Sabato 27 agosto

"1973 - 1983: IL CASO CILE"

Partecipano:

Carlos Martinez,

Docente all'Università di Santiago;

Miguel Salazar,

Presidente dei Giovani Democristiani Cileni;

Aguajo Bolivar,

Vicepresidente della Democrazia Cristiana Cilena.

Moderatore:

Prof. Rocco Buttiglione.

R. Buttiglione:

Il nostro Meeting ha una lunga tradizione di amicizia, di ascolto, di compagnia con le realtà dell'America; America Latina in ognuno dei nostri Meeting vi è stato uno o più incontri attraverso i quali questa compagnia è continuata. L'incontro del Meeting è sempre stato anche un incontro con l'America Latina; per questo vi sono molti motivi, non ultimo il fatto che con impressionante continuità la massima autorità della Chiesa mondiale, il Papato, da Paolo VI a Giovanni Paolo II, continua a indicare nell'America Latina il continente della speranza. Certamente la lotta per i diritti dell’uomo, la lotta per un volto umano del potere, la lotta per costruire una società la quale riesca a garantire il progresso insieme cori la giustizia, aiutando l'uomo ad avere il pane ma non a perdere, al tempo stesso, la sua dignità è la lotta che ha nell'America Latina un particolare banco di prova. Esso all'interno dell'America Latina, è poi localizzato con particolare forza in alcuni luoghi nei quali la lotta è più difficile, è più dura, in cui il tributo di sangue pagato è stato più pesante, in cui l'attacco dell'ideologia è stato più terribile; attacco dell'ideologia che anche noi in Europa abbiamo subìto, la quale ha pensato di risolvere il problema dell'America Latina semplicemente con un'analisi di classe, un'analisi delle relazioni oggettive che spiegasse agli oppressi che devono ribellarsi, ma incapace di mobilitare nel cuore quella giusta immagine dell'uomo. Questa sola può dare alla ribellione il volto di ciò che bisogna costruire, può impedire che la ribellione contro il male non divenga ultimamente sostituzione di un altro potere al potere di prima, all'interno dell'identico disprezzo per l’uomo. Abbiamo con noi oggi tre testimoni di questa lotta in uno dei luoghi in cui essa è più cruciale, in Cile. Abbiamo con noi Carlos Martinez, un intellettuale cileno giovane ma molto importante, che tra l'altro è il segretario di direzione di una delle più importanti riviste teologiche del mondo nella sua sezione cilena, cioè Communio. Vi è poi, insieme con Carlos Martinez, Aguajo Bolivar, che è vicepresidente della Democrazia Cristiana cilena; poi abbiamo Miguel Salazar, che è presidente dei giovani democratico-cristiani cileni. Non possiamo cominciare questo incontro senza rivolgere un pensiero particolare ad un grande uomo recentemente scomparso, che ci ha accompagnati con la sua amicizia nella vicenda di questo Meeting, quasi fin dalle origini: Edoardo Frei. Don Edoardo Frei, come lo chiamano in Cile ci ha incontrato nei primi anni in cui il Meeting cominciava ad esistere; è stato per noi un grande amico ed io ho imparato molto dalla sua amicizia; credo che il ripensamento che egli ha fatto, profondamente, della vicenda cilena della storia cilena, degli errori anche della DC in Cile, il modo in cui egli ha saputo incontrare la nuova proposta di umanesimo cristiano lanciata da Giovanni Paolo II, il modo come egli ha saputo trasfonderla nel proprio impegno politico, anche soprattutto in un prezioso libretto, "Il messaggio umanista", credo che tutto questo sia alla radice di molte cose nuove che oggi accadono in Cile. Senza questo incontro tra la tradizione cattolica cilena e Giovanni Paolo II, di cui Frei è stato per certi aspetti il grande mediatore negli ultimi anni della sua vita, senza questo, in Cile molte cose oggi, credo, sarebbero diverse. E questo grande movimento che rivendica la libertà e la dignità senza odio, o tenta almeno, fin quando i poteri di questo mondo glielo permettono, di rivendicare libertà e dignità senza odio, questo grande movimento non sarebbe sorto, o forse sarebbe diverso. Ma ascoltiamo adesso quello che ha da dirci Carlos Martinez, che farà un'introduzione sulla situazione culturale generale in cui si trova oggi il Cile.

C. Martinez:

Il Cile, Paese in grande maggioranza cattolico e con una lunga tradizione di storia democratica, ha posto in questi ultimi tredici anni sfide enormi alla Chiesa e generato anche in essa delle crisi ancora non chiare nella sua totalità. La storia del Cile si confonde con la storia della evangelizzazione del popolo cileno, la fede in Cristo Redentore dell'uomo segna fin dall'origine l'anima popolare del nostro popolo; è per questo che ogni crisi che colpisce la cultura cilena colpisce anche la sua anima, la coscienza cattolica di questo popolo. Ciò ha significato che la Chiesa doveva trasformarsi nella coscienza critica di questo popolo, denunciando tutto ciò che costituisse una negazione di questo segno. La crisi della cultura cilena risale, in una prospettiva ecclesiale, agli anni '30, con l'ascesa al potere dei gruppi laici e liberali; a partire da questo momento la Chiesa vive una crisi di identità, vedendosi incapace di dare risposte adeguate al momenti che il Cile e il mondo intero, attraversano, perdendo forza, specialmente nel campo sindacale, sui problemi di quel tempo. Sarà una generazione di giovani che in quel momento cercherà vie nuove per affrontare nuove sfide, giovani che, ispirati dalla dottrina sociale della Chiesa, cercavano una società più giusta. Essi pretendevano di formare una sindacalismo con una visione cristiana in un terreno che cominciava ad essere dominato dal Partito Comunista, soprattutto nello sforzo di riscattare l'identità cristiana del proprio popolo. Di questa generazione posso nominare alcuni nomi certamente noti fra di voi: Eduardo Frei, Bernardo Leito e la maggior parte della gerarchia episcopale cilena. Negli anni '60 questa generazione si era consolidata e aveva formato importanti élite sindacali, politiche e culturali, che cercavano di rivedere i loro ideali nella società, in modo speciale cercavano di chiarire il da farsi politico. Hanno militato in diversi partiti soprattutto la Democrazia Cristiana, che giunge al potere nell'anno 1964. Questi gruppi poi vivranno una crisi intensa, forte, grave, nel periodo della presidenza Kennedy, durante la rivoluzione cubana e la rivoluzione di maggio; è anche l'epoca in cui tornano in Cile importanti settori del clero e degli intellettuali cattolici dalle università europee, affascinati dal dialogo cristiano-marxista, dal neomarxismo e dal marxismo-leninismo generale. Vedono nel marxismo, nella lotta di classe, la spiegazione scientifica della società e la forma del modo di agire efficacemente in essa. Nel campo ecclesiale questo si tradurrà nella teologia della liberazione e nel movimento dei cristiani per il socialismo, mentre nel campo politico, nei partiti cristiani marxisti. Così la Chiesa, la Democrazia Cristiana, perderanno importanti quadri, affascinati da questa nuova scoperta. La frase di Raymond Aron: "Il marxismo oppio degli intellettuali" si può applicare in questo caso perfettamente. Con l’ascesa al potere di Allende, appoggiato da questi settori, ha inizio la crisi definitiva dell'anima nazionale e la morte della democrazia cilena. Allende si impegnò a rispettare la Costituzione e le leggi democratiche, impegno che però non fu rispettato, precipitando il Paese in una grave crisi economica e sociale, nella quale la violenza e il terrorismo si fecero parte della vita nazionale. La Chiesa cilena avvertì fin dall'inizio i pericoli che significavano per l'anima nazionale un modello di società marxista-leninista che considerava la democrazia uno strumento, un modo per giungere all'instaurazione della dittatura del proletariato. La Chiesa rivendicò la pace, il disarmo dello spirito, il dialogo, il rispetto dei diritti umani e della democrazia. L'anima nazionale, benché malata, reagì positivamente contro il marxismo, forse troppo tardi, perché la democrazia, messa in crisi dai pericoli di una società marxista-leninista, fosse in grado di ristabilirsi da sola. Questo portò come conseguenza il governo militare che dura sino ad oggi, che ha significato gravi torti al diritti umani come l'interdizione della democrazia e la negazione del diritto a dissentire. Questa situazione che oggi comincia appena ad essere superata, si scontrò pure con l'anima nazionale. Dipenderà certo in gran parte dalla buona volontà e dalla disposizione dei governanti e dei governati. In questi duri anni la Chiesa ha dovuto svolgere un duro compito: la proposta e la difesa della dignità umana, la promozione dell'uomo e della sua dignità, rivelata dal Redentore Gesù Cristo; si è riscoperto in Cile, ogni volta con maggior chiarezza, il volto di Dio in ogni uomo, in ogni cileno. La coscienza della dignità ha portato la Chiesa ad assumere molti compiti di denuncia e di promozione dell'uomo motivati dal messaggio evangelico; è stata rifugio dei perseguitati, protettrice dei deboli, coscienza dei potenti (coscienza critica ovviamente) e anche dei meno abbienti. Purtroppo, molte di queste stupende iniziative sono state deformate quando, dimenticando il messaggio evangelico, la Chiesa si pone al servizio di progetti sociali e politici, in cui la concezione della persona umana si scontra con quella della nostra fede e dell'anima nazionale. Questo è il momento dell'America Latina, questo può essere il grande continente cattolico del futuro; è anche l'ora del Cile, del ruolo che oggi possono assumere i cristiani e da ciò dipenderà il futuro del Cile. Per questo mi azzardo a proporre gli aspetti negativi e positivi che scaturiscono da questa esperienza di 13 anni. Primo, la riscoperta dell’entità cattolica del popolo latino-americano e cileno, la coscienza di una radice, i cui valori sono i valori della fede; la relazione con Dio e con l’uomo è un dato che nasce dal cuore e dalla intuizione del popolo cattolico e che diviene parte del discorso e della prassi, della fede di questo popolo. Penso che sarà molto difficile per la coscienza cristiana del Cile che la storia si ripeta, che i dolorosi avvenimenti vissuti dal nostro popolo possano ancora venire tollerati. Secondo aspetto positivo: l’inserimento della Chiesa nella storia concreta di un popolo. Mai la Chiesa cilena ha visto una partecipazione così attiva agli avvenimenti nazionali: è divenuta uno degli attori principali della vita sociale del Paese. La promozione e la difesa dell'uomo durante 13 anni, durante due governi di segno diverso, hanno collocato la Chiesa molto vicino alla speranza del popolo che soffre. Terzo aspetto positivo: opzione per l'uomo. Questa rivalutazione, questo inserimento sorge da una proposta concreta: l'uomo e la sua dignità, l'uomo come chiave e centro della cultura nazionale. Niente sarà legittimo per la coscienza del popolo cileno se si impedisce che l'uomo sia più uomo. Quarto aspetto positivo: opzione per i più diseredati e come diceva Giovanni Paolo II a Puebla: l'opzione preferenziale per i poveri, a favore di coloro che soffrono e che non dispongono di nulla. Alcuni aspetti negativi possono derivare da questa esperienza: confusione fra religioso e politico. Questo fare pastorale non è sempre chiaro e bene inteso, si scontra con determinate tentazioni; la prima è quella di ridurre la fede del cristiano esclusivamente alla promozione dei diritti umani, a detrimento di altre attività pastorali così importanti come la dignità dell'uomo. La seconda è dare all'attività pastorale una connotazione politica; si corre il rischio, e di fatto cosi è stato, di trasformare la Chiesa in un partito politico di opposizione. Nasce così una proposta che vede solo un modello politico contrapposto a un altro: questo ci può condurre a un integralismo politico-ecclesiale pericoloso. Secondo aspetto negativo: ideologizzazione della fede. Questo riduzionismo è stato normalmente il prodotto, la conseguenza del porre la fede al servizio dell'ideologia e concretamente, del marxismo. Può essere anche di altre ideologie: comunque si strumentalizza e si ideologizza la fede, ne scaturisce un integralismo di sinistra, così pericoloso e pieno di errori come quello di destra. Speriamo che l'esperienza del Nicaragua serva da lezione. Terzo aspetto negativo: questa ideologizzazione ha condotto parte del clero, che ancora non è chiaramente definito, a porre in questione il ruolo pacificatore della Chiesa, una Chiesa al servizio dei poveri, promuovendo un'altra Chiesa, che nasce dalle comunità popolari e dalla lotta rivoluzionaria. La chiamano un ecclesiogenesi, la nascita di una Chiesa popolare; il suo schema obbedisce più all'analisi marxista che a quello della fratellanza cristiana. Concretamente, oggi in Cile alcuni di questi settori pongono come possibile la resistenza violenta e se non la promuovono apertamente è soltanto perché non la considerano possibile storicamente nella situazione data. Da quest'esperienza vissuta dalla Chiesa cilena nascono grandi speranze. L'identità cattolica ne uscirà rafforzata e consentirà di cercare strade nuove, più giuste e coerenti con la nostra origine culturale, che si nutre alla fonte della fede, del rispetto dovuto al uomo; il dialogo, il consenso, la pace appaiono come l'unica via possibile, via per tutti, governanti e governati. Sotto l'ispirazione comune dei nostri pastori speriamo di ricostruire una comunità di fratelli, figli di uno stesso unico Padre e di una stessa Madre. Nascono anche grandi sfide: costruire una vera democrazia, solida, capace di difendersi da coloro vogliono attentare contro di essa; sradicare il pericolo della violenza e della guerra civile. E questa è un sfida per tutti: creare nuove vie politiche alla luce della fede, del magistero della Chiesa, specialmente del magistero di questo grande Papa, che si è mostrato cosi preoccupato per il nostro Paese. Una grande sfida è superare gli estremi. I nuovi partiti politici del Cile di oggi e specialmente la Democrazia Cristiana si trovano davanti questa sfida, quella di cercare il centro: il Cile è stanco degli estremi. Alla Democrazia Cristiana spetta, secondo me, il compito di rinnovarsi nella sua identità cristiana. All'umanesimo cristiano spetta l'approfondimento del pensiero di Giovanni Paolo II, e la sua definizione in contrasto col marxismo. Gran parte del modo in cui si svolgerà il futuro politico del Cile dipenderà da questa affermazione e da questa definizione, innanzi a una ideologia che in certi momenti ha dato scacco ad almeno un settore di questo partito. La ricerca di una nuova strada, non una terza via, come molti di coloro che si ispirano al magistero della Chiesa non vogliono, questa la grande sfida. Non c'è una terza via, quando si procede fra due precipizi, marxismo o liberalismo che sia necessario un cammino in cui si privilegi l'uomo, in cui l'etica sia al primo posto e mai condizionata. Molte volte si è voluto stabilire un parallelo fra la situazione polacca e quella cilena. Non sono io colui che meglio può svolgere questo confronto. Credo che sia interessante tener presente due caratteristiche: 1) non tutti quelli che lottano per la libertà e la democrazia in Cile si nutrono di una identità e di una fede comune; 2) coloro che governano oggi in Cile, a differenza di coloro che governano in Polonia, non possiedono una visione generale, una cosmovisione totalitaria e assoluta e neppure hanno pretese messianiche e utopistiche come le ha il marxismo. I regimi autoritari dell'America Latina e concretamente quello cileno, sono soliti tenere un’autocoscienza dell'emergenza, più oltre del giudizio del suo esercizio, dei suoi metodi e della sua durata; costituiscono una via per il sistema democratico, speriamo, piaccia o no ad essi. In Polonia pensano già di trovarsi in una nuova democrazia: ciò è discutibile. In Cile questa è una speranza, è una via, è una possibilità. Occorrerà vedere. Da ultimo, credo che il vecchio mondo conosca la nostra storia e la nostra identità: non si potrebbe spiegare in altro modo la costante preoccupazione dimostrataci. Sono certo che esistono molti Paesi in cui le violazioni dei diritti umani in questi 13 anni sono state maggiori che in Cile, ma conoscendo la storia del Cile, la sua identità, diventa intollerabile una sola violazione, una sola offesa. Giovanni Paolo II ci ha detto: "Mai, per nessuna ragione, si giustificherà la negazione di un diritto a una persona". Credo che la solidarietà di tutti voi che mi avete onorato ascoltandomi sia l'espressione della conoscenza della preoccupazione che voi avete; come cileno non posso fare altro che ringraziarvi di sentirmi impegnato insieme a voi e di ringraziarvi per il rispetto, per la libertà che avremo noi, i cileni, di cercare la nostra propria strada.

R. Buttiglione:

Carlos ci ha detto cose molto belle, e in parte anche molto difficili, su cui bisognerà meditare. Tutti noi siamo troppo abituati a pensare la storia, la storia contemporanea, quella che accade sotto i nostri occhi, come storia di partiti, come storia di lotte economiche, di lotte sociali, e poco abituati a pensare alla storia come storia dell'anima dei popoli, come storia di quel corpo di Cristo che vive dentro l'anima di una nazione, a pensare la storia a partire dalla fede che ne è l'anima più segreta. E proprio per questo, le immagini che si hanno in genere del Cile o dell'America Latina sono superficiali. Ascoltiamo adesso Miguel Salazar.

M. Salazar:

Cari amici le mie prime parole vogliono essere di scuse perché non posso esprimermi in italiano. Il fatto di vivere insieme in questo Meeting di Rimini, riflettere sul destino dell'uomo, fa crescere e alimenta in noi la speranza di un ulteriore contributo diretto ad arginare la crisi dell’umanità e una sua possibile soluzione. Il Meeting di Rimini, vivace e rigoroso, fa trasparire una profonda passione per l'uomo. Sinceramente penso che sia un apporto concreto e valido affinché la dignità dell'uomo non sia più considerata un oggetto di consumo. La passione per l'uomo, la sua dignità, il cammino che egli stesso deve individuare per raggiungere il proprio destino - che non è solamente suo – mi colloca in questo momento, mi trasporta da questa esperienza unica ad un angolo molto lontano del mondo: il mio paese. Come vorrei che la gioventù cilena conoscesse, vivesse l'esuberanza della "Proposta", la grande proposta che qui si riafferma vigorosamente; ogni uomo ha tra le mani la possibilità di creare un'esistenza degna, un cammino di riconciliazione, che permetta ad ognuno di scoprire la propria identità. Nel mio paese anni di sofferenza, di fatto, non hanno cancellato la volontà dei costruttori della libertà; anni di crisi economica, politica, morale e di distruzione progressiva della cultura popolare, non hanno potuto sradicare nella gioventù cilena la passione per costruire un destino comune. È viva la fede cristiana che ci dà forza per guardare avanti. Mentre esprimo la mia gratitudine agli organizzatori, direi "costruttori" di questo Meeting, che hanno permesso di accostarci a questo grande insegnamento "come amare più profondamente la nostra umanità e renderla più umana", mi sia consentito oggi di parlarvi del dramma cileno. Lo farò con franchezza, con tutta l'oggettività richiede la verità. Il Cile è stato, fino agli anni sessanta una repubblica con solide istituzioni che si erano andate consolidando al riparo della stabilità che, almeno apparentemente, dava la rituale marginalizzazione di ampi settori sociali dal protagonismo della conduzione politica. Le decisioni politiche si concentrano in mano ad élite che si servono della partecipazione popolare con l'unico scopo di ottenere voti, per mantenere vigenti i principi della democrazia. Sorge quindi la proposta di un nuovo stile che promuova la piena partecipazione ai diritti e doveri della comunità, il Cile sente parlare, per la prima volta, di promozione popolare e di rivoluzione nella libertà. La D.C. con Eduardo Frei arrivava al potere permanente, decisa ad iniziare una nuova era di profonde trasformazioni sociali che avrebbero permesso la totale incorporazione di tutti gli strati allo sviluppo del Paese. I lavoratori, i contadini, i giovani non sarebbero stati solamente un potenziale voto desiderabile in tempo di elezioni; avrebbero avuto conferma della propria individuale ed inalienabile dignità. I risultati di questo risveglio della patria giovane sono più conosciuti dal mondo. Era necessario promuovere l'evoluzione di tutti questi processi di trasformazione con una profonda conoscenza per le caratteristiche proprie del nostro popolo. Solo concretizzando il risveglio sociale che stimolava una coscienza individuale e collettiva dello spazio che spettava ad ogni cileno, senza eccezioni, nell'uso e godimento della prodigalità e generosità che offre la nazione, era possibile evitare che la stessa dinamica di queste trasformazioni producesse traumi e lacerazioni nel corpo sociale, che necessariamente avrebbero scatenato la reazione, oltre che violentare l'esigenza libertaria e pacifista della nostra idiosincrasia. Purtroppo non la intesero così coloro che successero legittimamente alla D.C. nella guida politica e sociale del Paese. La diversità di criteri che convivevano nel seno della UP, circa l’affronto dell'opera iniziata dal regime precedente, portò i suoi dirigenti ad essere repressi e scavalcati da tendenze più radicali che stavano imprimendo ad processo già aperto un ritmo che il popolo non era capace di assimilare. Molti elementi estranei alla nostra identità nazionale popolavano le proposte più estremistiche, che tuttavia riuscirono infine ad imporsi. Queste finirono per generare il rifiuto nel tessuto sociale che, in gran parte, era nuovo e molto sensibile riguardo al proprio diritto alla libertà di partecipazione. I timori che molti di noi tenevano dentro e che al momento opportuno mostrammo, si andavano compiendo, finché inesorabilmente ci vedemmo posti innanzi alla rottura della convivenza cittadina, imprigionati nel dramma reso evidente da una reazione emergente, un popolo sconcertato e l'intransigenza di coloro che non possono concepire l'evoluzione sociale slegata dalla violenza e dallo scontro. I canali della democrazia furono pian piano messi da parte dall'uno e dall'altro estremo dello spettro politico, finché l'intervento militare del settembre '73 chiuse l'ultimo atto della rivoluzione sociale cilena. Il governo militare si presenta, di fronte al Paese, come restauratore dell'istituzionalità frantumata e con il proposito di riscattare i valori nazionali andati perduti, insistendo particolarmente sul fatto che il popolo cileno non aveva nulla da temere dalle conquiste e dai progressi ottenuti nel corso della sua evoluzione sociale. Nonostante l'ampio appoggio che questa proposta incontrò in alcuni settori, fummo in molti a manifestare la convinzione che, per gravi che possano essere le fratture circostanziali del meccanismo democratico, la loro soluzione non può mai passare attraverso la completa e incondizionata consegna del potere a chi lo vuole al di fuori del controllo cittadino. E il nostro non fu un vano timore. Lo dicemmo dopo dieci amari anni in cui nessuna delle giustificazioni date dalle forze armate, per impadronirsi completamente della guida politica, è stata mantenuta nel Cile di quest'ultimo decennio. L'avversario finì per diventare un nemico ed i nemici secondo la logica di alcuni militari li si elimina. Pensare diversamente dai criteri preconcetti ufficiali è sospetto e se lo sviluppo di questo pensiero porta a dissentire si commette delitto contro la Patria; la tortura, l'esilio, e perfino l'uccisione di molti dimostrano come gli uomini armati quando non riescono ad intervenire con la forza, poiché non potrebbero mediante la ragione, ripagano la coscienza libertaria di chi sa che la propria dignità è determinata dalla sua origine e dal suo destino trascendente. Ma anche se stata la più grave, non è stata questa l'unica umiliazione che ha dovuto subire il popolo cileno. Il Governo militare trova nella Destra, un tempo potente, privilegiata e dominante, il suo alleato naturale. Quella Destra che, con l'aumento della piena partecipazione popolare, vedeva proporzionalmente sminuire la sua egemonia, si presta ad offrire alle E.F A.A. i contenuti ed il vigore politico che a questa mancava per ottenere in cambio dal regime l'instaurazione di un sistema economico monetarista che gli assicurasse l'espansione senza limiti delle sue attività, e la sicurezza che lo Stato non sarebbe intervenuto nei processi produttivi, salvo in forma sussidiaria, cioè solo in quelle aree dove il capitale privato non avrebbe avuto interesse ad intervenire. I criteri sociali vengono a mancare nella formulazione e valutazione dei progetti di sviluppo: non si riconosce altro sviluppo che l'incremento degli interessi del capitale, ogni volta più accentrato grazie ad una legislazione permissiva. Ma la voracità della Destra non si ferma qui: elaborano un piano lavorativo destinato ad annientare tutto ciò che fino ad allora era stato ottenuto in tema di diritti del lavoro e a produrre inoltre la scissione delle organizzazioni sindacali. Lo Stato non protegge il lavoratore ma super protegge il capitale. Il costo sociale monetarista copiato dalle teorie di Friedman, comincia a mostrare le sue tragiche conseguenze. Circa 1.200.000 di persone si trovano senza un impiego stabile in una nazione cui la forza lavoro non arriva a 4 milioni di lavoratori; di queste, 400.000 persone soffrono la quotidiana umiliazione di lavorare nella categoria più bassa per 25 $ al mese. La libera concorrenza che arrivò ad un'apertura suicida dei mercati esteri, senza avere nessuna considerazione verso l'industria nazionale, fa si che l'indice di produzione industriale pro-capite sia ritornato a livelli che il Paese aveva raggiunto diciotto anni fa. Oggigiorno il numero di stabilimenti industriali è del 15%, in meno rispetto a quello di quindici anni addietro. La produzione industriale totale del Paese raggiunge appena i livelli del 1966. Quest'anno il Paese sta importando due terzi del suo fabbisogno di grano; il 90% di olio, metà del mais e più del 40% del suo fabbisogno di zucchero. L'economia cilena è distrutta e oggi il popolo soffre la fame. Oggi il Cile ha un debito esterno pro-capite che è il più alto al mondo. Quanto poco è stato considerato l'uomo da coloro che sanno pensare soltanto in termini di interessi benefici! Quanto poco è stato considerato da coloro che pretendono di conservare i privilegi del potere, passando sopra la sua integrità, la sua libertà e perfino la sua sopravvivenza! Tutta l'impostazione di questo sistema può spiegarsi soltanto come un assoluto disprezzo per la persona, cosa che è incompatibile con le proposizioni etiche accettate dal mondo civile. Disprezzando l'uomo si è attentato contro l'essenza della società e non può sorprendere quindi che una profonda crisi morale si estenda e debiliti le basi di ciò che stato la nostra convivenza comunitaria. Ma ben sappiamo che il momento più oscuro della notte è quello che precede l'alba, e vediamo pieni di speranza come cominciano a delinearsi nel nostro futuro immediato i segni del risveglio di un popolo degno e sovrano che trova nel suo passato la forza di proiettarsi verso il domani libero dalla dominazione disumana a cui lo ha sottoposto la forza con l'ambizione. Così sono sorte le proteste nazionali in cui un popolo senza altre armi che il convincimento della propria ragione si è scontrato con coloro che non solo dispongono delle armi, ma che le usano con la vana pretesa di far tacere un clamore che è ormai inestinguibile perché, anche se la repressione riuscisse a zittire la nostra voce accecando le nostre vite, figli e figli dei nostri figli continuerebbero a gridare per il loro diritto ad essere persone e per la libertà di realizzarlo. Queste manifestazioni di protesta, nonostante i tentativi violenti dell'estrema sinistra e del partito comunista cileno, abbiamo voluto incanalarle nell'unica via che ci sembra accettabile, la via pacifica. Essi si sono espresse a suon di pentole, oggi vuote in molte famiglie cilene, costituendosi così un nuovo linguaggio che unisce cileni in un fine comune: libertà, giustizia e democrazia. Il nostro compito nel futuro è quello di ritornare sui nostri passi permanentemente e storicamente validi. Per questo non chiediamo niente, solamente vogliamo, desideriamo, speriamo la vostra amicizia e le vostre preghiere. Questo ci basta. Il saperci amici, il saperci parte di una compagnia reciproca ci impone di vi appartiene qualcosa di vero che alla verità della nostra condizione umana. Il vostro affetto è il dono più grande che ci state facendo, che sarà contraccambiato con un'amicizia che è l'amicizia per l'uomo, in azioni destinate a creare nuove forme di vita determinate dalla fede, amici, perché non siamo scimmie, perché non siamo robot, perché se siamo uomini vogliamo ed otterremo la nostra libertà.

R. Buttiglione:

Ringrazio a nome di tutti voi Miguel Salazar, che ha parlato qui come un amico, come un cristiano, e come un capo del suo popolo, che ne porta nel cuore la sofferenza ed anche la speranza, e che sentiamo profondamente unito a noi. Questo Meeting è una testimonianza anche per loro, e per questo ha voluto essere un luogo in cui potesse essere ascoltato ciò che loro hanno da dire. Forse è il caso di chiarire un piccolo particolare del discorso di Miguel: il concerto delle casseruole, non tutti in Italia sanno cos'è, ma quando il regime militare ha impedito ogni manifestazione, la gente ha ritrovato coraggio prendendo le pentole vuote nelle case e sbattendole le une contro le altre. Questo concerto, in certi giorni, in tutta la nazione, è stata una testimonianza del fatto che non si poteva, forse, manifestare non si potevano fare molte cose, non si poteva affrontare il regime sul piano della forza, ma c'era un giudizio morale che tutta la nazione dava e che confermava la sua fede in grandi valori di umanità e di libertà. Ascoltiamo adesso l'ultimo degli oratori di questa mattinata, Aguajo Bolivar, il vicepresidente della Democrazia Cristiana cilena.

A. Bolivar:

Il tempo che trascorre silenzioso, assiste muto testimone di fronte alla storia degli uomini, ma quando questo sarà "finito" dovremo rendere conto della nostra presenza sulla terra. Il vostro Meeting di Rimini è una bellissima offerta al Creatore ed all'umanità. Da quel lontano posto della terra che è il Cile, salutiamo e ringraziamo questa eroica impresa.

CILE: UNA CRISI COMPLETA OPPURE PASSEGGERA?

La difficile e conflittuale realtà che vive oggi il Cile, obbliga a pensare che non si tratti precisamente di una crisi transitoria oppure di un prodotto del caso. Non la casualità costruisce la storia, ma gli uomini la soffrono. Questa storia dolorosa si incarna nel popolo una lunga "via crucis" che è calpestata ignominiosamente da diversi fattori sociali e politici. Questo è il modo con cui il capitalismo, ad esempio, rompe brutalmente lo schema tradizionale e di produzione e di convivenza umana, seminando dappertutto - e in tutta la geografia del mio Paese - l'individualismo e il consumismo; la società sfrutta perfino l'energia fisica a scapito della convivenza umana, una coscienza che languisce di fronte alla stanchezza dello sfruttamento. Il marxismo, dal canto suo, ha cercato di rappresentare gli interessi di quegli strati sociali emarginati e sminuiti, attraverso una conduzione messianica e atea basata sull'odio esistente fra le classi sociali, dando una prerogativa allo sfruttamento della coscienza, con la coscientizzazione politica, assieme ad una utilizzazione razionale delle risorse dell'uomo, vale a dire "robotizzando" l'uomo. E’ in questo modo che le varie ideologie (qualcuna più qualcuna meno) provocano in modo ricorrente la divisione del popolo cileno, per scopi di potere, distruggendo ciò che è il servizio, l'amore e la verità, parole che appaiono indifese davanti alla parola potere. Ed in questa torre di Babele le ideologie di ispirazione cristiana vengono ugualmente soffocate. Ma anche se doloroso, l'onore e la dignità esigono la verità. Ciò nonostante in un punto del cammino - anno 1973 - ci aspettava un miraggio, un doloroso parto di cui fino ad oggi rimangono impronte indelebili: un regime militare che orientato dalla cosiddetta dottrina della sicurezza nazionale - altra ideologia - cominciò ad incrementare una crescente sfiducia nel popolo. Dando priorità alle élite tecnologiche nel ruolo principale di conduttore di un nuovo sviluppo capitalista ed autoritario, sorse il mito del mercato come qualcosa che avrebbe distribuito i beni e le risorse. Accanto a questo cominciò ad erigersi un potente braccio che controllava e reprimeva le varie forme di dissidenza, di conseguenza anche quelle più vere e libere. Quest'anno si compiono 19 anni di regime nel mio Paese. Cosa potrebbero rispondere le vecchie generazioni a quei bambini che sono nati o che si sono "formati" in questa decade? Come spiegare ad un bambino che esistono i desaparecidos, esiliati politici, affamati, coloro che sono oppressi dalla violenza? Tutte queste tentazioni in un modo o nell'altro sempre totalitarie hanno prodotto soltanto la miseria per il mio Paese. Le novità di carattere ideologico, sono diventate vecchie, per quanto non si tratti solo di una catastrofe economica o politica, ma soprattutto culturale e morale radicata nella persona umana. Il più delle volte un governo corrotto tende a creare una opposizione corrotta, poiché l'oppressione in cui è vissuto il Cile tende ad annientare la creatività dell'uomo. Inoltre quando l'uomo si trova ad affrontare un caso estremo, limite in cui si giocano la sopravvivenza o la morte, tende verso la prima, senza chiedersi in che modo e il più delle volte questa scelta implica anche la morte. Quando si attenta contro la vita, attraverso forme di violenza organizzata come la fame, la tortura, il senso trascendentale dell'esistenza tende ad estraniarsi e con essa anche il destino di un popolo. Questo è il caso del Cile, dove la cultura si è mescolata ad ogni attentato contro la vita e la libertà. La storia del mio popolo ha un sapore di amarezza, di dolore, perché non è stata immaginata o inventata, ma vissuta. Per questo, quando si attenta contro l'integrità dell'uomo, non si può parlare - senza scendere nel banale - di una crisi transitoria o passeggera, perché è stata degradata la persona umana, tempio sacro di Cristo. La crisi non è artificiale, non è passeggera, non colpisce le strutture ma l'uomo "comune", il cileno nei suoi valori e nella sua cultura. La crisi è totale e quindi esige una risposta adatta alle circostanze. Oggi, però, il popolo cileno ha ricevuto forze per un rinnovamento spirituale, forze nate dalla profondità della sua anima da un desiderio di riaffacciarsi alla vita, dal suo amore verso Dio, la Chiesa e la Patria. Ma la verità e l’amore possono rimanere soltanto una buona intenzione, devono implicare un contenuto e una forma, ispirati a principi veri, perché i volontarismi sono sterili, vane elucubrazioni che confondono la strada giusta. E poiché i pragmatismi sono solo fiori di primavera, strategie vuote che idolatrano il potere perdendo di mira la prospettiva della storia, ho paura, perché in Cile i vari partiti politici e i protagonisti sociali stanno vivendo una dura prova, di scindere la fede della storia e quindi di non rappresentare più gli interessi culturali del popolo. No ai volontarismi. No ai pragmatismi, sì ad una ricerca costruttiva della propria identità del Cile, una identità che apra ad una futuro autentico e non solo al superamento della congiuntura storica. Un futuro che non sia né borghese, né collettivista, l’identità di un popolo - come disse il Santo Padre Giovanni Paolo II in Brasile - riposa nella cultura vera che è l'umanizzazione dell'uomo. Perché solo in tal modo si superano la sabotazione e la bestializzazione dell'uomo, caratteristiche delle dittature capitaliste, militari e marxiste. Questa prospettiva impone un’esigenza indomita che è la conversione, il cambiamento definitivo verso una concezione della vita e della cultura che parta dalla cosa più ignota all'uomo, e ciò non è altro che il riconoscersi figli di uno stesso Padre, e fratelli del prossimo, tenendo conto specialmente dei più deboli, di coloro che sono stati colpiti dal giogo dell'oppressione. È l'unica strada aperta per superare gli antagonismi che hanno colpito per tanto tempo la comunità nazionale. Il vero problema del Cile, la domanda chiave è come affrontare questo momento senza dimenticare le urgenze drammatiche del presente e nello stesso tempo senza perdere di vista la sua vocazione di popolo cristiano. Amici, la risposta storica è difficile. Non voglio ingannarvi, né affrettare il brindisi della vittoria, perché tutti i trionfalismi hanno qualcosa di stantio ed in definitiva risultano sterili perché prima o poi svalorizzano anche la lotta più nobile, la lotta per la libertà. Parafrasando un grande statista cileno - Eduardo Frei - direi che nel dilemma di scegliere la libertà o il pane per il popolo, sceglierci la libertà per poi lottare per il pane. Questo discorso non può avere un finale felice, poiché, così come la Polonia, manca ancora una parte importante della storia da scrivere. Ma si scorge una speranza grande, formidabile nella fede cristiana. Cile, o si resta indifferente alla sofferenza altrui, alla sofferenza del prossimo e si è bestie; oppure si innalza la preghiera al cielo - tutti insieme come fratelli - adempiendo al comandamento del Signore Gesù Cristo: Lazzaro, Alzati! CILE, ALZATI E CAMMINA!

R. Buttiglione:

Ringraziamo Aguajo Bolivar, che ha portato il cuore della vicenda cilena vicino al cuore del nostro Meeting. Mi venivano in mente due citazioni, mentre lo ascoltavo. Una è dell'allora Card. Wojtyla: in un suo libro scriveva: "La storia dell'uomo è storia di lotte per il pane, per guadagnarsi da vivere, ma è al tempo stesso storia di lotte per la dignità, e sempre il potere ricatta l'uomo offrendogli il potere, offrendogli il pane in cambio della dignità, o tentando di mostrargli che non c'è modo di guadagnare il pane senza rinunciare alla dignità". Questo è avvenuto ed avviene in Cile, come in Polonia: per poter essere rispettato come cittadino di questo mondo, si dice, l'uomo deve rinunciare ad avere un anima; ma l'uomo che rinuncia ad avere un'anima non è nemmeno cittadino di questo mondo. L'altra citazione è di don Luigi Giussani, il teologo che abbiamo ascoltato ieri; scriveva una volta: "Per guardare lontano, per guardare diritto, l'uomo ha bisogno prima di volgere lo sguardo verso l'alto". Il Meeting ci aiuti ad alzare lo sguardo verso il cielo, e ci aiuti in questo modo anche a guardare diritto la strada che dobbiamo percorrere sulla terra, in Cile come qui da noi in Europa.