". Non sorprende quindi che, contrariamente a molti altri paesi cristiani europei, il nome di Dio venga spesso invocato negli appelli politici, nella preghiera che apre tutte le sessioni della seduta del Congresso, nel giuramento di fedeltà alla bandiera, sulle monete e sulle banconote. Le istituzioni religiose godono di un regime di esenzione fiscale e ogni candidato presidenziale ci tiene ad essere raffigurato mentre esce dalla chiesa la mattina della domenica con la Bibbia in mano e con un sorriso di approvazione del suo pastore. Il fatto che quel pastore, con una sola eccezione, sia stato protestante, ci offre un indizio della natura della religione civile americana e delle sue riserve rispetto al Cattolicesimo. Qual è il motivo di tutto questo?

La religione civile americana è sospettosa nei confronti della dottrina religiosa e di qualsiasi pretesa di affermare una verità obiettiva. Ci sono due fattori alla base di questo: le guerre di religione – che hanno costretto, e ancora costringono, alla fuga molti giovani immigrati americani – e i forti, energici, movimenti filosofici del XVIII e XIX secolo. Vediamo quali ne sono le radici storiche.

Molti dei primi profughi trasferitisi in America avevano con sé l’idea, vera o presunta, che gli ambienti cattolici sopprimessero la libertà. La libertà di religione in quegli anni significava libertà di professare la propria tradizione protestante; Pennsylvania, Rhode Island e Maryland erano delle eccezioni tra le prime 13 colonie, poiché consentivano ai cattolici di praticare liberamente la propria religione. Ma ci fu una conseguenza più profonda delle guerre di religione del XVI, XVII, XVIII secolo che mandarono le proprie vittime in America: Guglielmo d’Orange cercò di ridurre lo spargimento di sangue dovuto alla guerra di religione vietando le discussioni in materia di religione. La tolleranza venne proclamata legge nella repubblica olandese: un approccio di tutto rispetto, ma che alla fine portò ad un isolamento e ad una eliminazione della religione e del dibattito religioso dall’arena politica. Basta un breve passo per giungere alla conclusione che, se le verità religiose sono eliminabili e superflue, evidentemente la loro importanza è scarsa. La questione della verità obiettiva diventa quindi praticamente irrilevante; nel migliore dei casi sono semplicemente opinioni, nel peggiore dei casi imposizioni culturali.

A ciò si accompagnò una serie di movimenti filosofici che relegarono la religione nella sfera privata, e permisero al secolarismo non soltanto di occupare la piazza pubblica, ma anche di infondere negli americani un profondo scetticismo e una profonda soggettività rispetto alla fede religiosa. Nel 1989, ad un incontro del Santo Padre con tutti i Vescovi statunitensi, il Cardinale John O’Connor, mio Arcivescovo, descrisse le filosofie morali che hanno dato forma all’etica americana negli ultimi 150 anni. Innanzitutto, parlò dell’utilitarismo dell’inglese Jeremy Bentham, accolto con molto favore dalla cultura americana, che definiva la moralità come la maggiore felicità possibile per il maggiore numero possibile di individui. La regola della maggioranza – così attraente in una democrazia – determinò cosa era giusto e cosa non lo era. Il Cardinale citò anche uno dei giuristi più influenti dell’America, Oliver Wendon Junior, autore di un’opera classica The common law, che respingeva la morale naturale e la sostituiva con il pragmatismo, da porre alla base della giurisprudenza americana: il bene è tutto ciò che si dimostra positivo nell’esperienza umana. Infine, fu ricordato il Presidente Theodore Roosevelt, che nel 1900 si trovò alla guida di un paese che stava conoscendo allora la sua nuova forza. La formula del potere e della giustizia per la sopravvivenza del migliore, la sua filosofia di rude individualismo, la libertà di fare quello che si voleva, divennero i criteri di tutti per giudicare il bene e il male. Che la Dichiarazione di Indipendenza americana e poi la Costituzione degli Stati Uniti, menzionino l’individuo ma non parlino mai della famiglia, è un indicatore molto significativo delle decisioni dell’Alta Corte del XX secolo, decisioni che andavano al di là dei diritti e della privacy individuale, e che vennero applicati nella discussione continua su aborto, eutanasia e matrimonio omosessuale. L’atteggiamento liberale su questi tre problemi ha sicuramente prodotto una grande quantità di progresso sociale, ma ha creato una tensione costante, e si oppone radicalmente all’ideale occidentale tradizionale del bene comune e al desiderio dell’uomo di una comunione. Ego e liberazione o comunione e liberazione: qual è la via di una vera pienezza dell’uomo? È questo il quesito che si pone continuamente nella visione religiosa dell’America contemporanea.

Qual è l’atteggiamento attuale del popolo americano rispetto alla fede religiosa e alla pratica religiosa? Prima di tentare una risposta, di tratteggiare questo quadro, è necessario rendersi conto che essa deve essere per forza inadeguata, considerando la natura eterogenea della società americana, composta da più di 200 milioni di persone che rappresentano qualsiasi gruppo nazionale, etnico, culturale, religioso del mondo. È una società in continuo mutamento, con centinaia di migliaia di immigrati che portano con sé nuovi valori, nuove idee e, legalmente o meno, si stabiliscono ogni anno nel paese. Affrontando il discorso dell’atteggiamento nei confronti della religione vanno considerate le differenze regionali in termini di interesse, forme e intensità della religiosità. Tenendo presente tutto questo, si possono a mio parere fare una serie di affermazioni precise e chiarificanti sull’atteggiamento dell’America nei confronti della religione.

Ci sono vari fattori che ci permettono di dire che gli americani si considerano un popolo religioso, in termini di fede e di prassi: statisticamente, il 94% degli americani afferma di credere in un Dio personale, il 90% di pregare, l’88% di ritenere che Dio li ama; inoltre, il 75% afferma che per loro la religione è una esperienza positiva. Il 65% frequenta regolarmente la Chiesa, e questo indica un calo rispetto a cinquant’anni fa.

Tutte queste percentuali, superiori a quelle riscontrabili in Europa, fanno pensare: inoltre, gli americani sono generosi, anche finanziariamente, e dedicano alle cause religiose più denaro che a quelle politiche. E allora, perché questi atteggiamenti del popolo non si riflettono anche nella vita istituzionale del paese? Uno sguardo alle convinzioni di coloro che comprendono anche l’estabilishment potente della comunicazione, dimostra che c’è un potente filtro quando i valori religiosi del popolo vogliono avere una espressione pubblica. Un’indagine condotta dal professor Robert Liften, vari anni fa, ha rivelato che il 50% dei giornalisti americani non crede in Dio, l’86% non va a Messa mai o quasi mai, e soltanto il 2% si dichiara cattolico praticante. Il 90% si dichiara favorevole all’aborto, il 76% giustifica l’omosessualità, il 54% non condivide l’affermazione che l’adulterio è riprovevole. Questo dimostra che c’è senz’altro un pregiudizio anti-cattolico nei mezzi di comunicazione americani, e ci sono segni altrettanto evidenti di questo pregiudizio nell’ambito dell’entertainment, e nel mondo accademico.

Se per gli europei è difficile riunire l’immagine dell’America come paese religioso a quello dell’America come la Babilonia dell’Occidente, forse una risposta la si può trovare proprio nella presenza di questo anti-Cattolicesimo, pregiudizio nato negli anni del Puritanesimo, e periodicamente rispolverato nei momenti di forte immigrazione cattolica o di disputa morale. Un noto storico disse una volta: "Trovo che il pregiudizio contro la Chiesa sia il peggior pregiudizio nella storia del popolo americano". Il primo emendamento della nostra Costituzione afferma che il Congresso non può legiferare in materia di fondazione di una religione e di proibizione della sua libera pratica; eppure, nel 1948, questa proibizione venne ampliata fino a proibire il trasporto dei bambini nelle scuole parrocchiali cattoliche. Se gli studenti handicappati che frequentano le scuole cattoliche possono ricevere una assistenza pubblica questa assistenza viene fornita in un luogo al di fuori delle mura scolastiche. L’affermazione del 1802 di Thomas Jefferson che la Costituzione aveva posto un muro di separazione tra Chiesa e Stato, negli ultimi cinquanta anni è stata utilizzata per interpretare la Costituzione in forme che in realtà fanno apparire il Governo ostile agli interessi religiosi, cioè cattolici, e più favorevole a una visione secolare.

Tradotto tutto questo nell’arena politica, appare evidente un doppio metro di misura. Nelle prossime dieci settimane, in attesa delle elezioni, sarà normale sentire politici che parlano nelle sinagoghe ebraiche o nelle chiese protestanti. Se questa attività si svolgesse in una chiesa cattolica, sorgerebbero delle minacce di togliere alla Chiesa Cattolica nel suo complesso il regime di esenzione fiscale, come è già avvenuto in passato. Si spera comunque che il vento inizi a cambiare. In un’indagine pubblicata sul New York Times l’anno scorso, si afferma: "A dimostrazione del cambiamento nell’atteggiamento degli americani rispetto alla religione e alla politica, gran parte del pubblico ritiene che le Chiese dovrebbero poter esprimere una opinione politica". Situazione ben diversa rispetto a quella di una generazione fa. Questo, secondo me, non è dovuto ad una riduzione dei timori nei confronti di un Cattolicesimo che fa sentire la sua voce in politica, ma piuttosto è dovuto ad un aumento, nel numero delle organizzazioni nei Movimenti Cristiani Evangelici che nell’ultimo decennio hanno iniziato a parlare e ad agire, proponendo candidati e leggi che sostengano i tradizionali valori morali.

Oltre a questo anti-Cattolicesimo, profondamente radicato nel suolo americano, il laicismo moderno esercita una forte pressione e minaccia alla base l’efficacia della voce religiosa in America, con l’aiuto di gruppi come l’Americancy Deliberaty Union, o il People for the American Way, che formano delle forze potenti, "laicizzanti", e si oppongono all’influenza religiosa nelle istituzioni politiche. Sembra addirittura che gli enti rappresentativi di svariate organizzazioni religiose minori non cattoliche cerchino una specie di "Santa Alleanza" con le forze laiche per combattere le posizioni cattoliche e per ridurre l’influenza del Cattolicesimo. A ciò si aggiunga il fatto che lo scetticismo rispetto alle verità obiettive e l’istinto forte per la trascendenza hanno preparato il terreno ad un’ampia serie di movimenti chiamati "New Age", movimenti che hanno avuto un influsso profondo in tutto l’ambito religioso, caratterizzati dal sincretismo, dalla negazione della realtà del peccato e dall’interesse nell’astrologia, nella numerologia, nello spiritismo. La New Age costruisce sull’ottimismo americano l’idea di un miglioramento senza fine, prendendo a prestito elementi dall’occultismo orientale, dal panteismo, dal paganesimo, arrivando addirittura alle streghe e ai maghi; essa esercita particolare attrazione sui gruppi della sinistra politica. La rivelazione della signora Clinton, che attraverso un medium si sarebbe recentemente consultata con Eleonor Roosevelt morta ormai da decenni, è stata accettata ormai da molti che solo qualche anno fa l’avrebbero definita come affermazione ridicola o addirittura preoccupante. Questo periodo della New Age potrebbe finire presto, ma potrebbe anche originare miriadi di movimenti sensazionalisti nuovi, che cercano di rispondere all’istinto americano per la trascendenza.

D’altro canto, l’attuale svolta conservatrice innegabile nella cultura americana può essere vista come segno di una nuova analisi del Cristianesimo storico. Benché l’apporto religioso, soprattutto cattolico, nella vita americana incontri grossi ostacoli, le religioni organizzate hanno in mano molte leve negli affari americani, anche se in forma indiretta. Un’indagine recente ha notato che due terzi dei movimenti che perseguono la giustizia sociale hanno la propria motivazione nella fede religiosa. Si tratta di un gruppo ampio di uomini e donne che fanno del bene, lavorando nelle case alloggio per malati di AIDS, negli alloggi per i senza casa, nei centri per il nutrimento dei poveri e nei gruppi di sostegno agli immigrati. Di fatto però la visibilità gerarchica in queste attività è scarsa. Il clero è più efficace nella collaborazione orizzontale, sotto forma di comitati, consigli, organi scolastici e così via. Questo contributo sociale dei gruppi religiosi tradizionali, soprattutto cattolici, è enorme ed è riconosciuto dal pubblico americano, ed incoraggia quindi un profondo rispetto degli americani per la fede organizzata.

Il Cattolicesimo è però sottoposto a molte difficoltà, a molti ostacoli che mettono a dura prova lo spirito delle sue autorità ad ogni livello. Il laicismo infatti ha creato un clima che esercita delle forti spinte psicologiche e sociali rispetto ai cattolici, perché si adeguino ai codici laici, o quanto meno mettano in dubbio le verità di fede. Ad esempio, ci si rende conto che molti dei nostri testi di catechesi, negli ultimi trenta anni hanno abbracciato sempre di più delle vaghe generalizzazioni. Il risultato è stato un impoverimento della conoscenza religiosa: non si tratta più di rifiutare gli insegnamenti cristiani, perché molti non hanno più neanche la vaga idea di quali siano questi insegnamenti. Così nell’approccio alla fede e alla morale, i cattolici americani assomigliamo a molti altri gruppi cattolici di altri paesi. Essi sono stati descritti come una realtà composta da due estremi: i pluralisti da un lato e gli osservanti dall’altro, in mezzo ai quali si trova un gruppo molto, troppo vasto, di fedeli. Questi due gruppi sono visti in opposizione: i cattolici pluralisti accettano qualsiasi numero di posizioni teologiche all’interno della Chiesa, minimizzando la verità obiettiva, o perlomeno il dovere delle autorità ecclesiastiche di giungere a delle verità certe. Sono i cattolici "all’acqua di rose", che scelgono gli elementi che interessano e trascurano tranquillamente il resto, senza considerarsi per questo meno cattolici. Questo atteggiamento trova la sua istigazione in molte istituzioni scolastiche cattoliche; inoltre, tra alcune élites, in ambito scolastico, ci sono dei ceppi profondamente anti-romani, anti-cattolici a cui si dà un ampio spazio da parte dei media. Dall’altro lato vi sono i cattolici osservanti: essi rispettano quella gerarchia obiettiva di verità teologiche che devono essere accettate da un vero cattolico, accettano forme pratiche di devozione diversa dalle proprie, ma si attendono dal Magistero della Chiesa la definizione dei parametri morali e dogmatici per i credenti. In mezzo alla confusione e all’incertezza post-conciliare, in mezzo al crollo delle strutture valoriali della società, questi fedeli si sono affidati alla voce costante del Magistero della Chiesa. Hanno mantenuto la fede. A loro va ascritta l’assenza di violento antipapismo, antipapismo che si trova invece in molti paesi occidentali. Ci sono dei segni quindi di speranza.

Nonostante gli avvenimenti e le filosofie che hanno prodotto il clima poco amichevole per i cattolici americani, l’orizzonte mostra segni di incoraggiamento. Non si può ignorare il fatto che la Chiesa americana continui ad essere una Chiesa immigrante. La nostra popolazione cattolica aumenta di decine di migliaia di persone ogni anno grazie agli immigrati di lingua spagnola provenienti dall’America Centrale e Meridionale, e ai cattolici asiatici delle Filippine, del Vietnam, della Corea. Come nel passato, questi immigrati si rivolgono alla Chiesa cercando sostegno spirituale, scolastico, personale, culturale. Rimangono vicini al proprio clero e si identificano con il Vescovo di Roma che è il loro Santo Padre. I loro profondi legami famigliari, il loro amore per la loro Chiesa, ci ricorda e ci dona i tesori della comunione. Purtroppo, e questo preoccupa molto, vi sono numerose defezioni, in direzione del gruppo protestante, da parte dei cattolici di lingua spagnola che non trovano risposte alle loro esigenze religiose all’interno della famiglia cattolica.

Benché il costo delle scuole cattoliche sia elevato, e i genitori che le scelgono non ricevano aiuti finanziari dal Governo, il sistema della scuola cattolica è forte, soprattutto nei centri cittadini e nelle zone urbane, dove la maggior parte dei nostri studenti non sono cattolici. In passato e ancora oggi, nonostante la mancanza di tradizionali programmi religiosi nelle scuole cattoliche, esse si dimostrano ancora un mezzo importante di pre-evangelizzazione e di evangelizzazione per gli studenti e per le loro famiglie.

Gli ultimi anni in America, hanno offerto alla nostra Chiesa segni tangibili di speranza. Il fervore che ha animato l’ultima giornata dei giovani a Denver, la calorosissima accoglienza riservata al Santo Padre negli Stati Uniti nell’ottobre scorso da alcuni ambienti che una generazione fa sarebbero stati freddi se non ostili; l’enorme successo editoriale del Nuovo Catechismo Cattolico e di Varcare la soglia della speranza; la recente apparizione sulla lista dei libri più venduti pubblicata dal New York Times di diversi testi incentrati sulla spiritualità... questi sono solo alcuni dei numerosi segni del fatto che il campo è ormai maturo, pronto per il raccolto. Ci sono segni di un riconoscimento teologico del Cattolicesimo: le verità dogmatiche, morali e spirituali che hanno guidato la crescita della Chiesa per due millenni stanno conoscendo un meraviglioso sviluppo attraverso il pulpito, i sacramenti, l’educazione, le testimonianze di persone e di gruppi. C’è una generazione nuova di teologi e di scrittori fedeli all’insegnamento della Chiesa, che ha una solida base su cui costruire nella teologia post-vaticana di Giovanni Paolo II. Sarà finito da molto questo secolo prima di iniziare a comprendere veramente a fondo le visioni profondissime della teologia del nuovo millennio nata in questo pontificato che sfidano i pilastri più radicati del laicismo moderno.

Restano però delle sfide: occorre trovare modi nuovi e più ingegnosi di presentare il nostro tesoro. Il mondo ha fame di verità, anche se non sempre è pronto per accettare ciò che Monsignor Giussani una volta ha chiamato la limpida esposizione della tradizione. È difficile per esempio tradurre la visione della Chiesa di amore nel matrimonio in un mondo occidentale in cui le famiglie si sfasciano, una visione di amore trinitario rafforzato dalla comunione, e incentrata sul potenziale sacramentale di un dono completo e perpetuo di se stessi. In un’era all’insegna dei contraccettivi e piena di pressioni anti-familiari dobbiamo affrontare con vigore la nostra opera di catechismo e di preparazione e aiuto al matrimonio. Ma soprattutto è fondamentale che tutti dimostrino la loro fedeltà alla Chiesa. Se i cattolici americani stanno raggiungendo i gradini più alti della scala sociale, come può la Chiesa renderli più consapevoli dei loro obblighi sociali affinché rispondano in modo più generoso alle necessità dei poveri, degli immigrati, di coloro che sono in carcere, o di coloro che vivono la miseria del terzo mondo? I cattolici americani sono stati generosi, ma quando uno ce l’ha fatta da solo ha spesso la tentazione di tenere per sé ciò che ha raggiunto. Come possiamo convincere gli eredi della millenaria cultura cattolica in Europa, e molti sinceri cattolici americani, che la nostra fede non li ha traditi?

Questo secolo non è ancora finito, e i suoi ultimi anni hanno in sé la promessa di un profondo cambiamento. Quale momento più di questo che ci avvicina al nuovo millennio potrebbe essere più provvidenziale per la rievangelizzazione di una America alla ricerca del suo passato religioso e del suo futuro? Il nostro Santo Padre ci ha ricordato, nella Tertio Millennio Adveniente che in Cristo Dio è ancora alla ricerca dell’uomo, con la stessa sollecitudine con cui il pastore cerca la sua pecorella smarrita. Questo documento profetico, che ci dà grande speranza, ha già una radice di risposta in questo Meeting, e nella teologia stessa che è alla radice di Comunione e Liberazione. Il Papa usa parole di respiro cosmico, e dà suggerimenti precisi. "La vita cristiana nella sua interezza, è come un grande pellegrinaggio alla casa del Padre, il cui amore incondizionato per ogni creatura umana, riscopriamo ogni giorno. Questo pellegrinaggio si verifica nel cuore di ognuno, e si allarga alla comunità dei credenti, finendo per abbracciare l’intera umanità". Riferendosi alla sfida della laicizzazione, il Papa esprime la sua profonda preoccupazione per quella che chiama la crisi della civiltà, estremamente sviluppata dal punto di vista tecnologico, ma interiormente impoverita dalla sua tendenza a dimenticare Dio o a tenerlo a distanza.

Lontana dall’invocare una ritirata, la Chiesa ci chiede invece di riconoscere i segni di speranza presenti nell’ultima parte di questo secolo. Il progresso scientifico, tecnologico, soprattutto medico, a servizio della vita umana, il crescente interesse in un dialogo con altre religioni e con la cultura contemporanea, a partire dalla consapevolezza del nostro radicamento in una forte ecclesiologia di comunione, possono impegnarci in un dialogo aperto, rispettoso e cordiale accompagnato da un attento discernimento e da una coraggiosa testimonianza della verità. Questo dialogo deve nascere da una comunione vera, per giungere ad una vera liberazione fondata sulla verità. Giovanni Paolo II chiama vera comunione il mistero ultimo della nostra Chiesa che ci unisce alla vita di Cristo, e nello stesso tempo, comunica la vita di Cristo agli altri. La comunione è allo stesso tempo verticale e orizzontale nei suoi effetti vincolanti, se è una comunione genuina, spirituale. Tutti i cristiani, ma soprattutto coloro che si identificano pubblicamente con il concetto di comunione, devono guardarsi dal permettere che questo sacro concetto sfugga nell’ambito della psicologia o della sociologia, dove presto verrebbe tramutato in puro sentimento ed emozione. Come ripete il Papa, sono soprattutto i giovani di questo millennio, che raggiungeranno la maturità nel primo decennio del secolo a venire, a dover dialogare con Gesù Cristo nel loro pellegrinaggio, come ha fatto il giovane ricco nel Vangelo.

Albacete: L’esperienza che definisce il movimento di Comunione e Liberazione non può essere separata dall’esperienza del fondatore Monsignor Luigi Giussani. Potrebbe sembrare che tale esperienza sia impossibile al di fuori del contesto culturale in cui è stata originata, soprattutto gli eventi drammatici degli anni Sessanta e Settanta in Italia e ciò che ne seguì con l’evolversi dell’ambiente culturale. Eppure, il cuore dell’uomo è lo stesso, ovunque. Perché? Perché l’"uomo" è uno, l’"uomo" è Gesù Cristo, il nuovo Adamo, secondo la cui immagine fu creato il primo Adamo. Gli esseri umani furono, esistono perché Egli, figlio di Maria e figlio divino del Padre Eterno, fu predestinato prima dei tempi ad essere il "primo di molti fratelli e sorelle", predestinati loro in Lui. Gesù Cristo è lo stesso oggi, ieri, domani, in Italia, negli Stati Uniti, anche in Montana. Ecco perché il cuore umano è lo stesso ovunque.

L’esperienza del movimento di Comunione e Liberazione è una esperienza della presenza concreta del fatto di Gesù Cristo. Ecco perché siamo fiduciosi che, nonostante sia stato originato in un contesto culturale diverso da quello di Monsignor Giussani, l’esperienza di questo movimento possa essere comunicata e vissuta negli Stati Uniti così come in qualsiasi altra parte del mondo. Questo movimento è stato descritto come la capacità di dire "Io", e di conseguenza "Tu". L’altro è questo "Tu" che evoca in noi l’esperienza dell’identità, di essere un vero "Io". Non è, come affermava Cartesio, cogito ergo sum, ma piuttosto cogitor ergo sum: io sono conosciuto, quindi sono. Poiché il "Tu" che ci conosce attraverso l’amicizia della compagnia è Gesù Cristo stesso, l’esperienza di identità che ne consegue, la capacità di dire "Io", tocca le radici più profonde dell’esistenza umana, l’esistenza in quanto "Uomo".

L’esistenza dell’uomo si incarna sempre nell’ambito di una cultura concreta. Ciò significa che non si può assumere questa esperienza a partire dalla sua espressione culturale originaria, quella italiana nella vita di Monsignor Giussani, in qualche modo distaccarla dal suo contesto ed inserirla nella cultura degli Stati Uniti. Tuttavia, sebbene non possa essere astratta da un contesto culturale e inserita in un altro, una esperienza così può essere comunicata attraverso una "identità condivisa", cioè attraverso la comunione interpersonale, attraverso l’amicizia, la solidarietà, l’amore. Qualsiasi altra modalità ridurrebbe l’esperienza a teoria, ad astrazione. Questo è l’unico modo in cui l’esperienza può essere "tradotta" nella lingua americana: deve prima entrare nella cultura americana attraverso il cuore. Solo così parlerà la lingua americana, perché una parte inseparabile di questa esperienza è l’avvenimento di Gesù Cristo come realtà che non è estranea a nulla di umano.

Possiamo capire la cultura americana se tentiamo di guardarla come una esperienza della ricerca di liberazione personale alla luce della presenza degli altri e di Dio. Questa lotta, questa ricerca, negli Stati Uniti è stata inquadrata dalla esperienza protestante, e filtrata attraverso la filosofia dell’Illuminismo. La modalità americana di trattare questo dramma è stata colta ed espressa in modo esplicito da miti religiosi. In particolare, ha seguito il paradigma dell’"Esodo", un esodo nel deserto, nello spazio, per incontrare la liberazione. Liberazione intesa come "uscire" da un’area stretta, dai confini angusti verso la vastità dello spazio: questa è l’esperienza americana di liberazione. In questo caso lo spazio non è riferito solo alle dimensioni della terra a disposizione – che è comunque grande! – ma piuttosto allo "spazio esistenziale" di cui una terra vasta è simbolo. È stupefacente come questo sia espresso in termini biblici; se si guarda infatti al prefazio della Messa del Thanksgiving Day, il Giorno del Ringraziamento, non c’è separazione tra Abramo, Isacco, Giacobbe e i padri fondatori americani.

Sarebbe comunque sbagliato vedere questa liberazione attraverso l’esodo come un fenomeno interamente individualistico. Al contrario, nella tradizione americana, dalla dottrina biblica che riguarda la famiglia l’individualismo è sempre stato tenuto sotto controllo. Negli scritti religiosi, dai puritani fino ad oggi, possiamo trovare testimonianza dei tentativi di tenere insieme l’esperienza di una identità basata sulla famiglia e di una identità liberata attraverso l’esodo individuale. Una lotta che continua anche oggi, nonostante il trionfo dell’ "esodo", dell’identità attraverso la liberazione individuale. In base a questo modello di liberazione, cosa prende il posto dell’Egitto? Storicamente, questa realtà non è altro che la Chiesa di Roma. Oggi il mito religioso della vita americana è stato secolarizzato in molti ambiti, ma l’Egitto rimane la Chiesa Cattolica. Questo costituisce un punto di partenza per capire il luogo storico della missione della Chiesa Cattolica nella cultura americana.

La Chiesa Cattolica ha risposto a questo pregiudizio seguendo una duplice strategia. Da una parte, essa ha creato il suo mondo, il suo proprio spazio, il suo proprio ghetto culturale. Fondamentalmente si trattava di un ghetto a scopo protettivo, per proteggere la gente dalla perdita della fede. Dipendeva, perciò, profondamente dalla dottrina corretta, molto moralistica, e strettamente legata ai simboli, alle regole e alle strutture della vita ecclesiastica; però, queste strutture non erano necessariamente quelle nate dalla esperienza di vita sacramentale cattolica, ma erano invece copie esatte delle strutture secolari o non cattoliche. Scuole, ospedali, università, associazioni... le strutture cattoliche erano copie esatte di quelle non cattoliche. Questo fu il cavallo di Troia all’interno del ghetto cattolico: siccome la Chiesa Cattolica negli Stati Uniti non creava strutture di vita che nascevano dall’esperienza di vita cattolica, ma piuttosto le copiava dall’ambiente da cui si proteggeva, quelle strutture hanno portato quell’ambito all’interno della Chiesa Cattolica stessa. Copiando le strutture non cattoliche e cercando di renderle cattoliche semplicemente "aggiungendo" la dottrina e la morale cattolica, la Chiesa Cattolica negli Stati Uniti ha permesso ad un grande pericolo di entrare nel suo mondo: il pericolo che l’esperienza di vita riflessa da queste strutture si dimostrasse più forte di ciò che era stato aggiunto allo scopo di proteggere l’identità cattolica. Questo è proprio ciò che è accaduto.

Il secondo impulso della presenza cattolica negli Stati Uniti è lo sforzo di dimostrare che il Cattolicesimo e lo stile di vita americani non sono contraddittori. Tale ultrapatriottismo era talvolta disturbato qua e là, dai punti di vista e dalle opinioni, dalla destra e dalla sinistra, ma i riconoscimenti economici dello "stile di vita americano" si dimostrarono più forti di qualsiasi critica sistematica ai suoi presupposti fondamentali. L’esito di questa politica fu confermato dall’elezione del primo Presidente cattolico, ma questa elezione mostrò il prezzo che i cattolici erano disposti a pagare per essere accettati quando John F. Kennedy dovette intraprendere un pellegrinaggio in West Virginia per dire ai leaders protestanti che la sua fede cattolica non sarebbe entrata nelle sue decisioni come Presidente degli Stati Uniti.

Fu poi il Concilio Vaticano II a demolire definitivamente le mura del ghetto cattolico negli Stati Uniti. Nel suo nome persino i simboli di un modo di vivere diverso da quello degli ambienti non cattolici furono eliminati attraverso dei cambiamenti liturgici. La divisione secolare tra destra e sinistra si muoveva all’interno del mondo cattolico esattamente come succedeva al di fuori. La Chiesa Cattolica negli Stati Uniti è oggi americana come qualsiasi altra cosa. Tuttavia, la tensione originaria rimane pressoché la stessa: la salvezza attraverso l’esodo, sempre alla ricerca di maggior spazio, la salvezza attraverso l’espansione, e il tentativo di renderla compatibile con la promozione della comunità.

Davanti a questa situazione, un movimento come Comunione e Liberazione si presenta come esperienza di liberazione, di identità, attraverso la comunione. Perché questo possa avvenire, crescere ed essere sostenuto nelle differenze culturali, negli Stati Uniti occorre un tessuto di una vita comune, condivisa. Una comunione interpersonale richiede un luogo vivente e una spazio di espansione che venga certo organizzato, ma in un modo non-organizzativo. Quando infatti un’esperienza viene organizzata "a priori", ciò che era l’opportunità di una vita comune viene ridotta ad una vita sociale arbitrariamente strutturata, in cui ciò che è personale è ridotto a un individuo sostituibile. L’individuo sopravvive come realtà funzionante ed è libero, ma solo per giocare una parte, in un disegno sociale che promette pienezza per tutti. Quando il disegno sociale è avviato, coloro che non riescono a causa di aspetti non funzionali della loro vita, come la sofferenza o la debolezza, o perché sono vittime di discriminazione, si uniscono per far valere i propri diritti, ma sono guidati dalla stessa convinzione che esista un piano funzionale che li libererà: pensano che si tratta solo di sostituire un piano con un altro migliore. Ma quando tali sforzi falliranno – e sicuramente falliranno – e queste persone non saranno ancora in grado di riuscire, che ne sarà di loro?

Questa è la situazione oggi tra gli afro-americani, i neri. Il loro successo nella lotta per i diritti civili portò ad altre opportunità per il successo, e vennero messi in atto programmi di una azione di affermazione per eliminare le conseguenze della discriminazione passata. Ma oggi molti africani americani si sentono più alienati che mai. Coloro che frequentavano le migliori Università scoprirono che la cultura dominante non riusciva a gestire la profondità delle loro crisi di identità, del loro bisogno di dire "Io". Così, mentre alcuni oggi continuano a cercare un nuovo programma di liberazione, tanti altri sono attratti dal Movimento Nazionale dell’Islam che, non considerando i pregiudizi culturali dell’ambiente dominante, crea spazi esistenziali radicati in un’esperienza spirituale che penetra tutte le dimensioni della vita. Questo "ghetto culturale", a differenza del vecchio ghetto cattolico, non copia le strutture dell’ambiente, ne genera di nuove. In verità, l’influenza del Movimento Nazionale dell’Islam, è a mio parere il risultato del fallimento della Chiesa Cattolica nella sfida alla cultura dominante tramite l’esperienza di vita che sorge dalla fede cattolica in Cristo. Il Cristianesimo protestante con il suo rifiuto della mediazione sacramentale, non può offrire queste esperienze, ma la Chiesa Cattolica, a causa della timidezza o dell’adozione di strutture di vita non cattoliche, o anche per dimostrare il proprio patriottismo, si è rivelata incapace di offrire agli afro-americani l’esperienza di cultura generata dalla fede.

Nei suoi tentativi, la Chiesa non deve cercare un successo che è definito in termini di una grande varietà di strutture organizzative con forza ed influenza. Invece, deve percorrere il cammino di una presenza sempre più grande di vita insieme, di amicizia sostenuta da una esperienza originale. Per le stesse ragioni, sarebbe un errore separare la missione in categorie assolute distinte, come per esempio Università, parrocchia, mass-media, Vescovi, preti... Ciò immediatamente darebbe l’impressione che si offrano una serie di proposte organizzative. Si deve invece dare l’idea opposta, creare spazi esistenziali perché la "presenza" accada, perché la realtà si manifesti come "altro", come qualcosa che non è costruito o organizzato dagli uomini.

La presenza cattolica nella società americana deve avvenire come risultato di una tale esperienza della realtà. Quando ciò accadrà, la nostra testimonianza sarà come un fulmine in un cielo estivo cupo e nebbioso che preannuncia con una corrente d’aria fresca la pulizia di un’aria inquinata. Ma ciò è il carisma di Comunione e Liberazione, lo stile di presenza che costituisce la sua identità. Questo è il motivo per cui io credo che il presente sia un tempo di grandi opportunità per questo movimento negli Stati Uniti. Questa presenza nuova sarà una attraente testimonianza nella società americana di oggi, perché essa corrisponde alle caratteristiche dell’ethos americano e alla sua esperienza di "esodo", di liberazione. Un libro recente ben afferra questo ethos americano, riassumendolo in termini di sette "forze culturali" che definiscono gli americani, e può essere di aiuto, come punto di riferimento per paragonare l’esperienza di Comunione e Liberazione con le esperienze che si definiscono americane. Le sette forze culturali indicate da questo libro (cfr. The Stuff Americans are Made Of, di Josh Hammond e James Morrison, Macmillian, New York) sono: l’insistenza sulla scelta; il perseguimento dei "sogni impossibili"; l’attrazione per ciò che è "grande e di più"; l’enfasi sul now, l’adesso; la sindrome degli "Oops", cioè l’aspettarsi degli errori; l’improvvisazione; la ricerca di nuove identità potenziali.

Cosa dice la proposta cattolica, e in particolare quella di Comunione e Liberazione rispetto a queste sette forze culturali?

Per quanto riguarda l’importanza della scelta, quello che noi proponiamo è che solo l’avvenimento di Gesù Cristo rivela gli esseri umani come esseri realmente capaci di scegliere il loro destino, di scegliere il corso dell’azione che esprimerà veramente e configurerà la loro identità. In verità, è solo la tradizione filosofica cattolica, fondata nella rivelazione della persona umana alla luce dell’incarnazione, che insiste oggi sulla realtà di atti veramente umani, i quali a loro volta costituiscono la persona indipendentemente dalle circostanze e dai condizionamenti, salvandola dagli scettici, dai proporzionalisti, dai nichilisti circa la capacità umana di scegliere.

In secondo luogo, è solo l’avvenimento di Gesù Cristo che apre al desiderio di perseguire "sogni impossibili", poiché tale avvenimento promette il più impossibile dei sogni, il sogno di condividere la stessa vita di Dio, che è stato rivelato a noi come qualcosa di impossibile da raggiungere tramite i nostri sforzi, ma comunicato a noi come pura grazia, come dono di amore.

Rispetto all’amore di ciò che è "grande e di più", il destino a cui questa grazia chiama è "più grande" e "di più" di ciò che la mente umana può concepire; alla luce delle possibilità di questo destino non c’è niente della vita di una persona che possa essere superato come "più grande" e "di più".

La passione per il momento, l’"ora", il now: l’esperienza della grazia non è qualcosa che può essere posticipata in una qualche vita ultraterrena, in uno stato di esistenza chiamato "eternità", che assomiglia allo stato di sospesa animazione e non può assolutamente richiedere da parte nostra il minimo sacrificio del piacere immediato. In realtà, in Gesù Cristo noi facciamo esperienza dell’eternità come del significato più profondo di ciò che esiste ora, come della verità di ciò che adesso ci fa vivere, confermando il suo vero valore, la sua autenticità e permanenza. In verità è solo all’interno di una cultura generata dalla fede biblica che il trascorrere del tempo apre la via all’esperienza di un momento privilegiato che cattura la pienezza del tempo. Altrimenti tutto è monotonia, non c’è niente di realmente nuovo, perché il tempo non è nient’altro che il necessario svolgersi di ciò che è sempre stato presente. In verità solo l’esperienza della grazia, della pienezza del tempo attraverso il rivelarsi di Cristo come presenza concreta nelle nostre vite, rende possibile l’esperienza di un vero now.

Per quanto riguarda poi la volontà di accettare gli errori e l’ammirazione per la capacità di improvvisare, ammesso che l’obiettivo perseguito sia sufficientemente grande, ciò che ci è promesso in Cristo e ciò che cominciamo a sperimentare ora, non dipende dalla nostra previa perfezione. L’esperienza della concreta presenza di Cristo precede ogni riforma morale e non dipende dalle nostre imperfezioni. In verità è colui che crede di essere giusto e di non fare errori che perde la possibilità del richiamo a seguire il Signore. Noi siamo come Zaccheo, come Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, Natanaele, in quel primo giorno, quella prima volta. Alla fine la forza della sua presenza aprirà i nostri cuori alla vera giustizia e amore, ma la chiamata iniziale e l’invito a continuare in essa, in quello che è il "più grande" ed il più "impossibile" degli "impossibili sogni" (che solo il Suo amore rende possibile), questo è totalmente gratuito e ha la forza di superare i nostri errori e le nostre imperfezioni. Dobbiamo purificare interamente la nostra offerta e liberarla da ogni macchia di moralismo e legalismo.

Infine, la ricerca di una nuova identità personale: non è forse esattamente questo ciò che noi offriamo, la possibilità di una reale esperienza di identità, un’esperienza fuori dalla quale è impossibile essere una persona vera? Cogitor ergo sum: questa è l’esperienza dell’avvenimento di Gesù Cristo.