Madre Teresa, amore senza limiti.
100 immagini di Morihiro Oki

Presentazione della mostra

Martedì 24, ore 11.30

Relatori:

Laura Geronazzo,
Agenzia Ultreya, Milano

Morihiro Oki,
Fotografo, Membro dell’Associa-

zione Giapponese Fotografi e Associazione Artisti Nika

Bernardo Cervellera,
Direttore Internazionale dell’Agenzia Fides

Moderatore:

Giovanni Chiaramonte

Geronazzo: Lavoro con altri soci in una piccola agenzia letteraria, uno studio editoriale a Milano; partecipando nel 1997 alla Fiera internazionale del libro a Francoforte, girando per gli stand, casualmente abbiamo notato un volume edito da un editore giapponese di Tokyo, che aveva in copertina un’immagine di Madre Teresa. Abbastanza sorpresi lo abbiamo aperto, e subito ci siamo trovati di fronte a delle immagini che abbiamo compreso essere estremamente potenti, vere e per nulla sentimentali. Questo ci ha molto colpito, oltre alla meraviglia di trovare Madre Teresa presso un editore giapponese. Abbiamo così deciso di editare questo libro anche in Europa.

Oki: Innanzitutto, io sono buddista: forse qualcuno fra voi si chiederà perché una persona buddista come me possa aver avuto il desiderio di incontrare Madre Teresa, e sarà ciò di cui vi parlerò.

Nel 1974 le Nazioni Unite dichiararono l’anno dei popoli perché in quel momento si aveva un grosso incremento demografico: si era calcolato che all’epoca nascevano nel mondo 174 persone al minuto. Mi interessai all’argomento e svolgendo alcuni studi sull’esplosione demografica nel mondo, mi resi conto che il cuore di essa era Calcutta in India, così come anche il Bangladesh. Voi tutti conoscete la tragedia del Kosovo, e di come in Kosovo siano affluiti i profughi che sono stati allontanati dalle proprie terre per problemi religiosi; ebbene, in India vi era una situazione analoga, poiché in Bangladesh tutte le persone di religione induista furono costrette a lasciare il proprio paese natale a causa del governo di religione musulmana. Abbandonarono le terre e giunsero in India, in particolare a Calcutta; per darvi un’idea delle proporzioni pensate che in India arrivarono ben dieci milioni di persone. Quelli che giungevano dal Bangladesh erano soprattutto contadini che erano costretti ad abbandonare le proprie terre ed il proprio lavoro, oltrepassavano i confini dell’India e giungevano a Calcutta che storicamente era stata una città ricca di cultura e ricca commercialmente.

Ma la Calcutta che io vidi fu una Calcutta di disperazione: i profughi dormivano dappertutto, nei parchi, nelle scuole, ma soprattutto in mezzo alla strada. In mezzo alla strada le donne partorivano i bambini, in mezzo alla strada la gente moriva, in mezzo alla strada le persone vivevano come animali. Io ero giunto dal Giappone per fare il mio reportage sull’incremento demografico, e per me fu uno shock culturale vedere una realtà che non mi aspettavo. Fu anche uno shock emotivo, così forte che mi ammalai di dissenteria; se non che successe qualcosa, la scoperta di un libro che trovai proprio in mezzo alla strada dove la gente vendeva di tutto. Il libro si intitolava Something beautiful for God, (Qualcosa di meraviglioso per Dio), e parlava di Madre Teresa di Calcutta, che io non conoscevo, una donna che aveva dedicato in quel momento già 25 anni della sua esistenza ai più poveri tra i poveri. Ancora ammalato di dissenteria comprai questo libro, andai in albergo, iniziai a leggerlo e compresi che al mondo esisteva un essere umano speciale, meraviglioso e ne fui profondamente commosso. Quello che pensai fu: "Non è per il reportage, in realtà io sono arrivato in questa terra per incontrare questa donna, per incontrare la sua esperienza" e decisi di incontrare Madre Teresa.

Purtroppo in quel momento Madre Teresa era a Londra; incontrai al suo posto suor Agnese, che peraltro è la prima sorella che si è unita a Madre Teresa nella sua attività di aiuto ai più poveri. E fu a lei che feci la mia richiesta di fare delle foto, un reportage della loro casa, della loro attività; le spiegai che era stato un libro, scritto da un giornalista della BBC, ad ispirarmi, a convincermi che ciò di cui dovevo occuparmi da quel momento in poi era documentare la loro vita. Ottenni il permesso.

Così, andai alla casa dei moribondi. In questo luogo, le condizioni di vita, considerando il tenore di vita in Giappone e probabilmente anche in Italia, sono inimmaginabili. La gente muore per strada come gli animali, come i cani o i gatti. Uno dei primi pensieri di Madre Teresa fu quello che, proprio perché siamo tutti uguali, non importa la nostra religione, non importa il nostro colore di pelle, abbiamo diritto a morire in maniera dignitosa, a ricevere amore, perché siamo tutto allo stesso modo creature volute da Dio. Madre Teresa ha iniziato così, per questo motivo si è attivata a raccogliere i moribondi. Mi stupì molto il fatto che questa casa dei moribondi, questa struttura voluta da Madre Teresa che è cattolica, si trovava all’interno di un tempio induista. È il tempio della dea Calì, la dea della distruzione, una divinità crudele, severa, alla quale gli induisti portano in sacrificio le proprie bestie – pecore, ad esempio – per chiedere qualcosa in cambio. Così, mentre da una parte Madre Teresa e le sorelle curavano le persone moribonde, dall’altra nello stesso luogo ogni giorno venivano uccise decine di bestie in sacrificio alla divinità Calì. Il sacrificio di queste pecore avviene con la decapitazione, ne viene tagliata la testa, e l’odore del sangue giunge in questo posto dove invece Madre Teresa si prendeva cura della vita. Un’altra cosa di cui mi stupii fu la scritta che vi era all’entrata della casa dei moribondi: c’era scritto "Casa dei moribondi" (dying): a chiare lettere c’era la parola "morte", non c’era scritto "casa della speranza" o "casa dell’amore" ma appariva a chiare lettere la parola "morte" e sopra di essa la scritta "pure heart", cuore puro.

Una volta entrato, di nuovo ebbi modo di commuovermi. Entrai e di fronte a me vidi uno spettacolo molto triste: persone che non erano altro che pelle e ossa per la tubercolosi: da una parte giacevano le donne, 75 donne (il numero che può essere ospitato), e dall’altra 75 uomini nelle stesse condizioni. Una scena dunque molto forte, molto dolorosa, eppure ancor più forte fu per me l’impatto di scoprire accanto a quei corpi morenti il viso sorridente, il sorriso sul viso delle sorelle che indossavano questi sari bianchissimi a indicare la loro purezza. Sembravano angeli che si muovevano fra di loro per aiutarli ed assisterli fino alla fine. Entrai; subito accanto a me c’era un uomo sdraiato su una branda, che stava per morire; accanto a lui c’era una sorella che gli teneva la mano, e sorrideva. Ad un certo punto la sorella ha detto all’uomo: "Chiudi gli occhi, perché è ora che ti riposi". Così lui ha fatto, rilassandosi, e poco dopo è morto.

Il Giappone è un paese economicamente ricco, un paese che dopo la seconda guerra mondiale, anche se con grandi sforzi, ha raggiunto un livello economico altissimo; io provenivo dunque da un paese dove c’è ricchezza, io ero "ricco", eppure entrando là dentro e vedendo quello che ho visto ho capito che ero povero di qualche cosa, che io in quella ricchezza avevo perso fino a quel momento qualcosa. Capii che quello che avevo perso fino a quel momento nella mia ricca esistenza si trovava appunto lì e che aveva un nome: Madre Teresa. Decisi da quel momento di dedicare la mia esistenza a ritrarre lei e ciò che faceva nella casa dei moribondi.

Tornai in Giappone preparandomi a quello che sarebbe stato il viaggio successivo in India, viaggio nel quale ero determinato ad incontrare finalmente Madre Teresa, a trasmetterle i miei sentimenti e la richiesta di permettermi di documentare attraverso le fotografie la casa dei moribondi e tutta la sua attività. L’anno successivo tornai in India a Calcutta e finalmente incontrai Madre Teresa; le rivolsi timidamente la mia richiesta, dicendole che l’anno precedente ero già stato da loro, avevo visto la loro attività e ero stato molto colpito dall’attività umanitaria delle loro. In modo quasi freddo, Madre Teresa mi rispose: "Ma io non sono una volontaria, non faccio neanche dell’assistenza sociale, se così fosse non avrei avuto il bisogno di lasciare la mia famiglia, avrei potuto restare con mio padre e mia madre e aiutare i più poveri, non è per quello. Io faccio questo per Cristo. Sono qui per Lui. Tutto ciò che vedi che faccio, è ovvio che lo faccio per Cristo". Per me che ero buddista, capire che servire Gesù significava prendersi cura dei più poveri era un concetto in un certo senso impossibile, eppure per Madre Teresa non faceva differenza che io fossi un non cristiano. Aggiunse anche: "Va bene, domani mattina vieni qui alle quattro: le tue foto inizieranno dalla Messa".

Ricordo di avere lasciato l’albergo alle tre e mezza di notte; la città era buia, eppure avvicinandomi al tempio vidi all’improvviso una luce che in qualche modo illuminava il buio della città. Trovai Madre Teresa che meditava e pregava in ginocchio dietro alle altre suore di fronte all’altare. Ogni mattina infatti le sorelle si raccolgono in silenzio a meditare per un’ora di fronte all’altare nella Chiesa; lei lo faceva ogni mattina per ben due ore. Dopo questo tempo dedicato alla meditazione interiore, alle cinque e mezza arriva il prete che celebra la Messa, durante la quale ovviamente c’è la comunione, la comunione con Cristo. Non compresi subito che dunque quell’ora o quelle due ore di meditazione silenziosa che le sorelle utilizzavano erano proprio per prepararsi all’incontro di comunione con Gesù. Dopo aver ricevuto la comunione pregano il Signore, chiedendogli di riuscire ad utilizzare tutto il giorno per lavorare per Lui. Attraverso la comunione ricevono da lui la forza per lavorare per gli altri. Ho impiegato sei mesi per capire dove trovava Madre Teresa – una persona così anziana – la forza per fare tutto quello che faceva, la forza anche fisica: la risposta è semplice, era in quel momento delle quattro di mattina, nella Messa. Un giorno mi spiegò: "In realtà sono due i momenti della giornata in cui io faccio la comunione. Uno è la mattina e poi ce n’è un altro. Il primo momento della comunione è durante la Messa, il secondo avviene sulle strade di Calcutta ogni volta che incontro i più poveri fra i poveri, perché anche loro sono Cristo".

Una mattina dopo la Messa seguì Madre Teresa in uno dei suoi giri per le strade di Calcutta. C’era quello che in quel momento sembrava il cadavere di una vecchia donna sulla strada, che addirittura era mangiato dai topi. Ebbene quella donna ad un certo punto aprì gli occhi: Madre Teresa si rese conto che era ancora viva. Le si avvicinò e le strinse forte la mano e l’ultima parola della donna fu: "Grazie". Per me è indimenticabile il viso di Madre Teresa che in quel momento sorrideva, ed il suo sorriso, mentre accompagnava alla morte questa donna anziana stringendole la mano, era bellissimo. Una gioia meravigliosa animava il cuore di Madre Teresa, ed era una gioia che voleva trasmettere alle persone che stavano appunto per morire. Per Madre Teresa, incontrare queste persone significava incontrare Cristo, ogni volta si ripeteva questo incontro di Cristo e questa gioia, questa felicità, questo ottimismo in qualche modo le davano la forza di superare qualsiasi momento di fatica fisica o di difficoltà. Per Madre Teresa non c’erano differenze di religione, perché Cristo è in tutti noi. È capitato più di una volta che lei di persona raccogliesse i corpi dei moribondi induisti che giungevano alla Casa dei moribondi, ormai esausti, per le strade, e che li portasse nella Casa dei moribondi per prendersi cura di loro.

Dal momento in cui ho visto il sorriso di Madre Teresa verso la donna morente, la mia esistenza è completamente cambiata: ho sentito una forza irresistibile che mi ha attratto verso Madre Teresa e verso la sua congregazione. Ho venduto la mia casa, ho lasciato tutto quello che avevo in Giappone e per quattro anni ho cercato nel migliore dei modi di raccontare attraverso le foto ciò che loro facevano; è stato per merito di Madre Teresa se la mia vita è cambiata in quel modo. Lei mi ha reso affamato, mi ha reso povero e io gliene sono grato perché è stato in quella povertà che sono riuscito a fare quello che ho fatto accanto a lei. Mi trovavo proprio in India quando morì mia madre in Giappone, mia madre che, anche lei buddista come me, attraverso la mia esperienza si era convertita al cattolicesimo; anch’io attraverso Madre Teresa ho conosciuto la grandezza, la potenza, la forza di questa religione ed è probabile che anch’io mi convertirò al cattolicesimo allo stesso modo.

Chiaramonte: C’è una centralità dell’esperienza cristiana e dunque dell’esperienza dell’Occidente che fa del vedere il punto decisivo della civiltà. Oggi noi siamo nell’epoca della comunicazione di massa, grazie alla fotografia, al cinema e alla televisione, grazie alla cultura che nella morte e resurrezione di Cristo ci ha permesso di vedere la realtà. Vedere la realtà è quanto di più difficile ci sia per l’uomo e per la sua civiltà.

Il vedere è ascoltare una domanda e a questa rispondere; solo il vedere alla luce della Resurrezione permette all’uomo di vedere fino in fondo il suo destino. È un cammino lungo, e solo nella santità di san Francesco e poi nel cammino di Dante Alighieri, che era terziario francescano, l’Occidente via via riesce a dotarsi di questi strumenti che dalla prospettiva fanno inventare l'obiettivo a Galileo, in seguito la fotografia e in seguito ancora il cinema. Questo è tutto frutto della civiltà dell’amore che Cristo ha portato, perché risorgendo dalla morte ha aperto gli occhi a noi uomini ciechi. A Emmaus gli apostoli non riconoscono Cristo, solo la sua parola di vivente permette a noi di vedere oltre la morte, di vedere quindi il nostro destino di figli del Dio vivente. La testimonianza di Paolo è chiara: "Noi saremo come Lui perché lo vedremo come Egli è". Questo "vedremo" è il presente della fede, e muove tutto quell’enorme e secolare cammino della cultura dell’Occidente che ha permesso l’invenzione stessa della fotografia. Oki può fotografare proprio perché la civiltà cristiana ci ha dotato di questi strumenti capaci di contemplare la realtà di fronte a noi e agire. Proprio per questo la menzogna è coscientemente massima oggi, nel sistema delle comunicazioni di massa.

La storia del fotografo Oki ci fa capire che non c’è comunicazione se non c’è comunione. La comunione con Cristo che muove la giornata di Madre Teresa e la giornata di ogni credente, muove anche la comunicazione.

Cervellera: La testimonianza su Madre Teresa di Oki e quella di Chiaramonte sulla fotografia, sembrano due voci che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra, separate, distinte, come se un conto fosse la macchina fotografica e un conto l’uomo che incontra la sofferenza, la morte. Invece sono due voci molto unite, perché la testimonianza di Madre Teresa potrebbe essere soltanto un’esaltazione momentanea, come i funerali di lady Diana, morta nello stesso periodo di Madre Teresa… sebbene i funerali di Madre Teresa fossero stati seguiti da più persone nel mondo intero, i giornali vi diedero pochissimo risalto, mentre i fiori per lady Diana si moltiplicavano. Cosa oggi ci fa ricordare ancora Madre Teresa? Non sono i fiori che sono stati sparsi sul suo cadavere, è il fatto invece che ci sono ancora adesso persone cambiate da lei, dalla sua visione del mondo.

Madre Teresa è una fotografa, perché è il suo sguardo sulla realtà, il suo sguardo su questi moribondi che ci ha comunicato e ci ha passato in foto: non semplicemente le foto di una carne che marcisce, di tessuti fradici e rovinati, ma la foto di un volto di persona in cui vive Cristo. Madre Teresa ha avuto una tecnica grandissima: il suo amore, la sua testimonianza, la sua preghiera per farci vedere in modo nuovo la realtà. Lei ci ha fatto vedere dove c’è la morte la vita, dove c’è l’abbandono la compagnia, la fraternità. Madre Teresa è questa prima fotografa, colei che ha lo sguardo limpido sulla realtà, che gli altri fotografi seguono.

Ancora adesso, dopo la morte di Madre Teresa, sulla sua tomba vanno a pregare indù, buddisti, musulmani… e questo non perché lo spirito di Madre Teresa si agita e si muove come un fantasma, ma perché l’opera di Madre Teresa, la presenza di Cristo dentro l'opera di Madre Teresa, continua a zampillare con vivacità.