Mercoledì 27 Agosto, ore 11.15

INFORMATICA E DIDATTICA: PER QUALE SCUOLA?

Partecipano:

Michele Pellerey,

matematico, docente di Metodologie didattiche, e preside della Facoltà di Scienze dell'Educazione presso il Pontificio Ateneo Salesiano di Roma.

Gianfranco Secchi,

ingegnere dell'I.B.M., autore di pubblicazioni sul rapporto tra informatica e scuola.

Ivo De Lotto,

ingegnere, Docente di Calcolatori Elettronici, presso l’Università di Pavia, direttore del CILEA di Milano.

M. Pellerey:

L'informatica e la scuola. Coloro che si sono occupati di informatica non si sono occupati di scuola, e viceversa, il che ha provocato una certa difficoltà di dialogo (…). La riflessione critica sul perché ci deve essere l'informatica nella scuola, non ha una lunga tradizione. C'è stata un sorta di esplosione in questi ultimi anni. L'informatica non è nata ieri: è nata invece negli ultimi 10 anni l'invasione dell'informatica percepibile a tutti i livelli, come problema sociale, culturale, educativo. Ecco perché anche la scuola ha dovuto iniziare a interessarsene: perché l'informatica, da un problema di tecnici, cominciava a diventare un problema dell'uomo. E la scuola ha come compito fondamentale quello di contribuire alla crescita dell'uomo. Probabilmente la strategia più utile per riflettere su che contributo può dare l'informatica nel processo formativo, è quella di riflettere sulle sue radici. L'informatica, in realtà, è nata nel mondo greco, con tutta la riflessione sui procedimenti logici, sulla maniera di organizzare in modo completo il discorso e di rappresentarlo in modo efficace (…). C'è una tesi molto diffusa che dice che il motivo di questa attenzione alla componente razionale dell'uomo, è il cosiddetto alfabeto fonetico che implica un procedimento analitico-sintetico. Senza questo momento, non sarebbe nata probabilmente la cultura occidentale, che si dice razionalista. Il mondo indiano ed arabo ci hanno dato l'attenzione all'aspetto procedurale della successione delle cose da fare, dell'organizzazione, dell'analisi e della rappresentazione dei procedimenti. (…) Un certo Blaise Pascal, che è conosciuto come un filosofo molto impegnato nell'analisi degli aspetti esperienziali completi dell'uomo, ad un certo punto si è costruito una macchina per fare i conti: era il figlio di un contabile e doveva aiutare il padre. Così è capitato a tanti altri e fino all'800 lo sforzo era di liberarsi dalla ripetitività di questi procedimenti di calcolo per poter pensare in maniera più libera (…). Un'altra strada è cercare di automatizzare non solo il calcolo aritmetico ma anche quello logico: si era pensato che anche dentro la logica ci fossero delle regole, lo diceva Aristotele, finche si è arrivati a un certo Leibnitz che ha pensato di trovare una lingua formalizzata. Oggi il calcolatore si presenta a noi come la capacità di elaborazione di calcoli aritmetici e di calcoli logici. (…) Oggi, nella tecnologia moderna, si distinguono tre grandi momenti: la progettazione, l'esecuzione e il controllo. Questa tripartizione ci può dare un'idea. L'informatica è la parte esecutrice anche nel lavoro. Allora la macchina dovrebbe diventare questo strumento docile, questa protesi dell'uomo per la parte del suo pensiero più meccanizzante, più automatizzabile. I calcolatori simulano una parte del pensiero umano, ma non simulano l'uomo (…). Prendere la parte per interpretare il tutto: ecco il pericolo della riduttività. Ora, questo fa capire anche la soluzione dell'insegnamento, formare l'uomo, aiutarlo a crescere, esige un quadro molto complesso. E’ il problema dell'equilibrio tra i vari insegnamenti ed esperienze scolastiche. La componente informatica è importante sia per la cultura sia per la professionalità, però la presenza dell'informatica va integrata dentro un progetto più globale (…). E così nella scuola. Il calcolatore nella scuola deve intervenire nel modo più pesante, violento, perché ha il ruolo fondamentale di diventare insegnante delle cose ripetitive, meccaniche. Io insegno con il calcolatore la terza legge di Keplero, le capitali d'Europa, le tabelline e lascio all'insegnante spazio e impegno per fare la formazione, perché la scuola non ha soltanto il compito di dare nozioni, ma soprattutto quello di formare un individuo. (…) A me sembra di vedere nel mondo moderno un processo di acquisizione, da parte dell'uomo, della filosofia del calcolatore, un processo di affermazione dei valori razionali a scapito di quelli irrazionali: mi sembra che l'uomo abbia sempre meno il gusto del bello, del divino, del morale, sempre meno la possibilità di essere emotivo. Cosa diceva la fantascienza? Attenti, arriva una macchina che dominerà l'uomo. E’ possibile che questo avvenga? Popper diceva che non è possibile, perché la macchina non avrà mai né creatività né senso critico: io dico invece che questo avverrà, non perché la macchina diverrà così potente da dominare l'uomo, ma perché mi sembra che l’uomo stia perdendo quei valori che lo rendono più potente della macchina.

G. Secchi:

Nel 1964, ero da 5 anni responsabile della meccanizzazione di un'azienda che si chiama IBM e nel dover automatizzare il lavoro, credo di aver fatto una scoperta incredibile, che poi ha condizionato tutta la mia attività da quei momento ad oggi. Ho scoperto che l'usare troppo bene i calcolatori, è controproducente. L'uomo ha sempre avuto tanti interessi, divisi in due grandi categorie. L'interesse per i problemi concreti, il mangiare, il dormire, il ripararsi dal freddo, e un altro tipo di interesse che chiamo metafisico, rispondere ai grandi interrogativi che la religione, la filosofia, l'arte ci pongono davanti. Io credo che l'uomo nella sua storia abbia sempre coltivato questi due interessi con uguale impegno, in modo equilibrato, fino alla metà del secolo scorso, momento in cui le due strade si sono separate. Se escludo Einstein, mi sembra che una estrema specializzazione caratterizzi lo scienziato o il tecnico, il letterato, il filosofo e l'artista. Mentre in passato il poeta era anche scienziato e il tecnico era anche artista. (…) All'interno dell'azienda, avevamo a disposizione un calcolatore infinitamente potente, che faceva cose meravigliose; noi tecnici ci eravamo sviluppati con lui, eravamo bravissimi e attorno ci trovavamo un mondo arretrato, che non aveva capito che rapporto dovesse avere con la macchina. Allora ho pensato che il problema fosse determinato da una frattura tra il nostro grado di evoluzione e quello dell'ambiente. Dal 1964, mi sono impegnato ad operare in questo senso. Le strade erano due: o retrocedere con la meccanizzazione e la tecnica, oppure cercare di evolvere l'ambiente. Mi sembra idiota pensare alla prima soluzione, la strada giusta era la seconda, fare un'azione di evoluzione del contesto: qui si vede il ruolo fondamentale che assume la scuola. La metodologia didattica che io ho scelto è stata quella della formazione, che non vuol dire insegnare delle verità, ma porre interrogativi in modo tale che l'allievo agisca per cercare di dare le risposte. (…) Davanti ad un calcolatore potentissimo che vi può dare qualunque cosa, gli elementi fondamentali di cui avete bisogno per gestirlo bene sono creatività, fantasia, ampiezza mentale, senso critico. Quali sono le discipline che devo studiare, per avere questi dati? Qui viene fuori il discorso che ha fatto l'altro ieri il Cardinale Lustiger: sono le culture antiche. Per usare bene il calcolatore, paradossalmente, devo studiare bene il latino, la filosofia, perché il problema tecnico me lo risolve lui, ma il problema che devo risolvere io è quello di una maturità mentale. (…) Sono molto preoccupato per quello che sta succedendo: lo strumento, anziché produrre una forma di evoluzione, di sviluppo della mente, una forma di aiuto all’uomo nei suoi servizi pratici, per dargli la possibilità di interessarsi alle cose metafisiche, sta invadendo un campo che non gli spetta, che deve essere difeso. Non sto facendo una accusa alle macchine, vengo dall'IBM, ma al modo con cui l'uomo concepisce la macchina. L'uomo deve riuscire a vedere nella macchina un preciso servizio, riservando poi a se stesso, alla propria cultura, maggiore spazio.

I. De Lotto:

(…) Il Piano Nazionale per l'informatica è stato formulato da un Comitato creato dal Ministro, di cui fanno parte funzionari del ministero, insegnanti di informatica, di matematica, di fisica ed esperti di didattica. (…) I centri nazionali che questo piano prevede sono quattro, gli istituti dove vengono addestrati gli insegnanti di matematica e di fisica per i nuovi programmi che comprendono l'informatica, sono 45 nell'85/86 e saranno 50 nell'86/87 (…). Durante l'85/86 hanno avuto questo tipo di formazione 1724 insegnanti di matematica e fisica. Durante l'anno 86/87 sono previsti altri 3500 insegnanti. (…) Credo sia la prima volta che il Ministero della Pubblica Istruzione intraprende un progetto di dimensione così ampia dal punto di vista delle persone coinvolte, dei mezzi che vengono messi a disposizione, delle implicazioni per quanto riguarda l'attività didattica, sia pure per ora limitata a due discipline particolari: la matematica e la fisica. (…) Prima di preoccuparsi se la cultura umanistica sarà in qualche modo cancellata dalla cultura informatica nella scuola, credo sia molto importante preoccuparsi di quelli che sono gli strumenti, i dati, gli elementi perché le persone si avvicinino a un minimo di informatica alla fine del loro curriculum scolastico. (…)