Sabato 26 agosto, ore 15

I GRANDI CAMPIONI DEL BASKET INCONTRANO IL MEETING

Incontro con Antonello Riva, Mike D'Antoni, Dino Meneghin.

Modera:

Roberto Formigoni.

R. Formigoni:

Il compito che mi è stato assegnato oggi è tra quelli più graditi che mi siano capitati nel corso di 10 anni di storia del Meeting, perché l'argomento di cui si parla è particolarmente interessante. Le persone che sono con me al tavolo le conoscete, ma la proverbiale precisione organizzativa del Meeting mi ha fornito di una scheda che io vado a leggere a voce alta e chiara, convinto che il novanta per cento delle cose scritte le conosciate tutti. Alla mia sinistra Dino Meneghin: il campionato di basket che inizierà tra qualche settimana è il ventiduesimo di questo inossidabile trentanovenne, 271 presenze in Nazionale, vicino alle 700 in campionato, ha praticamente vinto tutto nella sua carriera di sportivo, scudetti, coppe campioni, coppa coppe, coppa intercontinentale. Secondo gran parte della critica, è il più grande giocatore italiano di tutti i tempi. Per la Philips è un uomo determinante, grande carisma sui compagni e sugli avversari, ma soprattutto un uomo capace di tener unita una squadra. Chi lo conosce bene racconta di scherzi simpaticissimi che combina ai compagni di squadra, meno simpatici quelli combinati dai 7775 punti realizzati contro avversari di tutto il mondo. Al lato opposto del tavolo Antonello Riva, soprannominato Nembo Kid per il suo fisico, il più grande talento espresso dal basket italiano negli ultimi 10 anni: 138 presenze in Nazionale, uomo determinante per la nostra squadra, protagonista questa estate di un trasferimento record da Cantù a Milano. Americani compresi, Riva è il decimo marcatore assoluto del campionato italiano con 7295 punti. Negli ultimi anni un ginocchio lo ha allarmato ma con una forza di volontà enorme è sempre riuscito a rimanere uno dei pochissimi giocatori in grado di stravolgere positivamente il volto di una squadra. E infine, ultimo ma non ultimo, Mike D'Antoni. Il nostro Arsenio Lupin è al suo tredicesimo campionato in Italia: ormai naturalizzato ha esordito, come tutti ricorderete, in maglia azzurra, ai recenti campionati europei. Uomo di grande senso tattico, è sicuramente temuto per la sua furbizia. Ha sempre giocato a Milano dove ha condotto per mano la sua squadra verso grandi successi, ha 38 anni, dice spesso di essere vecchio, ma anche ieri sera in campo ha dimostrato, con soli tre giorni di allenamento, di essere un grande del basket italiano. lo fra l'altro sono molto grato, e voglio esprimere il ringraziamento anche ufficiale del Meeting, alla Philips di Milano e ai giocatori personalmente, per la loro grande personalità che si è manifestata nell'accettare di partecipare a questo lo Trofeo Internazionale di Basket. Cominciamo da Mike D'Antoni: piacerebbe a me e a tutti coloro che ti ascoltano sapere che impressione hai ricavato da questa manifestazione. Anche una domanda sportiva: il campionato va ad aprirsi, quali prospettive vedi per la vostra squadra?

M. D’Antoni:

Sicuramente questo Meeting è una cosa molto bella, è la prima volta che sento parlare di questa cosa molto interessante e spero nel futuro di poter tornare, personalmente e come squadra. Per quanto riguarda il campionato, noi vogliamo vincere: non sarà facile, ma io credo e spero che siamo in grado di farlo.

R. Formigoni:

Anche ad Antonello Riva una duplice domanda. Sappiamo che è sempre stato molto disponibile a incontri come quello di oggi, ha partecipato con i giovani per discutere la sua esperienza di uomo e di sportivo. Cosa ti senti di comunicare della tua esperienza di rapporto tra lo sport e la vita, tra lo sport e l’uomo? Hai cambiato squadra quest’anno, ci sono problemi di inserimento? Come vedi il tuo ruolo in questa nuova, grande squadra?

A. Riva:

Ho sempre risposto positivamente agli inviti di questo tipo perché quel lo che voglio fare percepire ai miei coetanei, o ai giovani che vivono le mie stesse esperienze, è il fatto che noi che giochiamo a pallacanestro siamo dei ragazzi normalissimi, forse abbiamo avuto la fortuna di avere fisici più preparati a queste prestazioni fisiche, però abbiamo gli stessi problemi, le stesse esigenze la stessa vita che hanno loro (…). Per quanto riguarda il mio inserimento in questa squadra, devo dire che non ho avuto assolutamente problemi, anzi ho trovato una vera squadra (…). Sicuramente il mio modo di giocare muta leggermente perché, se a Cantù tutto il gioco era centrato solo su di me, qui a Milano il mio gioco dovrà essere un po’ più completo per sopperire alle esigenze della squadra: il giorno in cui ci sarà anche il bisogno di difenderla contro avversari pericolosi, sarà necessario un Riva più difensore che attaccante.

R. Formigoni:

Dino è uno che da l’impressione di divertirsi un mucchio, sia a giocare che a vivere, sbaglio ? E se è vero, cosa vuole dire per te giocare e vivere? La seconda domanda: in questa Philips, questa vecchia squadra che non invecchia mai, tu rappresenti, nel gruppo dei grandi vecchi, l’emblema del trentanovenne. Quali sono le tue previsioni su questi profeti che da diversi anni dicono che siete una squadra ormai troppo vecchia e che ad ogni primavera smentite?

D. Meneghin:

Io mi ritrovo alla bellezza di 39 anni, 40 fra poco. Molte volte mi chiedono: come mai continui ancora a giocare, non sei stanco, perché non ti ritiri? Queste sono tutte cose che fanno bene al morale, magari uno è stanco, pensa come farà ad arrivare alla sera e uno che ti arriva e ti chiede perché non ti ritiri ti taglia le gambe, per cui sei finito. Allora diciamo che la cosa che mi spinge ad andare avanti è prima di tutto la concorrenza con D'Antoni: lui fa la gara su di me perché è un anno più giovane, mi sfida sempre, ed io devo dimostrare che sono più bravo di lui e devo allenarmi ancora di più perché altrimenti lui mi porta via il posto. A parte gli scherzi, è l'entusiasmo, una cosa innata in me fin da ragazzino, poi sicuramente gli insegnamenti che ho ricevuto da giovane. Mentre adesso viviamo tempi di puro professionismo, quando ho incominciato io era un professionismo all'acqua di rose, per cui si pensava più che altro al divertimento: sicuramente il risultato o il guadagno venivano in seconda posizione, adesso invece è tutto un po’ cambiato. Questo entusiasmo l’ho accresciuto anno dopo anno, questa voglia di vincere è il fatto più importante: molti dicono che è importante partecipare, invece mi hanno sempre insegnato a furia di botte, di sberle sulla testa, che l'importante è vincere, che arrivare secondi non è molto bello, anche perché arrivare secondi nel nostro ambiente vuole dire perdere il posto. Allora bisogna allenarsi ancora di più, però sicuramente alla base di tutto è il divertimento. Io sono fortunato perché ho giocato con due grandissime squadre a Varese, poi qui a Milano e mentre a Varese eravamo un gruppo affiatatissimo, cresciuto assieme, qui a Milano ho trovato differenze di età (…). Quindi, entusiasmo, gioia di praticare uno sport stupendo, amarlo alla follia, e poi ultimo, ma non ultimo, anche l'aspetto economico, perché adesso non voglio fare qui il buon samaritano che gioca solamente per il piacere dello sport, effettivamente adesso si guadagnano dei bei soldini, una volta non si guadagnava niente, allora smettere adesso sarebbe un peccato.

Il dibattito è aperto al pubblico. Abbiamo scelto alcune tra le tante domande poste ai relatori.

Eugenio:

Una domanda a Mike e a Dino. Si parla di sicurezza nei Palazzetti, in questi ultimi tempi siete stati oggetto di cose spiacevoli: come pensate di risolvere il problema, educando i tifosi o prevenendo questa violenza?

D. Meneghin:

La cosa principale per permettere alle persone di assistere comodamente seduti, senza essere stipati come sardine e offrire loro una spettacolo molto bello, è prevenire, educare, è inutile andare a manganellare i tifosi che ci sono perché si agitano: sarà un lavoro lungo, molto difficile e faticoso, a cui devono partecipare soprattutto le Società e anche i giocatori, cercare di educare gli spettatori già esistenti e soprattutto i giovani che sono in pratica il futuro del nostro sport (…).

M. D’Antoni:

Come ieri sera, altre volte è capitato durante il campionato: si tratta di mancanza di rispetto umano. Io gioco nella Philips e potrei giocare nella Scavolini e a Bologna, in qualsiasi città (…). Per me che sono americano, non ha senso lo sputare addosso, lanciare roba in campo, ecc. E’ una cosa assurda, che dobbiamo evitare: spero che nel futuro, quando arriveranno nuovi impianti più grandi, più spaziosi, sarà uno spettacolo invece di una guerra come adesso.

Simona:

Volevo chiedere ad Antonello Riva cosa prova quando gioca partite molto importanti e quando sbaglia i suoi tiri, soprattutto, visto che è grande.

A. Riva:

Noi ci alleniamo tutta la settimana e ci prepariamo per l’incontro e quando affrontiamo le partite siamo talmente concentrati che seguiamo le direttive. Non abbiamo nemmeno il tempo per pensare quanto è importante quella partita e a cosa andiamo incontro se sbagliamo: non dico che siamo felici e spensierati, però la concentrazione non ci permette di pensare agli errori. Poi, analizzando la partita, si guardano le statistiche, oppure si può vedere il filmato e gli errori commessi: allora dentro di noi nasce una certa delusione, che è anche uno stimolo per lavorare ancora di più in modo da non ricadere, nelle partite future, negli stessi errori.

Enrico:

Tre domande. A Dino Meneghin: sono preoccupato per la violenza che rischia di mettere in discussione anche il prossimo campionato. Voi, come giocatori, non potete fare qualcosa per avviare una soluzione del problema? Ad Antonello Riva: essere al centro di affari da parecchi miliardi cambia qualcosa dentro di lui? A Mike D'Antoni, la Philips, senza Pessina e Premier e con Antonello Riva, è veramente più forte?

D. Meneghin:

Quello che possiamo fare noi giocatori, visto che il tifo sta peggiorando invece di migliorare, è cercare di educare con le parole questi sportivi, chiamiamoli così, esagitati, cercare di convincerli a comportarsi in una maniera più civile. Questo può essere costruttivo. Magari, sentendo queste cose dalla voce dei diretti interessati, i giocatori, la cosa può essere più convincente.

A. Riva:

Non è che una persona cambia per il fatto di passare da una squadra all'altra, io sono rimasto lo stesso ragazzo che viveva a Cantù. Una valutazione così alta mi carica magari un po’ di più di responsabilità, e quindi è uno stimolo per impegnarmi ancora più a fondo e dare il meglio di me stesso, adesso, a Milano.

M. D’Antoni:

Credo che sarà più forte con Antonello, abbiamo altri giovani che giocano bene (…). Se possiamo fare un campionato come l'anno scorso, la Philips è sicuramente la più forte.

Davide:

Non ti senti in difficoltà quando pensi che migliaia di tifosi impazziscono per te?

D. Meneghin:

Il problema è che non sono mai le tifose che impazziscono per me (…).

R. Formigoni:

Ringrazio evidentemente i nostri tre graditissimi ospiti (…). Io sono stato colpito, in particolare, da una cosa che è stata detta quando, non ricordo più chi, faceva la differenza fra certi giocatori, in Italia o in America, che si limitano a fare quanto è dovuto, le due ore di allenamento e basta; e chi invece, dopo il tempo di allenamento obbligatorio, da magari un'ora in più per perfezionarsi. Mi sembra che questo esempio sportivo descriva bene una delle cose che anche come Meeting abbiamo voluto mettere all'attenzione. È certamente un tipo umano differente, quello che dopo aver fatto tutto quanto è dovuto, decide liberamente di dare un po’ di tempo in più, un po’ di energia in più: quando si è realmente appassionati a qualche cosa, si trova questa libertà di fare anche ciò che non è strettamente dovuto, semplicemente per passione. Credo che questo sia un insegnamento non da poco. E allora, salutiamo i nostri tre graditissimi ospiti che questa sera si esibiranno ancora, insieme alle altre tre squadre, nelle finali del Trofeo di Basket del Meeting di Rimini (…).