"Questo piccolo grande amore". I campioni si raccontano

 

 

Giovedì 27, ore 11.30

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Relatori:

Franco Baresi, Vice Presidente A.C. Milan

Alberto Cova, Campione Olimpionico di Atletica Leggera

Loris Capirossi, Campione mondiale di motociclismo 1990 e 1991 classe 125

 

Baresi: Quando sono arrivato nel mondo del calcio, nel lontano 1974 avevo tanti sogni, tante cose in mente da realizzare; sono stato fortunato di trovare un ambiente sereno, una famiglia che mi ha accolto, persone che mi hanno aiutato nei momenti difficili. Ci vuole un po’ di fortuna e che il buon Dio ti accompagni.

Da un anno ho smesso di giocare, e sto imparando il nuovo mestiere di dirigente: ho la responsabilità di gestire il settore giovanile del Milan. Credo che sia molto importante far crescere i giovani, aiutarli a esprimersi e a trovare quello che desiderano. Il mio compito è fare una squadra che accolga i ragazzi che hanno l’ambizione di avvicinarsi al calcio, per potersi trovare a loro agio come a casa loro. Il mio intento è di portare queste persone ad un grande spessore, non solo tecnico ma anche umano; un ragazzo per riuscire deve non solo essere bravissimo tecnicamente, deve anche trovarsi bene in un ambiente. E anche per i genitori è importante sapere che i loro ragazzi vanno a socializzare con altri ragazzi, che si trovano bene e che imparano cose importanti e utili. Non tutti devono e possono diventano campioni, tutti però devono fare un’esperienza positiva, imparare a stare con gli altri, a rispettarli, a collaborare, a socializzare.

Questo non vuol dire che tra gli obiettivi del nostro progetto non ci sia scoprire dei talenti che possano arrivare il più lontano possibile, che possano anche giocare in serie A. Ma anche questo è dare loro la possibilità di fare un’esperienza positiva: ci saranno delle selezioni, ci saranno dei ragazzi di maggior qualità di altri, ma quelli che entreranno a far parte del settore giovanile troveranno persone in grado di poterli realizzare come ragazzi e come uomini, non persone che li useranno per vincere il campionato giovanissimi.

La mia ambizione sarebbe il sentir dire che nel settore giovanile del Milan c’è un ambiente sereno e umano; è chiaro che in questa ambizione non dimentichiamo il giocatore. Il progetto che sto mettendo in piedi nasce soprattutto dal desiderio che i miei figli possano trovare un ambiente; un ragazzo diventa pericoloso quando non è soddisfatto, quando non trova nella società la compagnia giusta, quando non trova i valori per potersi realizzare. Diventa pericoloso perché per avere la forza di andare avanti da solo si aggrappa ad altre cose che possono esser nocive per la salute, come il doping di cui si parla tanto. Ma non è di doping che bisogna parlare, bisogna andare indietro e parlare di affetto, di comprensione, di amore. La storia del doping in realtà ormai ha stufato: è giusto fare chiarezza e porre delle regole ben precise per giudicare il problema, ma è anche giusto anzitutto rimediare alle cause di un disagio.

Quando si fa sport c’è chi vince c’è che perde; un bravo giocatore deve essere preparato anche a trarre gli aspetti positivi dalle sconfitte, per poter migliorare e far meglio la volta seguente. Io ho tratto beneficio anche dagli anni difficili che ho fatto al Milan: mi hanno maturato, mi hanno fatto crescere. Anche se avevo solamente vent’anni, ho imparato molte cose. Ammiro loro che praticano uno sport singolo, molto più difficile, perché sono soli, devono trovare da soli la forza e la carica per poter giocare contro tutti. Praticando invece uno sport di squadra come quello da me praticato, molto spesso sono stato aiutato dai compagni. Penso sia molto più difficile arrivare in alto se si è da soli. Per arrivare è importante che uno abbia voglia di far sacrificio, trovare le motivazioni, avere dentro di sé questa ambizione sempre positiva, non lasciare niente di intentato: tante volte ho incontrato gente più grande di me, che con la volontà, la dedizione, l’entusiasmo, riusciva a raggiungere chi magari era fisicamente più forte. Oggi, i ragazzi hanno tutto più facile, ma tante volte siamo noi genitori stessi a sbagliare, perché i nostri figli devono capire che niente è dovuto e che devono guadagnarsi sempre la giornata, devono rispettare quello che hanno intorno, rispettare chi ha meno fortuna.

Cova: Ho sognato fin da giovane di fare l’atletica da campione: ci sono riuscito, i sacrifici sono stati tanti, ma sono stati superati perché quando riesci a fare quello che vuoi, quello che ti piace e lo fai bene, ottieni anche i risultati. I sacrifici alla fine non sono tali, fanno parte di un’esperienza di vita, di una scelta che fai solo con te stesso per ottenere quello in cui credi.

La mia carriera è partita da una grossa società milanese, la Propatria, dove le persone che ho incontrato mi hanno portato a alto livello; ma tutto è nato in un piccolo paese di provincia, in Brianza, dove degli appassionati hanno iniziato un ragazzo di dodici anni a fare atletica; da li è cominciata la mia vita sportiva. Oggi dirigo una importante società del comune di Milano che fa sport, rivolgendosi a tutti i cittadini milanesi, non solo ai giovanissimi ma anche alle persone di mezza età e agli anziani, a tutti i cittadini che vogliono conoscere cosa è l’attività sportiva: fare attività sportiva non è solo stare bene fisicamente, non è solo imparare un tipo di attività ma è stare bene con se stessi per poi stare bene con gli altri.

Quando si parla di sport si fa un discorso generale, ma di fatto bisogna distinguere lo sport agonistico e lo sport inteso come attività sociale. Lo sport agonistico è quello delle società sportive, a qualsiasi livello; lo sport sociale è invece quello che devono conoscere tutti, a cominciare dalla scuola elementare, per conoscere cos’è la attività sportiva e l’interesse per una attività sportiva, fisica, motoria. Questo in Italia non è ancora insegnato in modo chiaro: tutto lo sport è finalizzato solo all’attività di vertice, l’attività dei grandi campioni. Invece è il ragazzo che cresce che deve capire cos’è l’attività sportiva, e quando avrà un’età matura farà una scelta di vita rispetto alle sue eventuali qualità sportive.

Le delusioni fanno parte della attività dell’atleta: sono più le volte che si perde che le volte che si vince. Dalle sconfitte si cercano di trarre gli errori, commessi sia in allenamento sia durante la gara. Più che su una attività annuale come avviene per il calcio per un campionato, in atletica noi concentriamo la attività su appuntamenti più o meno importanti durante l’anno, finalizzati al periodo estivo: l’olimpiade, il campionato del mondo, il campionato europeo. Tutta la nostra attività è programmata in funzione di quella gara e tutto quello che fai prima è in funzione di imparare - anche perdendo - quello che dovrai riuscire a fare per vincere nel momento importante. Il nostro è uno sport individuale: questo è importante perché tutte le volte che esci da una gara, da un allenamento c’è un confronto con te stesso, un confronto in cui devi giocare le tue carte al meglio.

Vorrei riuscire a parlare più spesso con i giovani,: solo noi che l’abbiamo vissuta direttamente riusciamo a spiegare ad un ragazzo che cosa vuol dire fare atletica, che cosa vuol dire fare lo sport agonistico. Un dibattito, un confronto lo si fa magari con i ragazzi che frequentano l’atletica, ma sono pochissimi; bisognerebbe parlare a un pubblico più vasto, riuscire a trasmettere di più cosa vuol dire fare attività sportiva di alto livello. Dialogando forse riusciremmo anche a far capire tante cose di questo ambiente che io reputo un ambiente molto bello, un insegnamento di vita: tutto quello che ho fatto nell’attività sportiva, riportandolo all’attività di tutti i giorni, anche alla famiglia, mi è servito moltissimo, e non posso certo dimenticare le esperienze fatte.

Capirossi: In qualsiasi sport c’è sacrificio, ma c’è anche tanta gioia; l’importante è credere in quello che si fa, come in qualsiasi campo, sport, ma anche lavoro e studio.

Sono molto fortunato perché sono riuscito effettivamente a raggiungere l’obiettivo che speravo di raggiungere; il nostro è uno sport difficile, perché è uno sport più costoso di tanti altri e in cui bisogna avere l’appoggio di qualcuno che ci crede. Ho avuto la fortuna di avere dei genitori che ci credevano, mi hanno aiutato molto e penso di essere arrivato al successo che ho ottenuto anche grazie a loro.

I sacrifici sono stati tanti: andavo a scuola e quando smettevo lo studio andavo a lavorare pur di racimolare i soldi per comprarmi una tuta e un casco per andare in pista. Sono riuscito a raggiungere quello che speravo di raggiungere; credo molto in quello che faccio e ci metto tutto me stesso sempre, perché l’importante è volere le cose.

Rispetto al vincere e al perdere, è chiaro che tutti cercano di raggiungere un obiettivo, e arrivano magari alla vittoria. Il momento più difficile è proprio la sconfitta: con la sconfitta si diventa uomini e si impara a capire cos’è lo sport. Ho avuto tanti anni di successo ma anche degli anni molto difficili dove ho perso campionati del mondo. Mi sono detto che bisogna cercare di oltrepassare questi momenti, e solo così sono riuscito a tornare di nuovo alla vittoria. Quando una persona impara a saper perdere, è sicuramente molto più grande di quello che era prima.

Per correre in moto ci vuole una motivazione: se correre in moto diventa solo un lavoro è meglio rimanere a casa, perché diventa tutto troppo pericoloso. Io lo faccio perché ci credo e vi trovo grandi soddisfazioni; quando diventerà un lavoro attaccherò sicuramente il casco al chiodo e farò qualcos’altro. Nei momenti belli di vittoria, nei momenti di euforia, è facile lasciarsi andare, magari a un’impennata, o a guidare con una mano una moto. È difficile e può anche essere pericoloso andare in moto, ma innanzitutto la moto è una cosa bellissima: correre in moto mi ha fatto crescere, mi ha insegnato a vivere, mi ha insegnato a stare in mezzo alla gente. Le soddisfazioni si possono trovare in qualsiasi cosa, anche nella sconfitta: la moto mi ha insegnato che si può essere felici anche se non campioni.