Intanto qualcuno costruisce.

L’America e la fame

Venerdì 28, ore 15

Relatori:

Ana Lidia Sawaya

Ronald Marino

John Van Hengel

Moderatore:

Aldo Brandirali

Ana Lidia Sawaya è nata a San Paolo del Brasile, dove insegna all’Università. Ha conosciuto l’esperienza di C.L. nel 1979, nella Facoltà di Biologia, negli anni di studio, facendo la caritativa nelle favelas di San Paolo. Master in Fisiologia a San Paolo (1980-82), dall’83 all’86 frequenta il dottorato di ricerca in nutrizione in Inghilterra, dove matura la vocazione ed entra a far parte dei "Memores Domini". Tornata in Brasile, dal 1988 è professore associato alla "Escola Paulista de Medicina".

Dal lavoro nell’Associazione "Salus" nasce un innovativo "approach" sanitario presso i domicili delle famiglie più povere e l’organizzazione di un ambulatorio. La più importante realizzazione è quella di un centro educazionale e di recupero nutrizionale per bambini denutriti (CREN).

Sawaya: L’esperienza che stiamo vivendo a San Paolo è nata dall’amicizia con un’insegnante di un altro dipartimento. Io sono fisiologa, lei pediatra. Abbiamo cominciato a discutere sul problema della denutrizione. Come insegnanti in una scuola media del Terzo Mondo potevamo contribuire lavorando e studiando questo problema dalle dimensioni enormi. Infatti il Brasile è uno dei Paesi di più grande contrasto: c’è la povertà più grande e la ricchezza più sfacciata. Il trenta per cento dei bambini, ad esempio, è denutrito: vuol dire circa una decina di milioni. Nel Nord-Est, la regione più povera, il tasso aumenta al cinquanta per cento per i bambini al di sotto dei 5 anni ed è sicuramente una delle percentuali più alte del mondo. Il problema della denutrizione in Brasile, come nella stragrande maggioranza del mondo, è un problema di soldi. Lo stipendio minimo è di circa 80 dollari al mese; se esso arrivasse a 450 dollari la denutrizione nella nostra città verrebbe sconfitta.

La denutrizione in Brasile avviene per mancanza di cibo, di quantità di alimento e appare a tre livelli. Al primo livello il bambino ha un peso al di sotto della media; comincia a piangere sempre, ad essere molto irritato, si ammala di anemia e di verminosi, perché non ha il metabolismo adatto, e il sistema immunologico è basso. Al secondo livello, più grave, il bambino non riesce a crescere in modo normale: è più piccolo tanto in peso quanto in altezza. Di solito contrae infezioni delle vie respiratorie, diarree, disidratazione. Al terzo livello muore di fame: i processi infettivi sono molto prolungati, profondi e difficili da curare. Questi bambini di solito sono apatici, cominciano ad allontanarsi dal rapporto con la realtà. Se gli dai da mangiare, non mangiano, e non piangono, anche se stanno molto male. Al Centro di Recupero Nutrizionale, abbiamo constatato che, se iniziamo ad avere un rapporto umano con questi bambini, man mano che questo si approfondisce, loro riescono a riprendere il desiderio di vivere e, conseguentemente, di mangiare. Anche durante l’allattamento materno, se un bambino non ha un rapporto stretto e sensibile con la mamma, il suo sviluppo è pregiudicato. Sfortunatamente, in Brasile, abbiamo anche il tipo più grave di denutrizione: quella in utero. La mamma è già denutrita, ed il bambino, quando nasce, nasce col peso al di sotto della media. Allora cresce male e con gravi problemi neurologici. Esiste oggi una discussione tra gli scienziati, attorno alla possibilità di un loro recupero. Lo studio in questo campo è molto difficile: occorre dissociare il bambino dalla povertà dell’ambiente e dalla bassissima scolarità dei genitori.

Abbiamo allora deciso di fare una ricerca in queste favelas, per rispondere a tali domande. Perché questi bambini poveri non cercano l’aiuto medico, non vanno al Centro di assistenza, sebbene sia gratis? Quanti sono, dove abitano? Sono veramente i più poveri? Attraverso questa ricerca, durata gli ultimi tre anni, abbiamo scoperto che i bambini più denutriti non sono i bambini più poveri e che spesso non c’è differenza tra i poveri favelados.

L’unica differenza è che i bambini denutriti hanno una famiglia sfasciata alle spalle. Aiutare la famiglia ci è apparsa, allora, come la cosa più importante, a lato dell’assistenza medica e della ricerca. Mi interessa sottolineare il metodo sviluppatosi in questa nostra esperienza: la condivisione. Abbiamo capito che, per comprendere a fondo le loro necessità, occorreva condividere in un certo modo la nostra vita con la loro.

La nostra Facoltà è molto famosa in Brasile; far sì che medici studenti e infermieri, andassero alle favelas, era una cosa difficilissima, perché un medico vuole andare al consultorio a guadagnare soldi, non lavorare per i poveri! All’inizio abbiamo trovato molti ostacoli. Poi, invece, si è creata un’equipe, persone molto speciali, che hanno trovato qualcosa che ha fatto loro comprendere il valore della loro professione e di questa opera. Per generosità è difficile continuare.

Una volta, pochi mesi fa, l’équipe ha trovato una bambina di 13 anni che stava morendo di fame; aveva una verminosi ad uno stadio altissimo, tanto che i vermi le uscivano dal naso. L’hanno visitata e hanno assegnato alla mamma le medicine perché le desse alla bambina. Ogni settimana, quando andavano a visitarla, la mamma diceva: "No, lei è così, è sempre stata malata. E’ piccola, è nata piccola. Non c’è niente da fare, è il suo modo di essere così". Era insopportabile vedere una bambina morire di fame, senza poter far niente. Allora si è pensato di togliere la bambina alla mamma e internare quest’ultima in un manicomio. Almeno per un mese, abbiamo continuato a visitare la donna, anche se sembrava non potessimo far niente. Alla fine, però, la mamma ha cominciato a parlare di sé ai membri dell’équipe. Mi ricordo che la psicologa è venuta da noi e ci ha detto: "Ce l’abbiamo fatta". Questa esperienza ci ha insegnato tantissimo: la nostra preoccupazione non deve essere togliere la bambina o togliere il problema della denutrizione, deve essere un amore, un’attenzione a chi abbiamo davanti.

Quando la mamma ha cominciato a prendere coscienza di se stessa e a sentirsi stimata da noi, allora si è aperta anche al problema di risolvere la situazione specifica. Abbiamo scoperto che, attaverso l’amore e l’attenzione alle persone, imparavamo ad amare noi stessi, imparavamo a riconoscere l’umanità che noi stessi abbiamo. Così era bello ed era buono andare a trovare situazioni tanto difficili.

Brandirali: Il bisogno si presenta sempre con il volto della pienezza, della totalità delle persona e della sua irriducibilità; gli affronti settoriali del problema della fame non tengono conto della vicenda umana, che ha una radicalità più profonda, che chiama ad una ricomposizione di socialità, di compagnia, di umanità. Se facciamo un salto da S. Paolo del Brasile a Brooklyn, troviamo Padre Ronald Marino.

Padre Ronald Marino è nato a Bensonhurst (Brooklyn) nel 1946. Ordinato sacerdote nel 1973, nel 1977 fonda la "Family Consultation Center" di Gravesend per consulenza familiare e matrimoniale. Il Centro provvede alle necessità di famiglie bisognose, di giovani coppie, di anziani, all’occupazione giovanile.

Nel 1980 inizia la sua collaborazione col Catholic Migration and Refegee Office della Diocesi di Brooklyn e dall’82 ne dirige il settore che si occupa dell’accoglienza e dei Progetti Speciali.

In questa veste ha coordinato gli sforzi della Diocesi per l’accoglienza degli immigrati formulando proposte di sovvenzioni per fondazioni private e statali. Dall’83 è nominato Assistente Direttore del Catholic Migration Office e Coordinatore dell’Apostolato italiano in Diocesi. E’ responsabile dell’Istituto Diocesano di Lingua del Dipartimento Servizi Educativi e si occupa del settore amministrativo e pubblicitario di tutto l’ufficio, che è ritenuto la più importante organizzazione assistenziale degli States.

Marino: Amo molto il mio Paese e sono stato abbastanza fortunato, nei 19 anni in cui sono stato prete cattolico, di vedere le sue ricchezze ed i suoi problemi, con occhi molto speciali, quelli concessimi dal sacramento dell’ordine sacerdotale.

Sono direttore dell’Ufficio Cattolico per l’Immigrazione nella diocesi di Brooklyn a New York. E’ la più grande agenzia cattolica degli Stati Uniti, specificamente designata ad aiutare gli immigrati. Gli immigranti che vivono nella nostra diocesi vengono da 125 differenti Paesi, e ormai sono "turisti esperti" degli Stati Uniti. Portano con sé storie di esperienze avute in ogni parte del nostro paese e sono infine arrivati nella grande città di New York. New York non è una tipica città degli Stati Uniti: New York è la maggiore e probabilmente la più importante, ma i suoi problemi e le sue difficoltà sono solo il mero riflesso di ciò che sta avvenendo nelle altre parti del Paese. Per capire l’America si deve guardare oltre New York. Perciò vorrei parlare della fame in America con le informazioni che ho ricevuto dal mio lavoro, dalla mia ricerca e dalle bocche e dagli occhi di ciò che l’America è, cioè dell’esperienza degli immigranti e dei rifugiati che ci vivono.

Per parlare della fame in America, vorrei in particolare focalizzare il problema della fame dei bambini, perché essi sono un buon indicatore di ciò che succede nella reale vita degli Stati Uniti. La maggior parte dei servizi sociali si rivolge ai bambini. I loro problemi sanno suscitare la più grande simpatia negli americani. I bambini rappresentano il futuro, non solo nel nostro Paese, ma nel mondo. Il modo in cui i bambini vivono e sono trattati, è per me il migliore indicatore dei valori seguiti da una società.

Dal rapporto ufficiale dell’Ufficio Censimento degli Stati Uniti, dal Progetto di Identificazione della Fame nelle Comunità Infantili, dal Centro di Ricerca e Azione per l’Alimentazione e da altri studi e stime ufficiali degli ultimi 5 anni, si evidenzia che un ottavo dei bambini di età inferiore a 12 anni (cioè 5.800.000) soffre di fame.

L’impatto della fame, sui bambini e sulle famiglie, si manifesta attraverso i problemi di salute e problemi scolastici. In confronto ai bambini senza problemi alimentari, i bambini con problemi pesano talvolta tre volte in meno della media, soffrono quattro volte di più la fatica, soffrono di irritabilità quasi tre volte di più e di vertigini più di 12 volte; soffrono di mal di testa frequente e di frequenti infezioni alle orecchie più del doppio, soffrono di problemi di concentrazione tre volte di più e di raffreddore quasi il doppio degli altri. Quando i bambini si ammalano, perdono la scuola e il conseguente analfabetismo danneggia il loro futuro. Gli studi delineano un ritratto inquietante della lotta quotidiana delle famiglie a basso reddito, per mantenere una dieta nutritivamente adeguata.

Gli studi mostrano che il costo della casa domina le spese della maggior parte di queste famiglie e lascia pochi soldi per il cibo e le altre necessità. Molte famiglie operaie, incluse quelle con un membro impiegato a tempo pieno, non possono evitare la fame. Questo ci mostra che le famiglie a basso reddito sono molto ingegnose ad avvantaggiarsi dell’aiuto pubblico e privato, però spesso non riescono a soddisfare i bisogni familiari.

La diffusa fame infantile, esaminata da queste ricerche, è una vergogna nazionale, ma fortunatamente può finire. Si può avere l’impressione che la povertà e la fame siano concentrate nelle città più grandi, ma non è vero. Uno studio condotto dal Fondo di Difesa dei bambini ha indicato che i più alti tassi di povertà infantile sono negli Stati del Mississippi, Louisiana, New Mexico, West Virginia e Arkansas. Lo Stato di New York non è fra i primi dieci. Uno studio nazionale, condotto dalla Caritas degli Stati Uniti, la più grande organizzazione di servizi sociali della nazione, mostra che il 62% delle persone passate per i suoi uffici nel 1990 aveva urgente bisogno di cibo o di casa. Dieci anni fa, solo il 23% degli americani le chiese assistenza alimentare. Non c’è dubbio che milioni di persone patiscono ogni mese la fame. Un’associazione dei medici dell’Università di Harvard ha stimato che, nel 1985, 20 milioni di persone ne hanno sofferto.

E’ particolarmente importante riportare questi dati sulla fame in America a voi europei, perché molto spesso in Europa la gente pensa che l’America sia ancora la terra con le strade lastricate d’oro. In verità, quando la gente arriva qua da emigrante, scopre non solo che le strade non sono lastricate d’oro (e molte non sono lastricate per niente), ma che ci si aspetta prima di tutto che sia essa stessa a lastricarle. Nelle grosse città, la povertà, la mancanza di case e la fame sono visibili ovunque. Nelle città più piccole, la povertà non è così evidente. Troviamo città negli Stati Uniti, dove non ci sono ghetti e i poveri vivono fianco a fianco con la classe media. I problemi criminali e di droga delle grosse città sono insignificanti nelle piccole, ma la povertà si estende in tutto il Paese ed è la principale causa della fame.

Le leggi federali e i programmi governativi per alleviare la povertà e la fame sono le speranze più realistiche. Infatti, negli Stati Uniti, questi sono i dispositivi di sicurezza che salvano il povero dalla morte. Senza i programmi governativi, decine di migliaia di persone negli Stati Uniti morirebbero di fame e se alcune famiglie con problemi alimentari si sono avvalse dei benefici di questi programmi, molte non l’hanno fatto. Il 37% delle persone con requisiti per avere la tessera alimentare, infatti, non ha partecipato al programma, perché pensava di non averli; un ulteriore 21% delle persone era imbarazzata ad usarle. Decine di migliaia di immigrati clandestini, poi, temono di iscriversi a questi programmi federali, per paura di essere scoperti e deportati ai loro problemi d’origine. Così, la fame continua a essere presente.

Cosa fa la fame ad una famiglia? Come guardano i bambini i loro genitori quando il loro stomaco fa male per la fame e i genitori non sono capaci di provvedere? C’è una connessione ben definita fra valori famigliari e la sopravvivenza. Avere in casa una madre ed un padre che si amano non garantisce che i bambini non soffrano la fame, ma garantisce un appropriato supporto mentale, fisico ed emotivo per i problemi dell’intera famiglia. Infatti, secondo uno studio elaborato dal Comitato del Congresso degli Stati Uniti che si occupa del bilancio federale, il 45% delle persone coinvolte in programmi di assistenza indica che la ragione per cui ne ha bisogno è la separazione o il divorzio arrivato al 54 per cento. Il 30% si rivolge al programma assistenziale in quanto donna non sposata con un figlio a carico, quindi capo-famiglia. Solo il 15% indica come causa l’insufficienza del reddito famigliare.

La fame colpisce tutti. Come società noi non possiamo farci carico di milioni di bambini affamati, della loro malattia e del loro analfabetismo. Abbiamo bisogno di un modo di pensare nuovo e creativo. La soluzione, a lungo termine, sta nell’educazione e nell’addestramento professionale qualificante. Occorreranno lavori con salari adeguati, case disponibili, affitti affrontabili, nidi e asili di infanzia, servizi sanitari ed aiuti adeguati per chi ne ha bisogno. Ma i bambini non possono aspettare mentre gli adulti discutono! Si deve essere sensibili allo scandalo di bambini affamati, quando si decide di tagliare i bilanci federali, di comprare strumenti bellici nuovi ed avanzati, di aumentare i salari della classe dirigente, di cambiare i requisiti richiesti in certi programmi federali. Si dovrebbe garantire una vita dignitosa a tutti coloro che vengono negli Stati Uniti, permettendogli di contribuire in ogni modo, con il proprio cuore e la propria anima, con i propri talenti e abilità, al benessere del Paese scelto come casa.

In quanto cristiani, ci è stata data una speciale responsabilità reciproca. Cristo è l’unico che ci chiama a prenderci cura dei nostri fratelli, che un giorno dirà ad ognuno di noi: "Ero affamato e mi avete dato da mangiare". Il bisogno di presenza cristiana non esiste solo nel Terzo Mondo; anche il più grande e potente Paese sulla terra ha fame della faccia umana di Cristo. Quando l’anima è nutrita, c’è speranza per il corpo; fino a che la gente nutrirà l’anima, specialmente la propria, ci sarà la speranza realistica che i bisogni materiali non siano ignorati. Possa Dio ispirare ognuno di noi ad usare le proprie ricchezze, per assicurare che nessuno ignori o dimentichi chi ha bisogno del pane quotidiano.

John Van Hengel, fondatore dei Banchi Alimentari negli Stati Uniti.

Van Hengel: Il nostro programma si occupa di sprechi alimentari e soddisfa le esigenze degli affamati: si chiama "Food Banking", Banco Alimentare e, in America, è diventato un sistema di sostegno del benessere secondario.

Molti anni fa partecipai ad una Conferenza sulla fame durante la quale venne effettuata la proiezione di alcune diapositive relative ad un Paese del Terzo Mondo che versava in una situazione simile a quella attuale in Somalia. Eravamo una quarantina di persone e ci sentimmo estremamente frustrate ed impotenti. Conoscevamo il problema, ma non sapevamo come risolverlo. Forse adesso lo sappiamo. Attualmente il sistema del "Banco Alimentare" fornisce la possibilità a molti singoli di aiutare gli affamati, nell’ambito di un’azione di volontariato per lo meno all’interno del proprio Paese. Nel 1965, divenni io stesso volontario, presso una mensa per i poveri, il "Refettorio di S. Vincenzo", a Phoenix: ci occupavamo di sfamare un migliaio di persone indigenti, ogni giorno.

Avevamo un bilancio di solo 8 mila dollari americani all’anno, pertanto abbiamo dovuto ricercare altre fonte alimentari, oltre quelle che potevamo acquistare. Così, cominciai ad occuparmi di trovare prodotti alimentari gratuitamente, con l’aiuto di alcuni poveri che affluivano alla mensa, ed utilizzando un vecchio furgone acquistato per soli 150 dollari. Andavamo nei campi e raccoglievamo le verdure che erano state lasciate e la frutta rimasta sugli alberi. In breve tempo, riuscimmo a raccogliere più cibo di quanto si potesse utilizzare alla mensa popolare, pertanto decidemmo di portare le eccedenze alle altre missioni che ospitavano i poveri, permettendo loro di offrire un secondo pasto. Capimmo poi di avere bisogno di un posto da cui poter distribuire questo cibo. Mi misi in contatto con il parroco della chiesa locale di Saint Mary, il quale riuscì a trovarmi una vecchia panetteria che trasformammo nel nostro primo magazzino. Dopo breve tempo, si presentò a noi una signora che aveva il marito in prigione e che, per sfamare i 10 figli, raccoglieva i rifiuti in un contenitore vicino al supermercato. Cercammo pure in quel posto e rimanemmo sorpresi nel vedere la quantità e la qualità del cibo gettato via. Ci mettemmo in contatto con i dirigenti del supermercato, i quali, solidali nei confronti del nostro programma, ci permisero di recarci sul posto tutti i giorni a raccogliere i prodotti ancora recuperabili. Ben presto ci trovammo a lavorare con molti supermercati, i quali, a volte, ci inviavano dei furgoni al magazzino. Sempre la stessa signora ci suggerì l’idea di creare una banca, in cui depositare le eccedenze alimentari, in modo da poterle poi distribuire a coloro che ne avevano bisogno: da qui la definizione di Food-Bank, "Banco Alimentare di Saint Mary". Eravamo nel 1967. Fu questo il primo di oltre 6 mila Banchi Alimentari che esistono attualmente, alcuni molto grandi e molti, invece, di dimensioni ridotte. Quest’anno, 1992, celebriamo il venticinquesimo anniversario del Banco alimentare e il 16 ottobre, la giornata mondiale dell’alimentazione, celebreremo a Phoenix le nostre nozze d’argento.

Con l’espandersi del sistema del Banco alimentare, altre città decisero di copiarci. Già nel 1975 si era avviata l’iniziativa in 7 grandi città della costa occidentale degli Stati Uniti. Il Governo Federale ci offrì un finanziamento allo scopo di creare Banchi alimentari in tutto il Paese. Dopo una buona dose di conflitti interiori, decidemmo di accettare, anche se non volevamo che il governo si intromettesse nella nostra attività, tipica dell’ambito privato. Grazie a questo finanziamento, potemmo però lanciare l’iniziativa "Secondo Raccolto". Si tratta di un termine mutuato dal Vecchio Testamento, dal libro di Ruth: anticamente gli agricoltori lasciavano sempre qualche cosa nei campi anche per i poveri. Era la "spigolatura". La rete che abbiamo chiamato "Secondo Raccolto" è cresciuta molto rapidamente, ed oggi costituisce 93 banche alimentari nelle più grandi città americane, con 95 affiliate in città di media grandezza.

Il nostro processo di crescita si è basato su prove ed errori, non sulle pianificazioni. Sembrava che tutti i giorni lo Spirito Santo ci offrisse nuove possibilità per trovare fonti di cibo recuperabile.

"Secondo raccolto", che ora ha sede a Chicago ed è diretto da Suor Cristina, una suora benedettina, riesce annualmente a recuperare e a distribuire oltre 750 milioni di dollari in prodotti alimentari, di produzione nazionale, che altrimenti andrebbero gettati via.

Questo tipo di attività si occupa solo del 40% di tutti i prodotti alimentari distribuiti nei 93 Banchi; l’altro 60% viene raccolto da altre fonti e non in ambito locale: dai rivenditori, dai distributori e dai supermercati.

"Secondo raccolto" si occupa degli scarti alimentari solamente di produzione nazionale. I Banchi si occupano invece di raccogliere gli scarti alimentari di tutta la comunità in cui operano. Riusciamo a raccogliere e ad utilizzare prodotti che derivano dall’eccessiva produzione, dalla realizzazione di confezioni di peso insufficiente, con etichettatura sbagliata o con altri difetti di produzione. Uno dei primi prodotti di cui mi sono occupato era costituito da 200 furgoni di succo di frutta leggermente scolorito, donato dalla Tropicana. In 100 furgoni poi abbiamo raccolto crackers che non erano stati ben tostati, almeno secondo la ditta produttrice. Poi abbiamo avuto furgoni di cereali che, secondo la ditta, contenevano troppa uvetta, quindi 75 mila cassette di bottiglie di bibite, non riempite del tutto. Tutte le settimane abbiamo ricevuto grossi carichi di gelati ed altri tipi di dolciumi, tanti che non c’era abbastanza spazio nei congelatori. Così abbiamo deciso di trovare dei sistemi di consegna a domicilio che prima non avevamo. Tutti gli anni gli americani sprecano scarti di alimentari per un valore complessivo di 24 miliardi di dollari, che servirebbero ad alimentare 49 miliardi di persone. Queste cifre già spaventose nel ‘77, sono continuate ad aumentare. Attualmente, ogni Banco alimentare americano serve ad approvvigionare da 300 a 600 Centri Sociali, i quali si occupano di sfamare i poveri. Ciò rappresenta un risparmio per il Centro Sociale di almeno 25 mila dollari l’anno, che possono venire utilizzati per altri ampliamenti dei programmi.

Nel ‘71 venne lanciato un secondo programma, nell’ambito del Banco Alimentare americano: erogare direttamente i prodotti alimentari ai bisognosi, sotto forma di pacchi alimentari. Ciascun pacco conteneva il necessario per 4 giorni, secondo la dimensione della famiglia considerata. Oltre 5 mila sono attualmente i programmi degli Stati Uniti che si occupano di questo.

Gli sviluppi sono stati grandi: un esempio può essere dato dalla crescita del "Banco Alimentare di Saint Mary", che è passato dai 5 mila piedi quadrati dell’edificio originario agli oltre 12 mila piedi quadrati. La parrocchia di Saint Mary fornisce 7 milioni di chili di prodotti alimentari, gratuitamente, ai centri sociali; fornisce, inoltre, 900 pacchi alimentari tutte le settimane direttamente a coloro che ne hanno bisogno.

Nel 1981, l’idea del Banco Alimentare si estese anche al Canada, in 20 città principali dove esistono anche oltre 200 programmi di distribuzione di pacchi alimentari. Nel 1984, un canadese, Francis Lopez, decise di trasferire l’idea anche alla Francia, suo Paese d’origine, ora dotata di banchi alimentari nelle sue 59 città più importanti. Nel 1986, l’idea venne copiata dal Belgio, in tutte e 9 le province e venne poi creata una Federazione europea dei Banchi alimentari, la quale ha pensato di trasferire il concetto originario ad altri Paesi europei: Portogallo, Spagna, Irlanda, Israele, e in 3 città italiane: Milano, Bologna e Ravenna.

Ultimamente, sono stati creati Banchi alimentari a S. Pietroburgo e a Mosca. In Europa ci sono attualmente 1.800 volontari che si occupano dell’attività.

L’idea del Banco Alimentare è illustrata già nel Vangelo di Giovanni, dove si legge che Cristo, dopo aver sfamato oltre 5 mila uomini, disse agli apostoli di raccogliere i resti, affinché nulla venisse sprecato.

Il Banco Alimentare rappresenta il cristianesimo attivo, non è soltanto un’altra filosofia. Come diceva il presidente Franklin Roosvelt, il vero banco di prova per il nostro progresso non è tanto se riusciamo a crescere l’abbondanza di coloro che già hanno troppo, ma piuttosto consiste nel cercare di fornire abbastanza a coloro che hanno troppo poco.