Confidenze a Nausicaa

Incontro-lettura con Piero Bigongiari

Venerdì 30, ore 21.15

Lettura di:

Mia Garrè e

Pietro Bertolini

Testi scelti e introdotti da:

Giancarlo Quiriconi

Musiche a cura di:

Renato Gatti

 

Quiriconi: Non ho avuto la volontà né la pretesa di fare una scelta antologica. Sappiamo tutti che le scelte antologiche sono già di per sé delle scelte critiche e quindi in qualche modo arbitrarie, ecco questa è ancora più arbitraria se vogliamo. Ho avvertito l’esigenza di sottolineare per quanto fosse possibile, una dimensione che è dentro ben precisa all’opera di Bigongiari, e che è appunto una dimensione poematica, in cui il procedere, il viaggio che Bigongiari compie dall’inizio della sua poesia in poi, è costellato e direi contraddistinto dalla disseminazione, dalla contraddizione attraverso la quale Bigongiari tenta di leggere, come diceva un amico, il reale senza fermarsi alla superficie del fenomeno, ma in qualche modo entrando dentro. C’è una sezione per me centrale attorno a cui ruota tutto il testo, che ho intitolato Visibile e invisibile. È un sintagma di Bigongiari: il visibile è ciò che si vede, ciò che appartiene alla fenomenologia dei nostri giorni, sia soggettiva che oggettiva, il visibile, dice in un punto, "il visibile che è poco", e l’invisibile, ciò che invece sta dietro, sta sotto, che è nascosto, che è molto, ed è ciò a cui la poesia deve tendere.

Questa ricerca della dimensione essenziale che è un dato costante, direi paradigmatico, della poesia di Bigongiari ha come supporto e non come contrapposizione proprio l’elemento della contingenza, della momentaneità, del vissuto. Il vissuto non viene da Bigongiari espunto, non viene rifiutato, ma anzi rappresenta un momento per questo viaggio che tenta di andare dentro la sostanza delle cose come la sostanza della parola.

Io credo che nella poesia novecentesca italiana quella di Bigongiari sia una delle rare voci di poesia felice, poesia cioè che nel cantarsi esprime, anche attraverso (e direi soprattutto) la sottolineatura del dolore, della sofferenza, non solo la felicità del canto ma anche la felicità dell’esserci, dell’esistere, una felicità dell’esistere che non è mistificante, ma che invece si sostanzia proprio di tutta la carica del dolore, della morte, del caos, ma che in questo caos, per usare altre immagini, tipiche bigongiariane, in questo caos, si ristruttura e si intravede invece proprio una dimensione di cosmicità, il cosmos, e quindi la dimensione anche ordinata dell’universo stesso.