"Ospitare il reale -
Per un’idea di università" e
"Il mistero nuziale. 1. Uomo - Donna"

di Angelo Scola (Ed. Pontificia Università Lateranense - Mursia)

Presentazione dei libri

Domenica 22, ore 15.00

Relatori:

Eugenia Scabini-Colombo,
Ordinario di Psicologia Sociale della Famiglia presso l’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano

Giancarlo Cesana,
Consiglio Nazionale di Comunione e Liberazione

 

Scabini-Colombo: Il mistero nuziale di Angelo Scola è un testo molto impegnativo, profondo nella sua essenza, da mozzare il fiato; deve essere affrontato come un libro di studio e non come un romanzo. Il titolo già ci fa pensare ad un tentativo di mettere in forma sistematica il mistero della sponsalità.

All’inizio viene ricordato un mito, presentato nel Convivio di Platone, nel quale Aristofane ripropone l’idea che originariamente non esisteva l’uomo distinto dalla donna, ma un essere unico. Questo essere viveva così bene tra sé e sé che un dio geloso pensò di spezzarlo in due; nacquero allora il maschio e la femmina, perennemente alla ricerca l’uno dell’altro, metà imperfette di una originaria perfezione.

Il mistero nuziale è l’opposto di questa metafora, perché non è affatto una visione armonica, in cui il rapporto tra uomo e donna prevede che i due esseri umani si incontrino e si plachino: la natura di questa relazione, al contrario, è drammatica. Le tappe di questa drammaticità, di questa tensione, costituiscono il filo rosso che porta dall’analisi della struttura fondamentale del desiderio umano fino, per analogie successive, a comprendere l’essenza stessa del divino, che è un essenza sponsale. Analogia non vuol dire identità, significa quindi che dal rapporto tra uomo donna noi riusciamo a capire di più anche l’essenza del divino.

La natura drammatica del rapporto comincia da un dato di fatto. L’uomo e la donna non sono metà l’uno dell’altro, perché l’essere umano si presenta in due forme distinte: la forma maschile e la forma femminile. La comune umanità si presenta sotto due forme distinte e nessuna delle due forme può dire di rappresentare tutta l’umanità. L’umanità è data dalla loro unità: questo è un dato di fatto sul quale non si è riflettuto sufficientemente. Entrambi rappresentano un io in sé completo, anche se contingente; infatti la donna non si completa se aggiunge dei pezzi di mascolinità e, viceversa, l’uomo non si completa se aggiunge dei pezzi di femminilità. Essi sono esseri in relazione, ma l’uno per l’altro hanno un’alterità, un’inaccessibilità originaria. In questa inaccessibilità l’uno non può diventare simile all’altro, può partecipare alla vita di quell’altro, ma non può imitarlo, copiarlo, ed è proprio questa inaccessibilità a rappresentare fonte di desiderio e di tensione.

Alcune pagine si soffermano sulla dinamica del desiderio. Nella sessualità, nell’unione tra uomo e donna, vengono distinti piacere e godimento. Ciò che porta un essere verso l’altro, l’appagamento dell’unione anche fisica di due persone, proprio nel culmine, denuncia comunque una mancanza: il desiderio ha infatti in sé qualche cosa di più grande dello stesso piacere che porta all’unione, segno dell’inaccessibilità che connota il rapporto tra le due persone, segno della contingenza dell’essere umano. San Tommaso stesso valorizzava sia questo aspetto della passione, questa "affectio" da cui sei preso senza che tu possa fare niente, e sia il fatto che questa passione stabiliva un itinerario che arrivava all’elezione, cioè ad una sorta di dominio su questa passione. Nella relazione tra uomo e donna agisce lo stesso sopruso: non bisogna dimenticarsi della ferita del peccato originale presente in questa tensione, una ferita strutturale ma anche una ferita legata ad una deficienza dell’essere umano.

La struttura originaria del dinamismo di questo rapporto vive anche nell’amore più superficiale, anche nell’amore più toccato dal peccato. Questa struttura originaria vive in tutti i tipi di amori, dal più sublime al più animalesco, ovviamente in misura diversa. Si tratta di una reciprocità simmetrica – l’uomo e la donna si relazionano reciprocamente perché sono sullo stesso piano –, ma asimmetrica, perché la differenza non è mai abolita, non c’è mai una pacificazione. Questa differenza sta a significare che l’altro non è mai accessibile a me, anche se sono in profonda relazione con lui, e che i due sono fatti per una funzione di fecondità che li eccede: il figlio. A questo punto si chiarisce la struttura fondamentale che è sessualità, amore e fecondità, unità che non può essere scissa. Questa struttura terna – uomo, donna e figlio – è in qualche modo un sigillo della Trinità. Questa qualità "communionalis" che vive nella relazione uomo-donna, dà all’amore umano una vertigine alla quale noi così difficilmente siamo abituati.

Balthasar pose una domanda partendo proprio da questa analogia e si chiese quale coppia avesse in mente quando il Dio uno e trino la creò. Se Dio non fosse stato Trinità non gli sarebbe neanche venuto in mente di creare, perché la creazione è una fecondità che deriva proprio da questa qualità comunionale interpersonale. Riferendosi ai testi di san Paolo, che ripetono la tradizione cristiana del matrimonio, si viene a sapere che Dio aveva in mente il rapporto tra Cristo sposo e la Chiesa; Cristo è uomo-Dio: da una parte è attaccato alla Trinità e dall’altra è vicinissimo all’umanità, l’ha nella sua natura. Nel Vangelo leggiamo che Cristo genera la Chiesa sulla croce, quando accetta liberamente di morire; nel Vangelo c’è anche l’immagine di Cristo sposo della Chiesa. Il rapporto tra Cristo e la Chiesa è un matrimonio nel quale per analogia si riprende il rapporto uomo-donna, tant’è che in tutti i suoi testi san Paolo dice "dovete amarvi come Cristo ha amato la sua Chiesa". In questa unione sponsale Cristo ha generato una parentela nuova e ha vinto, liberando il rapporto sponsale, il rapporto generativo, dalla morte.

Si possono distinguere così tre tipi di generazione, tre modi per dire la parola fecondità: riproduzione, procreazione e generazione. La riproduzione, in cui l’individuo riprodotto ha lo scopo di conservare la specie, appartiene al mondo animale. Nella procreazione gli uomini sono a metà tra la riproduzione, perché l’individuo in effetti tramanda a qualcuno un patrimonio che poi viene preso e tende a scomparire, e la generazione, perché Cristo ha generato la Chiesa e ha vinto il ciclo di morte: il figlio che nasce non è solo il prodotto della coppia ma è un essere persona che riporta lo stesso mistero divino. Ma c’è anche la generazione, una fecondità amorosa che fa sì che il figlio sia sganciato dal ciclo riproduttivo della specie e che si generi un tipo di fecondità nuova nella famiglia umana, una fecondità che avvicina avvicina le persone sposate a chi sceglie la verginità. Cristo, morendo, dice a Giovanni "Figlio ecco tua madre", e a Maria "Madre ecco tuo figlio". Questa è una forma di parentela che travalica la parentela biologica e attribuisce ad essa un grande respiro, una parentela non solamente spirituale, una parentela che passa attraverso la carne. Giovanni, infatti, prese Maria in casa sua e la casa è un prolungamento del corpo. Questa è la sintesi di questo profondissimo libro.

Terminiamo con una citazione che Scola ricava da un testo di Guitton. Il grande filosofo rivolgendosi alla moglie osserva: "Alcuni si sposano perché si amano, altri finiscono per amarsi perché sono sposati, ed è meglio che in ogni matrimonio ci siano l’uno e l’altro. Ma perché si finisce per amarsi una volta sposati? È forse per conservare la piega che abbiamo preso?" La moglie risponde: "Ci dev’essere dell’altro se si tratta di amore". "Marie Louise" chiede lui "ma qual è quest’altra cosa?" e lei risponde "Deve riguardare il tempo e l’eternità". Questa frase ci dice con termine suggestivo il perché questo mistero nuziale abbia come chiave la parola indissolubilità.

Cesana: Chaim Potok, in un suo libro intitolato La scelta di Reuven, parla dell’esperienza degli ebrei chassidim, dell’esperienza di smarrimento dopo i campi di sterminio. Questa setta inaugura due tendenze, una che cerca di recuperare l’ortodossia attraverso un ritualismo molto stretto, un’adesione molto severa alla tradizione, l’altra che tenta invece di adeguare la fede dei padri alle esigenze del mondo moderno. Monsignor Scola non ha a che fare né con l’una né con l’altra tendenza: il suo è piuttosto il tentativo di una fedeltà alla tradizione, cercando di fare in modo che essa venga compresa e espressa in termini adeguati all’esigenza dell’uomo di oggi, con la convinzione e la certezza che la nostra tradizione cristiana contenga questa adeguatezza in sé.

Nel libro Ospitare il reale, che riguarda il problema dell’università, si parte proprio dalla consapevolezza e dall’affermazione che ciò che educa l’uomo non è innanzitutto la trasmissione di un sistema di idee, di una concezione o di una interpretazione della realtà, ma è una tradizione, ovvero qualcosa di più grande di noi che ci è stato consegnato, e che noi a nostra volta comunichiamo ad altri, in modo tale che anche gli altri possano verificare quello che noi a loro diciamo. Monsignor Scola riprende da questo la sua preoccupazione educativa e la svolge attraverso una riconsiderazione sul pensiero di don Giussani come è espresso sinteticamente nella introduzione a Il rischio educativo.

Tutto il problema educativo si svolge nel presente, perché se un fatto, se una proposta non sono presenti, e se la comunicazione di essi non riguarda un interesse della persona adesso – hic et nunc –, se non riguarda una esigenza di adesso, è morta. L’educazione per essere tale deve comunicare una tradizione che sia viva nel presente: questa è la grande sfida. Tutta l’educazione, infatti, si gioca nella comunicazione tra un soggetto educante e un soggetto che viene educato; il fattore decisivo è l’esperienza presente di un uomo che comunica a un altro uomo la tradizione in cui questa esperienza presente si innesta. L’educazione comincia come fatto presente. Il fattore educativo che emerge da una impostazione di questo genere è la capacità di critica, secondo l’idea cristiana del termine. Noi normalmente però pensiamo alla critica come a un fattore distruttivo, come quel processo che della realtà mette in evidenza le cose che non funzionano. Nella tradizione cristiana invece il concetto di critica non consiste nel vedere dentro una realtà meccanicamente positiva le cose che non vanno, ma l’esatto contrario, cioè saper vedere le cose che vanno; anche perché tutti sono in grado di vedere le cose che non vanno, la vera arte del vivere sta nel vedere quelle che vanno, vedere il positivo.

Dopo queste precisazioni monsignor Scola affronta il problema dell’università prendendo spunto da una conferenza che fece al Meeting con il rettore dell’Università degli studi di Milano, il professor Mantegazza. In quell’occasione, si constatava che l’università non risponde più alla ragione per cui è nata e che sta nell’etimologia della parola "Universitas", che significa appunto "verso l’Uno"; l’università infatti nacque come tensione ad una universalità del sapere, cioè ad un sapere che fosse secondo la totalità dei fattori presenti della realtà. L’universalità del sapere non vuole dire sapere tutto, vuol dire che è possibile mettere il particolare che si studia in relazione con il destino della vita.

Oggi, con il venir meno del primato della ricerca della verità e il venir meno della verità come valore nell’esistenza umana, si ricorre solo all’utile. Il lavoro universitario così rischia di trovare il suo scopo nella convenienza personale intesa come denaro, prestigio, potere, capacità di riconoscimento. Per esperienza personale, essendo anch’io un docente universitario, devo dire che questo è profondamente vero tanto più quanto la scienza di un paese è subalterna, come la scienza italiana a quella anglosassone.

La riduzione del lavoro universitario alla ricerca di una convenienza, ad una subordinazione al potere dominante, è ancora più deleterio perché è diverso studiare fisica dove si va sulla luna o si va su Marte e studiare fisica dove non si va da nessuna parte: sono due mondi completamente diversi. Il rischio del nichilismo, cioè di un lavoro fatto per nulla, o di un lavoro senza scopo, o anche di un lavoro che trova in se stesso, nella contingenza del momento, la sua ragione d’essere è, soprattutto in una situazione come la nostra, molto forte ed è effettivamente quello contro cui bisogna combattere. In alcune facoltà, soprattutto mediche, sono stati scritti libri, lavori, pubblicazioni su riviste scientifiche molto importanti, inventando tutti i dati, senza fare assolutamente gli esperimenti. Questo avviene perché il prestigio, la contingenza a cui è finalizzato immediatamente il lavoro, è ciò che vale; non esiste per nulla uno scopo di verifica.

Per combattere questo gravissimo pericolo – il nichilismo snatura infatti la consistenza stessa del lavoro universitario – come si può fare ricerca? Se non esiste uno scopo di verità a cui la ricerca tende, se non esiste un ordine dell’universo da svelare, non è possibile. La proposta è di riprendere, il concetto di verità nei termini posti da san Tommaso. Il grande filosofo parla della verità come adequatio rei et intellectus, ovvero come capacità dell’intelligenza umana di comprendere la cosa, e come convenientia, ovvero come capacità dell’intelligenza umana di comprendere la corrispondenza con la realtà.

Con grande coraggio, Scola ritiene che l’università moderna debba ripartire per ritrovare una sua consistenza, una sua propositività, una sua dignità. Questo monito per l’università italiana vale ancora di più, perché è tra le peggiori del mondo; l’Italia è infatt un luogo in cui la realtà universitaria e soprattutto la gioventù universitaria sono state usate per la ricerca, ma dentro finalità di tipo politico tendenzialmente eversivo.

La capacità di comprendere la cosa e di coglierne la corrispondenza significano una moralità nel pensiero, un modo di essere che tenga più alla verità che a se stessi: sono suggerimenti che possono attuarsi attraverso la realizzazione di un effettivo pluralismo all’interno delle università italiane. Il pluralismo può essere, in tempi che non sono proprio simili a quelli in cui l’università è nata, un aiuto perché si ritrovi lo spazio per un riscatto.

Tutto ciò che si riferisce alle università italiane, riguarda anche le università cattoliche, come la Cattolica di Milano, o ecclesiastiche come quella che monsignor Scola dirige. La traiettoria dettata dall’esigenza di maggior verità costituisce una sfida per questa stessa università e affronta anche tutto il problema della teologia: una scienza che dovrebbe unificare e che invece oggi è rotta, frammentata, che addirittura deve essere ricostituita per poter permettere questo lavoro. Teologi, preti e cristiani devono essere messi nella condizione di imparare innanzitutto ad essere uomini, ovvero in grado di usare pienamente le doti fondamentali che l’uomo ha e che nessuno può contraddire e che anche la teologia assolutamente non contraddice, ma anzi valorizza: ragione e libertà.