Sabato 23 agosto, ore 15

FULGIT CRUCIS MYSTERIUM

Incontro con Carlo Rusconi

Conduce l'incontro:

Giulio Boscagli.

Carlo Rusconi è sacerdote, autore di numerosi articoli di natura prevalentemente filologica, ha insegnato presso l'Istituto Biblico di Roma. Al Meeting ha svolto il tema della iconografia e del suo valore simbolico.

C. Rusconi:

Vorrei individuare due orizzonti interpretativi dell'iconografia. Prima di tutto la simbologia che è immediatamente desunta dalla Bibbia e, in secondo luogo, alcuni simboli che sono di patrimonio universale. Per quello che riguarda la simbologia desunta dalla Bibbia credo che i testi fondamentali siano tre: il primo è il II capitolo della Lettera ai Filippesi che molti di noi conoscono probabilmente anche a memoria, dove si parla del Figlio di Dio che era nella forma di Dio (teniamo presente che la forma è la manifestazione dell'essenza e che, nonostante questo, ha assunto la forma di uomo umiliando se stesso fino alla morte di croce). E per aver accettato questo in ubbidienza al Padre, "Il Padre lo ha esaltato dandogli il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto terra". Questo è un primo testo che emergerà chiaramente come ispiratore della iconografia del Crocifisso, in cui si hanno due movimenti, dalla forma dei, cioè dalla partecipazione del Figlio alla gloria del Padre, fino alla umiliazione profonda della morte di croce e da quel momento l'ascensione dalla morte fino alla gloria divina. Un altro testo importante, è il capitolo XIX secondo San Giovanni, in cui ci si propone il dialogo, se così si può dire, di Gesù con Giovanni e con Maria sulla croce. Gesù dice a Maria: "Ecco tuo figlio" e a Giovanni: "Ecco tua madre". Dobbiamo tenere presente che nel Vangelo secondo San Giovanni Maria compare solo due volte, la prima alle nozze di Cana quando, almeno in certo senso, perde il proprio figlio (Gesù dice: "Che c'è fra me e te o donna, la mia ora non è ancora venuta", quasi in una ' sorta di rigetto del suo intervento) e la seconda sotto la croce quando in sostituzione del figlio morente le viene dato l'apostolo, cioè le viene dato l'inizio del popolo di Dio, del nuovo popolo di Dio. L'altro testo è ancora dal Vangelo secondo San Giovanni ed è l'episodio del colpo di lancia che l'esegesi patristica accosta normalmente al capitolo II della Genesi in cui Eva, la madre dei viventi, viene tratta dal fianco di Adamo dormiente nell'Eden. L'esegesi patristica ha visto nel colpo di lancia e nello scaturire dal fianco di Cristo dormiente sulla croce, sangue e acqua, dapprima una allusione al parto della nuova Eva (il sangue e l'acqua sono appunto allusioni al parto), poi le nozze mistiche fra il Cristo nuovo Adamo e la Chiesa nuova Eva. E a questo punto il sangue e l'acqua diventano allusione all'unione nuziale di un uomo con una vergine. Teniamo presente che tutto questo è nel segno, nel simbolo ripreso per esempio nella liturgia del sabato Santo quando il cero pasquale, simbolo del Cristo, viene immerso nel fonte battesimale che gli scritti patristici definiscono "l'utero della Chiesa", cosicché da quel grembo della Chiesa, reso fecondo dall'unione col Cristo vengono generati al Padre nuovi figli fatti ad immagine di colui che ha reso feconda la Chiesa, cioè il Cristo stesso. Questi sono i testi scritturistici fondamentali che ci aiutano a decifrare la simbologia della croce. Poi ci sono altri simboli che, invece, sono desunti dal patrimonio simbolico comune praticamente a tutti i popoli. Il primo simbolo è la croce che è l'individuazione dello spazio universale, è il centro, l'asse, il trono cosmico. Questa simbologia è già recuperata negli stessi scritti biblici quando Gesù afferma "quando sarò innalzato fra il cielo e la terra attirerò tutti a me": questo è il punto di sutura fra la croce come simbolo universale, come simbolo dello spazio terreno e il significato nuovo che alla croce viene dato dalla morte di Cristo. La croce è, ancora, simbolo perfetto della terra, in quanto ne individua tutti i punti che consentono di localizzare e individuare lo spazio. Inoltre la croce, soprattutto se prendiamo in considerazione i quattro bracci e il loro centro, è il segno del congiungimento dei punti diametralmente opposti. Il suo centro coincide con quello del quadro e con quello del cerchio, è dunque un simbolo di sintesi e di misura, è il simbolo dell'intermediario, del mediatore, per cui il cerchio comunica col quadrato e viceversa. Se teniamo presente che normalmente il cerchio è simbolo della sfera celeste e il quadrato è simbolo della sfera terrestre, non possiamo non ricordare l'inno della Lettera ai Colossesi, in cui è detto che "per il sangue della sua croce", cioè per mezzo di lui, avviene la riconciliazione di tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra: il simbolo del cerchio, riconcilia, cioè riunifica le cose del cielo come quelle della terra, le riconcilia fra di loro. Un altro simbolo fondamentale è quello del cerchio, che simboleggia, anzitutto, il cielo come trascendenza per la sua altezza inaccessibile. Ancora, simboleggia il cielo come rotante intorno ad un asse (la stella polare che è l'unica stella che viene colta come fissa, immobile, intorno alla quale ruotano tutte le altre stelle). Simboleggiando il cielo che ruota intorno ad un asse, indica il movimento, il tempo, cioè l'origine, il durante e il fine in seno al destino. Infine simboleggia la perfezione, la omogeneità, l'assenza di divisione. Ultimo simbolo, quello del quadrato: è lo spazio dell'uomo, la terra, la città, è lo spazio orientato, lo spazio della manifestazione simbolica dell'assoluto all'uomo. Ricordiamo che, per esempio, nella maggior parte dei Pantrocratori che vedremo in mano al Pantocratore c'è il libro quadrato che è il racconto dell'epifania, la manifestazione del mistero all'uomo. Iconograficamente ho fatto una scelta: ho preso i crocifissi medievali. Perché questa scelta? Perché sono convinto che la iettatura più grossa che possa essere capitata alla Chiesa occidentale (particolarmente sensibile nella Chiesa italiana perché più di ogni altra Chiesa europea legata con l'Oriente) sia stato lo scisma della Chiesa d'Oriente. Questa separazione non è stata subito percepibile perché l'Italia era in quel momento in una fase di grossa sintesi culturale, animata soprattutto dalla esegesi monastica, ma progressivamente si comincia a sentire la perdita di questo contatto con la Chiesa orientale che più a lungo e in maniera più intensa avrebbe conservato il patrimonio simbolico. Questo è vero particolarmente per la Chiesa italiana. Hanno poi influito altri elementi: il trionfo della scolastica, per esempio, l'affermarsi del nominalismo, oppure certo taglio prevalentemente intellettuale dato alla iconografia dalla riforma cistercense: questo rese il processo della perdita del simbolo più accelerato Oltralpe. Il nostro excursus iconografico partirà da Ravenna: il romanico italiano differisce dal romanico d'oltralpe proprio perché sul romanico italiano i modelli ravennati hanno continuato ad esercitare un influsso determinante, (basterebbe guardare tutto il romanico emiliano-romagnolo o quello marchigiano). Questo avrebbe reso il romanico italiano molto più austero, meno decorativo di quanto non sia il romanico francese o il romanico spagnolo che sono molto più ricchi, sontuosi di quanto non sia il romanico italiano. Prendiamo come centro della nostra indagine sui crocifissi del secolo XII (non crocifissi di autori famosi, perché il discorso diventi più chiaro). Alla fine del XII secolo circa l'immagine del crocifisso è simbolo del mistero della salvezza e quindi oggetto di contemplazione trasformante. Questa è una cosa importante perché con la riforma francescana successiva, il crocifisso sarebbe diventato prevalentemente un oggetto tendente a suscitare la pietà personale, la devozione personale, a stimolare certe emozioni nel cuore dell'uomo. Invece il crocifisso fino al XII secolo (crocifisso che risente dell'iconografia orientale) è la celebrazione di un mistero, contemplando il quale l'uomo viene trasformato in ciò che contempla. E a questo punto è inevitabile che noi colleghiamo ancora il 1 capitolo della Lettera ai Colossesi in cui è detto: "Cristo è l'immagine del Dio invisibile", col I capitolo della Genesi in cui dell'uomo si dice "Facciamo l'uomo a nostra immagine e secondo la nostra somiglianza", vale a dire che ciò che l'uomo è fatto per essere, è Cristo. Contemplando quel mistero l'uomo ritrova se stesso e viene trasformato in ciò che è la sua vocazione da sempre, in ciò che è il senso della sua presenza da sempre. In un periodo successivo la iconografia dei crocifisso diventa progressivamente cronaca di una morte in cui il crocifisso possiede la propria sofferenza. E questo è il preludio al successivo anche se suggestivo, decadente, sentimentale pietistico, assurdo contemporaneo, ateo, dell'identificazione del senso della croce in ogni uomo che soffre, drogato, emarginato, ecc., dimenticando che la croce è ciò che è per la ubbidienza del Figlio al Padre, non perché semplicemente è sofferenza e morte. "Divenne obbediente, per questo Dio lo ha esaltato": non dimentichiamo che nella teologia giovannea il momento della massima gloria del Cristo è la sua crocifissione perché nell'ubbidienza il Cristo manifesta di essere Figlio. Quindi il crinale e la discriminante è proprio l'ubbidienza: questo è un punto irrinunciabile. Perché si assommano i simboli attorno alla croce? Perché la crocifissione è il momento salvifico per eccellenza. Il Cristo è in sé il simbolo per antonomasia e per ontologia, cioè egli è per la sua stessa natura Dio in un uomo (il simbolo è ciò che non ha in sé un significato completo se non viene completato da altro, se non viene integrato). Il Cristo è ontologicamente simbolo: chi vede me, cioè chi vede la mia carne, chi vede questa mia umanità, vede il Padre, cioè il significato di questa mia carne, di ciò che io sono è il Padre. Perché nella croce del Cristo e per la croce del Cristo l'uomo viene ripristinato nella sua ontologia simbolica, tale per cui l'uomo è nel cosmo la presenza di Dio? (facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza). Proprio perché è simbolo di quella presenza l'uomo ha attributi divini, cioè è nelle creature, fra le creature, il simbolo della presenza divina. Direi che in questi testi abbiamo un centro, il Cristo, e nel Cristo l'uomo, che è il punto di contatto fra l'inconsapevole, il cosmo, la creatura bruta, l'universo, la non-coscienza, dall'albore della coscienza che è l'uomo alla totalità della coscienza filiale di dipendenza che è il Cristo. Per questo in quella icona converge l'universo simbolico fondamentale, sia biblico che più generalmente patrimonio di pressoché tutte le culture e le espressività religiose anche antecedenti. Sul recupero da parte della iconografia cristiana, dei simboli desunti anche da altre religioni, credo sia necessario precisare una cosa: al di là dell'atteggiamento ideologico che spesso la comunità cristiana anche contemporanea ha assunto (atteggiamento ideologico che rende discutibile addirittura certi approcci ecumenici, che rischiano di essere più che ecumenici pacifisti o livellanti in valori comuni) è importante tenere presente che la coscienza cristiana è coscienza di chi sa che comunque nell'uomo esiste una nostalgia dell'assoluto, una nostalgia del senso totale dell'esistenza, per cui diventa normale la assunzione dei segni di questa nostalgia, di questo desiderio, nell'espressività cristiana. Voi capite che in questi termini parlar di ecumenismo diventa una cosa, se mi permettete, più seria che non la ricerca di un accordo così generico e pieno di buona volontà. Si tratta veramente di leggere la nostalgia dell'unicità del mistero, dell'unicità del senso dell'uomo dovunque questa emerga, nei miti, nelle simbologie, nei rituali. E se la Chiesa primitiva ebbe il problema di distaccarsi dalla sinagoga e quindi per porsi si oppose a ciò che la precedeva, questo atteggiamento cessa di essere vero per i secoli successivi che si presentano molto più accoglienti e molto più sintetici delle culture circostanti.