Il popolo e i partiti

Venerdì 28, ore 12

Relatori:

Vittorio Sbardella

Ciriaco De Mita

Arnaldo Forlani

Roberto Formigoni

Moderatore:

Paolo Liguori

Vittorio Sbardella, deputato.

Sbardella: Un giornale questa mattina si è puntigliosamente soffermato sugli scambi di battutacce che ci sono stati fra noi e l’amico De Mita, in un certo periodo di questa nostra vicenda politica. Si tratta di episodi che riguardano il passato. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: le ragioni che ci muovono sono le ragioni della politica, sono le ragioni che debbono portarci a considerare l’interesse della gente, della società. In questa fase della nostra vicenda politica, abbiamo individuato all’interno della DC alcuni personaggi che, per le cose fatte, per le cose dette, hanno in qualche modo rappresentato una speranza per il futuro, non soltanto della Democrazia Cristiana ma proprio per il futuro di questo sistema politico, di questa democrazia.

I motivi che hanno fatto nascere le correnti sono finiti. Noi vogliamo cominciare a confrontarci sulle cose, vogliamo discutere come amici.

Liguori: I grandi poteri del mondo stanno scegliendo un nuovo assetto, dopo le vicende che hanno cambiato molto la storia recente e le prospettive del futuro. Molti si chiedono: è possibile un’ipotesi di redistribuzione del potere che sacrifichi le ragioni della politica, così come sembra stia avvenendo da molti segnali? Se è possibile dove porta questo?

Ciriaco De Mita, presidente della Democrazia Cristiana.

De Mita: Io credo che sulla crisi che attraversiamo dovremmo fare tre riferimenti. La prima: la crisi nostra non è di oggi, è una crisi che ci portiamo avanti dalla fine degli anni ‘60 ed è una crisi di crescita. Moro in uno dei suoi discorsi più significativi in Parlamento disse che di crescita si può anche morire, nel senso che, se non è guidata, la crescita disordinata crea difficoltà. E su quella crescita c’è una responsabilità preminente della Democrazia Cristiana, perché su quella crescita è andata in crisi la capacità di rappresentanza politica della DC che si è illusa che la politica sia solo la gestione del potere. E’ gestione del potere ma in un contesto di ordine che amministra i problemi di una comunità. Noi ci trasciniamo ancora quella crisi.

C’è un secondo elemento. La crisi del comunismo coincide con la fine della presunzione degli uomini di anticipare il corso della storia prevedendo il futuro ed imponendolo con la violenza all’umanità. Oggi dobbiamo renderci conto che la crescita è possibile solo aiutandoci. Io sono convinto che nel nostro Paese la crisi è legata anche ad una crescita del potere diffuso. Negli anni passati il potere si è notevolmente distribuito all’interno della società italiana. Da un certo punto di vista siamo diventati una società democraticamente e potenzialmente più forte, solo che la cornice del potere dentro la quale esso era cresciuto è saltata e ognuno ha un pezzo di potere in più che salvaguarda collegandolo al proprio egoismo. Direi che la ragione dell’impazzimento e del disordine sta in questo. Oggi noi siamo in presenza di una lotta durissima per la ristrutturazione del potere; non sono le congiure, né i disegni, sono gli interessi organizzati che si scontrano. E la partita che siamo chiamati a giocare, la partita che stiamo giocando, e non è una novità nella esperienza della evoluzione dei popoli, è decidere se vogliamo uscire dalla crisi privilengiando le condizioni di amministrazione del potere, l’elezione diretta del sindaco, l’efficienza di chi governa, il potere di chi dirige un’attività economica, il tutto sganciato dal potere di controllo che caratterizza il processo democratico. La democrazia è decidere in favore dei più, garantire il bene comune, gli interessi generali. Una comunità è ordinata non quando ci sono i carabinieri che impongono qualcosa ma quando c’è un valore che la comunità vive come proprio, in maniera che se qualcuno rompe o attenta a questo valore, poi la forza dell’ordine lo ricompone. Noi siamo di fronte alla necessità di ricomporre tale equilibrio che non è solo equilibrio economico e finanziario, è anche una ragione di ordine civile diversa. Credo che sia questo l’argomento intorno al quale voi discutete sia pure come si discute quando si discute tra le masse. E ci si interroga se l’ordine civile nuovo che noi ricerchiamo possa essere sganciato da alcuni valori che nei secoli passati e nei decenni passati abbiamo considerato irrilevanti. Siamo in presenza di una società che si era illusa di far riferimento ad una specie di provvidenza temporale: lo Stato sostitutivo della responsabilità della persona. Voi negli anni passati avete molto puntato sulla riscoperta dell’uomo, probabilmente più attraverso gli slogan che con l’analisi o almeno è apparso così. Ebbene il fallimento del marxismo, la crisi pone l’uomo di fronte alla necessità di recuperare la propria responsabilità. L’uomo ridiventa il centro responsabile del suo destino, del suo futuro, della possibilità di concorrere a creare le condizioni per la propria liberazione. Solo che questo non gli è dato per una promessa e non gli è garantito, ma gli è dato se l’uomo assume la responsabilità di realizzare tale condizione. La discussione che abbiamo di fronte, la legge elettorale, gli ordini istituzionali, non possono essere presi come problemi limitati all’efficienza. Il problema del riordino è un riordino prima politico e poi istituzionale. Non a caso i romani che sono stati i maestri del diritto e quindi dell’ordinamento istituzionale dicevano che la legge nasce dai fatti, non il fatto in sé, comunque, ma il fatto che coincide con un valore intorno al quale la comunità si ricompone e trova la ragione del proprio ordine. E’ una partita difficile, non so chi la vincerà. Il ruolo dei partiti popolari è il problema cruciale della democrazia moderna. La società europea si è trovata già di fronte a questo problema all’inizio del nostro secolo, e si è illusa di risolverlo con la risposta socialista della società senza classi: conosciamo la conseguenza. Nel dopoguerra c’è stata la risposta sturziana del Partito Popolare che non è la risposta della tutela dei poveri contro i ricchi. Il Partito Popolare è lo strumento che nelle democrazie moderne consente che la gestione del potere sia legata non soltanto agli interessi forti ma anche alle speranze, agli interessi deboli, non contrapponendo, ma utilizzando le ragioni di chi ha per rispondere alle ragioni di chi non ha. Il Partito Popolare è una istituzione moderna della democrazia, direi l’istituzione più moderna della democrazia di una società ricca. Le democrazie moderne oggi hanno il dovere di creare una condizione dove le trasformazioni non facciano rovinare l’ordine democratico ma arricchiscano la condizione di libertà.

Liguori: On. Forlani, siete accomunati qua da un forte senso della centralità della politica, delle ragioni della politica, ma anche da un forte senso della centralità della Democrazia Cristiana all’interno della politica italiana. Rifacendomi ad alcune cose che ha detto adesso l’on. De Mita, ma anche guardando quello che sta succedendo nel paese, anche guardando a quello che sta succedendo a Milano, le chiedo di rispondere a quello che da molte parti, dentro la D.C. viene espresso: "E’ necessario un rinnovamento per non subire la crisi della politica, ma questo rinnovamento è impossibile farlo dal basso, posto per posto".

Lei che certamente non è in basso ma al vertice della DC pensa che questo rinnovamento sia possibile, sia indispensabile? e ritiene che la Democrazia Cristiana, dal centro, possa in qualche modo reagire alla crisi della politica mantenendo la sua centralità? In che modo?

Arnaldo Forlani, segretario politico della Democrazia Cristiana.

Forlani: Intanto penso che a questa esigenza di rinnovamento, di rigenerazione, di cose nuove, esigenza che è continua, che accompagna la vicenda degli individui e la storia del mondo, si debba corrispondere da parte di tutti; quindi non ci può essere un’iniziativa centrale o un sommovimento di base, bisogna che gli uomini di buona volontà, tutte le energie migliori, le intelligenze che si vogliono cimentare in questa impresa, concorrano insieme a questo obiettivo.

Prima voglio dire una cosa agli amici di Comunione e Liberazione e di Movimento Popolare. Io non debbo spiegarvi perché sono qui oggi, perché in un modo o nell’altro ci sono sempre venuto e ci sono sempre venuto perché, al di là delle sensibilità talvolta differenziate o degli orientamenti prevalenti in questa o in quella stagione, mi è sembrato sempre più importante un impegno di amicizia e di solidarietà che fra noi non può venir meno, ho sempre sentito che qui c’era un rapporto di amicizia che vale nei confronti di tutti. Qui io ho trovato sempre una straordinaria disponibilità ad ascoltare il prossimo e a rilevare quindi tutti i possibili concorsi e dati positivi che possono intervenire attraverso le umane esperienze, anche le più diverse. Amici miei, voi siete stati una grande forza, siete una grande forza e potete continuare ad essere una grande forza propulsiva non tanto nei confronti della Democrazia Cristiana, anche nei suoi confronti, ma all’interno del vasto mondo cattolico, soltanto se saprete rimanere in qualche modo liberi da questi condizionamenti di carattere partitico. Voi dovete essere una grande forza propulsiva per la intera Democrazia Cristiana, vorrei dire di più, per l’impegno che deve continuare da parte dei cattolici nella vita sociale, nella vita politica del nostro Paese. Voi dovete continuare a far prevalere gli elementi della sintesi, della unità, della coesione rispetto ai tentativi o alle tentazioni di divisione e di frammentazione.

Liguori: Dai giornali si legge della nascita di una nuova corrente nella D.C.; quando uno forma una corrente la prima cosa che fa è invitare tutti i suoi amici e consolida, trincera una corrente. Invece mi pare che voi abbiate parlato ieri, ma oggi qui non ci sono gli amici di una corrente, bensì c’è tutta la D.C., in qualche modo rappresentata o comunque gran parte di quella che è la D.C..

Quali sono le ragioni di questa unità e quali sono le ragioni delle differenze?

Roberto Formigoni, deputato.

Formigoni: La nostra ambizione, la nostra speranza, la volontà del nostro lavoro è un’altra, non è quella di costituire una corrente in più all’interno della Democrazia Cristiana, ma è quella di attrezzare, noi l’abbiamo chiamato un punto di riferimento e di lavoro per tutte quelle persone che concordano sulla drammaticità della situazione attuale e vogliono liberamente spendere le proprie energie, il proprio tempo, la propria genialità e passione politica per cercare di elaborare idee, contributi, proposte, affinché il nostro Paese riesca a superare la difficoltà drammatica nella quale si trova ad essere immerso. Quello che ci muove è proprio la percezione della difficoltà della crisi, tra l’altro non soltanto a livello italiano, ma in ambito internazionale. C’è chi ha scritto che con la fine del comunismo sarebbe finita la storia, e i problemi dell’uomo, tutto si sarebbe risolto, diventando più chiaro. Invece, proprio a partire dalla fine del comunismo il mondo si trova immerso in una serie drammatica di problemi nuovi. La questione del popolarismo è quella che a noi pare ancora la questione centrale della politica e del nostro fare politica in Democrazia Cristiana. Ritengo che noi siamo in una fase storica nella quale è la questione sociale la questione fondamentale della politica ed è attorno alla questione sociale e alla questione del popolarismo che si possono creare le alleanze all’interno del mondo della politica e che si scelgono le linee politiche e le linee di governo del Paese. Per noi parlare della questione delle povertà non significa soltanto parlare della miseria, ma parlare di tutti coloro che a livello internazionale e a livello italiano sono costretti a guadagnarsi da vivere con il sudore della loro fronte, coloro che non vivono di rendita, non sono espressione di poteri forti, di gruppi dominanti. Noi facciamo politica a partire dalla vita di questa gente, perché è la nostra gente, perché è la mia gente. Quando nella nostra tradizione diciamo partiti popolari parliamo di un modo d’essere dei partiti popolari che per molti aspetti si è perso nel corso della storia, ma che continua a costituire l’anima vera dei partiti oggi ed è anche a partire da questo che è possibile un loro rinnovamento. Il rinnovamento vero non sta nell’inseguire nuovi miti, che poi risultano essere soltanto un ritorno all’indietro, al collegio uninominale, la riforma istituzionale giocata tutta sul diventare proclivi agli interessi forti della società, il cambiamento vero sta nel recuperare quell’anima di popolarismo e di ispirazione cristiana autentica, che è ancora oggi la ragione d’essere della Democrazia Cristiana e costituisce l’unico motivo per cui vale la pena continuare a battersi all’interno della Democrazia Cristiana, per un partito che si giochi sulla questione sociale, sulla questione del popolarismo, portanto il contributo dei cattolici. Ecco perché abbiamo deciso di denominarci "Alleanza popolare per il cambiamento" punto di riferimento e di lavoro comune per chi fa politica in continuo e costante nesso e collegamento con quanti, ed è la maggioranza fra di noi, non fa politica in senso stretto, ma ha una visione tesa al bene comune, alla valorizzazione della società e allora si recupera realmente la politica come servizio e si conserva il collegamento con il popolo, con la gente che è la virtù più alta della politica stessa.

Liguori: I partiti popolari sono i partiti che fanno gli interessi popolari, al di là di barriere e steccati, schemi che reggevano fino a pochi anni fa e che oggi sono molto in discussione; e tra essi può esistere un’intesa nuova per il rinnovamento del Paese. Qui al Meeting ho sentito ripetere una tesi classica ma abbastanza logora in questo momento: se i partiti popolari non fossero portatori di interessi contrapposti si rischierebbe l’eliminazione del conflitto come modo per arrivare ad una sintesi, e come modo per arrivare a tutelare gli interessi di tutti. Voi avete detto che oggi la situazione è molto grave e che c’è conflitto aperto e drammatico tra interessi forti e interessi deboli. Trovate che questo modo classico, antico della politica che si è sempre usato, cioè gli steccati tra maggioranze e opposizioni, così come si sono consolidate fino ad oggi, possa essere superato, debba essere superato o no?

De Mita: Anch’io ho letto le cose dette qua e le cose dette dai rappresentanti degli altri partiti. Commetteremmo un errore se immaginassimo che gli equilibri politici a cui far riferimento siano tutti giocabili all’interno della storia passata. Ipotizzare un equilibrio politico tra forze politiche in difficoltà e com’erano nei momenti della loro forza significa immaginare una cosa che non c’è. Ogni forza politica, a cominciare dalla Democrazia Cristiana, ma un po’ più gli altri partiti, deve compiere un processo di ristrutturazione, cioè di adeguamento tra le ragioni per le quali sono comparse nella storia civile, prima che politica del nostro Paese e il loro concreto impegno politico. Su questo piano la DC è il partito che ha il riferimento culturale oggi più valido. Direi che è un po’ più valido oggi di quanto lo fosse negli anni passati, perché tutte le cose che sentiamo dire, la Democrazia come processo, l’Ordinamento come garanzia, la Democrazia come ragione di giustizia, l’impegno responsabile degli uomini, sono concetti che i Cattolici Democratici hanno introdotto, non solo sul piano culturale, ma nella concretezza dell’esperienza politica del nostro Paese. Io vorrei che non dimenticassimo che nonostante tutto rappresentiamo nella storia dell’umanità una esperienza di popolo che è riuscita a trasformare la propria realtà conservando le condizioni della democrazia, che è la grande questione culturale e politica davanti alla quale si è trovata spesso l’umanità. Poi ci sono gli altri partiti popolari di ispirazione marxista. La crisi non è solo del comunismo, la crisi è anche del socialismo, certo con punte di minore gravità; ma l’idea che è propria del socialismo, che la libertà degli uomini sia giocabile tutta all’interno dei processi di produzione, è un’idea che si è dimostrata non valida. La libertà non ha solo questa motivazione, l’ispirazione cristiana della libertà è una motivazione civile molto più forte, molto più suggestiva, molto più valida per credenti e non credenti. Non è solo un fatto di difesa della libertà religiosa, è un fatto di ispirazione che garantisce nel concreto meglio la difesa della libertà civile e quindi anche della libertà politica.

Come si esce dalla crisi? L’idea che i partiti giocavano la competizione con riferimento ad un modello verità è finito. L’avvenire ci impegnerà tutti a competere non per le verità di cui siamo portatori, ma per la capacità di governo dei processi che le società hanno e le confluenze e le divergenze nasceranno da questo. Quando leggo che i comunisti, ma non solo i comunisti, tutti, ritengono che dalla crisi si esce mandando all’opposizione la Democrazia Cristiana, mi preoccupo, ma non perché la DC vada all’opposizione. Io sono stato tra quelli che negli anni passati hanno ipotizzato il passaggio all’opposizione della Democrazia Cristiana in un momento di vittoria della Democrazia Cristiana. In un Paese l’alternativa nella gestione del potere conserva le radici forti della democrazia, è una vittoria per i partiti che hanno concorso a realizzare questo obiettivo. Mi pare molto debole l’idea che si esce dalla crisi solo mettendo tutti insieme gli altri non si sa intorno a che cosa. Io non credo ai disegni delle logge massoniche vecchie e nuove, anche se una riflessione su questo fenomeno andrebbe fatta con minore pregiudizio e con maggiore serietà. Però, quando leggo che possono stare insieme persone disparate, senza cultura comune, senza aspirazioni comuni, senza capacità di rappresentanza comune, penso più ad un club, ad un insieme di élites, anziché ad una capacità di rispondere ad una crisi di rappresentanza che è la politica. Noi abbiamo bisogno di un momento di grande unità intorno al processo di revisione delle istituzioni. La gestione dentro i meccanismi rinnovati sarà la sede dove le convergenze e le divergenze si misureranno. Le alleanze politiche in un sistema riformato non possono essere fatte con il ricordo del passato. Tutte le forze politiche scomponendosi e ricomponendosi debbono candidarsi a guidare i processi di trasformazione della nostra comunità, e su questo piano niente è dato per certo e niente è precluso. Se dovessi immaginare un rapporto tra forze politiche omogenee per la guida dei processi di trasformazione, io vedo che nel tempo medio sarà molto più probabile una allenza tra partiti popolari che non una contrapposizione tra partiti popolari.

Liguori: Gli steccati e le barriere della politica, oggi, possono cadere alla luce della contrapposizione che non è più soltanto fra maggioranza e minoranze ma anche tra interessi forti e deboli nella società che vede i partiti popolari un po’ tutti dalla stessa parte?

Forlani: Possiamo esprimere degli auspici, delle speranze, che, cioè, partiti un tempo prigionieri di una mitologia e di dogmi che poi storicamente sono caduti, crollati, partiti che hanno avviato quindi un processo di rinnovamento in radice, rinnegando aspetti importanti della loro ideologia e della loro esperienza storica, possano muoversi sul terreno costruttivo di un confronto con le altre forze politiche e con la Democrazia Cristiana verificando i motivi di convergenza sul piano programmatico e ragioni di dissenso che eventualmente permangono. Ed esprimiamo, in sostanza la speranza che anche il nostro Paese, che ha conosciuto la presenza condizionante del partito comunista più forte dell’Occidente, anche in Italia si realizzino condizioni di normale vita democratica, di normale dialettica politica. Per parte nostra, abbiamo fatto tutto quello che era umanamente possibile per trovare le ragioni di incontro e di collaborazione. Abbiamo ricercato anche in questa fase molto complessa e difficile del dopo elezioni, le possibilità di incontro, le condizioni di corresponsabilità rispetto agli impegni di governo e rispetto agli obiettivi di riforma elettorale ed istituzionale che ci siamo proposti. Non è colpa nostra se questo incontro non c’è stato. Con le elezioni del 5 e 6 aprile si è configurata una situazione politico-parlamentare che induceva i più a considerare ingovernabile il nostro paese. In questi mesi abbiamo lavorato perché potessero realizzarsi condizioni di governabilità. Siamo passati attraverso alcune fasi difficili sul piano istituzionale: le dimissioni del Presidente della Repubblica, l’elezione dei presidenti delle Camere, la formazione del governo. Nella situazione difficile che stiamo vivendo dal punto di vista finanziario, economico, della lotta alla criminalità, che cosa sarebbe stata la situazione del nostro Paese se noi non avessimo agito costruttivamente in modo tale da superare positivamente i passaggi istituzionali difficili che avevamo davanti a noi e se non avessimo costituito un governo sulla base di una alleanza che, malgrado le difficoltà, in qualche modo ha retto? Questo atteggiamento costruttivo e serio della Democrazia Cristiana non ha però trovato nei partiti di opposizione eguale sensibilità, eguale disponibilità. Noi abbiamo cercato di operare non tanto nell’interesse del nostro partito, ma nell’interesse del nostro paese. E abbiamo avviato una legislatura che sembrava destinata a naufragare prima ancora di partire. E se oggi è giusto rilevare i dati di crisi che esistono nel nostro Paese, dobbiamo però al tempo stesso considerare con serietà, con attenzione, come sarebbe stata più grave la crisi, la situazione di sbando, di sconcerto, di incertezza se non avessimo attraversato questi passaggi in modo costruttivo e responsabile. Le ragioni di crisi sono certamente forti, ma a questi dati di crisi non si fa fronte se non si salvaguardano e non si difendono le condizioni di governabilità nel nostro paese e se non manteniamo forte, unitaria, decisa la solidarietà e la coesione all’interno del nostro mondo, di un mondo che vuole continuare ad ispirarsi a principi permanentemente validi.

Sbardella: Non bisognerebbe leggere soltanto i titoli dei giornali, perché danno sempre la versione opposta di quello che poi è scritto all’interno degli articoli; noi abbiamo chiarito molto bene la nostra iniziativa: noi non vogliamo fare una corrente, ma un punto di riferimento che esprime e che accoglie le idee e che confronta con gli altri dentro il partito, molto liberamente, senza blindarci, senza chiedere niente, come non abbiamo mai chiesto nulla. Direi che questo è doveroso, perché altrimenti alla fine si rischia di non capire più perché si sta insieme. Noi vogliamo svolgere un ruolo di promozione, vogliamo proporre questo modello di partito e il nostro impegno è rivolto in questa direzione. Quindi non c’è alcuna preoccupazione di blindature, ma certamente non siamo indifferenti alle idee, proponiamo delle idee, vogliamo confrontarci sulle idee e magari poi scegliere di stare con gli uni o con gli altri in base alle idee che anche gli altri professano.