Un evento reale nella vita dell’uomo

Mercoledì 28, ore 15

Incontro con:

Annamaria Chiarabini

Stephen Osita Okgabue

 

Annamaria Chiarabini è nata a Rimini nel 1956. Laureata in filosofia, su invito del Nunzio Apostolico è partita per la Nigeria nel 1988. Attualmente insegna storia e filosofia presso il Liceo Scientifico Italiano a Lagos. È responsabile del Movimento di CL in Nigeria.

Chiarabini: Sono partita per la Nigeria tre anni fa assieme a Chiara Mezzalira e a Olivetta Danese perché il Nunzio apostolico della Nigeria aveva giudicato che il Movimento di Comunione e Liberazione poteva essere importante per la vita della Chiesa in Nigeria. Egli aveva incontrato il Movimento del tutto casualmente. Doveva comperare un generatore elettrico, perché in Nigeria molto spesso la corrente viene meno. Il venditore era una persona di CL, che è stato giù per alcuni mesi, e gli ha parlato del Movimento. Lui si è incuriosito, ha incominciato a leggere "Il Sabato", "30 Giorni", ed ha richiesto a don Giussani alcuni del Movimento. Attualmente siamo cinque donne: una lavora con il Nunzio apostolico, io insegno alla scuola italiana e tre stanno organizzando una clinica, con un progetto di cooperazione internazionale gestito dall’AVSI.

Prima di tutto voglio dirvi come è nato il Movimento in Nigeria. Sono andata in Nigeria senza sapere una parola di inglese (l’inglese è la lingua ufficiale), e mi sono trovata quindi ad affrontare una diversità totale: tutti nigeriani, tutti neri, tutti con un’altra lingua. Dopo appena due o tre settimane, una mattina a Messa, dal fondo della chiesa ho cominciato a guardare le persone davanti a me. Mi colpiva tutta questa diversità: le persone erano così diverse per cultura, età, lingua, per tutto, ma in questa grande diversità, in questa grande estraneità c’è stato un pensiero che mi ha subito riscaldato il cuore: "Questa è la mia gente, questa è la gente che mi è stata data, sono qui per questa gente" e allora mi è nato un grande desiderio di comunicare con loro, di poter dire che cosa io sto vivendo, la ricchezza e l’esperienza di Cristo che sto facendo e che mi ha spinto ad accettare di andare là. Sono ritornata a casa. Alla sera, dopo il lavoro, ho preso il vocabolario e ho costruito il mio primo discorso in inglese che diceva così: "Sorry, I don’t speak english very well". ("Scusami, non so parlare inglese molto bene"). Con questo "grande" discorso di inglese e con un grande desiderio di comunicare quello che vivevo sono andata a Messa il giorno dopo. Siccome non conoscevo nessun nigeriano mi è venuto in mente di cominciare a conoscerne uno là, in nunziatura dove andavo a Messa. Durante la Messa, mi guardo intorno, cerco la "vittima", la vedo, esco dalla Chiesa velocemente appena finita la Messa, la fermo e dico: "Sorry, I don’t speak english very well" e lei: "No problem" e se ne va! Io dico: Come "no problem?", la rincorro e replico: "Sorry, I don’t speak english very well, ma voglio parlare con te della Nigeria, di questo, di quest’altro" e lei: "Perché non parli con il prete?".

Quel giorno sono tornata a casa tristissima perché ho detto: "Vedi, vedi come è difficile, siamo così diversi, la lingua, la cultura...". Il grande desiderio di comunicare loro quello che stavo vivendo sembrava distrutto e allora ho aperto un libricino che viene dal passato, L’imitazione di Cristo, che di solito apro quando sono in crisi. È il dialogo tra Dio e l’uomo. Apro a caso e leggo Dio che dice: "Figlio, non sei ancora grande e forte nell’amore" "Perché, Signore?" "Perché ad ogni difficoltà ti fermi. Chi è forte nell’amore non si ferma di fronte alla difficoltà, chi è grande nell’amore cerca non il dono, non il risultato, ma colui che dona, chi è nobile nell’amore si appaga soltanto in me che sono al di sopra di ogni dono".

A questo punto c’è stato un cambiamento incredibile nella mia coscienza perché mi sono detta: "Ecco, io voglio essere forte, grande e nobile nell’amore" e mi sentivo un leone. Il giorno dopo al termine della Messa l’ho fermata e le ho detto: "Sorry, I don’t speak english very well, but...". La mia coscienza, la consapevolezza della mia azione era così forte che Agata, così si chiama la ragazza, ha accettato di vederci, di parlare con noi.

Vorrei comunicarvi come una ragione adeguata sia capace di cambiare la vita e questo è stato molto importante non solo all’inizio della mia missione in Nigeria, ma ciò che mi ha guidato in tutto questo tempo, la certezza che io non sono niente, ma la mia coscienza partecipa di qualche cosa che ha vinto il mondo e che è per ogni uomo.

In questo cammino ci sono state tante difficoltà, ad esempio il fatto che all’inizio venivano nel Movimento solo delle donne perché in Nigeria le donne sono molto attive, sono molto brave etc., però la società è organizzata in modo tale che difficilmente un uomo segue una donna. Io mi sono detta: "Questo non è possibile, perché l’esperienza che sto facendo è una cosa da grandi, è l’esperienza di un amore a Cristo che implica una ragione e una affezione, quindi è una cosa forte, per tutti. Io non mi darò riposo fino a quando non avrò incontrato un uomo che ama così tanto la verità, capace di essere affascinato talmente da sapere superare questo elemento culturale". Così è stato. Dopo un po’ di tempo abbiamo incontrato Stephen, Tony e gli altri, cioè gente che ha iniziato a stimare Cristo proprio per la grandezza che è.

Quest’anno il mio impegno missionario è stato tutto illuminato da un’unica idea, una frase che ho letto e riletto e poi improvvisamente ho capito, quando don Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione, dice che "la ragione e lo scopo della missione è l’amore a Cristo". Che la ragione della missione sia l’amore a Cristo mi era chiaro, ma la cosa nuova, grandissima che vorrei comunicarvi è questa: che la ragione adeguata del mio essere in Nigeria, del mio andare, del mio fare, del mio incontrare, non è tanto il risultato che si produce nella gente, ma l’incrementarsi in me dell’affezione a Cristo. Questa per me è stata una scoperta grandissima. L’ho capito mentre in macchina stavo andando a Nsuca, una città che dista sette ore di macchina da Lagos. Improvvisamente mi sono detta: "Ma allora lo scopo adeguato di questo mio andare, di queste sette ore, di quello che troverò là, del tornare indietro, è semplicemente ripetere il più possibile: "Sì, vieni Signore!", che si intensifichi questa preghiera fino a coincidere quasi con il respiro.

Vorrei semplicemente comunicarvi la grandezza di coscienza e la gioia che nascono da questa semplicità.

Stephen Osita Okgabue è nato il 1 gennaio 1940. Ingegnere civile, è stato uno dei primi ad aderire al Movimento di Comunione e Liberazione in Nigeria.

Okgabue: Anzitutto vorrei dividere con voi il mio timore di parlare del Movimento di Comunione e Liberazione nella città della donna che lo ha portato a me, a Lagos. Però mi farò coraggio e quindi lo farò, perché so che una cosa vera è sempre nuova.

Forse è meglio che cominci dall’inizio, dal giorno in cui io ho incontrato tre donne italiane, Annamaria Chiarabini, Olivetta Danese e Chiara Mezzalira. Chiara Mezzalira era un medico, Olivetta Danese era assistente presso il Nunzio, però quella più attiva fra loro non parlava inglese. Mi avvicinarono con il messaggio che volevano portare a me. Io ero responsabile dei giovani nella mia parrocchia. All’inizio ero molto sospettoso. Infatti quali buone notizie queste tre donne che venivano dall’Italia e che non capivano l’inglese avrebbero mai potuto portare nella nostra parrocchia a Lagos? Quindi la prima cosa che cercai di fare era di dimostrare che tutte e tre avevano torto. Io ragionavo in base alla mia mentalità e dicevo che non avevano assolutamente delle abitudini, dei costumi ecclesiali o anche proprio degli abiti ecclesiali; ai miei occhi c’era qualcosa che mi nascondevano. Tuttavia non cedettero e continuarono a cercare di trasmettere questo messaggio. Dopo poco dal sospetto passai a un sentimento di curiosità e piano piano cominciai a intravedere il motivo per cui erano lì.

Vorrei soprattutto parlarvi di ciò che ha generato il mio cambiamento: la Scuola di Comunità, una scuola dove si impara a vivere. La differenza fondamentale tra la Scuola di Comunità creata da Comunione e Liberazione e qualunque altra scuola è che lì ho imparato a trasformare quello che mi viene suggerito e proposto per tradurlo in vita, in modo molto, molto particolare, non in un momento, non in alcuni discorsi e non in alcuni luoghi, ma sempre e in ogni luogo. Abbiamo cominciato con il libro Moralità: memoria e desiderio e adesso sto leggendo Il senso religioso. Io ho un modo particolare per comunicare quello che la Scuola di Comunità mi ha fatto, il modo con cui ha contribuito al mio cambiamento. Voi tutti conoscete il cane; se con un bastone provocate il cane, il cane cercherà di reagire difendendosi e attaccando a sua volta il bastone. Forse questo è il motivo per cui anche con le belve feroci si usa questo sistema: si cerca di provocarle con dei bastoni, perché l’animale si concentra con lo sguardo proprio su questo, sul bastone e reagisce al bastone, ma in realtà è l’uomo che provoca l’animale con il bastone. Quando cominciai la Scuola di Comunità io ero come il cane che guardava il bastone, ma la Scuola di Comunità mi ha consentito, partendo dal bastone, di vedere quello che mi provocava, che è appunto Gesù Cristo e tutto quello che lui rappresenta nel mondo.

Una cosa estremamente importante quando si parla della Scuola di Comunità è che viene a essere realizzata con l’aiuto di amici. Mentre questo accade, succede che c’è anche un qualcosa che comincia a crescere, a svilupparsi. La prima cosa che è successa anche a me era di guardare dentro di me però con occhi diversi, cercando di capirmi meglio, e così facendo naturalmente posso anche meglio capire coloro che mi sono vicini e il mondo che mi circonda. Guardando alla realtà in tutti i suoi dati, è nata una profonda amicizia che ha avuto il potere di dilagare, di diffondersi, di diventare carità e missione.

Ora cercherò di parlarvi come essa si è manifestata in noi.

Annamaria già vi ha parlato del progetto AVSI in Nigeria. Chiara, la dottoressa, è venuta a dirci quello che aveva visto in un posto che si chiama Agem Logodo, un villaggio di pescatori. Sfortunatamente queste persone vivono in una zona che confina con un’altra molto ricca. Anche la terra che queste persone occupano non appartiene a loro. Quando ci è stato detto questo fatto siamo andati personalmente a visitare questo luogo e abbiamo visto un vero e proprio esercito di bambini senza assolutamente strutture scolastiche, privi di tutto, proprio nel cuore della parte più ricca, più benestante della Nigeria.

Abbiamo pertanto deciso di costruire una scuola per loro. Naturalmente questa decisione non è scaturita dal fatto che avevamo un’ampia disponibilità economica, eravano spinti, mossi a voler costruire, a fare qualche cosa, come Dio avrebbe voluto. Dal niente abbiamo costruito una scuola che adesso conta più di 150 studenti. Abbiamo addirittura organizzato una festa per questi bambini. Questa scuola, che non era facile da costruire, è nata da un desiderio di condividere tutti insieme quello che Dio ci ha dato, e dividerlo naturalmente con la popolazione di questo villaggio.

Voglio raccontarvi un altro fatto accaduto più di un anno fa, a Lagos, nel centro dell’isola di Vittoria, dove si trovava un quartiere molto povero. Da anni le autorità ripetevano che volevano riavere quel terreno. I poveri che vivevano lì e facevano dei mestieri abbastanza poco remunerativi (taxisti, guardiani di notte) non hanno mai creduto al fatto che avrebbero potuto essere veramente sfollati. Un anno fa, con un preavviso minimo, la polizia e l’esercito si sono recati in questa zona e hanno sfollato più di 300.000 persone in due giorni e hanno raso al suolo il villaggio. La maggior parte delle persone che abitavano lì non sapeva assolutamente dove andare. C’erano anche alcuni membri del nostro Movimento che vivevano lì. Ancora una volta questa per noi è stata colta come una opportunità per condividere con queste persone, uomini e donne, questo dono. Ci siamo mossi affinché tutti potessero bene o male trovare una sistemazione. Siamo riusciti quanto meno a sistemarne alcune. Quando dico "noi" parlo di poche persone. Inoltre non avevamo esperienza in questo tipo di lavoro. Ci siamo rivolti ad amici, anche ad autorità, rappresentanti pubblici per cercare di avere un po’ di aiuto. Così siamo riusciti a risistemare il maggior numero di persone, nella misura delle nostre possibilità e capacità. Il tipo di spiritualità che avevamo dentro non ci ha consentito di sparire, come avevano fatto gli altri finita l’emergenza. Da quel momento ogni sabato andiamo in questo posto che si chiama Ecota e offriamo a queste persone bisognose un trattamento medico gratuito, distribuiamo derrate alimentari che abbiamo raccolto, quello che abbiamo trovato, abbigliamento, e cerchiamo di vivere con queste persone come con degli esseri umani.

La cosa importante non è che noi facciamo questo, la cosa importante è quello che questo ci dà. Voi potreste dire che questo è un atto filantropico; tuttavia quello che piano piano ho scoperto è che quello che facciamo a queste persone fa tanto bene a loro quanto fa bene a me.

Recentemente abbiamo trovato due gemelli che avevano la meningite. Di solito, dato che anch’io ho dei bambini, non mi piace avvicinare qualcuno che è affetto da meningite. Tuttavia uno di noi, Tony, ha preso con sé questi due bambini, la madre e un’altra persona che per la prima volta partecipava a questo momento di caritativa e si è recato all’ospedale, ma l’ospedale non era disposto a ricoverarli. Tony è rimasto sul posto e si è occupato moltissimo di questi due bambini, ha pagato quello che c’era da pagare per il trattamento medico. Devo aggiungere che era sabato e il sabato in Nigeria è tenuto in grande considerazione perché è il giorno che ognuno dedica a se stesso per fare le cose che gli piacciono. Tuttavia Tony si è occupato dei due bambini e anche della madre fino alle 5 di sera. Se pensate a quello che ha fatto potreste pensare che ha fatto una cosa molto positiva. Tuttavia la cosa più importante, a mio avviso, è che alla luce di questa azione Rose, che per altro non era del Movimento, è stata così colpita positivamente dall’azione svolta da Tony che è riuscita a fare questo incontro e oggi è un esponente significativo del Movimento.

Quindi non è importante quello che facciamo, ma quanto ciò che facciamo produce su di noi e soprattutto in che modo questo ci consente di incontrare Cristo per poter compiere il nostro destino. L’ultima enciclica del Papa, Redemptoris missio, dice che la missione comincia da quello che noi siamo in realtà, prima di tradurre questo in azione. La mia esperienza in Nigeria che riguarda Comunione e Liberazione mi convince del fatto che, per quanto sia poca cosa, noi stiamo facendo qualcosa che risponde a questo appello della Chiesa.