Conosci le vie

Le strade dell’uomo semplice indicate da Ildegarda di Bingen
Presentazione della mostra

Lunedì 19, ore 11.30

Relatori: Giovanna Rossi Sciumé, Maurizio Italiano,
Maria Antonietta Crippa, Docente di Sociologia Medico e Vicepresidente
Docente di Storia dell’Architettura dell’Educazione presso l’Università del Centro Studi Sant’Ildegarda
presso il Politecnico di Milano Cattolica di Milano di Milano

Crippa: Il primo aspetto che colpisce incontrando Ildegarda è il suo percorso di umanità integrale che è allo stesso tempo umanità cosmica: questo percorso ha un complesso di ramificazioni che abbiamo cercato di accennare nella mostra. La globalità di interessi e di aspetti umani è però solo la figura esteriore di questa donna: il suo profilo interiore è quello di una persona colpita da un compito, perché la sua esperienza mistica la trascinava in una responsabilità di trasmissione della rivelazione attraverso tutte le strade che l’uomo percorre per mettersi in rapporto con la realtà. Uno dei suoi libri principali, Sci vias, Conosci le vie, che è anche il titolo che abbiamo dato alla mostra, indica non solo la via di Gesù Cristo, ma anche tutte le strade, tutte le circostanze attraverso le quali nella realtà concreta la rivelazione manifesta i suoi frutti.

Il discorso di Ildegarda è molto ricco da un punto di vista esperienziale, con aspetti complessi, da quello teologico a quello morale a quello scientifico-medico... incontriamo così un sapere non come lo intendiamo noi oggi, di carattere scientifico e settoriale, e neanche nella tipica forma medioevale, bensì un sapere accumulato attraverso la frequentazione della liturgia, la meditazione dei Testi Sacri, la conoscenza delle pratiche della vita di allora, il tutto però in un aspetto concreto.

Ildegarda nasce nel 1098 e vive per 81 anni in un secolo da molti ritenuto il secolo d’oro del Medioevo, il XII secolo (il XIII comincia ad essere di crisi, e con il XIV si va ormai verso il Rinascimento), il secolo di fioritura del canto gregoriano e dell’arte romanica. Ildegarda nasce nella Renania, il primo territorio cristianizzato della Germania, nel periodo del Barbarossa, con cui ha contatti; la sua è una famiglia nobile, lei è la decima della famiglia e ancora bambina si trova in convento, dove viene messa con una nobildonna più anziana in una cella. Fin dall’infanzia ha doti eccezionali di visione, che però svela ufficialmente solo intorno all’età di 40 anni, costretta dalle indicazioni delle visioni stesse. Dai 40 anni la sua vita si svolge in modo da rispondere ai compiti affidatile in visione: l’ampliamento del convento, la fondazione di un nuovo convento, la costituzione di una comunità più grande, i viaggi di predicazione, i contatti con la nobiltà del tempo... tutto svolto con una grandissima originalità di atteggiamento e di comportamento, e con un gruppo consistente di persone che si forma intorno a lei e che l’aiuta anche nella trasmissione delle visioni, perché lei conosceva il latino delle preghiere ma non quello delle arti del tempo, raffinato, tecnico e scientifico, ed aveva quindi bisogno di un monaco che facendole da direttore spirituale traducesse anche le sue visioni. Il testo tradotto in latino ritornava nelle sue mani per essere rivisto, e si creava così del vero e proprio lavoro intorno a lei per la trasmissione del suo messaggio. In questo cammino Ildegarda ha avvicinato grandi personalità, ha scritto ad esempio a San Bernardo, cui ha chiesto consiglio sul fatto di esprimere pubblicamente le sue visioni. Uno degli aspetti che caratterizzano questa Santa è infatti l’umiltà.

La sua originalità è la capacità di toccare tanti problemi secondo una sapienza che prescinde da un rigore metodologico specifico, non perché non sia rigorosa ma perché è proprio la sapienza di chi guarda totalmente alla realtà e all’uomo più che agli aspetti specifici delle cose. In questo processo attinge a dati di cultura generale che si erano diffusi in quel tempo, che innova originalmente: ad esempio il tema tipico della cultura del Medioevo (per esempio della Scuola di Chartres) "Microcosmo macrocosmo", ovvero il rapporto tra l’uomo, piccolo universo che contiene già tutti gli elementi della realtà e l’universo nella sua totalità, riceve da Ildegarda di Bingen un contributo significativo, sia sotto l’aspetto della definizione concettuale che dell’immaginazione.

Un’altra tematica importante, su cui anche la mostra si sofferma, "Le sottigliezze della natura", riguarda il suo rapporto con la natura, che va dallo sguardo verso il cosmo fino alla salute dell’uomo: la parola salute ha in questi contesti ancora tutta la forza di salvezza evocata dal termine latino salus, ed indica l’unità dell’universo con l’uomo, che diventa un elemento di riferimento per la cura dell’uomo, non soltanto del suo corpo ma di quella realtà armonica di anima e corpo che è l’uomo. C’è poi la musica, che da tutti è considerata l’espressione vertice di Ildegarda di Bingen: il suo biografo Gronau racconta che Ildegarda girava danzando nel chiostro del convento cantando le musiche che componeva, che sono nella maggioranza canti legati alla vita liturgica e alla preghiera quotidiana oppure dedicati alle figure di Santi significativi che venivano da lei reinterpretate e rivissute con una incredibile originalità.

Vorrei ora soffermarmi sul problema dell’immaginario collettivo. Con questo termine si intende una articolazione di immagini e di parole, un sistema di figure di riferimento, una specie di patrimonio collettivo che permette, parlando, di intendersi anche a livelli molto profondi. Sull’immaginario collettivo possono agire poeti, artisti per dire con profondità esperienze comuni, per individuare dei punti di riconoscimento, di identificazione, di comunicazione, insomma dei valori profondi da tutti partecipati. Noi viviamo in un momento di smembramento dell’immaginario collettivo: la sterilizzazione della scienza, il sapere che astrae dalla realtà, hanno portato alla dissipazione di un patrimonio, dissipazione cominciata nel XVI-XVII secolo, quando si sviluppa nell’uomo la volontà di indagare scientificamente la realtà. Oggi non vediamo più questo smembramento come una negatività paralizzante, perché sono in ebollizione tanti elementi che fanno pensare di ricostituirlo e che lasciano intuire un desiderio di unità di immagine. L’immaginario collettivo rimanda a questa unità profonda di cultura che nel passato aveva tanti supporti e che oggi non ne ha più. Ricostruirlo oggi è un problema complesso ma ricchissimo: Lewis nel suo libro L’immagine scartata descrive proprio in che cosa consiste lo scarto dell’immagine antica e medioevale. Quando noi leggiamo un’opera d’arte medioevale, siamo privati di molti livelli di lettura, quei livelli che appartenevano all’immaginario di cui tutti erano parte: un’opera d’arte a quel tempo parlava con un complesso di stratificazione ricchissimo, che noi speriamo di ricomporre, cioè la concezione unitaria dell’essere della persona. Non è soltanto una concezione diversa dalla nostra, è anche un modo di essere umano diverso.

Il rapporto col Medioevo – questo in Ildegarda si vede molto bene – ha un doppio fronte nei nostri confronti: ci fa percepire una forte differenza di cultura, ma ci offre al contempo un modello di umanità che ci è superiore nella sua complessità e nella sua ricchezza di esperienza. Tutto questo ci rende curiosi di conoscere il mondo medioevale, anche se possiamo ritenerne alcuni aspetti favolosi, come l’includere l’astrologia all’interno della cultura cristiana. L’uomo del Medioevo è un uomo la cui esperienza di fede concretamente vista nella realtà è più potente di qualsiasi scissione: questa è la lezione di Ildegarda. Il dono di conoscenza eccezionale che lei ha avuto per illuminazione e per visione e quindi il compito a cui ha obbedito umilmente dicendo come una tromba quel che sentiva, lasciando passare il fiato che l’attraversava senza interpretarlo, ci fa presente cosa vuole dire l’espressione del Vangelo "vieni e vedi". Quel vedere è infatti il cogliere con tutti sé stessi la realtà, quindi con una complessità razionale ed emotiva strettamente connesse tra di loro. Il conoscere ha il suo avvio nella visione prima che nell’elaborazione intellettuale. È questa una lezione che diventa quasi metodo, perché tutta l’articolazione del discorso e delle visioni di Ildegarda procede in questo modo: quando descrive la visione, disarticola il vedere e il sentire, ma il suo sguardo è in realtà dentro una unità di rapporto e di comprensione, quindi di partecipazione e di mobilitazione dell’intelligenza.

Rossi Sciumé: Non ho fatto alcuna fatica a trovare la connessione – seguendo la sfida lanciatami da Crippa e Gargantini – fra quanto il Santo Padre ha scritto in questi anni sulla donna e alle donne e la figura di questa Santa. Siamo in presenza, vedendo Ildegarda, di una chiarissima manifestazione di quello che il Santo Padre chiama il genio femminile, che non è altro che la specifica sensibilità per ciò che è essenzialmente umano. Il genio della donna si esprime infatti secondo il Papa nella capacità di vedere l’uomo e di prendersene cura. Questa Santa dopo 8 anni di convento di clausura, è in grado di vedere l’uomo in tutta la sua complessità anche nelle vicende storiche travagliate dell’epoca, ed è in grado di comprenderlo.

Santa Ildegarda fu ammalata per quasi tutta la vita: era però instancabile, e ha visto o dato messaggi a tutti i personaggi a lei contemporanei, compresi il Barbarossa e il Santo Padre che è andato a incontrarla. Fin da quando era piccola Ildegarda aveva le visioni; viene poi sollecitata a scriverle a 43 anni, ma resiste, e di conseguenza si ammala molto più duramente del solito, fino a non riuscire più ad alzarsi dal letto. Quando invece risponde a questo compito e accetta la vocazione che le è stata consegnata, allora si risana. Le viene ordinato di esprimere il suo dono in due modi, nel pensiero e nell’azione: la visione si trasforma così in profezia, secondo l’accezione in cui il termine viene impiegato nella Bibbia. Profeta significa infatti messaggero, annunciatore, colui che dice apertamente qualcosa, colui che parla dinanzi a qualcuno e precisamente in nome di qualcuno più grande di lui. Profetizzare non significa semplicemente rivelare cose future, bensì discernere dei decreti divini che si riferiscono a passato, presente e futuro. Questa capacità di discernimento viene donata da Dio a un profeta perché egli la annunci: colui che è stato prescelto non può tacere, in quanto organo della rivelazione di Dio.

La visione si trasforma dunque in profezia e poi in missione: la profezia è la più grande forma del vedere, la missione è la più grande capacità di prendersi cura. I due tratti che il Santo Padre ha descritto nella Lettera alle donne – vedere l’uomo e prendersene cura – sono emblematicamente rappresentati da Ildegarda, attraverso la visione che è una profezia e attraverso la missione, perché Ildegarda uscirà dal convento, cosa singolare per l’epoca e anche per il tipo di ordine cui apparteneva.

Vorrei fare qualche osservazione sull’insegnamento metodologico che emerge dall’itinerario di Ildegarda relativamente al tema della conoscenza, segnalandone in particolare tre elementi. Innanzitutto, all’origine del processo conoscitivo per Santa Ildegarda c’è un riconoscere, cioè uno svelarsi di dati originali che passa attraverso una profonda interiorizzazione. In secondo luogo, c’è una continua connessione fra l’incipit originario e l’esperienza vitale: la visione di cui la Santa parla o scrive diventa sempre più vera nel processo vitale che lei vive, e tutta la vita conventuale è un continuo inveramento di questo incipit originario. Questo è fondamentale per tutti, ma soprattutto per chi studia: occorre chiedersi sempre qual è l’origine della conoscenza, come l’esperienza vitale che si fa è continuamente connessa con la conoscenza. Il terzo elemento è la capacità strepitosa di creare connessioni: la visione della realtà di Ildegarda è una visione olistica.

Da ultimo vorrei osservare un altro elemento relativo al carattere femminile, cioè il fare memoria. Ildegarda trasferisce la memoria, che è qualcosa che le è dato, e la rende memoria memorizzata: le sue visioni rimangono nell’animo per 43 anni, fino a quando cerca il monaco Volmar e gli chiede aiuto in questa opera di trascrizione. Prima Ildegarda scriveva, poi Volmar riscriveva e lei rileggeva: memoria memorizzata. Penso che questo tratto sia fondamentale, la rielaborazione di tutto quanto viene visto nella visione, cioè attraverso il ricordo si cerca corrispondenza di quanto scritto con quanto visto. Questo processo è continuamente illuminato da visioni che svelano la grande sapienza della fede ma anche la presenza inquietante del male.

Italiano: Ildegarda non è una donna fuori dal suo tempo: è profondamente benedettina e profondamente medievale, ed incarna quello che c’è di meglio nel suo tempo. La funzione di Ildegarda è fondamentalmente la funzione che hanno tutti i mistici e i veggenti, quella di aiutare a capire e a vivere il Vangelo. Ildegarda ci aiuta a seguire Cristo, a comprendere il destino dell’uomo e a poter meglio aderire alla proposta di Cristo. L’universo che questa Santa ci presenta è un universo profondamente in correlazione con noi, poiché gli elementi di questo universo sono gli stessi con cui noi siamo creati: Ildegarda arriva nel libro Divina Rumor addirittura a definire le proporzioni dell’uomo esattamente uguali alle proporzioni dell’universo creato. Ogni creatura si specchia nell’uomo, perché egli stesso è al di sopra di tutte le creature. Se è vero questo però è vero anche il contrario, ovvero che l’uomo si rispecchia nell’universo creato, e non è un rispecchiarsi puramente estetico, ma vi è un rapporto dinamico ed effettivo tra l’uomo e la creazione. Questo è importantissimo perché differenzia il rapporto tra gli elementi creati: la visione di Ildegarda non è una visione panteistica, secondo la quale l’uomo è in tutti gli elementi e viceversa (che è la caratteristica di tutte le esperienze esoteriche o magiche anche contemporanee, che pongono l’uomo al centro dell’universo ed elevano la natura al livello di Dio), ma una visione nella quale Dio mette a disposizione dell’uomo tutti gli elementi, in maniera tale che la verità delle cose c’è perché c’è Dio.

Il motivo per cui noi, un gruppo di medici, ci siamo interessati a Ildegarda, è stato inizialmente un motivo di tipo terapeutico: Ildegarda era infatti erborista, ha scoperto come si curano determinate malattie con determinate erbe, e siccome alcuni di noi hanno una base di preparazione di tipo omeopatico, erano interessati da certe descrizioni di Ildegarda.

Cosa c’entra la medicina con Ildegarda? Vorrei innanzitutto ricordare che l’ordine benedettino – nell’articolo 36 della Regola – dice che l’impegno più grande per il monaco è quello di servire gli infermi; per questo i primi ospedali, i primi istituti di assistenza nacquero proprio dagli ordini monastici e addirittura alcuni ordini monastici sono sorti a seguito delle epidemie che dilaniavano il Medioevo. Ildegarda quindi non fa nient’altro che eseguire un ordine che Benedetto aveva dato all’interno della Regola. Inoltre nell’ambito della preparazione del medico che doveva assistere l’infermo, c’era anche di studiare la grammatica, la retorica, la teologia, la filosofia... ed è proprio qui che nasce l’interesse per Ildegarda, nella sua capacità di creare ovunque collegamenti. Le sue opere scientifiche contengono una conoscenza talmente profonda che noi non riusciamo a vedere perché andiamo a ricercare gli enzimi – per altro importantissimi! – ma perdiamo di vista il collegamento generale tra tutte le cose e quindi il senso della nostra conoscenza fortemente analitica.

Tutte le tecniche mediche usate da Ildegarda sono tecniche accessorie per far sì che Cristo possa operare come medico: vengono utilizzate le piante come la musica... la musica ha la funzione particolare di riarmonizzare, e Ildegarda la utilizza come terapia oltre che come espressione della propria gioia.

Con Ildegarda – e questo è l’ultimo aspetto che la avvicina all’interesse di noi medici – per la prima volta anche in ambito cristiano, la malattia non è una punizione di Dio, ma è un mezzo, una grazia, uno strumento che spesso viene fornito all’uomo per ritrovare Dio.