Venerdì 29 Agosto, ore 15

SAMIZDAT: I FIUMI SOTTERRANEI DELLA COMUNICAZIONE

Incontro con:

Romano Scalfi,

direttore della rivista "L'altra Europa".

Irina Alberti,

direttrice del settimanale "Le pensée russe" con sede a Parigi.

Piotr Jeglinsky,

direttore della Casa Editrice "Spotkania".

R. Scalfi:

(...) La Comunicazione ha origine dal cuore dell'uomo, il centro della persona che registra, giudica e ricompone in unità i dati dell'esperienza umana, per poi proporli in un messaggio. E’ il cuore che ospita la libera comunicazione del divino all'uomo, è insieme la libera risposta dell'uomo che si apre al divino (…). Norwid dice che il fine della parola è l'autocoscienza. La comunicazione con gli altri è la partecipazione armonica, sinfonica., all'ordine cosmico del creato. E’ quindi il cuore che detta il canone primario della comunicazione e libertà che tende alla pienezza della vita. L'editoria clandestina dei paesi dell'Est, come diceva Solzenicyn, è l'editoria più libera del mondo. Perché è affidata completamente alla libera iniziativa e alla responsabilità dei singoli lettori (…). Il Samizdat ci ha fatto ulteriormente comprendere che non sono le situazioni esterne, gli ostacoli maggiori alla comunicazione, ma è la fragilità spirituale dell'uomo, l'inconsistenza interiore, la menzogna, la coscienza che sceglie per il compromesso e l'ambiguità (…). Scrive Pasternak, uno dei primi che ha rotto il grande silenzio in Russia: "Io non ho mai provato la felicità senza sentire l'esigenza appassionata di comunicarla e di condividerla con qualcuno. E quanto più questo sentimento di felicità era grande, tanto più volevo condividerlo con un numero maggiore di persone. Da questa esigenza talvolta inesprimibile incomincia l'arte". Noi potremmo aggiungere che da questa esigenza nasce l'arte del Saimizdat (…) Il mezzo di stampa del Samizdat è, normalmente, la macchina da scrivere, ma anche la penna, a volte la scrittura su stoffa, come potrete vedere nella mostra. Esistono anche delle tipografie clandestine. Su questo sono stati maestri i cristiani battisti (…). I testi del Samizdat che giungono in Occidente sono soltanto una parte spesso irrilevante di ciò che circola all'interno dell'Unione Sovietica. Perciò, senza esagerare, si può credere che i testi del Samizdat sono centinaia e centinaia di migliaia (...). Le migliori opere della letteratura russa degli ultimi 40 anni sono uscite nel Samizdat: Pasternak, Grossman, Solzenicyn, Sinjavskij; Mandel'stam, Maksimov, ed altri, i più grandi scrittori e poeti, tutti hanno pubblicato attraverso il Samizdat (…). Il Samizdat umanistico, gli scritti in difesa delle persone ingiustamente colpite dal regime, sono innumerevoli. Scritti di commovente impegno e dignità umana. Non enfatici, ma sobri ed essenziali. Pasternak ha detto: "Tutto ciò che è enfatico, altisonante e retorico, è moralmente sospetto". Tutta la cronaca umanistica è ispirata dal gusto e dal culto della verità: "Vivere senza menzogna" è il programma che aveva lasciato Solzenicyn. Il Samizdat a carattere esplicitamente religioso è quello che ha mostrato più capacità di durata nel tempo (…). Testimonia una fede carica di esperienza religiosa profonda. Ciò che colpisce negli scritti del Samizdat dei battisti è la serenità, la gioia nell'annunciare Cristo. Le lettere dei cristiani battisti dei lager hanno la freschezza della testimonianza dei primi cristiani nei periodi della persecuzione. Il Samizdat lituano, con le 23 riviste clandestine, con appelli che raggiungono in pochi giorni più di 17.000 firme, è diventato l'espressione corale di tutto un popolo. Attraverso il Samizdat il popolo comunica, crea cultura, consolida la propria unità e quindi rende la vita più responsabile e più libera. Un tipo di coralità popolare che credo si possa riscontrare purtroppo soltanto in Lituania. Il Samizdat cristiano nel suo complesso ha promesso la comunicazione e il confronto ecumenico (…). Il secondo merito del Samizdat religioso è l'aver promosso la comunicazione e il confronto col Samizdat laico. Molti scritti del Samizdat laico sono in difesa dei cristiani e viceversa. Ne è nata una comunicazione che ha favorito il rispetto e l'intesa reciproca (…). Quantitativamente oggi il Samizdat è stato decimato. Resiste in Lituania, resiste fra i Battisti, ma altrove si è ridotto. Le motivazioni possono essere diverse: molte voci del Samizdat parlano in Occidente, sono state costrette ad emigrare, la repressione interna oggi è più decisa. Andropov ha imposto l'ordine e Gorbacev intende mantenerlo con una mano ancora più pesante, anche se, esternamente, è sempre più prodigo di sorrisi, di promesse e di capacità di illudere l'Occidente. Emigrazione e repressione non spiegano tutto. E’ subentrata una certa stanchezza. Altri sono sfiduciati, anche per la poca solidarietà mostrata in Occidente e qui sta tutta la nostra grande responsabilità. La comunicazione continua più nascosta, più clandestina, sempre pronta a venire alla luce appena se ne offre la possibilità (…). Se non si ascolta il Samizdat poco si comprende dell'Est, ma poco anche dell'Occidente.

I. Alberti:

(…) E’ un esperimento di per sé tragico, quello che riguarda l'Unione Sovietica e tutti i popoli soggiogati dal suo regime, ma è un esperimento che tocca a tutti, perché il grande dramma della nostra vita e della civiltà moderna è in fondo questo: da che parte andiamo? Di una vita in Dio, o della proclamazione della morte di Dio (…). Come vogliamo costruire la società in cui vivranno i nostri figli? L'Unione Sovietica è come un palcoscenico sul quale ci viene mostrato, in una tragedia che continua e si svolge tutti i giorni da 70 anni, se si va da una parte o dall'altra. Ma i sipari sono tanti (…). La lotta accanita e spietata del governo sovietico contro il fenomeno del Samizdat è, da molti osservatori superficiali, giudicata ridicola. Il vero valore del Samizdat è di essere l'unico mezzo che noi abbiamo per penetrare dentro il mistero di questa società, per oltrepassare i sipari che vengono messi fra noi e la realtà della società sovietica. Adesso abbiamo una situazione nella quale ci sono due sipari, due mezzi di difesa del regime contro le voci di verità che tentano di giungere sino a noi. Uno di questi, costante nel regime sovietico, è la repressione, la persecuzione; l'altro mezzo, usato sempre più scaltramente, è la disinformazione, una parvenza di maggiore libertà e pluralismo che purtroppo spesso la stampa occidentale prende per verità. Tanto più importante e tanto più prezioso diventa allora il Samizdat, le uniche voci che rispecchiano la realtà (...). Credo che la sua diminuzione sia dovuta, oltre alle difficoltà che sono state poste sul suo cammino, anche alla sempre più scarsa risposta che queste lettere disperate ricevono in Occidente (…). Gli scrittori in Russia hanno esercitato una funzione molto più importante di quella tradizionale. Sono stati la voce della coscienza del popolo. Il Samizdat ha restituito alla parola umiliata e degradata a menzogna, la sua dignità, il suo carattere sacro (…).

P. Jeglinsky:

(…) Ciò che è conosciuto in Unione Sovietica sotto il nome di Samizdat, in Polonia ha diversi nomi, si chiama stampa indipendente, clandestina, di cospirazione sotterranea. Nel periodo della seconda guerra mondiale c'era un forte movimento di opposizione che disponeva di circa 1.500 pubblicazioni. Nel 1944/45 arriva in Polonia un nuovo comunismo portato dall'armata russa: la stampa clandestina, già esistente, prolunga la sua attività. Dopo la falsificazione delle elezioni cominciano le repressioni staliniane: decine di migliaia di fautori della stampa clandestina finiscono nei lager. Nel 1976 nasce la prima casa editrice studentesca indipendente in Polonia, nell'ambito dell'Università Cattolica a Lublino. Lo slogan di queste persone sono diventate le parole di Giovanni Paolo II: "Non abbiate paura" (...). Contro questo pensiero indipendente, libero, il sistema totalitario ha sguinzagliato migliaia di carri armati e baionette. Malgrado questo brutale fatto, che si verificò quasi 5 anni fa, la stampa clandestina prosegue comunque, impiegando lo sforzo di centinaia di migliaia di persone (…).