EDUCARE PER COSTRUIRE. CICLO DI INCONTRI PROMOSSO DALLA COMPAGNIA DELLE OPERE

Il Meeting incontra Romiti

Venerdì 27, ore 17.00

Relatore:

Cesare Romiti,
Presidente RCS Editori

Intervistato da:

Pierluigi Battista,
Inviato de La Stampa

Paul Betts,
Inviato del Financial Times

Renato Farina,
Vice Direttore del Fascicolo Nazionale de Il Resto del Carlino,
Il Giorno, La Nazione

Battista: È stato detto da Cossiga che lei ha partecipato al complotto per estromettere Prodi dal governo. Conferma o smentisce?

Romiti: Non posso smentire Cossiga, perché evidentemente se l’ha detto è un fatto suo. Devo dire che l’ex-presidente è un uomo molto intelligente, molto estroverso, sotto certi aspetti provocatorio; è sempre molto interessante stare con lui, discutere con lui. Cossiga però sa bene qual è il mio modo di ragionare e di pensare: ho passato tutta la vita in un’attività che non aveva niente a che fare con la politica e, inevitabilmente, mi sono sempre incontrato e scontrato con la politica sin dai tempi della cosiddetta "prima Repubblica", durante gli anni del governo Craxi, e, successivamente, anche alla fine del periodo prima del 1992. Non ho mai avuto l’intenzione di apparire o di interloquire con i politici, ma è stato difficile in un paese come l’Italia, che usciva da una guerra persa, dai disastri degli anni Cinquanta, con un punto di vista politico a quei tempi molto arretrato, non esprimere delle opinioni.

Per consentire alle aziende, e FIAT era la prima azienda del paese, di vivere, di prosperare e di svilupparsi, non tacevo quando ritenevo di dover dire certi fatti e opinioni. Questo mio modo di essere ha generato l’idea che coltivassi il proposito, una volta finiti i miei impegni di carattere imprenditoriale, di dedicarmi alla politica. Questo, invece, non è mai stato nella mia testa, anche se la politica mi appassiona molto.

Battista: Sembra che la Confindustria abbia accettato parzialmente il dogma della concertazione. Se lei fosse a capo degli industriali italiani, sarebbe disposto a mettere in discussione questo dogma?

Romiti: Niente può essere un dogma al quale bisogna inderogabilmente inchinarsi e nei confronti del quale sottostare. D’Antoni ha detto recentemente che la concertazione non è un metodo, ma una politica, nel senso che le parti che hanno dei contrasti fra di loro, devono identificare obiettivi comuni e poi comportarsi in funzione del loro raggiungimento. Per identificare obiettivi comuni, bisogna discutere, e la discussione porta evidentemente ad avere pareri diversi e anche a scontrarsi. Se alla parola "concertazione" si sostituisse la parola "confronto", quel confronto preliminare sempre necessario e indispensabile, sarebbe meglio.

Battista: Se il governo D’Alema avesse intenzione di andare avanti sulla riforma del sistema delle pensioni e ci fosse un veto esplicito da parte dei sindacati confederati, lei riterrebbe che debba essere dovere del governo andare a un braccio di ferro con CGIL, CISL e UIL?

Romiti: Il problema delle pensioni è delicatissimo, perché è un problema di carattere umano, sociale e politico; riveste una quantità di sfaccettature molto importanti e molto delicate. Al di là di queste sfaccettature, però, c’è un problema che riguarda la realtà, i suoi numeri, e le sue conseguenze. È strano che in questo paese non si affidi il confronto dei numeri a parti terze, per determinare quanto effettivamente è ricompreso nell’attuale procedimento del pensionamento, e per scongiurare i pericoli di non sopportare, man mano che gli anni procedono, il pagamento delle pensioni.

Personalmente, sono convinto che l’attuale sistema non possa reggere, e che prima di tutto andrebbero eliminate le ingiustizie: pensioni d’oro e altri trattamenti privilegiati. La correzione di queste sperequazioni è un atto di giustizia che va operato nel più breve tempo possibile. Per quanto riguarda il numero dei pensionati, fra qualche anno il sistema scoppierà perché non reggerà l’impatto. In quel momento, potrà accadere qualche sommovimento di carattere civile; non si può pensare che non si pagheranno più le pensioni; non si può pensare che chi entrerà nell’età pensionabile a quell’epoca non avrà più la pensione. Emergeranno problemi politici di natura delicatissima.

Gli uomini di governo e i sindacati sappiano fin d’ora che se questo capiterà, i responsabili saranno solo loro.

Se le cose stanno in questi termini, non si capisce perché non ci si metta intorno a un tavolo e si discuta serenamente; forse le ragioni politiche non reggono il confronto con i numeri. Il sindacato per esempio oggi ha 10.700.000 iscritti, di cui 5.200.000 pensionati, il restante numero (5.500.000) ancora attivi. Riformare le pensioni porterebbe inevitabilmente allo scontro con la maggior parte degli iscritti: quindi la politica è quella di tacere. Il sindacato ha buon gioco in questa situazione, perché non dà spazio ai giovani disoccupati. Se costoro, massa silente, cominciasse ad organizzarsi, sarebbe un problema grave, una rivoluzione. Eppure è necessario incominciare a prendere decisioni importarsi, senza preoccuparsi solo del proprio momentaneo potere. Chi ha responsabilità purtroppo deve dire molti più "no" che "sì"; e sono i "no" che qualificano i capi.

Battista: Se lei fosse un parlamentare della Repubblica, voterebbe un provvedimento come quello che vieta gli spot elettorali in televisione?

Romiti: Non lo voterei, perché non si può scoprire improvvisamente, a elezioni avvenute e con un certo esito, che gli spot televisivi sono stati determinanti nell’esito elettorale. Fra l’altro, non credo che siano stati determinanti; un certo peso lo hanno avuto, ma impedire di parlare attraverso gli spot è un provvedimento che ha il sapore di appartenere ad un paese che ha più voglia di essere dittatoriale che democratico. Il governo, tra l’altro, ha fatto della concertazione un dogma, ma in questo caso non l’ha applicata, perché non ha sentito i pareri di parte avversa. Sono quindi molto perplesso sia sul metodo, sia sul provvedimento stesso.

Betts: Vorrei chiederle se condivide l’ottimismo di chi afferma che l’Italia sta finalmente entrando in un circolo virtuoso.

Romiti: Ho letto le dichiarazioni del Presidente del Consiglio in questo senso, e mi auguro che abbia ragione; purtroppo, dubito che le cose stiano in questi termini. Prima di tutto, mi ha molto sorpreso che un uomo intelligente come D’Alema sia caduto in un errore, sul quale le opposizioni avevano molto insistito nel 1994, all’epoca del governo Berlusconi, quando promisero un milione di nuovi posto di lavoro. Inoltre, l’economia italiana, così come sta evolvendosi nell’ambito dell’economia europea, è un’economia che dà pochi segnali di ripresa. Capisco che chi è al governo debba esprimere fiducia e fare le cose in modo tale da rassicurare i cittadini, ma un conto sono dei sibili, e un conto è la ripresa effettiva.

In mancanza di questa ripresa, il problema dell’aumento dei posti di lavoro è drammatico: non si può pensare di creare posti di lavoro affidandosi al caso. Ai giovani che oggi sono disoccupati, non si può dire che se le cose andranno bene avranno un lavoro. Quando parlo con alcuni politici, invito loro a pensare ai giovani come ai propri figli, che non trovando lavoro a 35 anni, rischiano di essere uomini distrutti. Un giovane senza lavoro è distrutto per tutta la vita, quindi o si adatta a qualche cosa che lo umilierà come persona o sarà facile preda della criminalità organizzata. Il problema, allora, non è quello di dichiarare o promettere posti di lavoro, cose che lasciano il tempo che trovano e portano soltanto a gravi frustrazioni; l’importante è mettersi in testa che in questo paese bisogna fare ed attuare provvedimenti.

La metà dei posti di lavoro creati negli ultimi tre anni in tutta Europa, sono stati creati in Spagna. Si tratta di un governo che sta lavorando concretamente; il nostro governo e i precedenti hanno fatto poco o nulla. Presi dall’assillo di arrivare a raggiungere i famosi parametri di Maastricht, si sono completamente disinteressati del problema dello sviluppo e quindi dell’occupazione. Il paese è arrivato a raggiungere quei parametri, ma è il più debole tra quelli d’Europa che hanno aderito alla moneta unica. Oggi, per risolvere il problema della disoccupazione, quei sacrifici non solo vanno continuati, ma saranno maggiori se il paese vuole uscire da una situazione intollerabile di disoccupazione. Il paese dovrà subire sacrifici ancora più pesanti di quelli fatti allora. Il governo avrà il coraggio di dire questo e di attuare i provvedimenti?

Betts: Per restare sul tema di Maastricht, lei cosa pensa, a distanza di qualche mese, dei vantaggi dell’entrata dell’Italia nell’Euro?

Romiti: Sono sempre stato un fautore dell’Europa unita, perché il mondo è sempre più competitivo, ed è difficile che i singoli Stati europei possano contrastare da soli la concorrenza. Ho però sempre pensato che l’Europa unita poteva essere un nuovo mito, parafrasando quello che diceva Kennedy all’epoca delle sue campagne elettorale, quando parlava per l’America di "nuove frontiere". Usare slogan, entrare in Europa, allargare le frontiere, farne una battaglia politica, è un grave errore quando in sostanza non succede nulla. Cosa pensa la gente dell’Europa? In Italia ci si è entusiasmati, tant’è vero che si sono sopportati sacrifici anche molto notevoli, in tema di aumento di imposte, di restrizione di qualità e di benessere della vita. La gente però ha ragionato: la massaia, lo studente, il pensionato, l’operaio, hanno aspettato di guadagnare qualcosa. Ad oggi purtroppo i benefici non sono ancora arrivati. Entrare in Europa non ha ancora dato risultati. Al contrario, chi non ha aderito alla moneta, come la Grecia, non ha per nulla scontato questa esclusione. Per questi motivi, sono convinto che, prima o poi, si dovrà rinegoziare il cosiddetto patto di stabilità, per dare più fiato alle possibilità di espansione, di sviluppo e di occupazione.

Betts: Le sembra una tragedia che le industrie italiane passino in mani straniere?

Romiti: Non è una tragedia che le aziende italiane vengano acquistate da altri paesi: viviamo infatti in un mondo globalizzato. Bisogna sicuramente anche preservare la forza di questo paese. Quando in genere un’azienda italiana viene acquisita da uno straniero, spesso accade che rimangano nel nostro paese le attività produttive, ma che il cervello venga automaticamente portato all’estero. Tutto questo non sarebbe un male se, di fronte ad aziende straniere che comprano aziende italiane, ci fosse la possibilità anche in Italia di comprare aziende straniere. Questo purtroppo non avviene per ragioni storiche, legate soprattutto a fenomeni come Tangentopoli e la mafia. I problemi di carattere giudiziario hanno investito il nostro paese e lo hanno portato quasi al ludibrio, facendo sì che nel frattempo venisse trascurata la criminalità organizzata. È giusto che vada perseguito il reato dell’illecito finanziamento ai partiti: c’è una legge italiana che lo prescrive. Occorre però rendersi conto che le spese elettorali dei partiti sono diventate insostenibili: manifesti, riprese televisive, spot su giornali locali e nazionali costano ormai una fortuna. Il governo non parla, i magistrati non parlano; nessuno si accorge che oggi più di ieri girano parecchi soldi. Per quanto riguarda la mafia, non possiamo solo parlarne, ma è necessario combatterla concretamente. La mafia impedisce l’acquisto, l’afflusso o comunque il trasferimento di aziende straniere in Italia. Questo è un fatto di cultura, invece lo si vuole sfruttare per ragioni di carattere puramente politico.

Betts: Cosa ne pensa della vendita della Piaggio agli americani?

Romiti: Per quanto riguarda la FIAT, lei mi può fare tantissime domande sul passato, fino a quando sono stato io alla guida dell’azienda. Non mi consideri scortese se non risponderò a nessuna domanda che concerne il presente e il futuro, è una questione di stile e correttezza. Per quanto riguarda la Piaggio, è uno svantaggio per tutti gli italiani che venga venduta, perché è uno dei simboli del nostro paese, simbolo che ha attraversato il cinema ed è frutto della genialità di un inventore del dopoguerra. È un fatto doloroso, ma se la Piaggio si svilupperà è bene che sia venduta.

Farina: Potrebbe raccontarci il suo rapporto con la giustizia e con i PM in questi anni?

Romiti: I miei rapporti con la giustizia e con alcuni PM sono, a mio modo di vedere, molto dolorosi, estremamente dolorosi, e per di più ingiusti. Non voglio fare nessun piagnisteo e, siccome mi sono imposto di non parlare di questi problemi, non dirò niente di più. Quando qualche volta ripenso alla mia esperienza, mi viene in mente una frase di Eckhart che mi ha mandato monsignor Ravasi: "Nulla sa più di fiele del soffrire. Nulla sa più di miele dell’aver sofferto. Nulla di fronte agli uomini sfigura il corpo più del soffrire. Nulla di fronte a Dio abbellisce l’anima più dell’aver sofferto". Quando penso ai miei rapporti con la giustizia, penso a questa frase.

Farina: Lei ha recentemente parlato di incontri personali con chi le ha spalancato la dimensione del senso ultimo. Può raccontarci qualcuno di questi incontri?

Romiti: Quando alcuni anni fa un giornalista mi fece una domanda analoga, durante un’intervista che trattava di tutt’altro, gli raccontai del mio incontro e della mia visita alla Piccola Casa della Divina Provvidenza, conosciuta come il Cottolengo di Torino. Nella mia vita avevo sempre pensato che non avrei mai messo piede in un posto del genere, per il semplice fatto che se vedo delle persone soffrire mi blocco; preferisco aiutarle da lontano. Fu una suora molto colta, molto modesta, ad accompagnarmi. Diceva che voleva farmi capire che cosa significa essere sereni. Cominciammo il giro nella struttura, visitando persone in situazioni fisiche terribili, ma come aveva promesso suor Giuliana, queste persone erano gioiose e non disperate, felici. Accettai anche di entrare nel padiglione dei casi più gravi, e mi ritrovai trascinato come un bambino per mano. Da allora andai altre volte. Mi rimase in mente quella bimba che la prima volta presi in braccio e mi accorsi dopo che non aveva gli occhi, gli occhi non le erano mai nati. Suor Giuliana mi disse: "Non soffra più di tanto, perché questa bambina è serena e felice, non perché la accudiamo, ma perché c’è qualcuno che dà a bimbi come lei la tranquillità e, ciò che più vale nella vita, la serenità". Raccontai questo stesso episodio in un dibattito tra don Vincenzo Paglia e Arrigo Levi, che avevano scritto due libri in contrapposizione l’uno con l’altro. Don Vincenzo un libro dal titolo Lettera a un non credente, e il giornalista un libro che rispondeva a questa lettera. Ho anche detto loro: "Vi siete dimenticati di scrivere una cosa. A me viene in mente che Dio esiste quando vedo il fenomeno del volontariato: giovani e meno giovani che senza nessuna necessità, stimolo, guadagno, si prodigano per gli altri".

Farina: In che senso questo ha inciso nella sua vita?

Romiti: Che abbia inciso non c’è il minimo dubbio, ma vorrei sottolineare che non c’è stata nessuna conversione. Ciascuno di noi nella vita percorre un proprio sentiero, fa come gli aerei che quando scendono hanno un loro sentiero di discesa. Se noi abbiamo la forza di poter avere degli ideali e una forza morale, se travalichiamo i bordi del sentiero non mettiamo più d’accordo quello che stiamo facendo con i nostri principi. Io questo ho sempre cercato di osservarlo nella vita, anche nelle decisioni più dolorose, quelle che mi hanno fatto passare per il duro, per un Cesare che voleva assolutamente vincere a tutti i costi e in tutti i momenti. Nei momenti più dolorosi, nelle decisioni più gravi da prendere, ho sempre riflettuto. La riflessione migliore e più sana è quella che si fa nei pochi minuti che passano prima di addormentarsi, quando si va a letto alla sera, si appoggia la testa sul guanciale, quando non c’è nessuno, anzi, c’è il buio che circonda e si può così riflettere. Ho sempre avuto principi e credo di avere degli ideali. Guardando i ragazzi, quello che mi attanaglia di più è che questi ideali bivaccano. I giovani non hanno ideali e noi adulti non facciamo niente per darli loro. Abbiamo fatto di tutto per distruggere gli ideali che c’erano quando io ero giovane, li abbiamo distrutti man mano che camminavamo nella nostra strada: l’ideale di patria, l’ideale di famiglia, l’ideale di morale, l’ideale di Chiesa; abbiamo fatto di tutto perché questi ideali venissero distrutti. A questo punto i giovani devono pensare che se gli adulti non hanno insegnato loro gli ideali, possono crearseli nel leggere, nello studiare, nei punti di riferimento che grazie a Dio sono ancora tanti.

Farina: Non si può quindi dire che lei si è convertito, al Cottolengo.

Romiti: Gad Lerner, per provocarmi, una volta affermò che si era sorpreso del fatto che fossi credente. Risposi che non capivo proprio perché la gente continuasse a metterlo in dubbio.

Farina: Non teme una scalata della RCS come dicono i giornali?

Romiti: Non la temo. Per scalare l’RCS occorre scalare l’unico azionista dell’azienda, e questo è molto difficile. Certo che negli ultimi anni il capitalismo è cambiato molto: non si può più programmare a lunga scadenza, ma occorre pensare continuamente allo sviluppo e alla difesa dell’azienda.