Mercoledì 24 agosto

"IL SACRO NELL'OPERA DI SASSU"

Presentazione della mostra con la presenza dell'autore Aligi Sassu.

Partecipa:

Prof. Giorgio Mascherpa, Critico d'arte.

Moderatore:

Dott. Sandro Chierici.

S. Chierici:

E’ come sapete una tradizione ormai, che il Meeting per l'Amicizia fra i popoli apra le sue porte ogni anno ad accogliere testimonianze di artisti e d'opere d’arte in mostre ed incontri, e ciò, non certamente per riempire il vuoto fra una Tavola rotonda e l'altra con cose che non c'entrano nulla con il Meeting. Il fatto è che un avvenimento come il Meeting, che ha al centro della sua attenzione l'interesse a fare emergere l'integralità dell'uomo, non può non desiderare confrontarsi con il momento in cui, con maggiore evidenza, l'uomo esprime la propria coscienza di sé e la propria ricerca di un rapporto con ciò che lo circonda: sia esso vissuto come poesia o come dramma, con serenità o con violenza, con scetticismo o con fede, o semplicemente sia manifestato come problema. Se dalla Tavola rotonda di ieri pomeriggio fra l'antropologo paleontologo prof. Coppens, il teologo prof.. Martelet e il genetista prof. Ayala è emerso con chiarezza che ciò che caratterizza l'uomo nei confronti dei suoi progenitori è la capacità di interrogarsi sul proprio passato e sul proprio destino - e le due domande sono inscindibili, inseparabili - è vero che l'uomo ha da sempre affidato all'arte compito di testimoniare nella maniera più immediatamente visibile, questa domanda e questa coscienza di sé. Non è quindi improprio, parlare di sacralità dell'arte, che altro non è che questa tensione al compimento di quel brano di creazione che l'uomo è chiamato a fare. Opera d'arte come compresenza di un "già" e di un "non ancora" di una memoria e di un desiderio. Il tema è immenso e oggi abbiamo il grandissimo onore di poterne discutere con uno degli esponenti più grandi della pittura contemporanea italiana: Aligi Sassu che ringraziamo particolarmente per avere accettato di offrire al Meeting la sua mostra allestita quest'anno, che raccoglie le sue opere di soggetto sacro. Il ringraziamento va esteso a quanti hanno contribuito a che questa mostra potesse avvenire: il dott. Alfredo Paglione della "Galleria 32", il prof. Giorgio Mascherpa e il prof. Mario De Micheli (quest'ultimo assente oggi per un imprevisto ed ineliminabile ostacolo alla sua partenza da Milano). In particolare vorrei segnalare che una delle opere esposte: "La processione", la grande tela della processione, viene esposta per la prima volta al pubblico e noi siamo particolarmente orgogliosi che ciò avvenga proprio qui, all'interno del nostro Meeting. A presentare la mostra di Aligi Sassu è tra noi Giorgio Mascherpa, critico d'arte fra più qualificati in Italia ed autore, fra l'altro, di un volume dedicato all'opera sacra di Sassu, oltre che di uno degli scritti introduttivi al Catalogo della mostra stessa. Il prof. Mascherpa introdurrà e presenterà la mostra di Sassu, il quale - in seguito - risponderà alle vostre domande. Pensiamo che poi sarà possibile organizzare una visita della mostra insieme a Sassu. Cedo ora la parola al prof. Giorgio Mascherpa.

G. Mascherpa:

In un Paese che avesse a cuore la sua storia artistica, al di là delle conventicole più o meno politiche e più o meno di parte, presentare un artista come Aligi Sassu, dovrebbe essere, se non proprio inutile, per lo meno superfluo. Sennonché si dà il caso che il nostro Paese, e la società dei consumi contemporanea, oggigiorno, siano dei gran divoratori di miti, non di Meeting, di miti, cioè di quelle creature che loro stessi, con i loro media, con i loro mezzi di informazione, creano e poi distruggono. A questa gente le persone come Aligi Sassu che sono sempre sulla breccia danno fastidio. Sono un segno di sopravvivenza di un costume, di una capacità che loro vorrebbero confinata nella ristrettezza di una stagione artistica, cioè costringere l'artista, così come i pantaloni, così come i jeans, così come la moda alla turca, alla cosacca o alla floridiana, dico qualsiasi moda, costringerla in uno spazio di consumo. Per fortuna nostra, l'arte esce dal consumo, esce anche dalle convenzioni, ed esce anche, persino direi, da quella che è la conformistica avanguardia quotidiana; per cui il nostro Aligi Sassu che era senz'altro d'avanguardia - come si usa dire oggi negli anni '30, quando incominciò diciottenne la sua prodigiosa carriera, lo è ancora oggi, proprio perché non fa parte degli artisti di moda. Dico che sarebbe assurdo parlare e presentare Sassu, anche ad un pubblico eminente di giovani come è qui, se le cose – dal punto di vista dell'esposizione delle grandi rassegne – si svolgessero sempre secondo il rito informativo e storico e creativo. Sennonché sono almeno decine di anni che Aligi Sassu non espone per esempio alla Biennale, né nelle altre grandi mostre ricorrenti in Italia; e questo non perché Aligi Sassu sia un pittore d'altri tempi, ma perché Aligi Sassu non rientra, appunto, in quei facili lanci e in quelle prodigiose novità che ogni giorno il mercato, i media, esigono per il loro consumo. Ecco perché siamo qui a parlare di un grande artista, noto già alla storia dell'arte e meno noto agli italiani. E sì che nelle Chiese italiane, in molte delle Chiese italiane, vi sono alcune sue prestigiose opere, di cui queste opere qui in mostra sono spesso un'eco, un ripensamento, un'invenzione, un primo oggetto creativo. Ora, cos'è che caratterizza da un punto di vista espressivo l'arte sacra di Aligi Sassu? In primo luogo, ed è questo un merito che lo definirei quasi eccezionale, da "artista antico", la caratteristica di non essere diversa dalle sue opere profane. Questa è una cosa importantissima, in un’epoca come la nostra in cui si vedono i generi ristretti, addirittura bottiglia per bottiglia, stand dopo stand, ognuno nella propria specializzazione rigorosamente in scatola. Aligi Sassu dipinge l'uomo e dipingendo l'uomo incontra il Cristo, incontra fatalmente la religione, e quando dico "fatalmente" lo dico di un artista che è essenzialmente laico. Aligi Sassu non è un uomo religioso, nel senso di osservante-praticante quotidiano, ma lo è senz'altro dentro di sé, e questo rende la sua ricerca tanto più testimonianza, proprio perché non uscita da una ragione di parte, ma uscita invece da una convinzione umana e spirituale che nasce dalla realtà stessa dell'uomo. Fin dall'inizio, nella sua rovente polemica "anni '30", in cui al grandeur, alla messinscena retorica e tronfia del regime fascista lui opponeva queste sue figure spiritualizzate sino al limite quasi dell'apparizione, direi della protocellula dell'uomo nuovo, che doveva nascere sulle ceneri di una società ormai ha bacata da queste dittature gigantite, da queste tendenze di rinascita dell'Impero Romano; ecco, sull'Impero Romano Aligi Sassu sovrapponeva questi suoi diafani spettri rosseggianti o azzurreggianti sopra dei fondi rossi, queste figure con i colori più puri della natura - l'azzurro, il rosso - le opponeva a questa tronfia retorica, grigia e greve, che dominava sull'epoca degli anni '30. E fin dall'inizio, questa sua corrente, questo suo gruppo, prese una strada tipicamente europea, una strada che si potrebbe definire primitivista, perché questa è una tendenza tipica di tutta la parte più spirituale del secolo. Da Van Gogh a Gauguin, fino al giorni nostri - e ce lo insegna il grande pensiero di Maritain - è costantemente quella riscoperta delle origini che sola vale a far ripartire l'artista da una quotazione espressiva anziché da una copiatura, più o meno abile, più o meno sofisticata, di esperienze altrui. Troviamo quindi Aligi Sassu negli anni '30, unitamente a quei gruppi artistici che si chiameranno poi a Milano dei "chiaristi", a Torino dei "sei", a Roma "la scuola romana", ma è un unico fermento in cui, accanto a una rinnovata lettura dell'irrazionale in arte, si recupera tutta quanta una dignità formale, una purezza formale, che proprio queste accademizzanti teorie retoriche andavano dissolvendo, andavano rendendo "terra terra". Ed è singolare che proprio dai laici, in quegli anni, vengano i messaggi religiosi più vivi e più partecipi: pensate che in quegli anni, un artista che era addirittura fino a pochi anni prima ritenuto ateo, anarchico, per sua stessa ammissione come Severini, dipinge per le Chiese della Svizzera (perché nessuno in Italia gliele chiedeva, negli anni tre il '26 e il '36) alcune delle decorazioni puriste religiose più importanti dell'intero continente. Ed è significativo che proprio in quegli anni i libri di Maritain (Maritain è un grande pensatore cattolico, ma sapeva pensare anche da laico, perché la sua proiezione di pensiero era verso il mondo, era la riscoperta di una realtà dell'arte) portassero la polemica artistica non già alla ristretta cerchia degli intellettuali, ma a tutti gli uomini. E per parlare a questi uomini, dice, bisogna avere (e lo ripete Severini nelle sue bellissime memorie) la fede dei fanciulli, recuperare cioè quella purezza di intenti, quella che nel Carmen seculare viene definita l’animo felerisque et purus privo di ogni guasto, privo di ogni delitto, cioè quella capacità di riaccostare l'uomo, per cui anche il più laico degli uomini, istantaneamente scopre la scintilla divina, quel che fa sì che noi si sia da una parte sempre una creazione spontanea della natura e poi della divinità come segno della natura. Ecco, fin dall'inizio questo uomo puro di Sassu è religioso: sia che rappresenti un tema religioso, sia che rappresenti un tema laico, o addirittura mitico, come era in questo suo accostarsi negli "uomini rossi", che vedete qui in mostra per esempio, accostarsi dico piuttosto ad un mito greco che ad un mito romano, per le ragioni che si sono dette prima, di retorica e di parcellizzazione, della polemica fascista in quegli anni. Ecco dunque il mito greco come purezza, il mito greco come appunto "Ellade", come mitica tendenza al sogno, non solo, ma soprattutto alla purezza dell'uomo, la purezza che è purezza di ideale, è il sapere guardare gli altri uomini in faccia, anziché dietro l'ambiguità di una retorica e di una "contrattazione" quasi quotidiana; contrattazione, dico, ideologica, questa mercificazione ideologica. Fin dall'inizio però Aligi Sassu, pittore di venti anni o poco più tra il '30 e il '35, dipinge soggetti anche sacri, si intende, introdotti, recitati, parlati, dai suoi personaggi. Perché è questo immediato riconoscere il sacro nella sfera della sua pittura, non di un'occasione pittorica; non è un pittore cui si dice: "Fai il Sacro" e lui dà un po' di tinteggiatura sacra, tanto per far vedere che ha fatto un quadro sacro, ma è un pittore che subito imposta dal di dentro, dallo spirito della creatura che rappresenta e raffigura, questa purezza, questo ideale che si avvicina così da vicino, fino ad identificarsi con lo spirituale. Le sue Crocifissioni di questi anni sono tra le più sospese, dolenti immagini di purezza religiosa del nostro secolo. E subito dopo, quando la sua partecipazione pittorica e, direi, la sia materia pittorica, si inturgida, diventa più barocca, (pensate che in quegli anni "avanguardia" vuole dire anche nella storia dell'arte, nella saggistica d'arte antica, rivalutazione e riscoperta del barocco, da quello rutilante di Pietro da Cortona a quello realistico del Caravaggio) è la riscoperta di questi valori finalmente staccati da quella che era una consuetudine ideologica per interpretare, ripartire dall'uomo e arrivare a Dio, oppure all'idea dall'uomo, ripartendo cioè dalla realtà, una rimeditazione della realtà. Quando diciamo Sassu, proprio meditando quelli che sono i suoi grandi amori, da Gericault e soprattutto Delacroix, recupera (questo in sede stilistica, ma in realtà attingendo alla passione sua che si è accesa, di uomo, finalmente adulto - perché prima parlavamo di un adolescente, di un ragazzo quasi, che raffigurava i ragazzi come personaggi del mito -); quando arriva agli uomini, quando arriva alle fucilazioni nelle Asturie, cioè ai drammi dell'Europa di quegli anni, anche la sua religiosità attinge le sfumature di questo dramma, attinge cioè questa incarnata presenza dell’uomo, al sacrificio e al mistero cristiano. Le sue Crocifissioni di questi anni come quelle in altri campi e in altri casi di Manzù (i famosi pannelli degli anni '40) sono tra i più drammatici inni dell'uomo reale, contemporaneo, storico di quei giorni, alla divinità. Questo loro stesso interpretare il Cristo; sono gli uomini che soffrono, gli uomini nel vivo del dolore, della loro sofferenza di uomini offesi, di uomini umiliati dalla violenza della guerra e delle dittature imperanti in quegli anni, sono gli uomini dico, che si redimono, sono gli uomini che risorgono con il Cristo e che muoiono con Lui. Ricordiamo in questi anni, come monumento sublime, quel libro impareggiabile, che tutti dovrebbero leggere, di Aldo Carpi che parla dei suoi lager, che parla della sua prigionia nei lager; e quando Carpi racconta che ormai, umiliati e prostrati sia dai forni crematori che dalle mille torture di questo lager, vedono un prigioniero russo lì lì per morire, che agonizza, e dice delle parole incomprensibili a loro italiani che stanno ad ascoltarlo, ma in cui gli pare di riconoscere la parola Gesù, la parola mamma; dice: "e noi per la paura fisica che ormai avevamo parte stessa del nostro sangue che circolava nelle vene, fummo incapaci di aiutarlo" - dice: "ogni volta che ognuno di noi non riusciva a muovere una mano per benedire, per toccare questo uomo che moriva al nostri piedi, ogni volta, il Cristo moriva dentro di noi". È proprio questa sensazione tragica, drammatica, che domina le Crocifissioni di Sassu negli anni della guerra - appena prima, e appena dopo - come una sensitiva, l'artista capta questi sentimenti dal fondo del popolo stesso, dalla vita degli uomini. È una mistificazione, appunto degli storici e degli ideologi, quella che l'artista precorra i tempi: l'artista li legge già con la misura ed il valore dello storico. Ecco perché 30/40 anni dopo si parla di storia e di quello che per un momento è nato come poesia; la carica dell'artista lo porta ad essere vicino a quello che è il sentimento stesso della storia, oltreché quello dell'uomo, nel momento stesso in cui nasce. Nel dopoguerra, questa esperienza di Sassu, maturata direttamente sull'uomo, che si è evoluta con gli eventi e con la storia del suo Paese, del suo continente, diventa ovviamente più razionale, diventa una rimeditazione sempre passionale (perché è nella sua anima). Voi dovete vederlo disegnare; egli addirittura partecipa fisicamente, oltre che con le inani, con tutto il corpo alla carica del segno che sta per nascere. Ecco, dicevo che con questo suo espressionismo, barocchismo, dove barocchismo significa (per me, ovviamente) non una critica ma una carica; una carica irrazionale, umana, di vita, che entra direttamente dentro all'uomo, dico queste forze, le discipline in composizioni che sono sempre più ricche di quello che la maturità - assieme ai suoi fastidi - porta come meriti, come acquisizioni successive. E dico cioè la maturazione di tutti quelli che sono i sentimenti, di amore, di ironia, di humour, di carica espressiva, di critica. Questa capacita, cioè che la ragione maturando genera e cresce in noi. Perciò anche la parte di Sassu che concerne la sua evoluzione nel dopoguerra è particolarmente ricca di opere sacre; d'altronde nelle Chiese, si moltiplicano le richieste di sue raffigurazioni, anche perché oltre a queste testimonianze che già avevano portato nella sua arte laica, ci sono queste sue capacità di costruire grandi macchine figurative che oramai gli artisti nel dopoguerra hanno perso, proprio come ricetta, come capacità, come coraggio anche di affrontare figurazioni che non siano più ristrette al piccolo quadretto da collezione, o alla piccola frase, per stare ad una famosa affermazione e definizione di Marcel Proust. Proprio si esce dall'ottica del frammento per quella della grande parete; e qui Sassu ha modo di fare emergere tutta quella che è la maturità del suo stile. Questa grande Processione a cui alludeva il nostro gentile presentatore poco fa, è una delle testimonianze di questa sua carica vitale che, tutta intera disciplinata, corretta: e guidata dal suo grande fare artistico, nasce nell'opera nuova. Praticamente io non vi ho fatto che una lievissima traccia per la lettura di questi dipinti che esigerebbero un discorso, ad uno ad uno. Vi ho solo dimostrato come, per via dell'uomo, si arrivi alla sua identità spirituale. E quel qualche cosa di impercettibile, ma che è in tutti noi e che quotidianamente in ogni nostro gesto si manifesta e scopre. Dico la qualità, la punta del nostro messaggio, della nostra vicinanza con la divinità, questo nostro essere creati che si rivela nel gesto. In questo artista purosangue, che è sempre artista in ogni momento della sua creazione espressiva, questa scintilla divina emerge spontaneamente, senza una precisa configurazione di idea ma come presenza della vita stessa che è emanazione della divinità. Io direi adesso, se qualcuno vuole rivolgere qualche domanda a me lo può fare; ma soprattutto abbiamo qui l'autore. Ricordo la prima intervista che feci a Sassu: mi confessò i suoi primi furti, seppur temporanei, nella casa paterna, di libri, riviste e saggi, di cui era un collezionista e lettore infaticabile C'è dunque qui un pittore non manuale ma anche mentale che, con tutta la sua passionalità, ha anche una sua razionalità ben viva e presente. Quindi chi vuole rivolgere domande a me o a Sassu, lo può fare.

A. Sassu:

Desidero dire alcune parole ed alcune cose riguardo a questo Meeting, dei cui precedenti io non ero molto al corrente ed invece, trovandomi qui oggi, ho avuto la possibilità di constatare quante infinite possibilità ha il nostro Paese di continuare ad essere un Paese grande, creatore, un Paese dove la ragione non crea mostri ma crea la verità dell'uomo, la verità che è dentro di noi. Se c’è qualcuno che vuole iniziare un dialogo, noi siamo qui, non come Daniele nella fossa dei leoni, ma come dei compagni di strada verso un avvenire che spero buono per il nostro Paese. Non dovete avere timore di niente, dovete parlare, perché non ci siano solamente i quadri o le bellissime sale di esposizione dove la storia dell’uomo è presentata in una forma così chiara.

G. Mascherpa:

Per attivare il dialogo, faccio una domanda io a Sassu. Abbiamo visto, proprio ne "La Processione" di cui si parla, diverse presenze riconoscibili oggi: c'è lui stesso, c’è De Chirico, ci sono altre persone, riconoscibili. Mi pare di avere già accennato che è il tema della quotidianità che entra direttamente nella realtà del suo quadro, ma abbiamo qui l'autore e quindi è un'occasione per farcele spiegare da chi l'ha pensata perfino questa intrusione della realtà quotidiana, addirittura fisionomica, riconoscibile.

A. Sassu:

Mi rifaccio ancora al discorso che hai fatto tu praticamente e che per me sono anche cose che ho scritto parecchi anni fa sull'integrità dell'uomo: il disegno dell'uomo, la forma dell'uomo, la natura dell'uomo, io non riesco a spezzarla. Se alle origini della mia arte c'è un discorso di un certo tipo legato al futurismo, alle scoperte e all’immagine che della realtà hanno dato Boccioni, Carrà, è proprio perché il loro scorso, dal punto di vista formale, è sempre chiuso e serrato, non è un discorso di scomposizione e di distruzione della figura umana. Il dinamismo boccioniano, il dinamismo dei futuristi è qualche cosa di estremamente differente dal cubismo di Picasso e di Brach. È un fenomeno che ha trovato conferma (parlo di forma) nella pittura che è venuta dopo, in tutto il tipo di cultura e di civiltà visiva che sono venute dopo, cioè un tipo di cultura dinamico, dinamico anche nell'immagine. Per questo ho sentito molto di più l'immagine dinamica, l'immagine delineata con le linee curve, con la penetrazione e la fusione dei colori, che l'immagine grigia di certi cubisti.

Domanda:

Non sono un esperto di pittura, ma mi ha colpito questa mattina, guardando un po' la mostra, il fatto che sono rappresentate moltissime deposizioni, dove mi sembra di leggere una specie di storia, come una lettura progressiva. Infatti mi ha colpito moltissimo una deposizione del 1972, in cui colgo il senso di una disperazione, mentre invece le deposizioni precedenti erano più profonde, più calme, più pacate. Volevo sapere se questo è il segno di un cammino spirituale, o il segno di una lettura della storia, oppure è il segno di qualche cosa d'altro, e se è comunque il segno di qualche cosa.

A. Sassu:

Io direi che è proprio il segno di un cammino spirituale, di un approfondimento di certi sentimenti, che scopre però sono stati presentati sin dall'inizio in quello che lo faccio. Oggi probabilmente sono molto più riflessivi e meno istintivi; però in realtà, direi che 'è un allargamento della visione spirituale, di quella che è la tragedia dell'uomo di oggi. Infatti, quello che poteva essere ieri un episodio che si svolgeva magari a decine, centinaia o migliaia di chilometri di distanza, oggi invece è presente quotidianamente davanti al nostri occhi. Di quello che succede nel Salvador, nel Cile, in tanti Paesi che sono agli antipodi della terra, oggi noi ne abbiamo una visione immediata; la morte di Kennedy, Allende che muore, quello che succede a Beirut o qualsiasi altro Paese: sono episodi quotidiani, come i massacri di Pol-Pot in Cambogia. Così questa presenza della morte continua, terribile, prima era immaginata, era e poteva essere un episodio letterario, oggi è una presenza reale. E questo penso che per l’artista, per me, è qualche cosa che rode dentro nel cuore e che non si può esprimere, non diventa una "tematica quotidiana" . Sto dicendo quanto succede quando l'episodio colpisce veramente nel cuore, nel centro di quello che è il sistema mentale, il sistema dei sentimenti di un individuo.

Domanda:

Io volevo chiedere due cose. La prima: secondo lei, in un mondo così caotico come quello che descriveva adesso, in un mondo di difficoltà estrema per l’uomo, come l’arte oggi può aiutare l'uomo a superare questo caos? Cioè ha un messaggio di speranza, ha qualche cosa ancora da dire, oppure (le faccio queste domande perché tante volte a me sembra che l'arte contemporanea descriva soltanto il male dell’uomo) è come se si fermasse soltanto ad una descrizione disperata e non contenesse invece una proposta? Volevo sapere cosa ne pensa lei e come è per lei e poi, se è possibile, cosa la spinge a dipingere, che cosa è per lei l'arte, oppure come nasce in lei un'opera.

A. Sassu:

Alla prima domanda le rispondo in una forma che penso sia anche polemica: io sono contrario a tante forme dell'avanguardia di oggi proprio per questo fatto, per quello che lei mi chiede, perché sono la negazione della forma dal punto di vista dello spirito; è proprio una forma assolutamente dilettantistica di affrontare i problemi della realtà dell'espressione artistica. Non si può fare un taglio su una tela o inscatolare certe cose, i detriti dell'umanità, e pretendere che questo sia arte. Queste è assolutamente, non solo una questione di inciviltà e di maleducazione, ma è un negare ed è una forma talmente stupida. L'opera d'arte è una conquista continua, è un'esperienza continua dell'artista; l'artista si muove sempre cercando ed elaborando delle forme. Noi abbiamo moltissimi esempi nella pittura contemporanea, nella scultura contemporanea, nella letteratura e nella poesia contemporanea, in cui ci sono state e ci sono veramente delle conquiste totalmente nuove della forma per esprimere sentimenti che poi, invece, seno i sentimenti dell'amore, sentimenti della passione, sentimenti della gioia, dell'orrore. Credo di essermi spiegato. All'origine della creazione artistica, da un lato c'è lo stesso mistero che porta l’uomo alla fede e a credere in qualche cosa, perché è un qualche cosa che nasce, è proprio come uno sposalizio, come un matrimonio, fra l'uomo e il mondo che lo circonda, fra l’uomo e la realtà che lo circonda. Questa comprensione reciproca crea l'opera, dà idee, suggerisce fantasie. Non l'ho detto io, l'ha scritto Leonardo delle nuvole e delle macchie sulle pareti che suggeriscono immagini. È proprio questo matrimonio che si stabilisce con l'intelligenza, la sensibilità dell'artista, di cui Dio ci ha dotato. Forse siamo dei privilegiati, ma non io credo, perché quante persone modeste, anche dal punto di vista intellettuale, ho conosciuto, che avevano ed hanno questa sensibilità di riconoscere nella realtà la verità sostanziale dell'uomo.

Domanda:

Ha parlato dell’invenzione delle forme per esprimere sentimenti praticamente eterni. Volevo innanzi tutto chiederle il rapporto fra questa cosa che ha detto e il significato di ciò che l'opera d'arte esprime. Come quello che ha detto non diventa un formalismo nell'arte. Cioè come se il problema fosse quasi e solo trovare nuove forme, cambiandole sempre, come se il valore artistico fosse questo. La seconda domanda si riferisce ad alcune cose che ho visto nella mostra. Ho notato tra i quadri di prima ella guerra e quelli successivi un grosso cambiamento proprio nelle forme e nel modo di espressione ed in questo mi sembra emergesse anche un valore teorico. Per esempio nelle opere prima della guerra notavo una certa sicurezza, plasticità, precisione di contorni, mentre nel secondo gruppo una maggior imprecisione, un’imprecisione chiaramente voluta. Qual è il rapporto fra il valore teorico, che pure prendono questi di si tipi dì espressione, e la sensibilità personale per cui l'artista cambia ad un certo punto queste forme espressive?

A. Sassu:

Direi che le due domande si integrano a vicenda, perché mentre il mio avvicinamento, la mia sensibilità prima della guerra era orientata verso lo studio di una realtà molto semplice, fondamentalmente, l'episodio guerra ha giocato moltissimo. Non solo però l'episodio guerra, ma anche i contatti con un'infinità di altre situazioni culturali, sociali e più di tutto, credo il contatto con il movimento informale. "Il gruppo cobra", non tanto per l'influenza di gusto pittorico, di emozione, di definizione, di ricerca di qualche cosa che andava al di là della dissoluzione della forma, ma per il grande desiderio, fondamentale di questo periodo, di liberazione. In fondo, è stato un movimento che ha dilagato dall'astratto assoluto – nel senso proprio dell'informe informale – anche al figurativo, alla figurazione. È stato un momento di liberazione da certe remore che ancora sussistevano nella pittura e nell'arte contemporanea. Almeno, per me è stato questo; cioè il contatto con gli artisti di quel periodo, e anche con la materia, mi ha dato un margine di libertà molto maggiore. (Ho detto anche con la materia perché in quel momento ho lavorato molto ad Albissola nella ceramica e quindi il fatto stesso di modellare la terra e di dipingere con i colori ceramici qualche cosa che poi cambia, dà un margine di libertà). Però questa libertà non credo che si stacchi o si sia staccata molto da quello che facevo prima. È stato come l'arco di una ricerca che oggi, arricchito da questa esperienza, mi riporta alle origini, mi riporta a vedere il mondo in una forma molto più chiusa, l'uomo in una forma molto più serrata che in quel periodo fra gli anni '50 e '60.

Domanda:

Mi è sembrato di vedere in alcune opere, come ad esempio "La Processione", quasi uno spirito fortemente ironico nella rappresentazione di questi prelati, di questi dottori della chiesa. Lei stesso si è auto-rappresentato nel "Cristo nel Sinedrio" e anche nella processione. Volevo chiedere il perché di temi come il "Concilio di Trento", per esempio.

A. Sassu:

Dipende forse anche dalla mia natura, dove una certa ironia vi è sempre nel considerare le cose e gli uomini; non è tanto un senso o uno spirito caricaturale nei confronti dell'uomo, ma una certa ironia che mi diverte sempre e mi ha sempre divertito. Però senza cattiveria: non c'è cattiveria. C'è appunto una certa ironia, una certa carica dal punto di vista dell'espressione. Anche nella descrizione per esempio delle donne cosiddette perdute (qui non ci sono quadri della serie della Maison Tellier), ma anche in quel quadri lì non c'è mai la condanna: queste donne sono descritte, sono dipinte, disegnate, con un rispetto, e non c’è mai la carica violenta che ci può essere in Lautrec o in tanti altri artisti che hanno dipinto gli stessi soggetti. Forse può darsi che questo – cioè questa condiscendenza, questo non condannare – sia una mia debolezza, o può darsi anche che sia il mio pregio.

Domanda:

Il Meeting ospita una rassegna di giovani pittori contemporanei che si pronunciano sulla tematica stessa di questa manifestazione, cioè sul destino dell'uomo, la prospettiva umana di fronte al futuro. La sua opera sacra, letta all'interno di questa tematica, che cosa ci dice?

A. Sassu

Non sono né un profeta, né uno scrittore di fantascienza, né un pensatore di fantascienza; sono un pittore. Quindi posso dipingere quello che in parte può essere anche un mito e in parte è stata ed è una realtà, cioè, nella sostanza, la realtà dell'uomo, perché noi oggi siamo cristiani, anche quelli che non lo sono. Qui non sono presenti, però io ho dipinto certi quadri e ho fatto certi disegni dove ho cercato di esprimere quello che pensavo in proposito all'avvenire, sia sotto l'aspetto di mostri, che è lo spettro che ci ossessiona quotidianamente oggi con l'atomica e con le guerre quotidiane, sia dipingendo dei fiori, delle colombe, dei giovinetti e delle giovinette, dipingendo qualche cosa di buono, quello che veramente è vero, a cui tutti tendiamo e che penso sia sostanziale nella natura umana. una conquista dura faticosissima. Dipingere un soggetto a venire non vuole dire configurare qualche cosa che deve essere creato o avverrà, perché indubbiamente le cose vanno sempre in un senso molto differente da quello che gli uomini si aspettano, perché nascono uomini nuovi, uomini con un'altra educazione, con un'altra forma mentis; è un progresso continuo, lento, metodico e l'artista ha sì le possibilità di prefigurare, però è inconscia questa prefigurazione. Non si può dire a priori: "Faremo questo, succederà questo, l'arte andrà per una strada o per un'altra". Certo nelle cose che qui sono esposte, qualche cosa di nuovo lo l'ho trovato, però, stranamente, alcune cose nuove che ho trovato, assomigliano a cose che lo e altri artisti abbiamo fatto nel passato; la personalità però è differente e, quindi, lo stesso tema assume magari una forma totalmente differente. Come dicevo, non si può prefigurare l’avvenire, c’è sempre qualche cosa di differente, ci sono sempre delle interferenze. Io non sono un matematico o un fisico ma credo che la meccanica quantistica, la meccanica ondulatoria o la fisica nucleare, non potrebbero che confermare quello che ho detto, cioè delle infinite possibilità di un avvenire, ma che noi (parlo sempre di arte, di pittura) non possiamo prefigurare, perché sono cambiati anche i mezzi, cambiano le possibilità di espressione per un artista. Oggi io ho, gli artisti hanno tante possibilità di esprimersi in maniera differente da come potevano realizzare un'opera, un dipinto, un murale, cinquant'anni fa. Però tutto è avvolto nelle nebbie dell'avvenire. Noi possiamo parlare solo di quello che siamo oggi e di quello che siamo stati.

G. Mascherpa:

Vorrei integrare un attimo quello che ha detto adesso Sassu, perché come tutti gli artisti, una parte di quella che è la sua natura più profonda, appare e deve apparire, per fortuna nostra, più dalle sue immagini, che dalle sue parole. Direi quindi che il fatto stesso che egli sempre, costantemente nella sua attività artistica (di ormai diversi decenni) ci abbia salvato, preservato l'uomo, è la migliore introduzione per l'avvenire. Perché qualsiasi sia l'avventura cui voi sottoporrete il "fumetto", cui voi sottoporrete l'uomo, continuerà sempre ad essere lo stesso uomo, tale e quale è stato nei primi due millenni, sull'Astronave, oppure dentro la cornice e lo schema del robot, o dentro addirittura a quelle ideologie di massa oggi rifiorenti, ma che non possono mai prescindere dall'uomo. Il fatto stesso che l'artista ci preservi l’uomo tutto intero, disposto, saggio artistico e dell'utilità direi biologica di preservazione di un proprio per il suo futuro; che ce lo preservi poi tutto intero con anche la sua spiritualità, è per noi uomini religiosi il più grande dei doni, la più grande delle virtù che l’arte ci possa ancora proporre e conservare tutt’oggi.

Domanda:

Prof. Sassu c'è una parola forse sul tema di quest'anno che fa un po' a pugni con la sua professione artistica ed è la parola robot. Siccome andiamo verso un mondo di robot - questo pare sia ormai il destino del domani - ci sarà ancora spazio per un pennello? Seconda domanda: voi artisti, lei Sassu, che responsabilità si sente di fronte alla società?

A. Sassu:

La domanda a proposito dei robot è molto interessante. C'è un pittore, di cui lo purtroppo non ho potuto vedere l'esposizione fatta a Milano 4/5 mesi fa, il quale ha dipinto dei quadri molto grandi adoperando dei mezzi tecnici, proprio i robot, con cui si dipingono le carrozzerie delle automobili e altre cose. Cioè questo artista ha fatto dei bozzetti, dei piccoli dipinti e poi con questi mezzi meccanici ha ingrandito questi bozzetti senza intervenire manualmente (cioè intervenendo, ma nei limiti strettamente necessari). Purtroppo ero fuori Italia e non ho potuto vedere questa esposizione che mi interessava molto proprio in riferimento al rapporto fra quello che è il mezzo meccanico, il robot, e quello che un artista può realizzare attraverso questo mezzo. Ma a questo punto la questione si riduce sempre ai limiti che l'uomo ha a disposizione per maneggiare il robot. Non è tanto la grandezza del dipinto, anche eseguito a perfezione e che riproduce perfettamente, con i colori a olio, a tempera, o acrilici, l'opera d'arte iniziale. Il problema è sempre quello: se l'opera d'arte iniziale è un'opera d'arte o non lo è. Io mi auguro però che questa sia e possa essere una via nuova per ampliare proprio il rapporto tra l'artista e l'uomo di tutti i giorni perché è una necessità vera che oggi si sente dappertutto. Lo documenta la nascita per esempio (ormai è una tradizione) di questi paesi interi dipinti, ricoperti di murales, che non solo sono l'espressione della capacità di chi li esegue, che può andare dalle capacità di un naïf a quelle di un grande artista, ma rivelano questa esigenza collettiva di avere delle immagini che esprimano le situazioni reali della gente. Questo risponde anche al discorso sulla responsabilità, introdotto dalla seconda parte della domanda: l'artista è responsabile, eccome! senz'altro è responsabile! Picasso, che ha rappresentato uno dei grandi talenti di tutti i tempi, ha avuto ed ha una grandissima responsabilità: quella di avere dipinto la "colomba della pace", però anche la responsabilità, di fronte alla storia dell'arte, di un certo lassismo a cui proprio lui ha aperto la via. È un esempio di come l'artista sia responsabile. Un artista come Rouault è un altro esempio di come l'artista sia responsabile non solo di fronte alla propria coscienza, ma anche di fronte agli uomini, proprio per quella carica grandissima di spiritualità di cui la sua pittura e la sua opera è intrisa. Oggi, quando si vedono certi dipinti così affrettati, malfatti, tele ricoperte di macchie senza senso, questa è responsabilità dell'artista. L'artista è responsabile proprio dal punto di vista etico, responsabile non solo di fare delle cose belle o brutte di fronte alla società e di fronte a se stesso: è responsabile eticamente e artisticamente.

Domanda:

Guardando la mostra ho avvertito una grande differenza fra alcuni quadri, quelli monocromatici e gli altri in cui vi è una presenza più ricca di colori. Inoltre non ho capito il quadro che si intitola "Il figliol prodigo". Desidererei una sua spiegazione su entrambe le cose.

A. Sassu:

Non so se lei si riferisce a quel quadro del 1930, quello con il tavolo da gioco ... Francamente, non è che ho molto pensato allora al senso da dare al tema, perché la cosa era molto istintiva. Leggevo molto Maritain, la Bibbia, Marx (di nascosto perché era pericoloso), leggevo tutte queste cose. Quindi, il figliol prodigo non l'ho dipinto con una destinazione precisa del senso simbolico di quello che volevo rappresentare. Il figliol prodigo sono questi ragazzi nudi che giocano, che si divertono, che sperperano; però l'immagine è molto pulita, è molto chiara. C'è questa nudità del giovane di fronte agli eventi che accadono. Questo giovane, questi ragazzi che sono anche indifesi (perché allora eravamo molto indifesi, non eravamo preparati come i giovani di oggi). Era un tentativo di evasione continua; persino conoscere il mondo era molto difficile. La libertà che c'è oggi a cui assistiamo in questo momento, per noi allora era un ipotesi veramente fantascientifica. Il giocatore di dadi, il figliol prodigo. Ho dipinto ancora recentemente il figliol prodigo: un giovane vestito di stracci che cammina in un paesaggio tutto verde e però cammina verso un qualche cosa di positivo. Quindi c'è un tragitto anche da quell'opera a quelle di adesso.

Domanda:

Ricollegandomi a quello che è stato detto anche precedentemente sull'arte contemporanea che spesso esprime il male le vorrei domandare che cosa è per lei la bellezza, in che cosa consiste e se esiste. Poi, che cosa ne pensa dei critici che, spesso, quasi rifanno loro l’opera d'arte?

A. Sassu:

In quanto ai critici d'arte, si dividono, come tutti gli uomini, fra buoni e cattivi. Ci sono quelli buoni, che sanno scrivere, capire, intendere, che si avvicinano all'artista, che non si fanno pagare - Prima della guerra, in genere, non si facevano pagare, dopo la guerra invece si vede che il mondo è cambiato – ci e sono alcuni che si fanno pagare o che pagano gli artisti, per crearsi un piedistallo, una base. È un discorso che andrebbe documentato anche proprio dal punto di vista etico. In genere però1i critici sono delle brave persone. La bellezza poi ce l'abbiamo qui sotto agli occhi, perché ci sono dei begli uomini, delle belle ragazze, delle belle signore. Non vedo la ragione per cui si debba chiedere ad un artista che cosa pensa della bellezza. La bellezza c'è ogni mattina che ci si sveglia; ecco, per esempio, questo bicchiere qui è bellissimo: c'è un po' d'acqua, c'è un vetro trasparente; questa macchina è bella, è funzionale. Così i guerrieri di Riace, la testa di uno dei Santi dipinti da Raffaello nella Trasfigurazione. Perché quella testa è bella? Non solamente perché Raffaello l'ha dipinta bene, con una bella materia, con un bel colore, bene inquadrata nella composizione, ma perché è anche razionale: la forma, il modo con cui Raffaello ha dipinto quella testa di Santo, o di uomo della Trasfigurazione. Cioè è una creazione dell'uomo, una creazione razionale ma piena di spirito, piena di sentimento. Anche qui c'è del sentimento, anche in questa macchina: è la bellezza. Cioè è quello che l'uomo fa bene. È la verità la bellezza, la verità delle cose, non è solo la bellezza fisica. Ci sono delle creature purtroppo che non sono belle, ma che sono bellissime, che magari fisicamente sono anche dei mostri e sono bellissime. In fondo sto dicendo delle cose molto ovvie, ma che esprimono quello che penso io della bellezza.

Domanda:

Mi rivolgo al prof. Mascherpa. Che cosa ne pensa lei a proposito di quanto ha detto prima Sassu rispondendo ad una domanda, cioè sul fatto che lui non è d'accordo su certi tipi di avanguardia, certi tagli di tela, certi inscatolamenti?

G. Mascherpa:

Il punto di vista di uno storico dell'arte è diverso, fatalmente, da quello dell'artista. Non nel senso che approvi o disapprovi le sue opinioni, il che è di scarsissima importanza e interesse, ma nel senso che l'impegno preciso di un "registratore di cassa" come è il critico militante - che cioè tutti i giorni si trova davanti ad un'espressione nuova ed è costretto a classificarla e a valutarla - è diverso. Non parte solo da un'esigenza di obiettività ma anche da una ricerca di motivazioni: perché uno si esprime in un certo modo, perché fa quelle cose in un certo momento. Sotto questo aspetto, non sotto l'aspetto cioè dell'opera d'arte, ma sotto l'aspetto che si suole definire da quella data in cui nacque quell'espressione artistica che Sassu definiva bene "informale", furono il cosiddetto "gesto", l'arte del gesto. In questa chiave, anche il mettere una certa cosa in una scatoletta, può significare la stessa cosa che Breton e prima di lui i Dada esprimevano, mettendo il vaso da notte in una vetrina all'indomani della guerra mondiale, con la loro avversione al generali, alle persone, ai plutocrati che avevano causato queste guerre e questo sterminio dell'umanità. Cioè un gesto di rivolta, un gesto, un’espressione; l'artista che ad un dato punto dal fondo della sua ironia mette questa certa cosa in una scatoletta e dice "Stupido collezionista bue che non sai giudicare; io ti metto questa schifezza in scatola, ma se c'è sotto la firma per cui questa cosa diventa un oggetto, tu te la porti a casa ugualmente. Se io ti dicessi di metterci dentro la cannuccia e di succhiarne un tanto, un'essenza, ogni sera, tu lo faresti". Ecco allora l'artista che in quel momento moralisticamente, interviene con la sua opera. Che poi però questa opera e questa sua intenzione, in realtà eversiva, violenta, diventi invece uno strumento mercantile, diventi un mercato con tanto di quotazione di listini, è un segno enorme di come il nostro mondo e i suoi media sappiano strumentalizzare qualsiasi realtà. Per cui qualsiasi ideologia voi ve la trovate dentro nella scatolina del Pierino Manzoni e diventa un fatto di mercato per cui istantaneamente viene, se è utile, storicizzata e presentata. Voi avete visto in questi giorni (adesso scusate se divago ma credo che sia importante) il fenomeno di quella barca italiana, "Azzurra", negli Stati Uniti. Nessuno aveva mai sentito parlare di regate di quel tipo, sembravano cose confinate agli Yacht-Club e agli Yacht-Man e a tutti quelli dei circoli elitari del mondo. All'improvviso è diventato un fatto particolare. Questa barca che vale 7/8 miliardi (quindi che è tutt’altro che una realtà accessibile, quotidiana, popolare) è diventata una specie di mitologia. Siamo tutti là a tirare queste sartìe, questi bollentini, queste parole che non avevo mai sentito e sembra perfino che il nostro onore nazionale sia legato a questa barca. La nostra ideologia è in queste vele. Tutti noi le abbiamo lette e sentite queste cose che all'improvviso sono diventate mitologie. È questa capacità di fuorviare la storia. Una volta, nell'Ottocento, c'erano degli artisti che operavano tutta la vita da grandi pittori e nessuno scopriva per mancanza di informazione. Adesso c'è l'eccesso d'informazione, si conoscono cioè delle cose che non contano niente nell'economia degli uomini e delle umanità, (anzi in questo caso, il caso di Azzurra, servono a introdurre, a scaraventare sulla scena i venditori e i facitori di queste barche, propiziando interessi internazionali sicuramente enormi). La nostra diffidenza, soprattutto sotto l'aspetto spirituale, dovrebbe essere per tutte quelle cose che ci vengono proposte in modo martellante ed ossessivo. Sono sicuramente delle baggianate.

Domanda:

Ti conosco bene e so che sei un uomo molto semplice, che lavori moltissimo a Maiorca e tua moglie molto spesso ti chiama quando è ora del pranzo e tu non arrivi perché continui a lavorare. Io volevo sapere questo: perché continui? Cos'è? Un'intuizione come diceva Benedetto Croce, il quale asseriva che l'intuizione è arte? La tua arte è un'intuizione?

A. Sassu:

Credo che sia un'intuizione ma riflessiva, sempre, perché quello che faccio o che intuisco, poi passa sempre un esame molto serio attraverso altre forme di intuizione. C'è sempre una riflessione, alle volte lunghissima, anche sul piano operativo proprio di lavoro, perché come diceva appunto anche Picasso, l'artista scopre qualche cosa di nuovo ogni volta.

Domanda:

Vorrei essere aiutato dal prof. Sassu ad individuare, il più possibile con precisione , il senso del mistero nelle sue opere. Perché sì, quel bicchiere lì, con quell'acqua è bello, ma io vorrei andare oltre a questo.

A. Sassu:

Il senso del mistero che c'è nelle mie opere?

Domanda:

Per esempio nella Deposizione del 1932 vedo molta malinconia, nelle Crocifissioni vedo disperazione.

A. Sassu:

Non è che uno va a cercare il mistero. Il mistero lo si trova proprio tutti i giorni quando ci si trova davanti a una tela bianca, a un foglio di carta, perché è un'apparizione per lo stesso artista quello che si sta facendo, quello che io sto facendo. Per me è un mistero, su cui rifletto, contemporaneamente, ma è sempre un mistero. Ogni volta è una scoperta, ogni volta. Questo mistero mi è alle volte suggerito dalla realtà, dalle cose, alle volte da una lettura, da un'immagine, dal sogno. Ma il mistero come faccio a descriverlo? Io stesso, quando mi trovo davanti ad un quadro come quello dipinto da me dal titolo "Il cavaliere occidentale", che però non è esposto al Meeting, oppure anche davanti a "Il Sinedrio", che è qui esposto, e l’ho dipinto veramente in uno stato di trance; ogni volta che rivedo quel quadro ritrovo delle cose che assolutamente non pensavo. Io mi preoccupavo di un punto di partenza, datomi dal motivo, dai sacerdoti che torturano Cristo, dai sacerdoti Anna e Caifa e dall'indifferenza di Pilato. Però se questo quadro suggerisce anche tante altre cose, lì sta il mistero, ma è un mistero che è compito del sig. Giorgio Mascherpa decifrare. Io l'ho fatto in uno stato, non lo so fino a che punto, di trance, di scoperta di un'immagine, ma è un mistero quotidiano, veramente, il mistero del titolo del quadro di De Chirico, è un mistero che è legato alla natura con cui l'artista vede. Il mistero per esempio che c’è nello "Sposalizio della vergine del Tempio" nel fondo del quadro, è un mistero di tipo metafisico, ma che è totalmente differente, dato dall'ora, dal tramonto, dagli spazi prospettici, è un mistero totalmente differente da quello del quadro di De Chirico nel "Mistero dell'ora meridiana". Il mistero, assume ferme differenti nella pittura, come assume forme differenti nella struttura e non credo che l’artista possa chiarire questo fatto in forma veramente chiara, perché in fondo lo ha già chiarito con l'opera.

S. Chierici:

Io vorrei ringraziare Aligi Sassu e Giorgio Mascherpa per la quantità di suggestioni e di provocazioni che ci hanno dato in questa ora e mezza che è trascorsa molto velocemente, di colloqui e di chiacchierata.