martedì 28 agosto, ore 1700

CHI HA PAURA DEL VECCHIO ALBERT?

Partecipano:

Jerome Lejeune

Docente di genetica dell’Università di Parigi

Remo Ruffini

Presidente del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI)

Modera:

Pier Alberto Bertazzi

P.A. Bertazzi:

Chi mai può avere paura del vecchio Albert? Che motivo potrebbe mai esserci d’avere paura di questo scienziato, forse il più grande del nostro secolo, la cui immagine bonaria, semplice, è diventata così familiare a ciascuno di noi? La risposta a quest’interrogativo mi ha provocato la rilettura di un libro di Clive Staples Lewis, "Le lettere di Berlicche": in una di queste lettere Berlicche, diavolo espertissimo, parla con il più giovane e meno esperto nipote dandogli alcune istruzioni circa il modo di tentare adeguatamente la persona che gli è affidata: "Il tuo lavoro deve essere quello di fissare la sua attenzione sulla corrente delle immediate esperienze sensibili. Insegnagli a chiamarla la realtà della vita, senza permettere che si chieda che cosa intende dire quando dice realtà". E per spiegarsi meglio aggiunge: "Soprattutto guardati bene dal fare il tentativo di usare della scienza, voglio dire delle vere scienze, come di una difesa contro il cristianesimo; quelle scienze altro non potrebbero fare che incoraggiarlo a pensare alle realtà che non può toccare né vedere". E conclude un po’ sconsolato: "Sono avvenuti tristi casi tra i moderni studiosi di fisica".

Non so se questo, tutto sommato, quasi simpatico diavolo Berlicche avesse in mente il vecchio Albert, ma è vero che per lui, principe della menzogna, cioè padre della non verità, non poteva che essere cosi; non poteva che avere paura di quanti si pongono la domanda di cosa si debba intendere per realtà. Di tutti coloro che in pratica, con strumenti sempre più sbalorditivi per potenza e capacità, si addentrano nel mistero della realtà. Einstein stesso, nella sua pur dichiarata non religiosità, ha tuttavia dimostrato che proprio per dispiegare tutte le capacità e potenzialità di conoscenza della ragione umana, è indispensabile non ridurre il reale a ciò che i nostri ragionamenti sanno spiegare. "Chi non ammette l’insondabile mistero, ha detto Einstein, non può essere neanche uno scienziato", e la stessa affermazione riecheggia nelle frasi di Goethe e di Shakespeare che costituiscono il commento più suggestivo, ma anche più vero, al tema di questo Meeting. Oggi ci aiuteranno a misurarci a fondo con questo tema due graditissimi ospiti, due grandi scienziati che operano in campi e discipline quanto mai d’avanguardia oggi: la genetica, cioè le regole fondamentali che governano la vita biologica, e la fisica, le regole fondamentali che governano il cosmo. Do innanzi tutto la parola al professor Lejeune, uno dei padri della genetica moderna; la sua scoperta più nota e anche più rilevante è stata quella delle basi genetiche della sindrome di Down. E’ una persona che al suo impegno scientifico, così rilevante e cosi avanzato, ha sempre unito un grande impegno umano, una persona cui è stato chiarissimo che l’addentrarsi negli aspetti più nascosti di ciò che determina la nostra umanità, era una strada per aprire al mistero dell’intera persona umana e quindi al più profondo e radicale rispetto di questa fin dal concepimento. Il professor Lejeune, medico e professore di genetica a Parigi, è anche membro autorevolissimo della Pontificia Accademia delle Scienze. Prima che inizi l’intervento del professor Lejeune, vorrei salutare alcuni graditissimi ospiti, in particolare S.E. Card. Simonis, primate d’Olanda, e Mons. Cecchini, Vescovo di Fano.

J. Lejeune:

Questa sera vorrei che ci chiedessimo insieme: sono intelligibili l’uomo e il suo destino? Rispondere col sì o col no sarebbe un modo per mancare di pertinenza, ma riflettere insieme qui sulla natura umana alla luce di quanto oggi sappiamo potrebbe costituire un metodo conforme alle leggi dello spirito. Perché è lo spirito che dà la vita, non c'è materia vivente, la materia non può vivere, non può riprodursi. Se non mi credete, provate un po’ ad andare alla mostra del marmo di Carrara. Guardando gli artisti che stanno scolpendo, chiedetevi un attimo: la statua era già presente nel blocco di marmo? In un certo senso sì, dato che per ottenerla basta togliere il marmo superfluo. In realtà, se considerate che l’artista sta riproducendo nel marmo ciò che è stato plasmato e poi riprodotto col gesso, sarà evidente che questi non sta riproducendo la materia, ma l’impronta che il genio dello scultore aveva impresso nella terra, nel gesso. Ecco, quest’informazione è quello che noi in biologia chiamiamo la forma. Quest’informazione è veramente quanto anima la materia e l'oggetto della genetica, è appunto il cogliere dal vivo ciò che anima la materia grezza e descrivere l’informazione che produce e controlla miriadi di molecole capaci di incanalare questo formicolio dell’energia per conformarla alle nostre necessità. Nella vita c’è un messaggio e, se questo messaggio è umano, questa è una vita di un uomo. La materia animata dalla natura umana si organizza, costruisce allora un corpo nel quale uno spirito s’incarna. I doni dello Spirito, come sapete bene, sono sette e la loro elencazione ci consente di fare una cernita nell’insieme delle conoscenze per arrivare poi a definire la vita. Il primo dono dello spirito è la saggezza. Sembrerebbe l’ultimo dono, quello che riassume tutto e gli altri. Gli antichi sono stati molto saggi ad elencarlo per primo, perché è la saggezza che consente tutto. La saggezza consiste nel precisare perché uso e a quale uso sono destinati i mezzi di cui oggi disponiamo. Un esempio storico vi aiuterà a capire meglio quanto voglio dire. In Francia si è parlato moltissimo del bicentenario della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Ventun anni dopo la proclamazione solenne di questi diritti, un filosofo fece una proposta di legge per chiedere che "fosse finalmente proibito di asfissiare o comunque far morire dissanguati i malati di rabbia". Questa proposta di legge non fu nemmeno discussa. Fu rimandata allo studio di una commissione e poi tutto fini in un cassetto e non se ne parlò più. Dodici anni dopo nacque un bambino di nome Louis Pasteur. La sua vita fu proprio la dimostrazione che a liberare l’umanità dalla rabbia e dalla peste non furono quelli che asfissiavano i malati di rabbia tra due materassi o che bruciavano gli appestati nelle proprie case, bensì quelli che hanno attaccato la malattia e rispettato il paziente. Accanto ai mezzi di diagnosi e di trattamento, si può definire la medicina in modo alquanto semplice: odio per la malattia e amore per il paziente. Se si volesse eliminare il paziente per sradicare il male, sarebbe veramente l’aborto della medicina; ma difendere ogni paziente, prendersi cura d’ogni uomo senza chiedergli nome, razza, religione, implica che ciascuno di noi debba essere considerato "unico" e quindi insostituibile. E per questo è necessaria un’intelligenza dell’essere che appunto la genetica d’oggi ci fornisce. L’intelligenza è il secondo dono dello spirito. C’insegna che il numero delle possibili combinazioni tra i vari alleli (geni) che padre e madre ci trasmettono metà ciascuno, supera talmente il numero degli uomini viventi o che sono vissuti sulla terra, che ognuno di noi è dotato e dispone di una composizione assolutamente originale che non si era mai prodotta prima e che non si riprodurrà mai più. Abbiamo questa certezza statistica da cinquant’anni, però oggi possiamo addirittura vederla con il metodo di Jeffreys. Il codice a barre genetiche, tipico di ognuno di noi ed assolutamente personale, è fatto di strisce; guardando con cura queste strisce si vede che la loro sequenza è assolutamente caratteristica d’ogni essere umano, anzi si può vedere anche che la metà di esse erano presenti nella madre mentre l’altra metà era presente nel padre. Guardando questa carta d’identità genetica, si vede non soltanto che ogni essere umano è unico, ma che è nato da un padre e da una madre che a loro volta erano unici. Vediamo sotto i nostri occhi l’originalità d’ogni uomo e allo stesso tempo la sua filiazione biologica. Tra qualche anno questi codici a barre potranno essere letti da macchine come quelle del supermercato, con l’unica differenza che la macchina non potrà mai dare il prezzo della vita umana. Il terzo dono dello spirito è la prudenza. La prudenza è d’obbligo non appena un’azione biologica viene applicata ad un essere umano, direttamente o indirettamente. Quattrocento anni prima della nascita del Signore, il saggio di Coo fece giurare ai propri discepoli: "trascorrerò la mia vita, eserciterò la mia arte nell’innocenza e nella purezza, non darò veleno qualsiasi sia la persona che me lo chieda e non darò prodotti abortivi a una donna". Quattrocento anni prima dell’era cristiana, la saggezza e l’intelligenza avevano già dettato prudenza all’uomo che ha inventato la medicina. E tutti i medici del mondo hanno rispettato il giuramento d’Ippocrate, seguiti in questo da tutte le autorità morali, politiche del mondo civilizzato fino a tempi molto recenti; d’altra parte il Vaticano non ha fatto altro che riprendere un insegnamento assolutamente generico nel ricordare che aborto e infanticidio sono crimini abominevoli. Però nazioni che sono state una volta civilizzate, come la Francia e l’Italia, hanno rinunciato con un voto alla protezione dei propri bambini. Va osservato che oggi si percepiscono nel bambino ancora nel grembo materno, condizioni più o meno favorevoli, di conseguenza alcuni hanno proposto di poter eliminare il feto a qualsiasi stadio della gravidanza (e questo purtroppo è autorizzato da certe leggi tra cui quella francese). Dato che i mezzi di diagnosi del bambino ancora in utero diventano ogni giorno più sofisticati, non solo possiamo vedere anomalie già evidenti, già in essere, malformazioni o problemi chimici, ma possiamo persino vedere le predisposizioni, cioè tendenze a malattie che si manifesteranno molto tardi nella vita. Per esempio si può già intravedere nel feto il gene della corea di Huntington, una malattia che apporterà la demenza verso i quarant'anni, oppure il morbo d’Alzheimer, che porterà la demenza senile tra i 50 o i 60 anni. Dovremmo forse eliminare i soggetti riconosciuti portatori di queste malattie? La risposta è sicuramente negativa. Certo, queste malattie costano care in termini di sofferenza per i pazienti e le loro famiglie, in termini di carico sociale per la comunità che a volte deve sostituire la famiglia perché il fardello può diventare insostenibile. Ma questo costo in termini di denaro e di sacrificio è esattamente il prezzo che deve pagare una società se vuole rimanere pienamente umana. Non voglio evocare qui le deportazioni dei selezionatori nazisti o il cosiddetto "Gnadentodt", cioè la grazia della morte per coloro che non sono degni di vivere. Citerò invece un esempio più vecchio. Gli spartani non avevano ancora certo inventato la diagnosi prenatale, però avevano deciso di esporre sul monte Taigete i neonati che apparivano loro incapaci di diventare nel futuro dei bravi soldati o di generare altri futuri soldati per il bene di Sparta. E questo è l'unico popolo della Grecia antica che sistematicamente abbia praticato questo spietato eugenismo. Di tutte le città della Grecia, Sparta è anche l'unica a non aver lasciato all’umanità né uno scienziato, né un artista e nemmeno una rovina. Perché quest’eccezione tra i greci, così dotati all’epoca? Forse gli spartani, senza saperlo, esponendo i loro neonati mal nati o troppo fragili, hanno ucciso i loro musici, i loro poeti, i loro filosofi? Forse con una specie di selezione alla rovescia sono progressivamente diventati stupidi? Un tale meccanismo è pensabile, anche se non con certezza. o forse, all’opposto, la loro saggezza e la loro intelligenza erano già talmente insufficienti, inferiori, che commisero l’imprudenza di uccidere i propri figli? La genetica non è in grado di scegliere tra queste due ipotesi, tanto più che forse queste potrebbero essere vere simultaneamente. Il quarto dono è la forza e cioè la resistenza al crollo dei tre doni precedenti. Un recente esempio ce lo farà capire meglio. Qualche anno fa dei manipolatori, soprattutto inglesi, pretendevano studiare su embrioni umani di meno di 14 giorni la debilita mentale, l’emofilia, la miopatia o la mucoviscidosi. Ho avuto l'onore di testimoniare davanti al Parlamento britannico e ho fatto notare molto semplicemente che su un embrione di 14 giorni non si può studiare la malformazione di un cervello che non si è ancora formato, non si può studiare un’anomalia di muscoli che non sono nemmeno differenziati e nemmeno un’anomalia dei sangue che ancora non circola; per non parlare del pancreas che apparirà più tardi. Il mio intervento non fu molto ben accolto. Il settimanale scientifico Nature titolò: "Influenza francese in Gran Bretagna, una cosa veramente shocking". E Nature addirittura propose un abbonamento gratuito di un anno a qualsiasi persona che avesse spedito un protocollo di sperimentazione che dimostrasse la stupidità del mio ragionamento. Bene, sono passati tre anni e non è stato pubblicato nessun protocollo e, per quanto ne sappia io, nessuno riceve gratis quest’ottimo e interessante settimanale inglese. D’altra parte non era proprio necessario mettere in pericolo esseri umani, perché in questi ultimi tre anni, invece, è stato scoperto il gene della mucoviscidosi e si è clonato il gene della miopatia. Per quanto riguarda l’emofilia, siamo riusciti a ottenere un prodotto che evita la trasmissione dell’AIDS e qualche passo avanti è stato fatto anche nella comprensione delle malattie mentali. Queste conquiste della medicina sono state fatte senza mettere in pericolo o mettere in gioco un solo embrione umano. Però le proposte di legge per utilizzare gli embrioni a scopo di ricerca aumentano; perché quest’appetito di carne fresca? Per un motivo che io oso appena dire, tanto il suo realismo è inconfessabile: un embrione di scimpanzé è molto caro mentre la vita umana non ha prezzo, ha perso qualsiasi valore da quando nazioni, un tempo civili, hanno rinunciato a ciò che per duemila anni e più tutti i medici del mondo avevano giurato. Questa stessa forza dello spirito è venuta a mancare completamente al Parlamento britannico che il 23 aprile 1990 ha approvato una legge secondo la quale i giovanissimi inglesi di meno di 14 giorni possono essere considerati materiale sperimentale, autorizzandone perfino la vivisezione ed è la prima volta che si autorizza a manipolare giovani esseri umani di meno di 14 giorni. Non era mai successo nella storia dell’umanità, e i vostri mass-media come quelli francesi d’altra parte, non hanno nemmeno dato quest’informazione: ciò che vogliono è che i latini non siano scioccati da questa cosa orribile. Quando ne sentiremo parlare fra due o tre anni, diremo: ma è legge in Inghilterra da due o tre anni ormai! e così le reazioni saranno anestetizzate. E venuta l’ora che tutti i paesi ancora un po’ civili dichiarino che l’embrione umano è indisponibile, che non è lecito sfruttarlo, che non è uno schiavo o uno stock di pezzi di ricambio. La scienza è il quinto dono dello spirito. A questo proposito consentitemi di evocare un aneddoto personale. Circa un anno fa, sono. stato chiamato a testimoniare in un processo relativo ad un divorzio in una piccolissima cittadina del Tennessee. Una donna aveva generato, con l’accordo del marito, sette embrioni tramite la fecondazione in vitro ed i sette embrioni erano congelati. Mentre il marito voleva che rimanessero in frigorifero e morissero di freddo, la madre proponeva di salvare i bambini o, se la giustizia le avesse rifiutato il diritto di allevarli, avrebbe preferito che venissero dati a un’altra donna piuttosto che saperli congelati per sempre. Allora ho detto: "d'accordo, vengo; perché il processo è già andato in giudicato tremila anni fa, secondo quel giudizio di Salomone che è sempre stato considerato come il metro della giustizia". C’è una riflessione molto moderna che si può fare a questo proposito. Quando si va a congelare un embrione, non è la vita che viene congelata, è il tempo che viene fermato. Infatti se avessimo fermato la vita questa non potrebbe riprendere, ricominciare, ma se abbiamo semplicemente fermato il tempo, abbassando la temperatura, allora sì che la vita può riprendere, non appena il calore è tornato e il tempo ritrovato. Quando sono chiusi a migliaia in una bottiglia refrigerata con azoto liquido, senza nessuna libertà, i giovani esseri umani sono, per cosi dire, internati in un "concentration can" come io l’ho chiamato davanti al giudice americano, cioè un recinto concentrazionario. In Francia le mie parole furono tradotte "campo di concentramento", ma è un doppio errore. "Can" vuol dire bottiglia, scatola; inoltre il campo di concentramento è un sistema per accelerare terribilmente la morte, mentre il "concentration can" è invece un modo per rallentare terribilmente la vita. Il sesto dono dello Spirito viene chiamato pietà filiale. Sappiamo che il messaggio genetico viene sottolineato oppure sbarrato nelle cellule riproduttrici esattamente come uno studente intelligente sottolinea i passi che deve sapere subito, mentre sbarra quelli che utilizzerà dopo o più avanti, se mai gli serviranno. Ma la sorpresa, che risale a due anni fa, è questa: nelle cellule riproduttrici l’uomo sottolinea certi passi, la donna sottolinea altri passi; alla fine dei conti l’uomo segna in anticipo ciò che servirà a fabbricare le cosiddette membrane e la placenta, la donna invece sottolinea ciò che servirà a fabbricare i vari pezzi per costruire il bambino. Se un uovo fecondato contiene un numero normale di cromosomi, tutti segnati dal maschio, non abbiamo a che fare con un essere umano, ma con delle specie di vesciche, pseudosacche amniotiche che chiamiamo mola idatiforme e che possono anche degenerare in un cancro, il cosiddetto corio-epitelioma. Nello stesso modo, un uovo fecondato che contiene soltanto l’informazione sottolineata al modo femminile, non è un essere umano. Fabbrica peli, denti, ossa, pelle, il tutto in un completo disordine. Queste cose, sconosciute fino a due anni fa, c’insegnano che nell’uovo fecondato l’uomo ha trasmesso come costruire il focolare, come ricercare il cibo, mentre la donna ha, trasmesso il modo di costruire l'essere umano. E per lo scienziato costituisce un ammirazione infinita il ritrovare in quella minuscola sfera di un millimetro e mezzo di diametro, che è l’uovo fecondato, la stessa separazione dei compiti che ritroviamo poi nell'adulto. Ciò ha conseguenze veramente sconvolgenti e rassicuranti allo stesso tempo. Ci vogliono un uomo e una donna per generare uno spirito; la riproduzione monoparentale o unisex è impossibile nella nostra specie. E con questo sono finite le pretese di procreare tra "donne", chiuso l'incubo gay di concepimento prettamente mascolino, svalutata la speculazione del miliardario che desiderava un clone realizzato a sua immagine e somiglianza per trasmettere nel contempo il suo patrimonio genetico e i suoi interessi finanziari. La prima cellula che non avesse un padre e una madre non potrebbe vivere a lungo, l'essere non sarebbe nemmeno concepito. Allora per il genetista il comandamento divino "onora tuo padre e tua madre per vivere a lungo" è veramente divino, perché anche la natura gli obbedisce. E qui comincia il timore, il settimo dono dello spirito. Non il timore di abbandonare ogni speranza, come davanti all'inferno dantesco, ma quello della nostra potenza che aumenta ogni giorno, ma non altrettanto la nostra saggezza. Cominciamo a leggere, a decifrare e a capire l’enorme messaggio genetico dell’uomo; ciò che sta in un uovo fecondato, stampato lettera dopo lettera, rappresenterebbe sei volte l'enciclopedia universale. Nessun uomo potrà leggerlo per intero, però potremmo inventare delle macchine che potrebbero leggerne i passi che c’interessano. Sappiamo già come si potrebbe produrre questo robot, questa macchina. Si potrà così riparare un gene difettoso o sostituirlo con uno sano, oppure raffazzonare un passaggio malscritto. L’utilizzazione medicale di questa scienza e di questa tecnologia non solleva nessun problema morale nuovo finché si opera con cautela e nell'interesse personale del soggetto. Ma la nostra generazione non è proprietaria del patrimonio dell'umanità, ne siamo soltanto i depositari. Ci vorranno delle leggi che dicano chiaramente che non si ha il diritto di approfittare, prendere, sfruttare, fare del bricolage col patrimonio ereditario dell'umanità. Saranno nominati comitati etici che in realtà sono fatti apposta per cambiare la morale. E ai cattolici verrà chiesto di non imporre la propria morale agli altri. Ebbene, ogni volta che verrà detto o rinfacciato questo, ricordatevi che è falso, che è una propaganda antidemocratica. In una democrazia moderna, che non fa nessun riferimento a una morale superiore, ma nella quale la morale pubblica viene definita dalle leggi, per ogni cittadino cercare di far passare nelle leggi del proprio paese ciò che egli considera come "la morale", non è soltanto un diritto, ma è un dovere democratico. Il settimo dono dello spirito si riassume in un’unica formula, in una frase latina, e cercate di ricordarvene sempre, cercate di metterla in pratica, perché è la vera libertà: "Timete Dominum et nihil aliud"; temete Dio e null'altro.

P.A Bertazzi:

Grazie al professor Lejeune perché in tutto il suo intervento ha dato un insegnamento che ritengo veramente fondamentale per noi oggi. Come possiamo essere sicuri, in qualche modo garantiti, di non esercitare una violenza contro l'altro, di rispettare la vita umana? La guida in questo non può essere una qualche norma etica sulla quale ci si è messi d'accordo, ma soltanto la passione per la verità della persona umana che è un mistero (ma reale), un mistero nella sua origine e nel suo destino. Solo questo timoroso riconoscimento della grandezza della persona umana può consentire alle nostre azioni scientifiche e non scientifiche, di non essere violenza verso l'altro. Solo da questo

può derivare un comportamento e una norma etica reale. Ed ora l'intervento del professor Remo Ruffini. Dopo la laurea in fisica a Roma, ha lavorato proprio nella stessa università, nello stesso campus dove ha operato Albert Einstein, a Princeton, negli Stati Uniti. Il professor Ruffini si è recentemente occupato di cosmologia ed è fondatore, in collaborazione con la Specola Vaticana, del Centro Internazionale per l’Astrofisica Relativistica di cui è anche Presidente.

 

 

R. Ruffini:

Nel mio intervento cercherò, con una carrellata ed aiutandomi anche con immagini, di farvi capire quanto Einstein sia stato importante per l’astrofisica. La prima immagine mostra come era il mondo, l'universo visto dai Greci. Chiaramente al centro di quest’universo greco c'era l'Europa. Intorno solo acqua, vento non c'era alcun ruolo fondamentale del resto dell’universo, tutto era centrato sul mondo. Il progresso della conoscenza scientifica è avvenuto molto lentamente, attraverso i secoli; per distogliere l'attenzione dalla Terra e spostarla sul Sole, ci vollero quasi venti secoli e il cambiamento fondamentale nella nostra comprensione dell'universo venne dal lavoro di Galileo Galilei. Quando era a Padova, puntò il telescopio proprio verso la via Lattea e scoprì che la via Lattea, il cielo, non erano polvere, in quanto formati da un "innumerarum stellarum", un numero infinito di stelle, ciascuna simile al nostro sole. Ecco, questo, con Galileo, è il primo momento in cui l’essere umano prende coscienza delle enormità delle dimensioni del nostro universo. Oggi più che mai i progressi della scienza stanno avvenendo su scale di tempo sempre più brevi, perché oltre al telescopio di Galileo abbiamo molti altri strumenti Ma il punto fondamentale è che questi strumenti non servirebbero assolutamente a nulla, servirebbero soltanto a creare dei cataloghi, se non ci fosse un’azione fondamentale di sintesi, non ci fosse il contributo fondamentale dell'interpretazione di questi dati, del creare le teorie da verificare e da confrontare per il progresso scientifico. Tutto il resto può essere fatto dalle macchine, dagli osservatori, ma l’elaborazione dei dati e il loro significato scientifico prende coscienza nel momento stesso, che l'attività dell'intelletto

Dell’uomo ha il suo ruolo centrale. E di questo processo di razionalizzazione non c’è esempio più chiaro, più bello, forse nella storia dell'intera umanità ma senz'altro in questo secolo, di quello di Albert Einstein. Einstein non è mai andato nel dettaglio della singola spiegazione, del singolo fenomeno, ma ha influenzato enormemente la fisica e la scienza nel creare la struttura logica nella quale inserire lo sviluppo della fisica, dell’astrofisica e della scienza. Il primo lavoro di Albert Einstein è molto difficile da capire, è il lavoro sulla relatività speciale, ed è sempre stata mia opinione che quel primo lavoro di Einstein è estremamente difficile in ente semplice: è troppo quanto estremamente semplice perché un fisico, con tutti i preconcetti che ha in mente, lo possa capire direttamente. In questo primo lavoro sulla relatività speciale, Einstein, come voi tutti avete almeno sentito parlare, passò dal concetto di spazio e dal concetto di tempo al concetto di spazio e tempo. Senza fare un corso di fisica in così poco tempo, vi dirò alcuni dei paradossi che vennero fuori. In quel lavoro Einstein presentò il paradosso dei gemelli. Se ci sono due gemelli, uno fermo e uno che viaggia circa alla velocità della luce, il tempo scorre in maniera totalmente differente per i due: per il primo potrebbero passare cento anni, per l'altro diecimila e nel momento del ritorno potrebbe non trovare più il suo gemello. Un altro paradosso presentato da Einstein consisteva nel fatto che l’energia cinetica poteva trasformarsi in materia. Tutto questo, con un certo ritardo rispetto alle sue idee, è stato verificato ormai in maniera estremamente accurata dagli acceleratori di particelle elementari di tutto il mondo. Tra le sue previsioni di quel primo lavoro, forse quella che tutti conoscono di più è la formula: E (energia), M (massa), C (la velocità della luce) al quadrato. Quest’idea di Einstein, che l’energia e la massa fossero la stessa entità, che massa ed energia si potessero trasformare, è stata, secondo me, la cosa più importante nella comprensione della vita dell’evoluzione delle stelle. Questa formula apri la mente affinché i fisici, che lavoravano in altri settori nella fisica nucleare e subnucleare, potessero comprendere che una stella non è altro che un enorme reattore di fusione nucleare in cui dei materiali leggeri, (idrogeno) sono trasformati in materiali più pesanti (elio, carbonio, ferro), e tutto il materiale di cui noi siamo formati è stato creato in questa fusione, in questa enorme, stupenda, semplicissima macchina che è una stella. Prima non si sapeva neanche che le stelle vivessero, ed è stata una delle conquiste più belle degli ultimi anni non solo aver capito che le stelle sono strutture che creano materiale pesante, ma che hanno una propria vita, un inizio una fine. E il processo di fine di una stella è differente a seconda della massa della stella. Ci sono alcune che finiscono molto sofficemente; una stella come il nostro Sole finirà in questa forma, formando una struttura a bassissima densità e un oggetto centrale molto piccolo dell'ordine di 5-10.000 chilometri, (delle dimensioni della nostra Terra), una "nana bianca". Se la massa della stella è più grande, dopo una vita di miliardi di anni collasserà nel giro di un secondo e in questo collasso gravitazionale vi sarà una emissione di materiale ed una contrazione in un oggetto ancora più piccolo, ancora più denso: una stella di neutroni. Allo studio di questi oggetti densissimi, che sono la fine dell’evoluzione stellare, di nuovo la fisica non era pronta perché c’erano dei campi gravitazionali, delle forze gravitazionali talmente intense, che tutta la fisica conosciuta fino allora, praticamente, non era in grado di darne la descrizione. E allora intervenne il secondo contributo dato da Einstein, quello della relatività generale. La relatività generale è una teoria estremamente più matura, più complessa, più difficile della relatività speciale. L’idea fondamentale di questa teoria è che lo spazio ed il tempo, che fin dai greci, da Euclide, erano dati come concetti a priori, furono presentati da Einstein per la prima volta in modo assolutamente rivoluzionario: lo spazio ed il tempo stesso sono influenzati dalla presenza della materia ed è proprio la presenza di materia che crea la distribuzione di spazio e di tempo. Quello che venne fuori dalla teoria di Einstein nello studio delle fasi finali dell’evoluzione stellare, fu proprio la predizione che il campo gravitazionale poteva essere così forte da incurvare lo spazio attorno a questi oggetti in modo tale che nulla, nemmeno la luce, poteva venirne fuori. Tutte queste discussioni che ho fatto fino adesso, si rivolgono alla struttura dell’universo all’interno della nostra galassia, ma uno dei problemi fondamentali della cosmologia moderna è capire quante stelle ci siano nell’universo, quante galassie, quale sia la loro struttura.

Il professor Ruffini prosegue illustrando le immagini di alcune galassie.

Il numero delle stelle in ognuna di queste strutture è dell’ordine di centinaia di miliardi e ognuna di queste stelle può essere simile al nostro Sole può avere un sistema planetario attorno; questo può dare un po’ le dimensioni di questo universo in cui viviamo, così differente dall’universo concepito dai greci. Fino a tre o quattro anni fa, pensavamo di avere capito praticamente tutta la fisica delle galassie, pensavamo in fondo che le galassie non erano altro che dei sistemi tenuti in equilibrio sotto l’effetto del campo gravitazionale e sotto l’effetto della rotazione. Rimangono ancora dei problemi sulla loro forma ellittica, sulla loro morfologia e, soprattutto, il problema del perché tutte le galassie, più o meno, abbiano una caratteristica dimensione di centinaia di miliardi di stelle. Questo problema è di difficile soluzione, ma c'è qualcosa di nuovo negli ultimi tre o quattro anni (e uno dei contributi fondamentali è venuto proprio da un quasi riminese, da Sancisi, che è romagnolo e che lavora in Olanda): si è osservato come queste galassie ruotano su loro stesse e dal modo in cui le galassie ruotano è possibile capire quanta massa c’è al loro interno. In fondo la galassia non è altro che un ruotatore tenuto in equilibrio fra la forza centrifuga e la forza gravitazionale, allora da quanto velocemente ruota si può capire quanta massa c’è all’interno. Una delle nuove dimensioni dell’astrofisica è l’evidenza che il materiale stellare formato da neutroni, protoni, elettroni, è soltanto il 10 per cento della materia dell’universo mentre il 90 per cento di materia è completamente differente e una delle sfide maggiori della fisica teorica di questi giorni e dell’astrofisica teorica, è cercare di capire qual è quest'altra consistenza di materia. L’uomo, in altre parole, si era messo al centro dell'universo nella Terra, poi al centro dell'universo venne posto il Sole, poi la galassia, poi si pensava ancora, fino ad alcuni anni fa, che la materia che noi controlliamo sia tutta la materia dell’universo. Adesso c’è evidenza che questa è solamente il 10 per cento; c’è quindi una nuova frontiera, la frontiera di capire cos'è questa massa che non comunica con noi elettromagneticamente e che si chiama massa oscura. Ma come si distribuiscono le galassie nello spazio? Di nuovo, il lavoro fondamenta sulla distribuzione di galassie nell’universo è venuto da Albert Einstein. Einstein aveva notato che, nella descrizione della natura, l’uomo aveva sempre peccato di provincialismo, si era sempre messo al centro dell’universo. Allora lui, sulla base delle sue equazioni della relatività generale, aveva immaginato un universo estremamente democratico, aveva pensato che ogni punto dell’universo dovesse essere equivalente a ogni altro suo punto e dalle sue equazioni cercò la soluzione democratica di un universo omogeneo e isotropo - come si diceva (la soluzione analitica di queste equazioni fu poi trovata da un astrofisico russo). Il messaggio è molto semplice: se noi prendiamo non una galassia in equilibrio, ma l’insieme di tutte le galassie, questo non è in equilibrio, ma l’universo nel suo insieme si espande e quindi l’universo ha avuto inizio da una fase estremamente condensata e compatta. Non solo l’universo, ma anche il tempo, lo spazio e la materia hanno avuto una propria origine. E tutto questo è venuto fuori dalle equazioni di quando noi guardiamo una galassia, una stella, non Eistein ed è oramai verificato. Infatti la vediamo com'è adesso, ma la vediamo come era quando il segnale della sua luce è arrivato a noi. Quindi quando noi guardiamo una galassia vicina, non la vediamo com’è adesso, ma la vediamo com’era centinaia di milioni di anni fa, e così via. Siccome l’universo ha avuto un inizio, guardando abbastanza distante nell'universo si va abbastanza indietro nel tempo fino a vedere l'esplosione iniziale. Si è vista, si è osservata la parte del Big Bang iniziale e, mi fa piacere dirlo in quest’occasione, l’idea chiave di questo Big Bang venne fatta anche da un Accademico Pontificio, Georges Gamow, e Pio XII fece una presentazione molto bella su queste fasi primordiali dell’universo. Vorrei adesso toccare l’ultimo aspetto, il più nuovo, quello su cui stiamo lavorando, quello che mi ha tenuto impegnato fino a ieri. Fino a qualche anno fa, pensavamo che passando da una galassia all’altra non si trovasse più nessuna struttura, soltanto galassie distribuite a caso o che si espandono. Quello che invece è venuto fuori, è una cosa incredibile. Passando dall’analisi non di una o di due, ma di centinaia di migliaia di galassie, queste non si distribuiscono a caso, ma hanno esse stesse una struttura e seguono leggi molto precise. Queste distribuzioni sono ricorrenti in natura, oggi si chiamano "frattale" e sono esattamente quelle leggi che seguono i neuroni nel cervello, i terminali delle fibrille nei polmoni ed è possibile cogliere una distribuzione frattale anche su di una foglia. Esiste, cioè, anche nella distribuzione fra i pieni e i vuoti, incredibilmente, dove meno ci si aspettava, una proporzione di una legge nella natura veramente fantastica. Prima di chiudere, vorrei tornare per un momento al nostro pianeta Terra. Dopo questa galoppata, in cui abbiamo visto centinaia di miliardi di stelle nella nostra galassia, ciascuna delle quali potrebbe avere un sistema planetario; dopo aver visto le decine di migliaia di galassie, ciascuna di cento miliardi di stelle, il nostro pensiero ritorna sulla Terra. Ritornando al punto di prima, quest’universo frattale ha proprio la caratteristica richiesta da Einstein: ogni punto pensa di essere al centro dell’universo, pensa d’essere, ha la proprietà di essere, al centro dell'universo. La nostra Terra appare più che mai piccola, periferica. Dopo la visita delle sonde spaziali a Venere degli ultimi giorni, dopo aver visto la solitudine di Marte dalle sonde precedenti, dopo aver visto il silenzio della Luna, ancora di più il pianeta Terra ci appare piccolo ed estremamente delicato. L’appello che io vi faccio è che vi rendiate conto non solo della perifericità e della delicatezza del nostro pianeta, ma soprattutto della sua grandezza, perché è il luogo dove c’è coscienza dell’universo, dove lo si osserva e si fa scienza, dove l'universo prende coscienza di se stesso, e questo rende questo pianeta estremamente delicato ma estremamente grandioso.

A. Bertazze

Ringraziamo il professor Ruffini; la sua osservazione finale mi ha come reso esplicito quel fascino che io, come credo tutti i presenti, ho sentito man mano crescere col procedere della sua esposizione. Ha reso esplicito perché in realtà uno si sente più che atterrito dalla propria piccolezza e fragilità, si sente quasi sostenuto, costretto a riconoscersi grande per l’ordine nel quale si ritrova ed al quale sente di appartenere. Credo che questo sia un messaggio io grandissimo perché forse è la cosa più grande che possiamo dire di noi stessi: che non siamo nulla, ma siamo voluti da un disegno che è talmente reale da potersi riconoscere nella struttura di una foglia e nella quasi indicibile grandezza di un universo. Vorrei infine rendere omaggio al nostro vecchio Albert, che ci ha aiutato a vivere un incontro di tale fascino e bellezza, leggendo poche righe di un altro dei suoi pensieri: esperienza più bella che ci è dato avere è il mistero della vita, il sentimento profondo che troviamo alla radice della vera arte e della vera scienza. Ignorarlo, perdere il senso dello stupore e della meraviglia significa quasi morire, cessare di vedere. E’ il senso del mistero che ha generato la religione, sapere che esiste qualcosa che ci è impenetrabile, conoscere le manifestazioni dell’intelligenza più profonda e della bellezza più sublime: questo forma il contenuto della religiosità. In questo senso e solo in questo senso io sono un uomo profondamente religioso. Scriveva queste cose nel 1931 e, se posso azzardare un mio modestissimo commento, gli direi: "Vecchio Albert, così va bene, perché la religiosità non deve essere qualcosa che chiude, la religiosità è qualcosa che apre, deve aprire ad una possibilità". Il resto è la grazia di un incontro che per fortuna anche quest'anno al Meeting si rende di nuovo così familiare e possibile.