L’arte della composizione floreale: l’ikebana

Lunedì 19, ore 18.30

Relatori: Hiroko Saito
Shodo Habukawa

Habukawa: Circa nove anni fa è venuto don Giussani in Giappone, a Koya, per fare un incontro: in questa occasione siamo diventati molto amici. Don Giussani è stato molto aperto come cuore, perché diceva che l’importante è essere sempre aperti a qualsiasi religione: così possiamo essere più umani. Questo è stato molto utile perché anche noi abbiamo imparato da lui. È venuto al Monte Koya per dialogare con il Buddhismo shunnumito, ed ha anche imparato qualcosa dal nostro fondatore.

Quando è arrivato don Giussani, io gli ho detto: "Quando la farfalla arriva, si apre il fiore, quando si apre il fiore, la farfalla viene". C’è questo Dio, o divinità, che sempre organizza tutto: se noi siamo aperti, il nostro cuore può capire tutto quello che riceviamo dal mistero; invece se uno è chiuso non può capire.

Il nostro fondatore Kobo-Daishi ha detto, 1200 anni fa: "Noi sappiamo che quando parlano gli alberi, quando parlano i fiori, possiamo capire che cosa dicono, noi sappiamo questo, noi lo sentiamo". San Francesco d’Assisi, che dialogava con gli uccelli, ha detto la stessa cosa. Per cui quando noi spalanchiamo gli occhi per qualcosa che non sappiamo, magari una cosa un po’ strana, possiamo sentire che è il mistero o la divinità, che sempre ci aiutano.

Oggi quel qualcosa è l’ikebana, cioè l’arrangiamento dei fiori. Se uno apre il proprio cuore, può sentire cosa vuol dire questo fiore per il cuore, e nello stesso tempo capire che cosa è il cuore stesso.

Saito: Prima di tutto farò un accenno storico. In Giappone, quando è arrivato il Buddhismo attraverso la Cina, è iniziata anche l’usanza di offrire fiori a Buddha. A quell’epoca, i monaci hanno fatto crescere i fiori e poi li hanno tagliati e offerti a Buddha, insieme con candele, incenso e cibo. Quindi all’inizio era proprio un’offerta alla divinità, come si fa con una persona che si visita. Circa 300 anni fa i monaci hanno inventato un metodo per la composizione di questi fiori; così, man mano il popolo ha cominciato ad accettare l’ikebana, cioè la composizione dei fiori.

All’ikebana è riservata una stanza particolare, "tokpnoma", il luogo più sacro e più importante, in cui vengono ospiti, amici ed invitati. Ai popoli del Giappone queste composizioni sono diventate familiari, perché nella semplicità della figura composta esiste la bellezza. L’ikebana ha un altro nome, "kado" che significa "strada dei fiori". In Giappone ci sono tantissime culture, che nel loro linguaggio hanno in comune l’uso del "do", per cui ad esempio "schiodo" vuol dire "calligrafia giapponese", "sado" vuol dire "cerimonia del te", "kendo" vuol dire "arte marziale", "kiudo" vuol dire "tiro con l’arco", "judo" un’altro tipo di arte marziale... sono moltissimi i do, cioè le strade. Coloro che esercitano questa attività fanno un esercizio molto severo, perché è il metodo per approfondire la propria persona e verificare la strada. Per cui, guardando una ikebana possiamo capire le caratteristiche di chi l’ha fatto, ad esempio la sua religiosità, o il suo carattere, o il valore che egli dà alla vita... possiamo immaginare e capire tutto. Per fare una buona composizione, si deve avere il cuore puro e bello.

Ci sono circa 100 scuole di ikebana in Giappone, tutte di tipo diverso, con qualche punto in comune, come gli attrezzi utilizzati. Il vaso usato può essere grande o piccolo, l’importante è che non sia molto particolare dal punto di vista del colore e della forma, e che sia armonizzato con la forma dei fiori e con l’ambiente. Il "kenza" è invece il luogo nel quale vengono appoggiati i fiori. Le forbici sono particolari, si possono usare per fiori o per alberi. Una cosa fondamentale è usare molta acqua, altrimenti i fiori muoiono; un contenitore con dell’acqua fresca dove mettere i fiori che si tagliamo, serve a farli durare più a lungo.

Ora introduciamo il modo di descrivere l’universo della nostra cultura. Il punto più alto si chiama "ten", cielo; il punto più basso si chiama "ci", terra. In mezzo ai due punti, fra cielo e terra, c’è "gi", noi uomini. Ten non si può muovere, il cielo non si muove, rimane immobile. Ci, che è la terra, sta sotto. Noi che riceviamo grazia dal cielo e dalla terra possiamo muoverci, perché siamo liberi. Noi andiamo sempre verso la luce, e la guardiamo. Ecco allora il nesso con l’ikebana: anche i fiori devono essere messi in condizione di cercare sempre la luce, come noi. I tre punti, ten, gi, ci, sono armonizzati nell’universo, e ogni punto ha la sua importanza. Noi dobbiamo guardare tutto, anche se apparentemente alcune cose ci sembrano meno importanti.

Chiariamo ora cos’è l’armonia. I tre elementi, ten, gi, ci, sono uniti nell’universo, e ogni elemento si armonizza con l’altro. Per realizzare questa armonia nell’ikebana, utilizziamo il fiore "velo di sposa", ed anche il verde.

Per quanto invece riguarda la bellezza, in Giappone è usanza cercarla in ciò che apparentemente non si vede, perché dove non si può vedere sempre esiste il mistero. L’uso dei fiori rosa e rosso vivace, è molto frequente in Italia, invece nella composizione giapponese si usano poco, e si mettono in posizione molto bassa e nascosta. Amiamo questa posizione perché è mistero, cioè verità; se esiste una cosa bella e noi ne vediamo solo la metà, desideriamo vedere quella nascosta, perché il nostro desiderio è quello di conoscere il mistero.

Un altro punto importante è il rispetto della vita. La natura è mistero e noi ne facciamo parte anche se siamo piccoli di fronte ad essa. Per questo nell’ikebana, tagliati i fiori, occorre ridar loro la vitalità originale, cambiare spesso l’acqua, e, per evitare che si sporchi, aggiungervi un goccio di candeggina.

Vorrei infine esortare a parlare con i fiori con grande amore, perché noi siamo importanti, ma anche i fiori lo sono.