La flessibilità, sfida dell’occupazione nei prossimi anni

 

 

Mercoledì 26, ore 15.00

-----------------------------------------------------------------

Relatori:

Pino Cova, Presidente "Obiettivo Lavoro"

Pier Antonio Rivola, Assessore alla Formazione, Università e Lavoro della Regione Emilia-Romagna

Giorgio Guazzaloca, Presidente Associazione Commercianti Provincia di Bologna

 

Cova: A distanza di un anno dalla legge sul lavoro temporaneo ed interinale, esso rimane ancora un perfetto sconosciuto. Tuttavia, ci stiamo avviando verso il momento in cui le attività lavorative dovranno trovare sempre di più modi e soluzioni particolari di avviamento, riavviamento, riqualificazione, aggiornamento, per dare al lavoratore e non solo all’imprenditore la possibilità di scelta di un lavoro nel tempo e nel programma adeguato alle proprie esigenze. Tutto questo chiaramente significa flessibilità.

La flessibilità deve anzitutto servire come provocazione culturale per cogliere le opportunità lavorative. Questo è difficile per l’Italia, che ha ereditato un modello culturale molto più simile al pubblico impiego, secondo cui c’è la possibilità piuttosto facile di ottenere per tutta la vita un lavoro, possibilmente pubblico, a scarsissima produttività e senza alcun dovere. Questo modello peraltro si avvale di una gestione imbalsamata dai soggetti di intermediazione, perché il monopolio pubblico del collocamento controlla pressoché interamente il mercato del lavoro.

Il lavoro temporaneo e la privatizzazione del collocamento costituiranno per questo due grandi elementi di novità rispetto al sistema che da sempre conosciamo in Italia. Il temporaneo non è la soluzione della disoccupazione, è però uno strumento che può agevolare il lavoro di determinate fasce e in determinate condizioni: in tutte le economie occidentali, ormai, vi è una media di 1,7 lavoratori temporanei su 100 occupati. Il mercato italiano è ancora un mercato ribassato e ostile rispetto alle novità; oltretutto i tempi legislativi e burocratici impediscono l’applicazione del "pacchetto Treu" sull’occupazione. La novità principale che si è registrata è la concentrazione tra i soggetti che si sono andati a regolarizzare come soggetti di intermediazione: sono già 32 le società autorizzate per fare il lavoro temporaneo, di cui tre sono già ai due terzi dell’avviamento degli occupati rispetto al temporaneo. Noi siamo una di queste tre: la nostra attività consiste nel produrre lavoro con costi minori, sapendo che si tratta di un local business, per cui è necessaria la presenza sul territorio e la conoscenza dei bacini del mercato del lavoro, ed anche la possibilità di dialogare con le autorità pubbliche che sovraintendono la programmazione, la scolarizzazione e la formazione professionale. Essere professionisti sul mercato del lavoro significa avere in mano e saper gestire il mercato del lavoro temporaneo, la ricerca e la selezione, la formazione. Su questi temi occorre anche il collegamento con il prossimo collocamento privato o comunque il superamento del monopolio pubblico nazionale, con tutti i necessari collegamenti con le legislazioni regionali. Il mercato e gli strumenti del lavoro in meno di tre anni saranno completamente cambiati, e saremo noi a cercare il lavoro temporaneo, dando delle indicazioni, la quantità di tempo, la dimensione territoriale e le condizioni dei contratti.

Rivola: Quando affrontiamo i temi del lavoro, dovremmo partire dalla scuola, perché è il luogo primario in cui bisogna agire. E occorre costruire una nuova mentalità nei cittadini, perché se non si costruisce il cittadino diventa difficile costruire il lavoratore.

Il problema del lavoro, attualmente, parte dalla constatazione che la parte pubblica raramente risponde a quelle che sono le velocità alle quali l’impresa è costretta ad agire per stare sul mercato. Sono i canoni della concorrenza: ma l’aumento della competizione in Italia non ha aiutato a creare nuovi posti di lavoro. Purtroppo molto spesso nelle imprese ci sono persone che non servono, che non apportano nessun tipo di valore aggiunto. C’è un nucleo forte, centrale di lavoratori, magari specializzati, indispensabile al funzionamento dell’impresa; c’è poi una parte interscambiabile, ed infine una parte di lavoratori che, se non ci fosse, sarebbe lo stesso agli effetti della produttività. Rispetto a questa situazione, bisogna anzitutto essere realisti.

Dobbiamo stare sul mercato: dunque dobbiamo agire sulla professionalità delle persone, dei giovani da formare. Formare ed arricchire la persona serve a rendere più competitiva l’impresa. In Emilia Romagna abbiamo creato un sistema di formazione che sia verificato in termini occupazionali, misurando la ricaduta che la formazione ha sulle possibilità lavorative. La stessa modalità vogliamo applicare ai servizi per l’impiego, non in competizione ma in collaborazione con i privati. Le persone che avranno difficoltà nel trovare un impiego si rivolgeranno ai privati, che se hanno attivato processi di qualità saranno convenzionati con noi: solo quelli che avranno fatto un processo per arrivare all’accreditamento di tutte le strutture saranno convenzionati.

Si inserisce qui il tema della scuola: se la scuola passerà interamente alle regioni, questo discorso l’accreditamento varrà anche per la scuola. La scuola invece fino ad oggi si è abituata a valutare sempre gli altri, nessuno l’ha mai valutata. È ora di valutare la scuola, così come valutiamo i centri di formazione professionale; allo stesso modo, con dei parametri condivisi, come quelli che a livello comunitario già esistono. A chi deve assumere giovani nella sua impresa non interessa il profilo professionale del giovane, interessa che sappia svolgere il compito che è chiamato a svolgere. Quindi il datore di lavoro vuole un ragionamento sulle competenze, non soltanto sulle qualifiche. Ecco perché abbiamo proposto di fare un libretto delle competenze che segua il giovane lungo il percorso della sua vita, per arrivare alla formazione permanente. Le imprese si modificano, ogni dieci anni metà delle imprese cambia: bisogna che anche le persone seguano, o precedano, questi cambiamenti strutturali.

Guazzaloca: Il tema della flessibilità incide in modo rilevante sul problema dell’occupazione, e per questo non è possibile affrontarlo separatamente dagli altri aspetti del tema del lavoro, come la politica per l’impresa o il costo del lavoro.

Bisogna anzitutto distinguere due tipi di flessibilità, quella del rapporto fra impresa e quella relativa al percorso lavorativo. Normalmente si è concentrati sul primo tipo, perché coinvolge una sfera molto delicata, quella dei diritti dei lavoratori, la cui necessaria tutela ha peraltro finito per contribuire ad una normativa esageratamente vincolante, e i cui effetti sul piano dell’occupazione vanno ancora attentamente valutati.

In quanto dirigente di una organizzazione di piccole e medie imprese del terziario, posso dire che il nostro è un universo produttivo, che rappresenta la maggioranza dell’economia italiana, composta per oltre il 90% da piccole, piccolissime imprese.Il nostro settore offre, in prospettiva, possibilità occupazionali: se in molti settori industriali - per non parlare dell’agricoltura - si prospetta uno sviluppo senza occupazione per via dei processi di meccanizzazione e informatizzazione, invece un’ampia parte del terziario non va incontro a un rischio del genere, essendo caratterizzata da un servizio che si basa sull’elemento umano. Basti pensare ai servizi alle persone e soprattutto al turismo, considerato la grande risorsa del 2000.

Il mondo del terziario e delle piccole e medie imprese potrebbe fornire grandi possibilità occupazionali, se solo si potesse usufruire di strumenti più flessibili. La flessibilità non è innanzitutto una "licenza di licenziare" - come sembrano sostenere alcuni settori politici e sindacali -, è piuttosto la possibilità di usufruire di strumenti più agili, quali il part-time verticale, il tempo determinato, i contratti di collaborazione, il tele-lavoro, il lavoro temporaneo. Si tratta di strumenti vitali per le piccole imprese del terziario.

Se il lavoro può e deve cambiare, se non deve essere necessariamente fisso e a tempo piano, questo può avvenire solamente in situazioni in cui esistono alternative: non è la stessa cosa affrontare questo problema in regioni come la nostra con il 6% di disoccupazione o in altre che hanno invece oltre il 30%. Per questo credo che il processo federalista, che ha investito anche il mercato del lavoro, debba essere ulteriormente incentivato, permettendo di sperimentare - là dove è possibile, come in Emilia Romagna -, forme diverse e più avanzate di orientamento, di formazione, di incentivi alla creazione di lavoro autonomo. Per fare questo strumenti, come i patti territoriali o la contrattazione decentrata possono essere preziosi.

Come dicevo all’inizio, la flessibilità è solo un aspetto del problema ben più vasto dello sviluppo dell’economia. Il non lavorare costituisce una condizione umanamente drammatica, al di là dell’aspetto puramente economico, che crea malessere in tutta la società: molti problemi di micro e macro criminalità non troveranno soluzione se non sapremo dare risposte che facciano crescere le opportunità di lavoro nel nostro paese. Per il tema dell’occupazione non basta lavorare dentro l’attuale situazione economica e produttiva, bisogna invece fare di tutto per allargare le opportunità; la prossima finanziaria non potrà non tenere conto di questa esigenza, e se risparimia nei confronti de debito pubblico potrebbe ad esempio impiegare questa somma per investire nella direzione del turismo dove l’espansione ed il mercato rendono possibile conquistare nuovi spazi e risposte concrete.