Un ambiente per l’uomo

Mercoledì 24, ore 11

Relatori:

Dario Benetti

Gianni Mattioli

Giovanni Giani

Altero Matteoli

Gianrenzo Prati

Moderatore:

Giuseppe Merlino

 

Dario Benetti, presidente della Associazione L’umana dimora

Benetti: Il consueto incontro dell’Associazione "L’umana dimora" al Meeting quest’anno è particolarmente significativo sia per la presenza del Ministro Mattioli, sia per il riconoscimento dell’Associazione da parte del ministero dell’ambiente ai sensi della legge 349 del 1986.

Il nostro lavoro consiste nella rifondazione del tema della questione ambientale in termini che siano consoni all’esperienza cristiana, alla luce dell’esortazione apostolica Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato in cui il Papa chiamava alla responsabilità etica tutti i cristiani sul tema della questione ambientale.

L’ecologia ha senso se è ambiente e dimora dell’uomo, se fa crescere l’uomo. È in sostanza quanto viene poi affermato quando si invitano i cristiani a collaborare per demolire le strutture di peccato, cioè per demolire tutte quelle realtà territoriali, urbanistiche, sociali, che sono contro il pieno sviluppo integrale e degno dell’uomo. Questo desiderio è il tema di oggi, Un ambiente per l’uomo. Spesso i movimenti verdi, dimenticano il cuore della questione, che è l’ambiente come esperienza del sacro.

Gianni Mattioli, capogruppo dei Verdi alla Camera dei Deputati

Mattioli: Il segnale più importante che vedo negli ultimi anni circa le tematiche ambientali è un interesse accentuato della Chiesa cattolica. Cominciarono i vescovi della Lombardia con un messaggio bellissimo; poi il Magistero del Papa ha insistito più volte sino a quel capitolo 38 della Centesimus annus laddove si trae, nel modo più lucido che io abbia mai letto in un documento pubblico, il collegamento tra sistemi economici che enfatizzano il profitto (da cui deriva la necessità di espandere il consumismo) e l’aggressione all’ambiente. L’ambiente può essere in questa situazione fattore limitante di uno sviluppo economico cieco e fattore entusiasmante di rilancio della stessa economia. Se noi leggiamo l’introduzione del rapporto dell’EUR si dà una descrizione delle società industriali in cui tre fattori: l’aumento gigantesco della innovazione tecnologica e dunque della produttività del lavoro, un orario di lavoro sostanzialmente costante e la saturazione dei mercati dei beni di largo consumo di massa aprono quella drammatica rottura tra stato dell’economica e stato dell’occupazione che è scandita nei 35 milioni di disoccupati dei Paesi dell’OCSE. Pensare che si possa uscire da questa forbice drammatica rilanciando le produzioni usuali e cioè pensando di rovesciare ancora sui nostri territori mari di cemento e automobili e beni materiali, è fuori della realtà. Prima ancora che da una coscienza ambientalista il dibattito delle grandi democrazie industriali ci indirizza ormai sempre più ad una profonda riallocazione delle risorse finanziarie e dell’occupazione: dalle produzioni tradizionali di beni materiali, sempre di più veniamo spinti ad orientarci a produrre, vendere, fare impresa, fare mercato di qualità della vita. Questo significa che nel nostro futuro ci saranno sempre meno automobili e sempre più mobilità, sempre meno nuove case e sempre più risanamento urbano, sempre meno beni materiali e sempre più informazione. Per garantire la nostra sopravvivenza, abbiamo bisogno di più scienza, ma non la scienza delle rivoluzioni industriali mitiche dell’Ottocento, volta ad assogettare la natura; noi abbiamo bisogno di una grande scienza che ci permetta di entrare nei cicli della natura, portando il meno possibile di perturbazione, in modo da trarne quello di cui abbiamo bisogno.

Merlino: Ascoltiamo ora due esperienze concrete di rapporto tra impresa e ambiente, esperienze che raccontano della capacità di moltiplicare i benefici attraverso metodi di intervento innovativi e sostanzialmente fondati.

Giovanni Giani, direttore Generale Aggiunto della Degremont

Giani: Nella cultura e nella conoscenza dell’ambiente si riscontra spesso una grande dose di disinformazione. Guardiamo i problemi dell’acqua e dei rifiuti, che sono i problemi quotidiani delle città in cui ci troviamo a vivere. Il nostro Paese si trova in una condizione di notevole arretratezza rispetto alla risoluzione di queste problematiche. Capita spesso che per realizzare un’opera di carattere ambientale indispensabile a migliorare la qualità della vita come un depuratore per acqua potabile o un impianto che tratta i rifiuti, si discuta animatamente per anni, per trovare una situazione ottimale e nel frattempo si continua a vivere in uno stato di qualità dell’ambiente molto scadente. I cittadini devono capire come si risolvono i problemi ambientali anche in termini tecnici e tecnologici. Le tecnologie dell’ambiente sono semplici, tutti le possono capire. Esiste anche un problema di cultura amministrativa: da noi purtroppo si fa ancora molta confusione sui mezzi amministrativi che possono portare a un contributo nella realizzazione delle opere ambientali, integrando l’intervento dello Stato. Si parla tanto di privatizzazioni in questo momento, ma pochi probabilmente sanno che privatizzazione è un termine generale, generico, che dice molto poco, basta pensare infatti alla privatizzazione che hanno fatto gli Inglesi con le loro ruote rotoiche in cui hanno vendute in pratica le loro strutture per distribuire l’acqua ai privati, oppure altre soluzioni vicine ad una mentalità italiana dove lo Stato, le città, rimangono sempre padroni dei propri sistemi, ma il privato interviene con i modi che forse alcuni di voi conoscono: i BOT (Bealt Operator Transfer) per cui il privato costruisce, fa funzionare e rende allo Stato. In Italia la concessione è usata spesso per evitare certi vincoli e leggi, quando invece in altri paesi la concessione è un sistema usato per costringere il privato a contribuire alla realizzazione delle opere pubbliche con un rigoroso controllo da parte dello Stato che evita qualsiasi speculazione.

Ci possono essere delle soluzioni al problema ambientale che ciascuno di noi dovrebbe conoscere per poi trarne le proprie conclusioni personali.

L’ultimo problema è più esplicitamente politico. Io credo che sia inevitabile che la politica, in quanto tale, compenetri ogni dialogo e ogni decisione relativamente all’ambiente. Io credo che ciascuno di noi come cittadino, ciascuno di noi come politico, dovrebbe ricordare sempre un fatto che di per sé è un po’ contraddittorio, ma solo apparentemente; l’ambiente è un fatto quotidiano ma è così lungamente quotidiano da superare la vita dell’uomo; l’ambiente che noi gestiamo oggi in bene e in male lo riceveranno i nostri figli inevitabilmente, perché la nostra vita è così breve di fronte a quello che facciamo oggi nella città in cui viviamo e questo purtroppo la politica lo dimentica.

Gianrenzo Prati, presidente della Replastic

Prati: Rappresento Replastic che è un consorzio obbligatorio per ogni ciclo dei contenitori di plastica con volume al di sotto dei dieci litri. Siamo nati con la legge 475/88 e siamo diventati operativi nel marzo del 1991. Cercherò molto brevemente di dire quello che noi abbiamo fatto in questi tre anni di vita del consorzio. Innanzitutto abbiamo dovuto mettere a punto delle tecnologie completamente nuove in quanto non c’erano che esperienze pregresse. Noi riceviamo dai Comuni una piccola montagna di bottiglie costituita da varie composizioni polimeriche e dobbiamo riutilizzarle; quindi, abbiamo dovuto mettere a punto i mercati che accogliessero i prodotti di questo riciclo. Le bottiglie raccolte tramite i comuni vengono selezionate, lavate, macinate, ritrasformate nel prodotto originale per ritornare negli stessi mercati in cui vengono impiegati i prodotti vergini, evitando la produzione di nuovi polimmeri. È una linea tecnologica che è partita inizialmente in modo manuale e oggi è completamente automatizzata. Il primo impianto completamente automatizzato è nel Nord, a Milano, ha una capacità produttiva che va dalle cinquemila tonnellate all’anno per quanto riguarda la linea di selezione e di diecimila tonnellate all’anno per quanto riguarda la linea di rilavorazione; ciò significa che anche i costi di questa linea tecnologica sono, o diverranno a breve, costi industriali. Ciò significa ancora che questa linea tecnologica è una linea che sicuramente nell’ambito di pochissimo tempo andrà a break even; quindi abbiamo riunito in questa esperienza tecnologica, che oggi ci viene riconosciuta in campo europeo, il bisogno ecologico e il bisogno di evitare perdite inutili.

La seconda linea tecnologica che abbiamo messo a punto è quella che parte dal materiale raccolto che attraverso operazioni di pressofusione e estrusione viene trasformato direttamente in manufatti di materia plastica eterogenea. Su questa linea tecnologica, non operiamo direttamente, bensì attraverso cinque società che sono collocate in Italia e che sono, a Parma la RPE, a Piacenza la Recplast, a Prato la Recoplast, a Brindisi l’Alfedile, a Cagliari la Plasmetal.

La terza linea tecnologica che noi abbiamo messo a punto è quella linea di raccolta, di selezione, di macinazione e produzione di combustibili selezionati, rispettosi delle regole e delle leggi sui combustibili che vengono utilizzati in cementifici o calcifici: oggi abbiamo già due cementifici che usano questi prodotti.

La nostra struttura industriale così nata è costituita da circa sessanta centri di raccolta, di compattamento e di distribuzione del materiale raccolto e compattato alle varie linee industriali. Abbiamo nove centri di selezione per una capacità di selezione di oltre ventunmila tonnellate come prodotto finito; abbiamo quattro centri di lavorazione, quattro centri di macinazione, esistono cinque società che producono plastica eterogenea; occupiamo duecento persone direttamente e indirettamente in questi centri. Stiamo mettendo a punto inoltre un’ultima linea tecnologica che è quella della raccolta, combustione, produzione di energia a vapore. Questa linea tecnologica sarà pronta entro la fine dell’anno. Due sono i risultati che dobbiamo rimarcare: il primo è quello di avere creato delle nuove tecnologie che sono state realizzate tutte da ditte italiane: noi abbiamo tre ditte che ormai sono diventate in campo europeo o anche in campo mondiale le maggiori specialiste di impianti di selezione. Inoltre abbiamo creato dei mercati dove minore è il consumo di materia plastica vergine che viene sostituita da materia plastica recuperata. Siamo praticamente un fatto industriale e come tale dobbiamo avere delle leggi industriali. Per questo abbiamo accolto con grande favore l’ultimo decreto sulle materie prime perché ci permette di lavorare liberi da vincoli burocratici e in condizioni analoghe a quelle dell’utilizzo di qualsiasi materia prima.

Problemi ne abbiamo ovviamente, innanzitutto la raccolta. In ogni caso la raccolta differenziata non è una sorta di panacea che può risollvere tutti i mali, non è la soluzione del problema della raccolta di tutti i rifiuti, è uno strumento che può giocare un ruolo fondamentale nella gestione dei rifiuti, è una delle componenti di un sistema di smaltimento dei rifiuti al quale devono partecipare anche altre opportunità, quale ad esempio l’opportunità della produzione di energia e di vapore.

Merlino: Prima di passare la parola al Ministro corre l’obbligo di svolgere qualche riflessione preliminare. Innanzitutto la constatazione che la capacità di utilizzo delle risorse attribuite ai programmi ambientali è assolutamente bassa: su un ammontare di 2100 miliardi attribuiti all’ambiente dal quadro comunitario di sostegno 89/93 la capacità di utilizzo è a tutt’oggi del 45% circa e c’è il rischio che la comunità, che dà dei limiti molto rigorosi, revochi le risorse già assegnate; quindi c’è il rischio che sul quadro comunitario di sostegno, che è l’insieme dei fondi strutturali attribuiti dalla Comunità al Governo per i programmi ambientali, ci sia una clamorosa debacle. Guardo poi i dati delle revoche già disposte: il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica sta dando corso negli ultimi mesi a revoche, cioè sta togliendo soldi a progetti. Tra la legge dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno ‘64 e fondi di investimento occupazione che riguardano tutte le Regioni, l’ammontare totale delle revoche è 4010 miliardi, non tutti si riferiscono a progetti di tutela ambientale, ma una buona parte sì e possiamo valutarle intorno al 20%. Devo dire che queste revoche sono soltanto la punta dell’iceberg perché, per quel che mi consta, in istruttoria ve ne sono molte altre, la gran parte delle quali riguardano anche progetti di una certa importanza. Esiste poi sicuramente il problema di dare l’attuazione ad una politica di tutela ambientale. È necessario per esempio concepire un intervento maggiormente accentuato nelle aree depresse, che non sono soltanto le Regioni del Mezzogiorno d’Italia, ma l’insieme delle aree a ritardo di sviluppo del centro-nord. Un’altra questione che mi sembra importante sottolineare, e che propongo come stimolo al Ministro, è la necessità di coordinare la politica ambientale con le strategie nel settore dei trasporti e dell’energia, delle grandi infrastrutture e nell’uso del territorio. C’è un’altra questione: qual è il ruolo dei soggetti privati nella definizione di una politica di intervento per il recupero, la valorizzazione, l’uso sistematico e ordinato delle risorse? Un altro tema che mi sembra centrale che è quello della accelerazione della capacità di spesa: bisogna impiegare i 97.000 miliardi che stanno per essere trasferiti dalla Comunità al nostro Paese per i programmi di sviluppo dei prossimi cinque anni, in gran parte destinabili all’ambiente, all’energia, all’acqua.

Altero Matteoli, Ministro per l’Ambiente

Matteoli: Ha ragion il dottor Merlino quando dice che non siamo capaci di spendere soldi. Appena arrivato al Ministero dell’Ambiente uno dei primi atti che ho dovuto fare è stato quello di chiedere al CIPE i prorogare la scadenza dei piani triennali, perché nessuna regione aveva mandato al Ministero dell’Ambiente i progetti per poter essere finanziati.

Si pone un problema di fondo: è giusto penalizzare i residenti di quelle regioni che non avranno i finanziamenti in materia di tutela ambientale per l’incapacità degli amministratori di mandare progetti? Solo in materia di rifiuti esistono in Italia attualmente oltre novecento norme. È stata chiesta una legge delega, per dotare il cittadino e anche gli enti locali e le stesse regioni, di strumenti facilmente leggibili e quindi facilmente applicabili.

Per quanto riguarda l’occupazione ci sono quattro punti fondamentali che potrebbero veicolare circa novantamila o centomila posti di lavoro: il piano triennale, di cui abbiamo dovuto chiedere la proroga; la legge Galli sulle risorse idriche; i parchi l’autorità di bacino. Sulle autonomie regionali dirò cose che scateneranno ancora delle polemiche. Io non ho una cultura regionalistica, però le regioni sono un fatto che esiste e nessuno di noi le vuole cancellare. Il nodo che va sciolto è quello del costituzionalista che non ha voluto le reioni in funzione programmatoria perché l’articolo 117 della costituzione è molto chiaro in proposito. Esso non dà alle regioni la possibilità di intervenire e di programmare in maniera industriale, commerciale, e questi sono dei limiti sacrosanti di cui, se vogliamo e il decentramento regionale, il Parlamento deve occuparsi.

Quei ritardi di cui parlava il dottor Merlino non sono legati a questo aspetto ma sono problemi che spesso sono legati ad una incertezza politica. Infatti alcune regioni hanno dei ritardi dovuti a crisi ogni sette, otto mese, ma i ritardi nella presentazione dei progetti provengono anche da regioni che hanno una stabilità dal 1970 fino ad oggi, vedi la regione Toscana o l’Emilia Romagna.