Venerdì 25 agosto, ore 11

COOPERAZIONE E IMPRENDITORIA GIOVANILE

Tavola Rotonda

Partecipano:

Marco Bucarelli, Giancarlo Cesana, Giulio Santarelli, Vittorio Sbardella.

Modera:

Aldo Rivela.

A. Rivela:

Cari amici, grazie per essere qui numerosi questa mattina al nostro dibattito su imprenditoria e occupazione giovanile. Io rapidissimamente voglio presentarvi i partecipanti a questa tavola rotonda. Alla mia destra l'On. Vittorio Sbardella, deputato al Parlamento, membro della direzione Dc ma, soprattutto, nostro grande amico (…). Alla mia sinistra l'On. Giulio Santarelli, socialista, deputato al Parlamento e anche lui, per noi, un grande amico Degli altri due ospiti credo di non dover dire molto: Giancarlo Cesana e Marco Bucarelli, presidente del Movimento popolare e responsabile del Movimento popolare del Lazio. Sono i due nostri amici che, più di tutti, hanno vissuto in prima persona la realtà dell'imprenditoria giovanile della quale oggi vogliamo occuparci (…).

M. Bucarelli:

(…) Nel presentare il "libro bianco " vorrei accogliere il giusto invito che ieri ci ha rivolto l'On. Andreotti: l'invito ad essere più buoni. Il titolo del libro bianco è Il gigante e la cascina e, forse per nostra ingenuità, per qualche nostro errore, è nata l'impressione distorta che questo gigante potesse essere identificato con De Mita. Ma non è così. Sarebbe stato meschino scegliere una soluzione del genere. Sarebbe stato meschino un attacco personale del genere, non perché De Mita non ci abbia fatto del male - questo è documentato nella storia del libro bianco - ma perché (…) questo gigante è un potere che va al di là di una persona (…). Ciò non toglie che il gigante resti, ed è per documentare questo che abbiamo scritto questo libro bianco. Un libro che nasce da una volontà di difesa, innanzitutto. È stato un fatto clamoroso: anche gli ultimi episodi, gli ultimi avvenimenti di rilievo nazionale, come la crisi al comune di Roma, poi successivamente lo scioglimento del consiglio comunale e ora le elezioni anticipate al comune di Roma nascono, in fondo, da una storia di cinque anni di aggressioni a un gruppo di ragazzi, di 20,25, i più vecchi 30 anni, che a Roma hanno tentato di tradurre in opere la Dottrina Sociale della Chiesa (…). Il potere di questo mondo ha paura della realtà di fatti veri, come può essere stata, ed è stata, l'esperienza della Cascina e l'esperienza della storia del Movimento a Roma, ma non solo a Roma. Roma è solo un esempio perché questa esperienza, grazie a Dio, si è dilatata ed è diffusa un po’ dovunque in Italia e non solo. Il potere ha paura delle realizzazioni concrete ed è stata questa la storia, perché non c'è altra motivazione ragionevole ad un attacco che non ha precedenti, ad una concentrazione di forze che vanno dal segretario della Dc, al segretario del Partito comunista, ai direttori di grandi giornali, contro quello che era un tentativo, all'inizio, di poche decine, poi di poche centinaia di ragazzi, contro un'esperienza di lavoro, un'esperienza economica che, come giustamente notava ieri il Presidente Andreotti, paragonata con il crescente neocapitalismo italiano, è una formichina. Dicevo: una volontà di difendersi, di raccontare fatti puntuali, che non sono stati smentiti da nessuno (…). Perché o smascherare la menzogna è la prima forma di difesa. Raccontare, dunque, una storia, la storia di come è nata fin dagli inizi, l'esperienza di una costruzione di opere a Roma, partendo dall'università e poi, man mano che gli anni passavano, aggredendo, iniziando ad affrontare la vita adulta, il mondo del lavoro (…). Qual è stato il criterio che ha portato a delle scelte politiche, che ha portato a trovare delle persone ostili e delle persone disponibili? Il criterio del libretto, il criterio anche delle scelte politiche che abbiamo seguito, non è direttamente politico. Non a caso questo è il Meeting del paradosso, un paradosso che ha caratterizzato e che caratterizza un tipo di metodologia di affronto delle scelte politiche. In un'intervista dicevo che l'unico criterio che abbiamo nel giudicare la politica e il comportamento dei politici è quello che abbiamo ribadito più volte, in incontri sulla disoccupazione a Roma. La politica viene giudicata dal fatto se permette oppure no la libertà di associazione, la possibilità per realtà associative di poter crescere, anche a livello economico, in una reale autonomia. Crescere, cioè, senza legarsi in maniera clientelare a nessuno, a nessun partito, a nessun uomo politico. La nostra politica è creare strutture autonome di lavoro che a Roma già hanno dato, e che possono dare, lavoro ai giovani. Perché il lavoro, ed è stata questa una scoperta che nella storia si è pian piano affermata, essendo la chiave di volta, come dice il Papa, della questione sociale, è il punto su cui la contraddizione, lo scontro emergono in maniera più evidente. Ma questo criterio non politico di scelta politica (…) ha un precedente illustre. Vorrei leggere dal libro bianco un passo di una lettera inviata all'onorevole Andreotti da un mio amico sacerdote (…): "Mi perdoni, Presidente, della mia insistenza: ma tutta la politica, la mia politica nei confronti di uomini ecclesiastici e politici, è descritta d questo episodio della vita di San Giovanni di Dio che mi permetto riportare. "Allorché l'Arcivescovo di Granada seppe quanto Giovanni di Dio fosse vicino alla fine, andò a trovarlo e lo confortò con sante parole... Poi gli disse che, se avesse qualcosa che gli dava pena, gliela dicesse, perché potendo vi avrebbe rimediato. Egli rispose: "Padre mio e mio buon prelato, tre cose mi danno preoccupazione, la prima quanto poco ho servito Nostro Signore, avendo ricevuto tanto da Lui. La seconda preoccupazione, i poveri che ho a carico, le persone che sono uscite dal peccato e dalla cattiva vita. La terza, questi debiti che devo pagare, che ho fatto per amore di Gesù Cristo" e gli pose nelle mani il quaderno nel quale erano segnati". Grazie.

G. Cesana:

Io ho scritto l'introduzione di questo libro bianco per due ragioni: la prima è che questo libro bianco documenta una esperienza emblematica della azione del Movimento popolare. Cosa è MP? Non è un partito politico, non è un discorso politico, non è un progetto di società, non è un principio strategico applicato alla società italiana. Movimento popolare, come diciamo sempre, è una compagnia di opere, cioè una amicizia tra tentativi di realizzazione concreta dentro la società, è una possibilità di esperienza umana nuova. Nasce dal cristianesimo perché il cristianesimo è un fatto di salvezza per l'uomo. Il cristianesimo non risponde semplicemente a una specie di bisogno spirituale dell'uomo. Il cristianesimo risponde al bisogno di tutto l'uomo. Perché, come Cristo perdonava i peccati, così guariva anche i ciechi e gli storpi. E noi il cristianesimo lo abbiamo incontrato così: il cristianesimo si traduce in un'opera. Che cosa è una opera? Un'opera è l'espressione del lavoro dell'uomo, in cui si vede l'ideale dell'uomo. Questo è MP: una amicizia tra queste opere. L'esperienza documentata nel libretto bianco mostra come da una esperienza di fede vissuta sia venuta fuori una iniziativa concreta di risposta ai problemi delle persone che si incontravano nell'università. L'esperienza documentata nel libro bianco è perciò un'espressione esemplificativa di tutta l'azione del Movimento popolare. Noi a questo teniamo in modo particolare, perché la fede, la fede cristiana senza le opere è morta, cioè non si vede. L'espressione della fede cristiana la si può vedere solo in una operosità, cioè in una umanità, in una socialità cambiata. Questo non è un progetto sulla società, questa è una proposta. Per noi che si possa vedere questo è fondamentale, perché altrimenti la gente, come è stato documentato dalla inchiesta sulla religiosità del "Sabato", non può più credere in Dio. Come può infatti un uomo credere che una novità è nel mondo? Deve incontrarla. Come si incontra questa novità? Si incontra negli uomini, nelle persone che a loro volta l'hanno incontrata e che nel lavoro esprimono il modo in cui si concepiscono di fronte alla realtà. Questo per noi è fondamentale e non cederemo mai su questo punto. Soprattutto perché abbiamo visto, e l'esperienza di Roma lo documenta in modo estremamente significativo, che questo è fondamentale per il mondo giovanile. Come fanno i giovani ad incontrare la proposta cristiana? Devono vederla come una umanità, una realizzazione nella società che li accolga, che li metta al lavoro, che dia lavoro, che risponda al loro bisogno di amicizia, di solidarietà, ecc. Questa è la cosa a cui teniamo di più ed è il motivo principale per cui ho fatto l'introduzione di questo libro, perché noi siamo in profonda unità con questa esperienza e con questa espressione. Ci caratterizza. La seconda ragione è far presente che questa esperienza (…) non è accademia, è un rischio. E il libro bianco, appunto, documenta questo rischio che è stato corso e affrontato con tutte le difficoltà che un rischio comporta (…). Certamente qualche volta ci potrà essere stato un accento eccessivo, nessuno lo nega, ma il problema è che bisogna guardare alla sostanza della questione. L'azione nella società è un rischio, non è, appunto, una accademia, non è una cosa che si fa sotto i portici, discutendo, come fosse una questione che non interessa. Per cui io sostengo anche che questa difesa, come ha detto giustamente Bucarelli non è un problema di persone, ma evidenzia una linea politica che si oppone a questa nostra azione di sviluppare questa realtà giovanile, perché come diceva il Presidente Andreotti, mette in discussione l'azione di altri. Lavorare nella società, costruire qualcosa di nuovo, costa sangue. Non è una cosa che si fa senza metterci del proprio. E il contrasto è forte (…) perché è in gioco un tentativo di ridurre la fede cristiana in uno spiritualismo o, peggio ancora, semplicemente in una disciplina. Per cui se uno agisce, fa, ecco, mette insieme Cristo e gli affari. Ma una fede cristiana così non interessa più a nessuno (:..). Questa è la ragione del nostro insorgere. Poi, quando si insorge si insorge, è chiaro. Ragazzi, io vi garantisco che, come c'è stato giustamente suggerito da tutti, noi cerchiamo di essere buoni, e capiamo che dobbiamo essere buoni, e non sto scherzando, non è una battuta, è una cosa a cui teniamo profondamente, perché siamo persuasi che tutti dobbiamo convertirci. Abbiamo il problema di vivere. E non si può negare il problema a 1.000 famiglie a Roma. Allora per questo ci difendiamo, nel senso di proporre una costruzione e di dire quello che per noi è la fede. La fede è la testimonianza di un avvenimento, cioè di una novità per l'uomo dentro un'opera. Non l'utopia di una società impossibile, domani. È una cosa che si può incontrare oggi (…).

G. Santarelli:

Il mio incontro con il Movimento Popolare è avvenuto negli anni bui, quando il terrorismo era ancora efficiente, specialmente nella capitale, e l'università era un punto nevralgico, scelto non a caso dalla strategia del terrore, per colpire uno dei punti fondamentali di una società moderna e mettere in ginocchio lo stato e la democrazia del nostro Paese. Ebbene, il servizio essenziale, dar da mangiare agli studenti, specialmente a quelli che non risiedono nella città, era una cosa da non trascurare. Succedeva però una cosa curiosa: a mezzogiorno, quando il pranzo era cucinato, si entrava in sciopero. Il mangiare si buttava via e gli studenti non mangiavano. In questo caos, che determinava in molti tante lacrime ma nessuna azione ci fu direi provvidenzialmente, l'offerta della Cascina. Ed io, che sono tra coloro che non ritengono il servizio della politica e delle istituzioni finalizzato al soddisfacimento dei propri gruppi, dei propri clan, delle proprie clientele, anche se l'offerta veniva da un movimento che potevo considerare diverso da quello dal quale io provenivo, ho ritenuto che fosse giusto accogliere quell'offerta. Mi pare curioso che quelli che oggi affermano che il potere, il Palazzo, le istituzioni non debbono privilegiare i propri amici ma coloro che con professionalità, con serietà, sono in condizioni di offrire il meglio, abbiano questa grande avversione verso il Movimento popolare (…). Debbo dire che il dibattito che si è creato, da quel momento in poi, dentro tutti i partiti, a Roma specialmente, ha messo in evidenza due aspetti fondamentali di come deve essere intesa la gestione delle istituzioni della cosa pubblica. Da una parte quelli che dicono: questi chi sono? Hanno questo timbro, dunque non devono lavorare, e sono proprio quelli che invece affermano il principio della libertà per tutti di operare. Dall'altra parte, quelli che dicono: no, la competizione tra le imprese, tra le società, tra le cooperative non deve riguardare il timbro di origine, la maglietta che portano, il colore a cui si riferiscono, ma deve unicamente riguardare le capacità, la professionalità, la serietà, l'efficienza di un servizio, di un'opera che viene prestata alla società (…). Credo che vada fatto un passo avanti. L'unità dei cattolici, Cesana, va attuata non in un partito, ma intorno ad un progetto di società, di vita, di salvaguardia di determinati valori. Allora, forse, anche l'Italia potrebbe fare un grande salto di civiltà, di democrazia, perché questo è il punto verso il quale noi, andando in Europa, dobbiamo guardare. E allora, se mi consentite, il Movimento popolare si è affermato con queste sue iniziative, con la Compagnia delle Opere, che tanto fa sorridere molti, perché ha dimostrato di non essere soltanto impresa. Il Movimento popolare ha dimostrato di avere alla base valori che vanno. al di là del profitto, del reddito, che stanno solitamente alla base di un'impresa. Ha dimostrato di avere un collante ideale che determina una partecipazione convinta e soprattutto il senso del servizio da dare che così spesso difetta in altri tipi di impresa. Infatti l’opposizione che da sinistra veniva al Movimento Popolare non era tanto dovuta al fatto che le cooperative di Comunione e Liberazione e Movimento popolare ritagliavano, sottraevano qualche fetta del business disponibile sulla piazza romana, quanto perché intaccavano il monopolio che c'era all'interno, specialmente dell'università, e che era un monopolio che dalle opere andava alla politica. Insomma, quando Rivela si trovò a dare uno sguardo a come funzionava tutto il settore del diritto allo studio, ne ha trovate di tutti i colori. Studenti fuori corso che avevano 50 anni e occupavano le poche camere disponibili del diritto allo studio, mangiavano gratis, camere che venivano utilizzate per ospitare qualcosa che era contro lo stato, iniziative illecite, illegali (…). Il fatto di aver rimesso ordine è stato un grande passo avanti (…). Allora, per concludere, io ritengo che è qui che si misura la serietà e la verità delle finalità di ogni movimento. Quando alla Camera dei deputati, tre mesi fa, abbiamo votato la mozione sull'ora di religione, si è realizzata una importante rottura col passato perché partiti come quello comunista, per esempio, che dal '47 in poi avevano sempre mantenuto un atteggiamento favorevole, dall'art. 7 in poi hanno votato contro. Partiti come il mio, che invece in passato avevano avuto un atteggiamento negativo, si sono trovati da soli a votare la mozione di maggioranza con la Democrazia cristiana. Ecco, io avrei preferito che qualche vescovo questo fatto lo avesse rilevato, avesse sottolineato che c'era stata questa novità importante nello scenario della politica italiana e credo che per le famiglie, il 90% delle famiglie italiane, quindi non il 7% che secondo il vostro sondaggio va a Messa la domenica, il 90% delle famiglie italiane che hanno scelto l'ora di religione, la Chiesa stessa, che su questo ha fatto una battaglia importante, doveva registrare, se non rilevare favorevolmente, un fatto che introduceva e portava ulteriore sviluppo all'azione che già il Presidente del Consiglio socialista, Craxi, aveva portato alla firma del nuovo Concordato. Ma insomma, non c'è stato. C'è stata solo la sollevazione verso quella parola che piace molto a Cesana e che piace molto anche a me: catto-comunista. Ecco, quindi, per amore della verità non sarebbe male che il pluralismo anche dentro i vescovi cominciasse a mettere l'accento sulla novità, che non si rimanesse fermi a cose che appartengono al passato e che non si inscrivono più nella evoluzione che la società italiana ha subito in questi anni. E per finire, allora, io dirò (…) che sarebbe ora di guardare al Movimento popolare nel modo più laico, meno fazioso, non per approvare tutto, perché Marco Bucarelli sa che le ultime vicende romane non mi hanno trovato molto d'accordo, non mi riferisco tanto al modo con cui lui ha difeso con i denti il suo diritto ad esistere e a competere, quanto insomma tutte le iniziative che scantonavano un po’ ed assumevano il sapore della politica, i manifesti per Roma, ecc. Ma io credo che bisogna cominciare a dire a tutti di guardare a questo movimento in modo serio, accettandone la sfida. Ai sei giovani socialisti che venivano a protestare cinque o sei anni fa, io dicevo: "Voi siete capaci di farmi un'offerta per gestire le mense universitarie? Portatela, fatevi avanti e se sarà il caso approveremo". "No, non siamo capaci". "E allora, questo vuol dire che la farà chi è capace, chi si è attrezzato, chi si è messo in condizione di poter offrire un servizio senza spirito polemico e di cordata". Perché io sono certo che anche su questo terreno non sarà né con le campagne dei partiti trasversali, né con le mozioni nel consiglio comunale o regionale, né tanto meno ricorrendo a magistrati compiacenti che si fermerà un cammino, una scommessa, un rischio, una possibilità di sviluppo. Ed io, sempre per andare contro corrente, vorrei invece fare un'esortazione a Bucarelli e al Movimento, che è nel senso opposto, cioè a osare di più (…). Vi invito, concludendo, a porre all'attenzione questa grande questione nazionale che è la riqualificazione e la modernizzazione delle nostre università, perché altrimenti il domani, per tutti noi e per i nostri figli, sarà molto più difficile.

V. Sbardella:

Ieri, vedendo le reazioni alle anticipazioni sul libro bianco, i miei giovani amici della Compagnia delle Opere e di Movimento popolare debbono aver provato lo stesso stupore di Davide che aveva colpito il gigante. Credo che il gigante sia stato colpito. Le reazioni in qualche misura sono state scomposte ma, come dicevo, lo stupore dice quanto l'intenzione non fosse quella di colpire una persona. Forse la penna è andata un pochino oltre le intenzioni. Questo libro bianco descrive una cosa, è la spiegazione attraverso una storia emblematica che si è vissuta in questi anni. Ci dispiace che sia debordata in un attacco che è sembrato personale a De Mita. Il problema non è De Mita. Ci scusiamo con De Mita. Speriamo voglia accettare le nostre scuse ma, detto che il problema non è De Mita, diciamo che il problema esiste. E forse questa reazione, forse questo chiasso che si è fatto, è servito a porlo all'attenzione di tutti.

Noi abbiamo vissuto questi anni, lo dico perché in qualche misura l'ho vissuta a fianco loro, una esperienza incredibile per l'astio, per la faziosità che abbiamo potuto riscontrare negli avversari, ma soprattutto, cari amici, per l'indifferenza degli amici. Hanno fatto tutti finta di non accorgersi delle cose che stavano avvenendo. Oggi se ne sono accorti. Qualcuno grida allo scandalo. Rispondo a un corsivo anonimo apparso sul "Popolo" a proposito di zizzania: qui non ci sono seminatori di zizzania, anche perché non c'è nessun interesse a seminare la zizzania, a dividere gli altri. L'interesse qui è ad essere uniti e a non essere il terreno di cultura della zizzania seminata da altri. Ieri mi sono divertito, mentre parlava Andreotti, ad osservare alcuni personaggi che forse si sono specializzati in questo tipo di lavoro, nel vedere la delusione che aumentava man mano che avanzava il discorso. La sorpresa: ma come, non li prende a ceffoni, non c'è nessuna reprimenda? Leggiamo tutti i giorni sui giornali le misurazioni della temperatura, del calore con cui vengono espressi i messaggi dei personaggi più vari, dei cardinali, degli uomini politici, ah, quest'anno è un pochino più freddo dell'anno scorso sta prendendo le distanze. Cari amici, questa è una realtà libera. Nessuno è in grado di sculacciarla, proprio per questa libertà, per questa gratuità dell'impegno ne a vita sociale. Ho detto che ci siamo meravigliati, ma forse non avremmo dovuto meravigliarci troppo, della insistenza, della faziosità, con cui siamo stati attaccati. Movimento popolare, le opere, rappresentano una innovazione assoluta nel mondo, diciamo anche politico nel senso più lato, di lavoro nella società. la politica che nasce dalle cose, non dai principi, che è innanzitutto una risposta al bisogno, che poi oggi mi sembra anche la migliore definizione della politica. La politica non è astrazione, non sono principi astratti, non sono modelli da trasmettere, abbiamo visto che i modelli sono tutti caduti, i modelli andavano troppo stretti o troppo larghi. Si deformavano, deformavano le persone che erano costrette a stare dentro quel determinato modello. I modelli sono finiti. La politica torna ad essere una risposta ai bisogni reali della gente, al lavoro. Stiamo vedendo, abbiamo visto le astrazioni, il bipolarismo, il tentativo di trasformare il sistema politico italiano in qualcosa di diverso, che ha questa caratteristica: rispondere meglio agli interessi delle classi dominanti. E allora abbiamo cercato di opporci con pochi strumenti, con pochi mezzi, con la presenza, diciamo anche con il coraggio, di rispondere alle aggressioni, non per aggredire, ma per difenderci. Perché rappresentiamo una innovazione, siamo qualcosa di nuovo. Il Movimento popolare, questa realtà che si muove, è un'indicazione anche per gli altri a muoversi nella società incontro ai bisogni, e un modello, un riferimento. Poi, mi sembra, Vittadini, nell'opuscolo di presentazione, dice che non bisogna inorgoglirsi: queste sono piccole opere in rapporto agli ordini di grandezza con cui si misurano le cose economiche nel nostro Paese e nel mondo. Ma queste piccole cose organizzate come sono, per il tipo di sinergie che possono mettere in movimento, sono o possono essere un modello per altre cose, per altre iniziative che nascano dalla società, non necessariamente dal Movimento popolare. Ma noi non dobbiamo costringere la società a riviverli, dobbiamo spingere la società a vivere e a costruire il proprio avvenire, la propria politica. Perché questo è propria mente la politica, questo è propriamente la democrazia. Noi ci stiamo avviando verso il compimento dell'unità d'Europa, per questo siamo così preoccupati a livello politico e per questo sottolineiamo l'importanza e la validità di questa iniziativa che nasce dalla società. Noi per il passato abbiamo sostenuto la crescita dell'economia e dell'industria italiana. Oggi ci accorgiamo, cari amici, che forse abbiamo anche un pochino esagerato, nel senso che abbiamo consentito la crescita di imprese che da un giorno all'altro possono rappresentare la perdita del nostro investimento. Non voglio nemmeno nominare grosse imprese, pensate a quello che poteva succedere con la SME e rapportatelo a cose che potrebbero succedere per altre grandi, grandissime imprese. Il giorno in cui, arrivati al compimento dell'unità europea, queste imprese non riuscissero ad essere competitive nei confronti di altre imprese della comunità, ci potrebbe essere la tentazione di vendere e di abbandonare al proprio destino anche i lavoratori che sono impegnati in esse. Allora, vedete l'importanza di questo esempio, di questo modello, per tante piccole esperienze che nascono all'interno, cose non grandi, ma che possono organizzarsi, che possono creare, come dicevo, delle sinergie per affrontare anche la competizione ai livelli internazionali. È una cosa piccola, ma è un grande esempio che noi dobbiamo cercare di dare e su cui dobbiamo tentare di costruire un'Italia e una società italiana diversa. Grazie.

A. Rivela:

Io ringrazio i partecipanti a questa nostra tavola rotonda e prima di concludere consentitemi un'ultima riflessione che nasce dall'esperienza di questi anni del mio incontro con il Movimento popolare, nasce dalla lettura di questo piccolo opuscolo e nasce dalla realtà delle cose che abbiamo detto qua. Bisogna essere molto attenti, per il futuro, che la fede religiosa non sia mai un limite discriminante per la presenza dei giovani nel mondo del lavoro, laddove, invece, troppo spesso lo è la tessera di partito. Grazie.