Venerdì 26 agosto

"L’ARTE CONCETTUALE – LA SCUOLA DI NEW YORK"

Presentazione della mostra.

Partecipa:

Dott. Giuseppe Panza.

Moderatore:

Dott. Sandro Chierici.

S. Chierici:

Sono molto lieto di dare il benvenuto tra noi, a nome degli organizzatori della IV edizione del Meeting per amicizia fra i popoli, a uno, che definirei un grande amico del Meeting, Giuseppe Panza, a cui si deve la presenza al Meeting di questa mostra che presentiamo oggi, dedicata all'Arte concettuale della Scuola di New York. Sicuramente, fra le provocazioni che questo Meeting offre ai suoi visitatori e ai suoi ospiti, questa mostra rappresenta una delle più provocanti. Nei giorni scorsi sono passato diverse volte e ho notato parecchia curiosità, una serie di domande che al aleggiavano nell'aria intorno a questa opera esposta. E la massiccia vostra presenza qui credo che testimoni abbastanza chiaramente che l'impressione era giusta, che c'è una grossa curiosità. Allora siamo lieti di avere tra noi Giuseppe Panza, al quale chiediamo, un aiuto a capire, un aiuto a collocare questa mostra anche all'interno del tema di questo Meeting; non è una presenza casuale quella di questa mostra, quest'anno, e spero, che alla fine della sua esposizione, la curiosità che c'è tra voi, possa emergere attraverso una serie di domande perché anche attraverso il dialogo diretto questo problema che la mostra pone, possa saltare fuori e offrire tutte le sue sfaccettature. Allora lascio ora la parola Giuseppe Panza.

G. Panza:

Non mi sorprende che questa mostra sull'arte concettuale provochi perplessità, ma penso che, riflettendo su alcuni punti basilari, si trovi facilmente la chiave interpretativa che ci permetta di capire cosa vuole dire quest'arte. Prima di tutto è necessario tentare di definire che cosa sia l'arte. Di solito si usa attribuire la definizione di arte alla pittura e alla scultura, ma è evidente che questa definizione è molto restrittiva perché esclude completamente, per esempio, l'architettura che è un'arte pure estremamente importante; si ritiene che l'arte debba essere un prodotto manuale dell'artista, che debba esserci questo rapporto diretto tra il creatore e l'opera finita, per cui essendo la pittura fatta a mano, con il colore a olio su una superficie, è evidente questa partecipazione diretta del creatore, e altrettanto si può dire per la scultura. Ma questa definizione lascia fuori una parte estremamente importante delle manifestazioni umane che è l’architettura. L'architetto fa un progetto, fa un disegno, che qualche volta è un disegno puramente tecnico, e che quindi non ha niente di artistico, niente di quello che si ritiene l'invenzione del creatore, che, prendendo un foglio di carta, traccia alcune linee; queste danno una sensazione di immediatezza e di spontaneità. Al contrario, molto spesso, l'architetto è anche un ingegnere, quindi lavora con degli strumenti per disegnare, non inventando liberamente. Inoltre è evidente che l'architetto non mette i mattoni uno sopra l'altro, consegna il progetto a un tecnico, il quale poi provvederà a fare tutto quanto è necessario per eseguire l'opera. E quindi questa è la prima constatazione che noi dobbiamo fare quando tentiamo di dare una definizione dell'arte. Ritengo che sia più idoneo definire l'arte come tutti quei mezzi, qualunque essi siano, che siano idonei ad esprimere i nostri pensieri e i nostri sentimenti, le nostre emozioni. Se questa è la definizione giusta dell'arte, è evidente che qualsiasi manifestazione può rientrare in questo ambito in quanto è comprensivo di tutto quello che un artista creatore può adoperare per raggiungere il suo scopo, che è quello di comunicare la sua idea. Un'altra considerazione importante, per capire questa mostra sull'arte concettuale, è riferita al fatto che questi artisti vogliono esprimere l'essenza del pensiero. Penso che sia una cosa difficile esprimere il pensiero, ma credo che sia una cosa fondamentale: è indubbiamente il bene più prezioso e della nostra esistenza. Senza pensiero non è concepibile l'esistenza dell'umanità, neanche la possibilità di avere una relazione con il divino, con il soprannaturale, è impossibile, se non esiste questa nostra capacità di ordinare le nostre sensazioni, le nostre emozioni, a qualche cosa che ha un significato, che ha uno scopo, che ha un fine. Naturalmente questo è un compito estremamente difficile, perché il pensiero lo si identifica con la filosofia, con un’attitudine coordinata a delle idee in modo che, attraverso delle premesse che vengono chiarite, che vengono definite, si crea uno svolgimento e attraverso questo svolgimento si arriva ad una conclusione. Quindi è un discorso complesso che sembra molto difficile riassumere, concentrare in una formula immediatamente comprensibile, perché l’arte, per essere arte, deve essere qualche cosa di comunicabile in modo intuitivo, deve essere la sintesi di nozioni e di idee che sono nell'aria, che sono latenti nel nostro spirito, e che l'artista riesce a condensare in un messaggio immediatamente comunicabile. D’altra parte questo stupore è di fronte al fatto che siano state usate delle parole invece che delle pennellate fatte su una superficie, e che invece del colore, abbiamo un colore artificiale, non il colore che noi vediamo nel quadri (è un'abitudine relativamente recente nella storia dell'arte di scindere la parola della rappresentazione artistica). Se noi entriamo in una chiesa romanica, o in una chiesa del rinascimento vediamo che le parole sono dappertutto. Quando si va a S. Marco Venezia, vediamo che le parole sono scritte in grande al di sotto di ogni figura. Quando entriamo in San Pietro a Roma, vi sono delle lettere che sono alte due metri e che girano tutto il perimetro della basilica. Quando vediamo questo meraviglioso capolavoro del rinascimento che è proprio qua a Rimini, che è il Tempio Malatestiano, capiamo una quantità enorme di cose su quest’opera stupenda, proprio leggendo le parole che vi sono scritte. Vi è la data, vi è il nome del committente, vi sono spiegate o rese intuibili le ragioni per cui quest'opera è stata realizzata. Vediamo che nelle tombe che circondano questo edificio vi è il poeta, vi è il filosofo, vi è l'umanista che traduceva i testi antichi , vi è il giurista, e quindi si sintetizza in questa opera architettonica quella che è la vita civile di tutta una collettività, quelli che sono gli elementi basilari di una collettività. Ed è proprio il poeta il filosofo, quelli che sono primi in questa rassegna di uomini importanti, che il principe voleva attorno a sé. Questo ci rivela un mondo completamente diverso di intendere la vita e la partecipazione della cultura nella vita della collettività, perché la cultura era una cosa pregnante che entrava nella vita di ciascuno e nella vita di tutti, ed era un messaggio che partiva dall'alto, per diffondersi in modo omogeneo, in tutto il tessuto sociale. Purtroppo, la civiltà moderna ha fatto cessare questa unità, per cui il poeta è diventato qualcuno che scrive soltanto delle liriche e che, esprime soltanto la propria vita interiore, che si sente isolato da una società perché non può partecipare in alcun modo alla vita in cui ha le redini del potere. Il potere è il potere, la cultura è la cultura, è qualche cosa di scisso, di autonomo. Il filosofo non è più ascoltato da chi governa, così pure l'umanista che deve essere l’interprete del passato nei confronti del presente della cultura: vi è un retaggio che ci viene tramandato dalle generazioni che ci hanno preceduto. Per cui questa mostra, se fosse stata vista da Leon Battista Alberti, che ha progettato il tempio Malatestiano, probabilmente non si sarebbe meravigliato nel vedere tante parole perché nella sua grande opera le ha profuse in ogni punto della sua costruzione. Quindi è solo per una crisi che ha investito la società moderna, da quando l'industrializzazione ha provocato un nuovo assetto sociale che la cultura è diventata un fatto privato, un fatto individuale per cui l’artista non è stato più interprete della vita sociale. Non è più esistito il palazzo del principe o il palazzo del nobile, che aveva la funzione di coagulare tutti questi valori che erano latenti e alla base della vita sociale; non è più esistita la grande committenza della chiesa che dava l'occasione agli artisti di partecipare, con la loro opera, a questa vita collettiva; quindi non ci meravigliamo di questo fatto, cioè di vedere le parole scisse da un contesto, solo perché non siamo più abituati a questa sintesi. Siamo ormai delle persone che devono faticosamente cercare di rimettere assieme una unità che è andata perduta attraverso questa privatizzazione della cultura, questa frantumazione dell'unità della vita sociale. Infatti, se noi analizziamo la storia dei tempi moderni, vediamo che questo fenomeno è evidenziato dal modo in cui si sono comportati gli artisti; il romanticismo è la prima manifestazione di questa frattura che si manifesta nella società, che si stava sviluppando alla fine del '700. Infatti i grandi lirici nascono in questo momento; la grande poesia che esprime la sofferenza, lo stato di privazione, di isolamento del poeta di fronte a un mondo che gli è estraneo, che è diventato ostile al suo modo di sentire, è tipica di quel periodo romantico. L'inizio dell'industrializzazione è l'inizio di questa cultura, di questa civiltà della quale, al posto dei valori sociali, ideali che furono per secoli alla base di tutto, è stata maestra la religione del progresso. Il miraggio di possedere una maggior quantità di beni è diventato una ragione di vita per la società, quindi tutti gli altri valori sono stati subordinati al raggiungimento di questo fine. Le manifestazioni artistiche dell"800 confermano questa tendenza: il grande periodo di rinascita della pittura incomincia nel 1863, quando gli impressionisti francesi ricominciano a fare una pittura che si stacca in un certo senso dai canoni che erano stati ereditati dai secoli precedenti. Essi introducono questa sensibilità per la luce, per la vibrazione cromatica, che attraverso la luce ci permette di percepire i colori in un modo più immediato, più pregnante, più intenso. È tipico di questo periodo, ma è pur sempre un fenomeno epidermico, un fenomeno puramente intuitivo che colpisce il nostro nervo ottico, che emoziona la nostra epidermide intellettuale, non penetra in profondità, non coinvolge tutti i vari aspetti che sono importanti per l'esistenza umana. Solo all'inizio di questo secolo avvengono delle trasformazioni profonde, che mettono in crisi questa scissione dell'attività artistica in diversi settori specializzati. La prima manifestazione più evidente, che però è un indice di crisi, non è ancora la ricostruzione di un tentativo di sintesi, è il cubismo. Picasso indubbiamente è stato il grande creatore, il grande interprete di questa situazione; la frantumazione della figura che cubismo compie attraverso la scomposizione dei volumi, non è altro che la testimonianza di un punto finale di questa crisi che coinvolge la società occidentale. L'arte non poteva più identificarsi in un modo di rappresentare la realtà che era stato ereditato dai secoli precedenti; si riteneva ancora che l'arte fosse un'imitazione della natura, o per lo meno una parte di artisti riteneva che questo fosse lo scopo dell'opera d'arte. Il pubblico era avvinto da quelle rappresentazioni che erano più vicine a questo modello che ci veniva fornito dalla realtà, però questo modello era un modello insufficiente. Già alcuni grandi artisti, dell'inizio del Rinascimento, avevano sostanzialmente messo in discussione questa visione della realtà nell'opera d'arte. Il Vasari stesso, nelle sue "Vite", aveva fatto la distinzione tra gli artisti che cercavano l’imitazione della natura e ponevano l'ideale della bellezza in questo lavoro di approssimazione a questo ideale, che ci veniva fornito dalla natura stessa; e quegli artisti, invece, che lavoravano imitando l'arte cioè imitando qualcosa che era stato il risultato di una manipolazione intellettuale, per cui era la ricerca del pensiero che l'arte stessa aveva generato al suo interno. Artisti come Leonardo Da Vinci, sono un tipico esempio di questo atteggiamento. Quando si guarda un quadro famoso, che probabilmente è il quadro più famoso che è mai stato dipinto, "La Gioconda", la si può leggere a diversi livelli. Da un esame superficiale pare una bella donna fiorentina, ma quando si esamina più attentamente, ci si accorge che questo viso esprime qualche cosa di molto diverso: questo sorriso che non si capisce se è un sorriso che esprime compiacimento, o se è un sorriso che esprime un certo senso di disprezzo, oppure se è un sorriso che esprime un giudizio ambiguo su qualche cosa che non si riesce a definire. Inoltre il paesaggio diventa un elemento che fornisce continuamente dei messaggi diversi a quelli che appaiono in un primo momento. Se poi la Gioconda, in un momento in cui c'è poca luce nella sala, la si guarda da una certa distanza, ci si accorge che questo volto di donna, molto bello, assomiglia più a un teschio che, a una persona viva. Ci si accorge che questo sguardo sembra inserito in due orbite vuote, che questo sguardo viene da lontano e guarda verso un limite dell'orizzonte che è estremamente remoto e sembra attraversare la nostra persona, dando quindi una sensazione impressionante di qualche cosa che è eterno di fronte a noi che siamo temporanei. Ma anche l'opera di Raffaello, di Lotto sono tutte opere estremamente complesse. Hanno la seduzione, come i quadri di Raffaello, di una grazia quasi femminile, ma se si esamina attentamente ci si accorge che il messaggio ultimo è molto diverso e molto complesso. Così lo stesso discorso si può ripetere per Lotto e per una quantità di questi artisti che hanno lavorato in quest'ambito dell'inizio del '500, in questo Rinascimento maturo dell'Italia di quel tempo. Quindi questa capacità di leggere un'opera e di costruire un'opera che è molteplice nel suo aspetto unitario e, direi, una caratteristica fondamentale della grande opera d'arte. Qualsiasi opera non è valida se non ha questa capacità, se non è leggibile a tanti livelli, se non fornisce continuamente degli elementi nuovi che non si esauriscono, e che sorprendono sempre lo spettatore quando vede l'opera in momenti diversi, in stati d'animo diversi. Se quest'opera ha questa capacità di comunicare sempre qualcosa, vuol dire che è un'opera veramente valida, veramente importante; perché appunto lo spirito di un artista quando è espresso in modo idoneo, in modo efficiente nella sua opera, diventa un messaggio senza fine che è sempre vivo ed inesauribile. Dicevo che Picasso arriva alla fine di una crisi; egli esprime con questa frantumazione dell'unità, del viso, del soggetto, la fine di questa società che non poteva più reggersi su delle regole che ormai non rispondevano più a una realtà in rapida evoluzione: dei processi evolutivi e secondari, ma fondamentali, si erano inseriti nella vita sociale in seguito all'industrializzazione. La stessa scienza che faceva in quel momento, all'inizio del secolo, delle scoperte di enorme portata, rivoluzionava quella che era la visione abituale della realtà. La natura non è fatta di materia, ma è fatta di atomi; la scienza scopriva allora che l’atomo è qualcosa di estremamente complesso e in un certo senso un sistema planetario infinitamente piccolo; la materia che noi riteniamo solida, invece è vuota. Gli elettroni circolano in uno spazio estremamente grande, dove il centro di questo sistema planetario è costituito da un piccolo sole, che mantiene attorno a sé con le energie che sprigiona qualche cosa che dà l'impressione di essere solido. Le teorie della relatività di Einstein mettevano poi in discussione tutto quello che era la concezione di Newton sulle forze che regolano la natura, e scoprivano che il tempo e lo spazio sono cose che si compenetrano tra di loro, provocando quindi una rivoluzione in quella che è la comune nozione di cosa sia la realtà. Pochi anni dopo, tra il 1911 e il 1912 altri fatti fondamentali accadono nell'ambito della pittura: sono dei fatti che aprono veramente un orizzonte nuovo a una situazione culturale e sociale che stava sostanzialmente cambiando. L'astrattismo è il fatto nuovo; la possibilità di esprimersi utilizzando non più un modello naturale, ma utilizzando una visione che esce dall'interiorità ed è una proiezione di quello che lo spirito umano concepisce, è appunto il risultato di questa esperienza che ci è stata fornita dall'astrattismo. Ma il personaggio fondamentale nel XX secolo è Duchamp, è questo artista francese, che abbandona completamente l'uso di materiali tradizionali per fare arte. La sua grande scoperta sono stati i rady made, cioè gli oggetti trovati. L'artista non ha più bisogno del pennello o del martello per creare una scultura, ma gli basta assegnare a un oggetto che individua la capacità di trasmettere una propria idea o una propria emozione. E questo oggetto è un oggetto comune; è un oggetto che spesso è usato nella nostra vita quotidiana; è un oggetto però che è stato abbandonato e quindi non è più inserito in un contesto utilitario, ma essendo un oggetto da pattumiera, non è più qualcosa di riconoscibile, diventa interpretabile solo per la sua forma e solo per le relazioni analogiche e le metafore che questo oggetto ci può suggerire. La capacità di stabilire questi rapporti, è la funzione di questo oggetto, è la scoperta che Duchamp ha fatto nel suo lavoro. Un'altra cosa importante di Duchamp è l'inserire molto spesso delle parole, delle frasi che sono oscure nel loro significato, e che sollecitano la nostra intenzione per cercare di interpretarle. E quindi è molto importante parlare di questo atteggiamento di Duchamp perché di nuovo la parola si inserisce nell'opera d'arte. Un’abitudine, un metodo per fare arte, che era stato abbandonato, si può dire, dal Rinascimento e dall'epoca barocca, perché, come abbiamo accennato, le ultime grandi costruzioni incorporavano nell'architettura, insieme alla pittura e alla scultura, anche la parola e l'esempio lo abbiamo in S. Pietro a Roma. Quindi questo artista, riesce di nuovo a creare una sintesi, e una sintesi in un certo senso a livello privato, perché questi oggetti che lui utilizza sono oggetti di uso comune che sono attorno a noi comunemente, quindi non è più la grande costruzione, come una basilica o il palazzo del principe, ma è la possibilità di porre alla portata di tutti questo fenomeno unico che è la creazione artistica. Perché la parola è importante, perché è un elemento che può essere utile all'espressione artistica? È evidente che la parola ha un ruolo fondamentale nella nostra esistenza; noi non potremmo essere noi, se non potessimo parlare; la cultura che ci fa esistere come società e come individui inseriti in una vita civile, non esisterebbe se la parola non fosse stata inventata. Ciò che distingue fondamentalmente l'animale uomo da tutti gli altri esseri viventi è, appunto il fatto di poter creare un discorso, un linguaggio articolato. Anche gli animali hanno un tipo di linguaggio, ma è un linguaggio che non ha articolazione, serve solo per esprimere alcuni fatti fondamentali della loro esistenza, ma non riesce appunto a svilupparsi definendo cose più complesse. La parola ha appunto questa possibilità di assegnare a ogni cosa che noi definiamo, a ogni cosa che noi conosciamo, non solo un nome, ma di assegnare questo nome a un concetto che ha valore universale, che vale per tutti i casi che presentano delle similitudini a quello che noi abbiamo scelto come caso esemplare, quindi c'è questo passaggio dal concreto all'astratto, all'universale, dal finito all’infinita possibilità che dal concetto ci permette di conoscere cose, diverse ma simili, aventi una loro funzione omogenea nell'universo delle cose che noi sappiamo, che noi conosciamo e che ci permette quindi di comunicare con gli altri. Infatti siamo tutti partecipi di una cultura comune che ci permette di avere questa possibilità, e nello stesso tempo dal concetto possiamo passare al concreto, dall'universale al particolare, e quindi c'è questa possibilità inversa a quella dell'astrazione. L'arte è appunto la sintesi dell'universale con il concreto, l'arte ha bisogno del supporto visibile di una cosa che vediamo, di una cosa che percepiamo; nello stesso tempo è arte in quanto ci permette di comunicare attraverso questa cosa singola con un mondo enorme, con un mondo infinito. Quindi la parola ha questo potere magico di essere particolare ed universale, di essere finita. Quindi questa constatazione è fondamentale per Duchamp, questo suo uso insistente della parola non è altro che il riconoscimento di questo potere infinito dell'espressione umana. Quindi possiamo dire che l’arte del XX secolo è dominata da questa figura che ha di nuovo tentato di riunire quello che era stato scomposto e separato dalla cultura dell'800. Alla luce di queste considerazioni, diviene immediatamente e facilmente comprensibile il perché di questa arte concettuale. L'arte concettuale non è altro che l'evoluzione e l'affinamento di questo messaggio che Duchamp aveva formulato nel 1911, quindi ormai molti anni fa e quindi possiamo avere una immagine e possiamo fare un esame direi riassuntivo di quanto è accaduto. Certamente la sua figura diventa centrale nella storia della nostra cultura. Ora è ancora avvertita da pochi questa centralità. Purtroppo i fenomeni culturali diventano evidenti solo 20 o 30 anni dopo che si sono verificati. Vi è sempre un vuoto, tra la creazione e la scoperta della creazione da parte di un pubblico vasto. Le idee si creano ma lentamente penetrano nella coscienza degli individui e questo tempo è un tempo lungo, quindi un condizionamento ritardante di questi fenomeni fondamentali. Le premesse mediate dell'arte concettuale, sono l'arte minimal, cioè un'arte che è nata a New York nel 1964, un'arte che si esprime attraverso la scultura principalmente, ma anche attraverso la pittura, e come dice il suo termine stesso, riduce le forme a qualche cosa di sostanziale, cerca di eliminare tutto quello che è superfluo nella manifestazione artistica per cercare la forma ultima, la forma in un certo senso definitiva. Ma è interessante constatare come questa forma definitiva non esiste, il definitivo è qualcosa che è sempre diverso, cioè infinitamente nuovo e rinnovabile. D'altra parte questo processo di semplificazione è anche un processo di purificazione, è un processo che ha il suo parallelo dentro di noi; solo attraverso questo lavoro di semplificazione noi possiamo veramente capire come la nostra mente funziona, possiamo capire quali sono i limiti del nostro pensare e le possibilità, le conclusioni a cui il nostro pensiero, il nostro ragionamento possono arrivare. Quindi in un certo senso quest'arte apre un discorso di natura filosofica: cosa sappiamo, cosa possiamo sapere utilizzando questo strumento meraviglioso che è il nostro pensiero? È una possibilità infinita o è una possibilità finita? Se noi analizziamo come le forme della scultura minimal sono finite, sono elementari e sono anche però molteplici, cosi scopriamo che il nostro pensiero, la nostra mente funziona utilizzando delle categorie logiche che sono primordiali, che sono gli assiomi della logica, che sono i mattoni con cui noi costruiamo tutto il nostro sistema intellettivo. Non possiamo andare al di là di questi assiomi, di questi elementi fondamentali della logica. Sono delle cose che non si possono neanche mettere in discussione, sono evidenti per sé stesse. Il concetto di tempo, il concetto di spazio, il concetto di identità, sono principi che sono insuperabili; senza l'uso di questi concetti, di questi elementi fondamentali, non possiamo pensare e nulla possiamo capire e quindi le forme minime della scultura che ha scelto questo tipo di ricerca, sono in un certo senso definitive e sono anche però una frontiera tra il conoscibile e l'inconoscibile. Noi ci accorgiamo quando riflettiamo su noi stessi che la nostra sete di sapere a un certo momento non può più andare oltre e ci rendiamo conto che noi col nostro pensiero non possiamo conoscere i fini ultimi, le ragioni ultime, le ragioni vere per cui esistiamo e quindi dobbiamo aprire le porte all'inconoscibile, al soprannaturale, al trascendente. Quindi quest'arte è estremamente importante per capire cosa è l'uomo e cosa siamo e dove possiamo andare, che cosa ci manca per capire veramente perché esistiamo. Questi artisti infatti sono artisti molto diversi dagli altri. Sono artisti che spesso hanno una vita quasi monolocale. Molti di loro amano il deserto e passano molto tempo della loro vita proprio vivendo nel deserto a contatto di questa natura che è più vicina a questa situazione primordiale dell'essere umano.

S. Chierici:

Io ringrazio di cuore, e credo di interpretare anche il vostro pensiero, Giuseppe Panza per questo lucidissimo ripercorrere il percorso dell'arte moderna ponendo le basi; credo che la chiarezza della sua esposizione sia stata notevole e abbia contribuito a dissipare, almeno in parte, le nebbie che forse per qualcuno rimanevano su questo fenomeno espressivo. Diamo ora inizio al dialogo.

Domanda:

Ho acquistato un quadro di Rayman e vorrei che lei sottolineasse la grande opera di questo pittore.

G. Panza:

Sono molto contento che lei abbia parlato di Rayman, ché Rayman è uno dei grandi artisti del nostro secolo, e penso che egli abbia compiuto un lavoro è che di estrema importanza che si può confondere facilmente, con il lavoro dell'imbianchino. Infatti molte persone quando vedevano questi quadri bianchi, si chiedevano se erano tele preparate per essere dipinte. Ma quando si guardano attentamente, ci si accorge che queste tele preparate per essere dipinte, sono probabilmente tra i dipinti più completi che siano mai stati eseguiti. Queste tele sono l'immagine più diretta che finora un essere umano ha tentato di dare del proprio intimo, della propria interiorità. Questa è la miracolosa capacità di Rayman, è appunto quella di stabilire un filo diretto tra la coscienza e l'immagine, tra la coscienza e la tela, tra il pigmento che è steso su una superficie amorfa e la vibrazione della vita che è dentro di noi. Questa capacità è una cosa sublime, che pochi artisti, forse nel loro momento di maggior grazia, hanno saputo realizzare con altrettanta precisione e con altrettanto vigore: quindi la visione di queste tele è sempre un fatto di estrema commozione, perché apre veramente uno sguardo sul mondo infinito dello spirito umano.

Domanda:

Professore, io vengo dalla Sardegna, faccio parte di un gruppo che fa ricerche archeologiche nel cagliaritano. Nel secondo millennio avanti Cristo abbiamo visto queste genti, dette genti nuragiche, elaborare attraverso l'architettura queste torri che sono i Nuraghe, e attraverso la scultura in un'epoca ancora più tarda li vediamo elaborare tutta la loro vita attraverso la bronzistica, non solo ma prima ancora dei Nuraghe, diciamo circa 3.000 anni A.C., li vediamo stilizzare delle pietre, che non sono altro che delle rappresentazioni umane femminili. Ecco, io le chiedo in che modo, in che misura, queste opere che vengono definite d'arte, possono aiutarci a capire questa nuova arte moderna.

G. Panza:

Le pietre lavorate venti anni fa sono l'esempio più puro di arte minimal. Lo sforzo dell'uomo moderno, dell'artista occidentale, di questo secolo, è stato quello di ritornare indietro nel tempo, è stato quello di riconciliarsi con la natura in un senso vero, in un senso profondo, non attraverso una visione superficiale, attraverso una vibrazione; lo sforzo è quello di cogliere queste forme elementari e appunto di sapere utilizzare questa materia fondamentale.

Domanda:

Secondo me la proposta di questa mostra è stata un'idea a dire poco intelligente, vorrei sapere il motivo per cui è stata proposta quest'anno e se c'è un nesso con il tema del Meeting.

G. Panza:

La scelta è stata fatta proprio riflettendo sui temi di questo Meeting: il robot, la scimmia, l'uomo, evidentemente, la storia del pensiero, la storia del linguaggio, è un tentativo di stabilire dei linguaggi comuni a tutti gli uomini, quindi l'arte concettuale che usa la parola per rappresentare dei fenomeni di natura interiore rientrava esattamente in questo tema. Inoltre l'arte concettuale è la manifestazione del pensiero. Evidentemente il robot non può esistere se non esiste il pensiero, il robot non può funzionare se non esiste un linguaggio che lo istituisce e questo linguaggio è un linguaggio umano inventato da noi, che permette a delle macchine di incorporare quello che noi abbiamo pensato in precedenza.

Domanda:

Io vorrei fare una domanda forse un po' provocatoria. In quelle tre stanze che sono mostra, il bello dove è, dove è andato a finire anche nell'arte concettuale il bello, cioè il cuore? Lei dice che è un'arte del pensiero, e in questo sono pienamente d'accordo, però se io avessi una stanza così in casa mia, per esempio quella rossa, mi disturberebbe. Quindi dove è il bello, c’è un rapporto con l'arte oppure no? Perché arte è anche bellezza, è soprattutto bellezza.

G. Panza:

Lei ha detto che la stanza rossa in un certo senso la disturbava. Il fatto che fosse disturbata dal colore rosso è già un fatto artistico perché evidentemente il rosso provoca un associazione di idee ed un condizionamento della nostra risposta a questo ambiente che viene dai nostri ricordi, dalla nostra mentalità, dalle nostre condizioni d'animo per cui associamo il rosso a qualcosa di triste, a qualcosa di drammatico, a qualcosa di tragico, perché il rosso è appunto un colore carico di sangue, in un certo senso ci fa pensare alla morte. Quindi è evidente questa associazione a qualche cosa di funereo, questa luce rossa è molto forte, è molto evidente; come et es. il verde invece ci fa pensare alla primavera, alla vita che rinasce, perché quando la primavera incomincia i prati diventano verdi, quindi è la manifestazione più evidente della vita della natura; il giallo ci fa pensare invece alla luce del sole, al tramonto, o al mattino presto, quando le montagne si colorano questo modo della luce che attraversa gli strati densi dell’aria, quindi ci fa pensare o alla giornata che incomincia oppure alla luce che ci lascia al tramonto. Cioè questa relazione fra qualcosa che finisce e qualcosa che incomincia. Quindi è una situazione di transizione, il tempo che passa. Evidentemente il bello consiste proprio in questo, nelle emozioni che un determinato ambiente può produrre sulla nostra psiche. Indubbiamente queste situazioni possono essere più o meno efficaci a seconda anche di come sono presentate.

Domanda:

Vorrei che lei chiarisse la funzione della parola nell'arte e in questo caso nell'arte concettuale.

G. Panza:

Bisognerebbe considerare la parola sotto due aspetti; la parola normalmente è inserita in un discorso, fa parte del linguaggio e normalmente viene usata come un elemento di un sistema complesso che esprime delle idee, che esprime dei concetti, dà uno svolgimento, le parole assumono un significato preciso solo quando vengono inserite in un contesto di un discorso: allora ogni parola si definisce esattamente nell'insieme, per cui la sua funzione espressiva e rappresentativa diventa chiara. Se invece esaminiamo le parole di per sé stesse, ci accorgiamo che sono estremamente ambigue. Basta sfogliare il dizionario e vediamo che a ogni parola corrispondono molti significati, e quindi questa ambiguità è la facoltà della parola di essere usata come elemento artistico Perché appunto ha questa possibilità nell'ascoltatore, nel chi la legge, una quantità di immagini che la nostra memoria associa a quella determinata parola e quindi la sua funzione artistica consiste appunto in questo fatto; se oggi questi artisti la riscoprono è perché appunto ha questo grande potere di essere una cassa di risonanza, di idee e di associazioni di idee che attraverso la memoria si inseriscono nel nostro patrimonio intellettuale.

Domanda:

Volevo sapere se si può costruire un parallelismo tra l'arte concettuale e l'esperienza espressionistica tedesca.

G. Panza:

Bè, direi che esiste una differenza fondamentale fra l'espressionismo e le radici culturali dell'arte concettuale. L'espressionismo, specialmente quello tedesco, che poi è stato ripreso in America dall'espressionismo astratto, intende esprimere le emozioni più allo stato elementare, quelli che sono gli istinti fondamentali della personalità umana, l'inquietudine, la ricerca dell'assoluto e l'esasperata attesa di qualche cosa di sublime che deve accadere dentro l'uomo. L'arte concettuale invece un'arte più riflessiva, è un'arte che analizza, che cerca di capire il rapporto chic esiste tra il nostro pensiero e la realtà. Quindi, direi che sono, due filoni completamente diversi, possiamo anche vederli nella storia lontana della nostra cultura: Tintoretto, Tiziano, Michelangelo, sono completamente diversi da Leonardo, da Raffaello, e dal Lotto; le loro ricerche sono, si può dire, opposte. Michelangelo cercava di esprimere con la massima intensità delle emozioni immediatamente viventi, mentre il Lotto cercava di nascondere quelle che erano le sue vere ragioni per esprimersi. Occorre uno sforzo da parte dello spettatore per capire cosa veramente il Lotto, nei suoi quadri, voleva rappresentare, e quindi direi che sono due elementi costanti della storia della cultura, l'atteggiamento espressionista e l'atteggiamento più intellettuale, a cui appunto appartiene l'arte concettuale.

Domanda:

Volevo sapere una cosa riguardo alla tecnica usata in quest'opera: quello che appare evidente è il fatto che questi artisti hanno utilizzato una tecnica differente da quella che è frequentemente nella pittura, o nella Scultura, e hanno usato invece una tecnica che era già utilizzata nella storia dell'uomo per opere e scopi che non erano direttamente annessi a questa, cioè il neon, che è utilizzato per pubblicità, per insegne di ristoranti e via dicendo. Quello che volevo chiedere è se alla base di ciò c'è un rifiuto delle vecchie tecniche, perché false, oppure c’è una ricerca di nuove tecniche?

G. Panza:

Per ogni artista non esiste un problema in funzione di qualche cosa che si rifiuta o che si accetta; per un artista esiste solo la scelta della forma, della tecnica del materiale, che sono più, idonei a esprimersi. Per un artista concettuale che deve fare un discorso sul pensiero e sulla natura del pensiero, è evidente che la parola è la rappresentazione più idonea e più diretta di questo problema, non gli serve usare la pittura a olio. Per questa ragione utilizza un materiale, una forma che è più vicina a quello che lui vuole esprimere. L'uso del neon è dovuto al fatto che è una possibilità facilmente accessibile, perché si può facilmente realizzare una scritta a neon, ma è perché c'è anche un valore ideale nell'utilizzo di questo materiale: innanzitutto perché il neon è luce, e la luce è elemento fisico, che è fisico ma nello stesso tempo è l'elemento più immateriale; in fondo la luce è una radiazione, sostanzialmente, quindi energia. Quasi allo stato puro. Infatti la scienza, quando ci spiega che cos'è la luce, ci lascia molto perplessi, perché la teoria scientifica che spiega cos'è la luce ci confonde le idee invece di chiarircele: la luce ha un comportamento corpuscolare, ma nello stesso tempo è un fenomeno ondulatorio, quindi è data da questa energia che si trasmette nello spazio, ma identificabile in base a delle teorie quantistiche in cui la continuità dei fenomeni naturali, che per noi sembra una cosa evidente, e messa in discussione. Quindi è un fenomeno si naturale, ma che ha qualche cosa, in un certo senso, di innaturale, e quindi è un fenomeno che crea un parallelo con l'ambiguità che ha la parola, appunto, che è un fenomeno concreto e universale nello stesso tempo, due cose che logicamente sarebbero contraddittorie, ci appaiono, ad un esame logico, impossibili da conciliare. Inoltre la luce ha appunto questo carattere spirituale, perché è qualche cosa che non è fisico e nello stesso tempo è fisica, riempie questo spazio vuoto che attornia l'insegna, diventa qualche cosa ancora più inglobante l'ambiente che non una pittura; la pittura occupa una superficie e basta, non ha una terza dimensione, non occupa un volume, mentre la luce occupa un volume, riempie uno spazio, quindi è qualche cosa in cui noi entriamo in un certo senso un modo per fare l'arte totale, cioè l'arte in cui noi possiamo vivere, non soltanto possiamo vederla col nostro organo ottico e impressionare certe cellule del nostro cervello vedendo; possiamo anche entrare e vivere col nostro corpo dentro qualche cosa che è reale e che è ideale contemporaneamente.

Domanda:

La definizione che lei ha dato di arte concettuale quale arte di tipo intellettuale ha suscitato in me questa domanda: a quale tipo di pensiero si cerca di comunicare? Perché se questo è un comunicare al pensiero cosciente, e quindi fare riferimento a un bagaglio culturale o a un retroterra che è comune sia a colui che fa l'arte sia a colui che la legge, poi dopo, se è cosi, cioè se è a questo livello che si cerca la comunicazione, secondo me non ci si è riusciti. Non è questo che io ho avvertito entrando, lì dentro, in quelle stanze. Io ho avvertito piuttosto una comunicazione di secondo tipo, cioè di tipo globale, di tipo avvolgente, per cui entrando in quella stanza ho provato una serie di sensazioni, di associazioni di idee, che però avevano ben poco a che fare col pensiero cosciente, o quanto meno l'avevano a che fare nel momento in cui io ci pensavo sopra dopo uscito da lì. E quindi io volevo chiedere quale delle due cose si vuole ottenere. Inoltre per quanto riguarda le parole in sé, ci sono due opere, e due tipi di parole, due tipi di lettere: ci sono lettere che anche materialmente hanno una consistenza, quelle delle stanze, cioè fatte da questi tubi al neon; e ci sono lettere proiettate, per cui sono diverse anche materialmente. Ecco che cosa vuol dire la materialità di una lettera, di una parola, in questo tipo di arte oltre al concetto che si vuole comunicare?

G. Panza:

Per quanto riguarda la prima domanda, la risposta è che tutti e due gli elementi sono presenti perché l’arte è poesia, la poesia è fatta di condensazioni di pensieri e di manifestazioni di emozioni, quindi il fatto intuitivo e il fatto riflessivo che si fondono assieme . Inoltre questi artisti sono artisti che hanno un bagaglio di conoscenze filosofiche molto vaste: in genere sono artisti che seguono gli indirizzi della filosofia linguistica, hanno avuto un'educazione universitaria e quindi hanno una profonda conoscenza di tutti gli sviluppi della filosofia. Non è possibile immaginare un tipo d'arte di questo genere se non si ha una profonda conoscenza del problema della conoscenza, che è appunto il problema dominante della storia della filosofia; da Socrate a Platone a Kant a Wittengestein il problema della conoscenza è il problema di base, è anche la ragione per cui così in tanti siamo in questo luogo, siamo qua a Rimini, al Meeting, perché vogliamo cercare di capire cosa sia la verità. Il problema della conoscenza è cercare di capire se noi uomini possiamo possedere la verità, quindi è il problema fondamentale dell'esistenza umana. E quindi quest'arte non è possibile senza una conoscenza completa di questo bagaglio filosofico che è indispensabile. In più, la filosofia linguistica ha per caratteristica, come appunto esprime la sua stessa definizione, indagare l'articolazione del linguaggio, vedere in tutti i mezzi espressivi ché l'uomo nella sua storia ha manifestato quali sono i nuclei elementari, i nuclei fondamentali, e come i diversi popoli hanno elaborato delle differenze nell'esprimere una loro lingua, e come queste differenze si possono unificare in gruppi che sono appunto i gruppi fondamentali del processo logico, e che si sviluppano in diversi modi, ma che sono tutti riconducibili a dei modelli comuni. C'è una differenza fondamentale tra le lettere, le parole che sono proiettate e quelle che sono invece nel neon; le parole nel neon sono delle tautologie, quando, se noi esaminiamo il nostro pensiero, ci accorgiamo che le enunciazioni fondamentali sono evidenti, per cui a un certo momento non possiamo dare una spiegazione della spiegazione; e questi principi fondamentali sono appunto i principi che la filosofia ha elaborato nel corso del tempo. Mentre le parole proiettate hanno la caratteristica di essere ambigue; infatti se noi osserviamo la sequenza di queste parole ci rendiamo conto che sono degli attributi, ma attributi che sono contraddittori fra di loro. Non sappiamo se sono attributi che sono propri della divinità o dell'umanità, perché appunto ci sono contraddizioni. È quindi una definizione, in fondo, della nostra condizione umana: siamo sempre in bilico tra il bene e il male, tra l'assoluto e il relativo.

Domanda:

La mia domanda non vuole essere assolutamente polemica, né riguardo all'arte concettuale né tanto meno a quello che lei ha detto, però mi piacerebbe sapere qual è il suo punto di vista rispetto a una cosa che mi fa sempre sentire a disagio. Prendo spunto dal fatto che sinceramente questa mostra mi ha lasciato delusa, nel senso che, se posso dire che di fronte a certi disegni di Henri Moore, a certe sue litografie, sono rimasta affascinata, invece di fronte alle scritte al neon e a quelle proiettate, non ho avuto questo stesso incontro positivo. Capisco che non si possono paragonare le due cose, però dico questo per cercare di farmi capire. Mi interesserebbe capire di più come è possibile essendo consapevoli di discernere la verità di questo linguaggio. La mia perplessità spesso, di fronte a un'opera d'arte, non solo della corrente concettuale, ma di tantissime altre correnti chiede se è un'esperienza valida o se non lo è; perché da una parte non mi va di fermarmi alla mia esperienza istintiva, di una cosa che mi piace o no perché capisco che si debba conoscere l'autore, la corrente, la storia. Però vorrei sapere qual è la sua posizione, perché magari questo mi può aiutare. Come si pone lei, cosa vuol dire, cosa si può recuperare? Perché appunto io sento dentro come il bisogno di fare una lotta, comunque, contro quelli che sono dei linguaggi falsi. In che modo è possibile discernere questo? Qual è il tipo di posizione, visto che c'è molta gente che non è capace di incontrare quest'arte?

G. Panza:

La risposta è molto semplice. Il giudizio può nascere solo dalla conoscenza; se non si conosce un fenomeno culturale nei suoi aspetti, non lo si può giudicare; e quindi, per poter capire e poter fruire dei contenuti positivi che un fenomeno culturale offre, lo si può fare solo conoscendolo, solo esaminandolo, solo vedendolo nelle sue cose positive e nelle sue cose negative. Allora, attraverso questo confronto, noi riusciamo a renderci conto di che cosa è valido e di cosa è limitato, di che cosa capace di essere veramente un elemento che ci può nutrire, attraverso il tempo, di qualche cosa di sostanzialmente valido, e di qualche cosa che è solo orecchiato, che è solo superficiale, e che non ha una vera profonda ragione di esistere. Questo consiste appunto nella conoscenza, e se noi non abbiamo la possibilità di fare questi confronti non saremo mai in grado di dire se una cosa è buona o cattiva. Questo appunto è un impegno che noi dobbiamo assumere verso noi stessi: di avere delle informazioni ampie, in modo da poter giudicare, ed essere padroni noi stessi del nostro giudizio, perché solo attraverso una personale conoscenza può verificarsi che quello che giudichiamo buono è realmente buono.

S. Chierici:

Credo che l'incontro di oggi abbia risposto in pieno a quella che era la domanda che sentivamo serpeggiare nell'aria intorno a questa mostra e alle provocazioni che ha voluto dare. Se non ci sono altre domande, io chiuderei qui, ringraziando di cuore l'amico Giuseppe Panza, che ci ha oggi così acutamente portato per mano alla scoperta di quest'arte, di questo terreno nel quale molti di noi ancora hanno qualche titubanza ad addentrarsi con le proprie gambe. Forse è proprio vero che c'è bisogno, in questo campo più che in altri, di essere condotti per mano, e di questo aiuto e di questa guida lo sono particolarmente grato a Giuseppe Panza, e a tutti voi che avete avuto la cortesia di rimanere fra noi. Grazie ancora.