Giornata nazionale della Compagnia delle Opere

Le non-profit al di qua e al di là dell'Oceano

Verso una legislazione delle non-profit in Italia

Sabato 26, ore 11.30

Relatori:
Hiroshi Nakajima,
Direttore dell'Organizzazione
Mondiale della Sanità
Roy Sparrow,
Docente e Responsabile del Master Non-Profit presso la New York University
Stefano Zamagni,
Preside della Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Bologna
Giancarlo Foscale,
Presidente della Standa
Danilo Longhi,
Presidente dell'Unioncamere Nazionale
Moderatore:
Giorgio Vittadini,
Presidente della Compagnia delle Opere

 

 

Vittadini: L'incontro di oggi si svolgerà in due parti. Per primo interverrà il dottor Nakajima, Direttore dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che è venuto a porgere un saluto graditissimo al Meeting.

Perché questo saluto, perché questo invito? Perché il nostro interesse è a tutta la realtà, anche la più lontana da noi. In questo momento in cui sembra che il dibattito politico e umano si concentri solo su cose di casa nostra, noi siamo interessati a chiunque; la nostra è una posizione ecumenica, una posizione che guarda tutto il mondo, guarda tutte le persone, in particolare le persone che vivono nel bisogno. Vogliamo dare, come diamo, il nostro contributo e il nostro aiuto a loro, innanzitutto perché una mentalità che si apre alla realtà non può che essere interessata a tutte le persone, a tutti gli aspetti, non può censurare nulla. Non può censurare che il mondo di oggi, nonostante gli ottimismi della volontà ormai superati, è un mondo nel quale tantissima gente sta male. Questo star male, questa morte, questa malattia, non può non far parte della nostra concezione della vita, non può non far parte della nostra vita quotidiana, perché in qualche modo determina i nostri atti. Aver invitato il direttore dell'O.M.S. — ormai da molti anni in questa carica — è un aspetto di questo interesse.

Nakajima: È per me un grande onore e un privilegio quello di partecipare a questa importante riunione a Rimini. Desidero in esordio parlarvi di una questione di cui l' O.M.S. si va occupando da molti anni ormai, una questione di grande interesse: far tutto il possibile per portare la salute alla portata di tutti, compresi i paesi più poveri e più vulnerabili.

Forse ciò che più ci colpisce e che ci è più difficile accettare in queste distanze che vogliamo ridurre è il problema della sopravvivenza infantile. Infatti, circa un quarto delle 51 milioni di morti che si registrano nel mondo ogni anno, sono relative a bambini con meno di cinque anni, e la maggior parte di queste avvengono nei paesi in via di sviluppo. Esse sono per lo più dovute ad una combinazione di cause che sarebbero controllabili. A nostro favore, sta l'osservazione che il divario — mi riferisco al divario fra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo — della mortalità infantile si è ridotto, in questi ultimi 5 lustri, di circa il 50%, mentre il divario fra i paesi meno sviluppati, i poveri fra i poveri, e gli altri paesi in via di sviluppo, è andato aumentando.

I valori della mortalità infantile si collocano oggi fra il 5 e il 100 per mille di nati vivi, e una variabilità analoga si registra nella mortalità delle puerpere. Desideriamo dare la massima precedenza al tentativo di ottenere una riduzione significativa nella mortalità, nell'aggressività delle malattie fra mamme e bambini, e ci poniamo come obiettivo di ridurre entro il 2000 di 2 milioni il numero annuale di decessi di bambini di meno di 5 anni.

Vi sono altre distanze da ridurre, per esempio, le malattie infettive o le parassitosi, che uccidono 16 milioni di persone ogni anno. La sola malaria è responsabile di 2 milioni di morti; la tubercolosi, che nel 1993 ha ucciso circa 3 milioni di persone e per la quale si prevedono 9 milioni di nuovi casi per il 1995, è stata dichiarata un'emergenza mondiale dall'O.M.S.. I nostri obiettivi per l'anno 2000 comprendono il tentativo di debellare alcune malattie tra cui la poliomelite, la lebbra, il tetano neonatale e il morbillo. L'eliminazione della lebbra sta dando risultati incoraggianti, e, attraverso la cooperazione internazionale, ci auguriamo, per l'anno duemila, che essa non sia più da considerare malattia infettiva. In questi ultimi anni tuttavia abbiamo assistito ad alcuni fatti che hanno destato la nostra massima preoccupazione, come la ricomparsa della peste, nonché del morbo di ebola nello Zaire. Grazie all'intervento dell'O.M.S. e della comunità internazionale, i nostri risultati ci hanno permesso di dichiarare recentissimamente che un'epidemia dovuta al virus di ebola è scongiurata.

In molti paesi in via di sviluppo, continuiamo ad assistere a casi di meningite, o addirittura di difterite o di colera. L'Italia, come ben sapete, ogni anno si trova a dover registrare alcuni casi di colera; è comparso un nuovo ceppo di colera, alcuni nuovi ceppi della dissenteria e della tubercolosi resistenti ai farmaci. Inoltre, l'incidenza dell'AIDS continua ad aumentare. Non allentare la vigilanza, ecco ciò che dovremmo fare, e infatti stiamo creando le strutture necessarie per combattere queste malattie.

La povertà si è eretta sul nostro cammino come un grande ostacolo. Più di un miliardo di persone vive senza cibo, acqua o rifugi sufficienti, e per questa ragione sono molto vulnerabili alle malattie, ed è ancor maggiore il numero di persone cui viene più o meno parzialmente vietato l'accesso ai servizi sanitari o alle terapie. I politici e i tecnici economici debbono anche capire che la crescita economica organica, nello sviluppo sociale, non è possibile se le condizioni sanitarie della popolazione non sono soddisfacenti. A noi spetta raccogliere le sfide che questa situazione presenta. Molte malattie non trasmissibili come il cancro o le malattie cardio-vascolari, stanno aumentando non solo nei paesi in via di sviluppo ma anche in quelli sviluppati, mentre in passato solo in questi ultimi le malattie che ho appena citato costituivano un problema grave. Delle 10 milioni di morti che si registrano ogni anni nel mondo dovute alle malattie del sistema cardio-circolatorio, il 44% avvengono nei paesi in via di sviluppo. Il cancro è responsabile della morte di una media di 6 milioni di persone all'anno, il 58% delle quali si trova nel mondo in via di sviluppo. Abbiamo calcolato che un quinto di tutte le morti da cancro nel mondo potrebbero essere prevenute se il fumo del tabacco venisse eliminato.

Dobbiamo dare ancor più vigore alla nostra azione, anche preparandoci ad una maggior attenzione per i problemi sanitari e sociali relativi alla cura e al sostegno per gli anziani, compresi quelli che vivono nei paesi in via di sviluppo. Per accorciare le distanze in questi settori, è necessario prevedere e prevenire, ovvero investire nella formazione, nell'educazione e nella promozione sanitaria.

Ma tutto ciò non è sufficiente. Le risorse dell'assistenza sanitaria primaria debbono essere alla portata di tutti. Il miglioramento dell'assistenza sanitaria primaria — compresa la fornitura e la somministrazione di vaccini e di farmaci essenziali — è un settore cui l'O.M.S. deve dedicare la massima attenzione. Debbo ripetere che l'impegno politico tanto dei governi nazionali quanto dei donatori internazionali e di tutte le parti interessate, compresa la società civile, è indispensabile. L'amicizia fra i popoli si esprime oggi nella cooperazione in tutti i campi, in tutti i settori della salute; governi, organizzazioni non governative ed ogni singolo individuo, hanno dato prova di grande generosità, sia nelle sfere nazionali che nei rapporti fra le nazioni. Vorrei che diventasse questa la base su cui poserà la garanzia che la salute per tutti rimarrà fra i diritti umani fondamentali, e che sarà un saldo elemento dell'etica politica per il XXI secolo.

L'O.M.S. ha avviato un rinnovamento della strategia della salute per tutti, volto al suo consolidamento dopo l'anno 2000. Ci rivolgiamo ad ogni cittadino, per chiedergli di partecipare a quest'opera, e ciò sotto l'egida della solidarietà; ma dovremo anche determinare quali sono le precedenze, soprattutto per quanto riguarda l'educazione sanitaria, nel cui ambito dovremo cercare di sviluppare anche le cure che ognuno deve saper dare a se stesso.

Oggi vi è anche un'altra distanza importante che va colmata: il divario della situazione dell'uomo rispetto a quella della donna. L'O.M.S. nutre preoccupazioni profonde per la salute delle donne, e si propone di partecipare attivamente alla conferenza di Pechino sulla donna. Troppo a lungo sono state trascurate le necessità fondamentali della salute della donna, trascurate oppure prese in considerazione solo parzialmente. La possibilità di migliorare in modo significativo la situazione sanitaria della donna è oggi più che mai alla nostra portata, tecnicamente e finanziariamente. È stato calcolato che delle circa 200 milioni di donne in gravidanza che si registrano ogni anno, mezzo milione muoiono durante la gravidanza — e il 99% di queste morti avvengono nei paesi in via di sviluppo —, e 20 milioni sopravvivono ma al prezzo di gravi conseguenze permanenti. In situazioni di bassissimo reddito, la divulgazione e diffusione delle informazioni e l'accesso alle strutture sanitarie e sociali necessarie è assai difficile, ma d'altra parte è uno degli interventi che meglio possono essere programmati e realizzati nel mondo dal punto di vista della redditività.

Un altro esempio è quello del cancro cervicale. Il 75% dei casi di questa malattia si registra nei paesi in via di sviluppo, ove essa costituisce una causa importante di mortalità femminile. Una educazione sanitaria adeguata permetterebbe di migliorare la situazione, come è stato dimostrato in India dove è stata condotta un'azione basata sull'applicazione di un semplice metodo di esame e diagnosi per questa malattia. L'O.M.S. si è impegnata a realizzare il programma di azione convenuto l'anno scorso al Cairo alla Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo.

È inoltre della massima importanza che l'educazione sanitaria e la consulenza sanitaria vengano fornite in modo tale da poter controllare i comportamenti a rischio, soprattutto dei giovani, per evitare situazioni pericolose, come l'abuso di farmaci, l'insorgenza della depressione, l'esercizio della violenza, l'attività sessuale non protetta o le gravidanze indesiderate. Le malattie trasmissibili sessualmente e il virus dell'AIDS sono la prova del modo in cui fattori socio-economici e fisiologici possano, in un'azione combinata, portare a rischi specifici e a problemi gravi per la donna. E a questi fattori si aggiunge la povertà. Si tratta di problemi che debbono essere studiati per porre adeguato rimedio.

Ma per giungere a questo risultato dobbiamo guardare ad altre culture per imparare, dobbiamo guardare all'esperienza dei nostri amici per farne tesoro. Tutti meritano il nostro rispetto e la nostra comprensione; tuttavia, qualsiasi pratica venga a violare l'integrità della vita o della salute dell'essere umano, deve essere rifiutata da ognuno di noi, e deve essere dichiarata illegale dalla società. Non possiamo accettare che la tecnologia sanitaria moderna venga utilizzata — per esempio — per determinare il sesso dei nascituri, e fare a posteriori una scelta in merito a questo fatto. Dobbiamo opporci e cercare di scoraggiare queste pratiche dannose, e altre quali la mutilazione dei genitali femminili che viene ancora oggi applicata in alcune parti del mondo. È certamente necessario legiferare, ed è necessario che queste leggi vengano applicate: ma se verranno ottenuti cambiamenti profondi e generali negli atteggiamenti e nelle pratiche, questo potrà essere ottenuto solo grazie all'appoggio fornito alle leggi e alle comunicazioni in tutti i settori della società. Politiche volte al miglioramento della condizione della donna e alla qualità della vita della donna non devono essere emarginate perché prodotte come politiche esclusivamente rivolte alla donna; debbono essere applicate come parte di una politica globale ed organica che tutte le comunità hanno il dovere di applicare, affinché ogni individuo venga trattato con giustizia indipendentemente dal suo sesso, dal suo censo o dal gruppo etnico a cui appartiene.

Per abbreviare le distanze, per ridurre il divario nella situazione sanitaria, i governi hanno la responsabilità di mettere i servizi sanitari alla portata di tutti, tanto nella sfera nazionale come nella sfera internazionale; devono fornire tutto l'appoggio possibile allo sviluppo economico e sociale e alla realizzazione di un ambiente giuridico che sia di appoggio ai diritti umani, alla salute e al benessere, affinché ogni uomo e ogni donna su questo pianeta abbiano tutte le occasioni possibili per realizzare il loro essere secondo le proprie libere scelte e siano parti uguali in tutti i settori di attività.

L'O.M.S. promette il proprio aiuto ad ogni attività volta a questo scopo, aiuto consistente nel permettere a tutti un pari accesso e una pari possibilità d'uso di tutti i servizi sanitari, onde raggiungere l'obiettivo della salute per tutti avvalendosi però anche dell'appoggio fornito da ognuno a tutti. Non si tratta solo di garantire la salute per tutti, si tratta, invece, di ottenere che tutti diano il proprio appoggio all'azione che porterà a far sì che la salute per tutti sia la salute da parte di tutti e ciò sotto l'egida della solidarietà, del rispetto e della giustizia sociale.

Vittadini: L'esperienza cristiana non risolve i problemi, ma mette di fronte ad essi, anche al problema umano, con più umanità, con più vigore, perché non dimentica nessun fattore della realtà. Per questo, per noi è un onore aver avuto qui un rappresentante delle massime autorità civili a livello mondiale, perché evidenzia il nostro impegno per il problema umano: il nostro Cristianesimo ci fa sentire fratelli di ogni persona che affronta il bisogno umano, in un'ottica molto più larga delle beghe politiche, perché è un altro modo di far politica, é la politica della difesa dell'uomo, ovunque. Quindi, quello che abbiamo ascoltato lo sentiamo come parte della nostra mentalità, anche se sembra laico, proprio perché fa parte del nostro modo di concepire la religiosità e il Cristianesimo.

Allora non è strano che, mentre guardiamo a questo, ricordiamo le centinaia di persone di noi impegnati in Uganda, in Kenia, in America Latina, in Europa dell'Est, in Jugoslavia, impegnate a dare la vita; questi amici sono andati via per costruire scuole professionali, centri di salute nelle zone più sperdute. Mentre ricordiamo queste persone ricordiamo un altro interesse: le realtà umane, le persone, devono partecipare alla costruzione sociale, devono poter applicare il principio di sussidiarietà. Dire che il principio di sussidarietà deve essere applicato, non vuol dire innanzitutto privatizzare per dare le opere pubbliche ai ricchi svendendole, ma vuol dire che scuole, università, centri di salute, opere culturali, devono poter essere fatte dal popolo; vuol dire che il nostro concetto di Welfare State non è lo Stato che pensa al mio bisogno, ma io che rispondo a questo bisogno. Con la possibilità di costruire queste cose.

È per questo che il tema del non-profit per noi è una logica conseguenza di una concezione dell'umano. In un incontro della Fraternità di C.L., don Giussani disse: "Più società meno stato, fa parte della nostra concezione". Solo che questo non lo si vuole ammettere, perché vorrebbe dire che la gente conta: senza partiti o altro, può gestire patrimoni, può gestire reddito, può rispondere a bisogni. Parlare ancora una volta del tema del non-profit, non vuol dire avere come tema un tema per addetti ai lavori, ma far vedere come, nel nostro paese, si possa dar vita al principio di sussidiarietà.

Sparrow: L'obiettivo del Meeting del 1995 e quello della Compagnia delle Opere sono di grande importanza per il rinnovamento spirituale e l'integrazione sociale delle culture democratiche ovunque nel mondo.

Mi è stato chiesto di parlarvi dell'esperienza americana nel settore delle organizzazioni non-profit, quindi parlerò soprattutto di quattro aspetti e questioni di questa nostra esperienza. Questi sono :

1. l'ambito e il ruolo del settore non-profit negli Stati Uniti d'America;

2. i vantaggi per la società americana derivanti da un settore non-profit molto forte;

3. i limiti del settore non-profit;

4. i fattori di successo importanti per un'organizzazione non-profit .

Prima di entrare nel merito di questi argomenti, desidero darvi un profilo generale dell'ambito in cui opera il settore non-profit negli Stati Uniti, parlandovi del coinvolgimento mio e della mia famiglia nel mondo delle organizzazioni non-profit. Io sono nato in un ospedale-clinica non-profit nello Stato della Carolina del Nord, ho incontrato mia moglie Miriam che lavorava come volontaria in una sezione locale di una organizzazione politica non-profit che io dirigevo. Poi, siamo stati sposati in un albergo non-profit gestito dall'Università della Carolina del Nord; i nostri figli sono nati in una struttura sanitaria non-profit in California, e hanno frequentato la scuola elementare in una struttura non-profit a New York. Facevano parte, e partecipavano alle attività di un istituto di culto nello Stato del New Jersey, non-profit. Il nostro gatto è stato adottato da una organizzazione non-profit, e il nostro cane ha seguito un corso di addestramento gestito da un'organizzazione non-profit. Entrambi i nostri figli hanno frequentato Università non-profit. Oggi uno dei nostri figli insegna all'Università di New York non-profit, e l'altro in una istituzione di ricerca a Washington D.C. I genitori di mia moglie sono oggi alloggiati presso una comunità, una casa di cura per anziani, non-profit. Mia moglie si è laureata in legge alla New York University, che è una organizzazione non-profit, la stessa istituzione dove oggi io insegno gestione delle organizzazioni non-profit. Mia moglie oggi è consulente legale presso il centro trasfusionale della banca del sangue di New York, organizzazione non-profit che dà assistenza alla comunità in ambito sanitario, nell'area metropolitana di New York. Siamo soci di una associazione sociale non-profit che dà contributi finanziari a molte altre organizzazioni nel settore della ricerca sanitaria, del cinema e dello spettacolo e della protezione ambientale. Le nostre pensioni sono gestite da una organizzazione non-profit che ci darà la pensione quando saremo anziani, e quindi, per quanto mi riguarda personalmente, io rappresento l'uomo non-profit in una famiglia non-profit, dalla culla alla tomba.

Non sarebbe però preciso affermare che tutte le famiglie americane sono coinvolte così profondamente nel mondo delle organizzazioni non-profit: ma è comunque vero che le vite di molti americani vengono toccate e influenzate quotidianamente dalle attività di questo settore. Pertanto, possiamo cominciare a trattare i temi già citati.

Qual è l'ambito e il ruolo del settore non-profit? Come questa mia personale storia racconta, il settore non-profit negli Stati Uniti è molto vasto e molto diversificato. Le attività vanno, per esempio, dall'intrattenimento all'ambiente, dalla istruzione alla religione, dai servizi sanitari alla tutela degli animali. Vi è anche un'ampia gamma di tipi organizzativi, che comprende oltre un milione di organizzazioni, che rappresentano una cifra oscillante tra il 4% e il 5% del prodotto interno lordo degli Stati Uniti — 500 miliardi di dollari di fatturato annuo — e che danno lavoro a circa 8 milioni di persone, senza comprendere i volontari.

Per capire meglio il settore, desidero fare alcune osservazioni su come si è sviluppato il settore non-profit negli Stati Uniti, e su cosa lo distingue dagli altri settori economici. Il non-profit ha una storia molto lunga. Deriva dalle tradizioni filantropiche e caritatevoli della civiltà occidentale, dalla Babilonia, dall'Egitto, dall'assistenza per i poveri, gli infermi e gli indigenti; la tradizione greca ha aggiunto poi il concetto dei contributi comunitari che è precursore della filantropia. I concetti giudeo-cristiani, in seguito, si sono estesi e hanno istituzionalizzato questi concetti. La base giuridica americana per il settore non-profit nasce da una vecchissima tradizione inglese, le leggi per i poveri dell'Inghilterra del '600. Queste leggi furono trapiantate in America, quando era ancora una colonia inglese, e si adattarono alle varie esigenze locali, dall'originario fornire servizi sociali, fino, soprattutto per i poveri della città, all'espandersi nel settore sanitario, dell'educazione, della cultura e delle arti.

Le organizzazioni non-profit americane, come quelle inglesi prima, si occupano di molte attività filantropiche e caritatevoli che in altri paesi democratici vengono assolte dallo Stato, dalle organizzazioni religiose, dai movimenti del lavoro e da una combinazione di uno o più di questi. Il settore non-profit americano dipende fortemente dalla filantropia, dalle donazioni economiche e anche dal lavoro del volontariato. Le organizzazioni non-profit, negli Stati Uniti, vengono ricompensate e incoraggiate grazie all'esenzione fiscale. In cambio del beneficio dell'esenzione fiscale, le organizzazioni non-profit arricchiscono la società americana.

Giungiamo alla seconda questione: quali sono i vantaggi per la società di un assai vivace settore non-profit? Primo: negli Stati Uniti l'organizzazione non-profit è una espressione di libertà e di società democratica pluralistica, libertà dei cittadini di associarsi, organizzarsi, affiliarsi, come Alexis de Toqueville, l'attento studioso del XIX secolo diceva: "Gli americani di tutte le età, di tutte le classi e di tutte le disposizioni, costantemente si associano". Molti osservatori del XX secolo dicono che questa caratteristica rimane ancora una forte espressione della società democratica americana di oggi.

Secondo: il fatto che la libertà di organizzarsi permette ai cittadini un impegno personale nell'ambito sociale, politico, culturale, ambientale, educativo e scientifico. Oggi in molte parti del mondo, vediamo sempre di più il rifiuto dello Stato, il rifiuto, da parte della società, della dipendenza da esso: che si tratti di respingere la versione comunista del socialismo, oppure il rifiuto di dipendere dallo Stato sociale, è la stessa situazione. Il settore non-profit negli Stati Uniti offre appunto una alternativa e una espressione di impegno e di responsabilità allo stato sociale e al liberalismo sociale.

C'è un terzo vantaggio: le non-profit sono uno strumento importante di decentralizzazione e diversificazione nella società pluralistica. Nella pratica, questa decentralizzazione e diversificazione rappresentano una espressione moderna dei concetti tradizionali quali la famiglia, la collettività, l'istituzione religiosa. Queste organizzazioni poi vanno da uno o due dipendenti, a parecchie migliaia di dipendenti e rappresentano tutta una panoplia di interessi. Questa diversità permette altresì l'espressione di individualismo a livello molto decentralizzato. Le organizzazioni non-profit sono anche una alternativa istituzionale importantissima al Governo, al pubblico. Il pubblico è caratterizzato da standardizzazione e burocratizzazione eccessiva, ed è anche una alternativa al settore privato, con sistemi di incentivo orientati all'utile, al profitto. Sia il settore pubblico che il settore privato hanno i loro punti di forza, ma non sono gli strumenti ideali per raggiungere molti degli obiettivi umani.

Il settore non-profit è quindi uno strumento per l'espressione della libertà, offre un canale importante nell'esercizio della responsabilità e dell'impegno personale, si tratta di uno strumento appunto di decentralizzazione e di diversificazione, offre una alternativa sia al settore privato che al settore pubblico. Questi vantaggi possono essere realizzati negli Stati Uniti, perché vi è sostegno da parte dell'ambito politico, economico e culturale.

Quali sono i limiti del settore non-profit? Ci sono vari limiti; io parlerò solamente di due di essi. Innanzitutto, la libertà di autonomia goduta da queste organizzazioni può essere abusata. In quanto individui in una società libera, le organizzazioni non-profit sono responsabili di controllare le proprie azioni, e talvolta approfittano di questa loro libertà nel perseguimento di interessi personali.

Consideriamo questo esempio. Nel 1992 è stato costretto a dimettersi il presidente della United Way of America, una delle più grandi organizzazioni caritatevoli e filantropiche degli Stati Uniti: era stato trovato colpevole di tutta una serie di reati penali, tra i quali lo stornamento di fondi della United Way, per servizi personali, alcuni dei quali di natura sessuale; aveva avvantaggiato parenti, e aveva abusato delle risorse dell'organizzazione. I contributi finanziari alla United Way sono crollati precipitosamente per parecchi anni, creando danni non soltanto ai dipendenti, ma anche alle organizzazioni di servizio sociale che facevano affidamento sulla United Way per il loro sostegno finanziario. Alcuni osservatori, analizzando e vedendo con quale facilità il presidente di questa non-profit l'avesse saccheggiata, hanno richiesto maggiori restrizioni sulla libertà delle non-profit a raccogliere fondi. Altri invece sostengono che il bene che viene fatto dalla stragrande maggioranza delle organizzazioni non-profit, dovrebbe ridurre questo nostro impulso a controllarle eccessivamente. Chiaramente, è necessario un giusto equilibrio tra autonomia e controllo eccessivo.

I critici sostengono anche una seconda serie di limiti: proprio perché chiunque può organizzare una non-profit, spesso esse sono caratterizzate da una scadente gestione. Parlavo prima del contributo dei volontari; essi però rappresentano anche una sfida molto difficile per la gestione. Così come avviene per le organizzazioni profit, le non-profit non fanno buona pianificazione strategica, buona gestione delle risorse umane, delle risorse finanziarie.

Per riassumere, possiamo dire che l'efficacia delle non-profit può essere danneggiata dall'abuso delle libertà e dal fatto che queste organizzazione spesso sono gestite in maniera scadente. Questi problemi possono essere rimediati, ma questo richiede uno sforzo sostenuto e consapevole.

Quali sono i fattori di successo importanti per una organizzazione non-profit? Non vi è un unico modello per il successo di questo tipo di organizzazione, ma, sulla base della mia esperienza come professore, ricercatore e consulente, ho individuato quattro fattori che possono dare un contributo importante nel migliorare la posizione competitiva di molte organizzazioni non-profit.

Primo: i gestori, i manager devono pensare ed agire in maniera strategica; questo significa che devono gestire il cambiamento costante, e quindi devono sviluppare la capacità di valutare in maniera oggettiva il presente e allo stesso tempo ricercare costantemente le opportunità per migliorare l'impegno dell'organizzazione nella propria missione, nella propria capacità di performance.

Un secondo fattore implica l'ambito, il fine e lo scopo: i manager delle non-profit devono accertarsi che la missione, i valori e il fine facciano parte della filosofia operativa. Senza un fine ben individuato, una organizzazione non-profit è come una barca in mare senza la deriva, non può esercitare le proprie attività in maniera efficiente ed efficace. I consigli di amministrazione, i clienti, i donatori, i volontari e anche i dipendenti dell'organizzazione, sono tutti legati intrinsecamente all'organizzazione e tra di essi nel fine, nella missione e negli obiettivi della missione dell'organizzazione. I valori che condividono sono la base del significato spirituale della motivazione.

Vi è anche un terzo fattore di successo che è una buona pratica di gestione interna. Spesso, con tristezza, osservando una organizzazione non-profit, che vedo fornire importanti servizi a persone che ne hanno bisogno, vedo anche che raggiungono solo una piccola percentuale del loro potenziale. Molto spesso sono ben intenzionate, ma la gestione scadente spesso è colpevole di questo. Vi sono dirigenti e manager che spesso non sanno come organizzare, motivare e indirizzare l'erogazione dei servizi per mantenere livelli di qualità e di responsabilità adeguate.

Vi è infine un quarto fattore di successo: i rapporti esterni. I rapporti esterni significano gestire bene l'ambiente esterno. Di recente, molti dirigenti gestivano queste organizzazioni come se fossero autosufficienti, staccate dalla realtà, invece oggi molti manager sanno che le loro azioni e le loro decisioni dipendono da fattori che stanno all'esterno di queste organizzazioni. Ma pochi di questi manager hanno le competenze e le conoscenze per gestire bene le sfide delle relazioni esterne.

Per concludere, vorrei affrontare la questione della nuova legge sulle non-profit, che è ormai imminente in Italia. Penso di non essere troppo presuntuoso nel fornire al riguardo alcuni piccoli consigli sulla base della esperienza americana che ho di queste organizzazioni.

In primo luogo, bisogna sviluppare e mantenere una visione a lungo termine dell'organizzazione, come una entità produttiva e socialmente utile. Questo richiede la capacità di vedere la propria organizzazione in prospettiva a distanza, come strumento di uno scopo più grande. Evitare a tutti i costi la trappola del permettere che la quotidianità di servire, di erogare il servizio, e controllare i dipendenti, determinino le attività dei dirigenti.

In secondo luogo, il pubblico e il governo devono fornire gli incentivi che possano rafforzare e attirare le attività delle organizzazioni non-profit. Vi sono molti ambiti in cui il Governo può fornire un contributo nell'erogazione di un servizio, ma vi sono altri settori dove le non-profit sono gli strumenti più giusti, più efficienti per fornire ed erogare tali servizi. D'altra parte, non è compito del governo avere fiducia cieca; quando le non-profit forniscono un servizio critico per o in sostituzione del governo, ci vuole un giusto controllo e monitoraggio.

Infine, vorrei indicare il compito del settore privato: il settore privato deve tutelare i propri interessi. Nelle condizioni giuste, le non-profit possono invadere gli ambiti che in alcuni settori possono essere gestiti bene dal settore privato. E se non ostacolate queste non-profit possono entrare in aree dove invece il mercato privato può giustamente gestir bene sia la produzione che la distribuzione di certi servizi. Quindi, in un certo senso, il settore privato ha un ruolo importante nel definire i limiti delle attività non-profit. La definizione di questi limiti e di questi confini, però, va lasciata alle pratiche del libero mercato, e non alla legislazione.

Un ultimo consiglio e suggerimento per voi. Spesso le non-profit sono uno sbocco per individui e gruppi animati da spirito di servizio pubblico. Albert Scweitzer, Madre Teresa di Calcutta, Martin Luter King, e Amnesty International... essi hanno contribuito al bene attraverso organizzazioni di volontariato caritatevoli. Se da un lato quindi possiamo gestire e sostenere un giusto equilibrio, difendere la libertà degli individui di associarsi, di avere una visione e di creare, e se d'altro lato dobbiamo anche riuscire a controllare l'impulso molto umano all'ingordigia e ai privilegi, ai vantaggi personali, quanti di questi campioni di umanità possiamo sperare di trovare!

Zamagni: Sono molto lieto di essere con voi, quest'oggi, per confrontarmi su un argomento che ritengo meriti un'attenzione maggiore di quanto sia la produzione di ricerche in campo scientifico che la grande stampa gli stiano riservando: il tema del non-profit, ovvero il terzo settore.

Mi è stato chiesto anche di riferire in merito al progetto di legge che la commissione voluta dal Ministro delle Finanze Fantozzi costituì circa due mesi fa. Questa commissione ha lavorato per 45 giorni, al termine dei quali ha prodotto un disegno di legge che, per quel che so, il Ministro Fantozzi sottoporrà prossimamente al Consiglio dei Ministri. Mi auguro che esso possa entrare con una corsia preferenziale nei lavori parlamentari, perché venga tradotto in legge quanto prima. Non entro nei particolari di questo disegno di legge, preferisco invece spendere qualche minuto per mettere in evidenza qual è stata la filosofia che ha sorretto i lavori della commissione, e anche per capire e interpretare in maniera corretta i singoli articoli del disegno stesso.

Per farlo, prendo le mosse dalla considerazione che nel nostro paese è necessario — è questa la sfida che la commissione che ho presieduto ha voluto raccogliere — assegnare al terzo settore piena indipendenza e autonomia totale. Il terzo settore nel nostro paese è vissuto in questi ultimi decenni all'interno di una logica di mutuo accomodamento con lo Stato. Quindi, le condizioni di indipendenza e di autonomia sono necessarie, ovviamente non sufficienti, se si vuole che in una società ormai complessa ed evoluta come la nostra, le organizzazioni di terzo settore agiscano non solo come fornitori o erogatori di servizi sociali o di forme di aiuto, ma anche come soggetti di intermediazione sociale e politica (uso il termine politica in senso ampio, non nel senso partitico). Non basta, cioè, demandare a queste organizzazioni la esecuzione di servizi, sia pure indispensabili, importanti, prioritari; è necessario coinvolgerle nel momento stesso in cui si disegna un certo assetto di interventi piuttosto che un altro.

Qualcuno potrebbe chiedersi: ma perché reclamare per il terzo settore una indipendenza ed una autonomia di questo tipo? La domanda non è pleonastica né accademica, perché, a seconda del tipo di risposta che si dà, derivano conseguenze molto forti e impegnative sul piano della stessa azione politica.

Una ragione è che, secondo il modo tradizionale tuttora prevalente, nel nostro paese soprattutto, di concettualizzare l'attività economica, le funzioni varie che un sistema economico è tenuto a svolgere vengono viste come realizzate all'interno di due soli settori, lo Stato e il mercato. Il mercato, però, è inteso in una accezione molto riduttiva, ovvero come coestensivo con le attività for-profit, le cosiddette imprese di tipo capitalistico o per motivi di profitto. Ma questa è un'eccezione troppo riduttiva, perché il concetto di mercato è molto più ampio dell'insieme delle attività economiche che hanno lo scopo di profitto. È noto che sono diversi i meccanismi di funzionamento e soprattutto i principi regolativi del settore che abbiamo chiamato Stato e del settore che abbiamo chiamato mercato in senso proprio. Dirò la differenza in poche parole.

Possiamo identificare lo Stato con l'insieme delle attività che sono organizzate e legittimate da poteri coercitivi: il mercato — in senso riduttivo e stretto — con l'insieme delle attività che riguardano i beni e i profitti destinati al profitto. Allora il terzo settore, rispetto a questi due principi regolativi, si identifica con quelle attività in cui nella coercizione formale lo scambio destinato al profitto diventa il principio informatore delle attività medesime. In altre parole, mentre nei settori statali e di mercato in senso stretto il principio di legittimazione delle decisioni economiche è costituito in un caso dal diritto di cittadinanza e nell'altro caso dal potere di acquisto che i soggetti hanno, nel terzo settore il principio regolativo è rappresentato dal modo di funzionamento di quella che opportunamente e appropriatamente possiamo definire la società civile.

Vorrei abbozzare, molto brevemente, un'idea attorno alla quale sto lavorando, e che ritengo sia foriera di risultati abbastanza innovativi su questo fronte: alludo a quell'importante linea di ricerca storiografica che ha suggerito di identificare nella riflessione umanistica, soprattutto quella italiana del XV e XVI secolo, una tappa essenziale nella costituzione della concezione moderna della società civile. La teoria della società civile, quale veniva sviluppata dagli umanisti civili del XV secolo, ha infatti il merito di porre in evidenza le condizioni positive dei processi di crescita della ricchezza, sia attraverso l'impegno economico dei singoli che attraverso il consolidamento di relazioni orizzontali nelle istituzioni e nella comunità politica. Il concetto di capitale sociale, che oggi viene declinato prescindendo completamente dalla sua radice, trova invece in questo preciso contesto culturale la sua ragion d'essere. La teoria civile della ricchezza — così veniva chiamata — è basata sulla connessione tra struttura orizzontale della comunità politica e dinamiche di crescita del reddito della ricchezza. In questa prospettiva, l'espandersi delle relazioni di scambio attraverso i mercati è semplicemente un aspetto, importante sicuramente, ma comunque solo un aspetto, di un processo che ha le sue radici nell'organizzazione della società civile come società politica e in particolare nella libertà di accesso alle opportunità di formazione della ricchezza. Qui c'è anche la differenza fondamentale fra la Commercial Society, di cui parlava Adam Smith, e la società civile delle ricchezze.

In conclusione, senza nulla togliere all'importanza delle relazioni di mercato finalizzate al profitto, si può argomentare che la riduzione della sfera del mercato soltanto alle ragioni del profitto finisce ultimamente con l'indebolire il mercato stesso. Ed è questa la ragione per la quale gli stessi imprenditori più avveduti e, direi, più propensi a cogliere le tendenze in atto, si rendono conto della importanza strategica di non limitarsi soltanto a quel tipo di attività, cioè di non dare del mercato e del concetto di economia di mercato, una interpretazione, quale, appunto, una corrente di pensiero che si vuole definire liberale-liberista, intende dare. È troppo limitata quella concezione, perché tende inevitabilmente a emarginare tutto ciò.

Tutto questo vuol dire che dobbiamo riconoscere che il diritto di esistere del terzo settore non può dipendere né da una concessione da parte dello Stato, né da un atteggiamento di apertura da parte delle attività for-profit. Il terzo settore ha una sua fondazione, che ha radici storiche molto profonde. Affermare questa ragione di identità è importante, perché consente a chi opera all'interno del terzo settore di stabilire un rapporto di dialogo e di confronto "a testa alta", senza dover dipendere dalla benevolenza o dalla magnanimità di questo o quel soggetto.

Quali sono i punti centrali di una possibile agenda di cose da farsi, nell'immediato, nel nostro paese?

Anzitutto, auspico che questo progetto, magari con le modifiche che il Parlamento vorrà e dovrà apportargli, venga approvato quanto prima. Si tratta di un progetto veramente innovativo, di un disegno di legge che non ha pari in Europa; è molto più avanzato di quelli analoghi che la Francia, la Germania e la stessa Inghilterra si sono date in questi ultimi anni. Infatti, il nostro è un disegno di legge di natura fiscale, perché alla commissione era stato impedito di mettere mano anche al disegno più ambizioso, che è quello di dare al terzo settore in Italia una sistemazione definitiva per quanto riguarda gli articoli del Codice Civile. Non ci è stato possibile, perché l'iniziativa era stata presa dal Ministero delle Finanze, e quindi a noi era stato chiesto di rimanere nell'ambito della materia puramente fiscale.

Che cosa, nel nostro progetto di legge, è da ritenersi prioritario? Se è vero che — su questo ormai il consenso è unanime — è necessario passare dal Welfare State ad un modello che possiamo chiamare societario, è allora necessario che il terzo settore venga rafforzato. E perché questo avvenga, è necessario che siano ridefiniti i meccanismi di contrattazione con le unità di offerte private per la delega della produzione di servizi; chi opera nel terzo settore, già oggi vede in questi meccanismi motivo di incertezza e di ambiguità legislativa.

Così come è necessario, in secondo luogo, che quanto prima venga creato un modo di costituzione dei fondi di strutture creditizie finalizzati o esclusivamente o prevalentemente al finanziamento delle organizzazioni non-profit. Le organizzazioni non-profit, come spesso bisogna richiamarci, non è vero che non devono fare il profitto; non possono redistribuirlo, ma il profitto lo devono fare, se profitto vuol dire creazione di valore aggiunto. Perché una organizzazione non è autonoma, non è indipendente se non è in grado di autosostenersi. Quindi il profitto va fatto, solo che non deve essere redistribuito ai soci, ma deve essere accumulato per allargare la base degli interventi. Ecco allora perché è necessario pensare. Alcune idee già bollono in pentola: si chiamano con vari nomi, il CIS, la compagnia di investimenti sociali, la banca etica, il sistema delle banche di credito cooperativo... Al di là però delle singole esperienze, è necessario inventare una formula per accrescere le sinergie tra queste iniziative, evitando, come è ovvio, forme sterili di rivalità che sono oltretutto prive di senso.

Un terzo intervento, che reputo particolarmente importante, è il seguente. In Italia, come sappiamo, mancano istituzioni riconosciute come punto di riferimento nazionale per il terzo settore; in America abbiamo il Councy Roul Fondations che venne costituito addirittura nel 1949, in Francia c'è la Fondation de France, in Inghilterra la Charities Eight Fondation... Nel nostro paese mancano organizzazioni intermediarie che operino efficacemente in appoggio alle attività di Comunity Investiment. In America c'è l'Executive Service Coops, in Inghilterra la Business Incomunity: in ogni paese avanzato, esiste una istituzione che si pone compiti di intermediazione tra il terzo settore, le attività di terzo settore, e quelle del settore che abbiamo chiamato for-profit. Questa è una lacuna, la duplice lacuna di punti di riferimento nazionale e di organizzazioni intermediarie; è anche una delle ragioni che impedisce il decollo di questo tipo di realtà. A mio modo di vedere la Compagnia delle Opere dovrebbe fare questo salto di qualità in avanti, cioè assumere questa connotazione. Ovviamente, i modelli di riferimento vanno studiati, considerando quello che avviene all'estero, studiandolo e cercando di adeguarlo alla realtà locale.

L'ultimo intervento è propriamente culturale: il terzo settore, le organizzazioni non-profit, non sono ancora entrate nelle Università. Nel nostro ordinamento universitario, non c'è spazio per questo tipo di attività dal punto di vista tipico dell'istituzione accademica, che è quello di produrre cultura, di produrre conoscenza e poi eventualmente divulgarla.

Vorrei concludere con un'ultima osservazione. C'è oggi nella nostra società italiana un muro che tiene drasticamente separate due sfere, la cui polarizzazione è uno dei pericoli più gravi. Sono sfere che volta a volta, a seconda dei casi, si chiamano Stato e mercato, altre volte si chiamano giustizia sociale ed efficienza economica, altre volte ancora si chiamano produzione di ricchezza e distribuzione di ricchezza e così via... In ogni caso, prevale questa logica dicotomica, "o, o": o si va verso lo Stato, o verso il mercato, e così via. Ecco, io ritengo che quel che occorra fare in fretta, sia sostituire ad una architettura di muri, una architettura di ponti. Ritengo che il terzo settore e l'economia civile — la traduzione pratica di esso — debbano interagire e contaminarsi reciprocamente, innescando in questo modo sinergie dalle quali entrambe le sfere escano arricchite e potenziate.

Foscale: Sono stato presentato prima come Presidente della Standa, altre volte mi si presenta come Vice-presidente della Fininvest, oppure ancora come cugino del dott. Berlusconi... Comunque, tra le varie cariche che ho coperto e che continuo a coprire, ce n'è una che mi piace molto, ed è quella di consigliere del Milan calcio. Lo dico perché credo di essere l'unico presente a gestire l'unica società non-profit che oggi legalmente esiste in Italia: la società calcistica.

Le società calcistiche, infatti, derivanti dalla famosa legge 91 sullo sport, sono società che non hanno scopo di lucro, quindi non possono distribuire i profitti, gli utili che ricavano, hanno soltanto il problema di pagare le tasse su questi utili. La questione è tutta qui: il profitto ci deve essere, solo che, una volta prodotto da queste società non-profit, non deve essere tassato. Oggi invece è tassato. Credo che questo disegno di legge fatto dal Ministero delle Finanze preveda fondamentalmente questa grandissima possibilità, quella di reinvestire gli utili per lo sviluppo sempre migliore della propria attività. Credo che un'università, un'ospedale debbano sapersi gestire bene, ovvero mirare all'eccellenza. Un ospedale, ad esempio, ha una sua missione particolare, e deve essere un bell'ospedale, lo stesso vale per un'università, ma devono avere anche un proprio patrimonio, un proprio flusso economico, finanziario, patrimoniale; devono poter generare degli utili, generare ricchezza, e su questa non devono pagare delle tasse. Altrimenti, facciamo brutte università, brutti ospedali... qualsiasi organizzazione, a cominciare dalla famiglia, qualsiasi attività di profit o non-profit, deve basarsi su questo fatto: deve saper e poter creare ricchezza, servendo al meglio quello che è il proprio cliente, il proprio utente.

Sono regole molto semplici: c'è solo da meravigliarsi del fatto che la legge non c'è ancora. Perché non c'è questa legge, perché ancora non sono state fatte queste cose? È la sete di potere, la più vecchia malattia dell'uomo. Chi ha potere, non lo vuole mollare. Credo che il nostro obiettivo debba essere veramente quello di cercare, di stanare e di combattere chi si oppone al cambiamento, chi si oppone a che l'Italia diventi una società sempre migliore. Questa è la primissima cosa da fare: se voi vorrete farlo, io sarò con voi.

Longhi: Vorrei anzitutto esprimere gratitudine per l'esperienza che insieme abbiamo vissuto — in sei incontri economici e in questa stessa assemblea- , verso la quale le Camere di Commercio italiane guardano con grande interesse. Con grande interesse, guardano alla stessa azione della Compagnia delle Opere e alle sue iniziative, come del resto ad ogni analogo tentativo di innovazione in questo paese. Ritengo infatti che non vi sia democrazia piena in un paese se non anche come democrazia economica. E rafforzare la democrazia economica implica due aspetti: allargare gli spazi di libertà reale che consentano in modo crescente l'esplicarsi della capacità di iniziativa e di intrapresa della persone (non dimentichiamo che questa capacità costituisce una delle risorse più importanti del nostro paese, che non ha eguali in Europa e forse nel mondo, quanto a numerosità di piccole e piccolissime imprese), e rafforzare la democrazia economica, ovvero ispessire il tessuto della società, che è fatto di realizzazioni e di opere economiche e no, profit e no. Quest'ultimo aspetto è oggi forse decisivo in Italia, come obiettivo primario per le riforme istituzionali e nel rapporto tra pubblico e privato. Lungo queste direttrici, troverete nelle Camere di Commercio una istituzione, una casa comune di tutte le imprese cui potrete sempre più far riferimento.

Vittadini: Due brevi conclusioni del dibattito.

La prima è questa strana e interessante convergenza di idee: un professore della New York University e il professore Zamagni in Italia, concordano sul fatto che il problema della non-profit è una non-profit forte che possa gestire patrimonio e reddito, che sia soggetto all'interno dell'economia, che debba essere detassata. Questa idea si oppone a quella di una non-profit debole, che si ammanta sull'idea di volontariato, ma che in realtà è la difesa degli interessi che ci sono adesso, ciò che la gente non conti; perché la gente conta quando può gestire soldi senza mediazioni, quando può decidere una sanità che non sia solo privata o statale ma sociale, perché questo può essere più efficiente del resto. Bisogna finirla con un dibattito che come al solito è ideologico e codino, cioè non entra mai nel merito delle questioni, per fare discorsi che sono astratti e da ignoranti.

Seconda conclusione: questo dimostra cosa ci interessa della politica, perché noi non abbandoniamo nessun aspetto della realtà. Non ci interessa un modo di far politica che sia il dibattito sulle dichiarazioni dei vari capi-partito, ci interessa la politica che nasce dal desiderio, come disse don Giussani in un intervento ad Assago, in un'assemblea dell'allora molto fiorente Democrazia Cristiana. L'idea di una politica che nasce dal desiderio umano sembra astratta rispetto ai dibattiti che ci sono, invece è il modo più concreto di far politica. Il desiderio umano infatti spinge a rispondere ai bisogni, e quindi a costruire opere, realtà nuove, a partecipare a quelle che ci sono con spirito critico, e quindi a interloquire la politica sui fatti: sulla scuola, sulla sanità, sull'assistenza, sul bisogno di lavoro. Questa politica ci interessa, e non ci ritireremo mai da questo aspetto della politica, continueremo, come abbiamo sempre fatto, ad esercitare uno spirito critico, perché questa politica fa parte di un'esperienza religiosa, fa parte di un'esperienza umana. Noi non faremo mai la scelta religiosa, se scelta religiosa vuol dire ridursi a certi aspetti della realtà. Noi continueremo a guardare tutta la realtà: ci interessa quest'orizzonte largo che va dall'organizzazione mondiale della sanità ad un'idea di non-profit di questo tipo.