Giovedì 28 Agosto, ore 17

ATTESA DI NOTIZIA ATTESA DI SACRO

Partecipano:

Julien Ries,

docente di Storia delle Religioni presso l'Università Cattolica di Lovanio, membro del Consiglio di Direzione della "Revue Theologique de Louvain" e di "Museon". Dirige altre collane di pubblicazioni.

Zora Seljan,

autrice di svariati testi di etnologia, ha condotto ricerche etnografiche in Etiopia, Brasile, Perù, Panama.

Antonio Olinto,

giornalista, critico letterario, scrittore. Già addetto culturale del Brasile in Nigeria e in Inghilterra, è Visiting Professor presso la Essex University di Londra.

Il desiderio dell'uomo di sapere, di informarsi, non nasce mai soltanto dalla curiosità, ma è sempre proteso all'attesa dell'avvenimento nuovo che possa cambiarlo. In ogni uomo e in tutte le culture vive la memoria di un avvenimento originario dal quale la propria vita e la propria storia sono scaturite, di una felicità perduta che sopravvive soltanto come speranza di un ritorno dell'Altro, fonte di pienezza e di gioia. Per questo l'atteggiamento umano di fronte alla notizia, è di colui che attende la Buona Novella, attesa che attraversa tutte le notizie, che rimanda alla totalità e all'infinito. Nella storia delle religioni e delle culture, esiste una parola che bene esprime questa disposizione del cuore: la parola sacro che indica la notizia che proietta l'uomo verso il suo destino. Nel continuo succedersi delle notizie, con cui questa società nutre e delude la nostra speranza, ritrovare la memoria di questa attesa significa riscoprire un criterio di giudizio che salva la verità delle cose dalla follia della dimenticanza. Julien Ries, belga, storico delle religioni, erede del grande Mircea Eliade, descrive come nell'uomo storico, oggetto di ricerca delle più diverse scienze umane, si ritrovino alcune costanti, una delle quali, la principale, è proprio questa apertura al sacro, co-essenziale all'esserci dell'uomo nel mondo, questa attesa di una notizia che risolva la vita dell'uomo. Lo scrittore brasiliano Antonio Olinto ci conduce alla ricerca delle radici afro-americane dell'uomo brasiliano, riconoscendo nel Brasile il luogo in cui la latinità e il cattolicesimo hanno incontrato più profondamente il cuore dell'Africa.

Zora Seljan, brasiliana, figlia del grande etnologo croato Stevo Seljan, racconta la storia vera della vita di Don Domingos, figlio di un sovrano africano che, in seguito all'incontro con i colonizzatori portoghesi, colpito dall'annuncio evangelico, manda il figlio, nel 1600, a studiare teologia in una facoltà europea, Coimbra, perché diventi prete: un esempio toccante dell'incontro tra l'anima africana e quella europea.

J. Ries:

Fin dall'età paleolitica, l'Homo Religiosus è in piedi con le braccia tese, le mani e lo sguardo alzati verso il cielo. Questo uomo ha una seconda dimensione. E’ Homo Faber, al lavoro fin dalla preistoria. Da un'invenzione ad un'altra, ha costruito santuari, piramidi e palazzi, villaggi e città, per arrivare alle roccaforti e ai grattacieli. Questo uomo, ha una terza dimensione: è Homo Ludens, ha inventato il gioco per rendere la sua vita più piacevole e più sociale, ma anche per spendere le sue forze dominando i suoi istinti troppo aggressivi... Grazie al gioco, ha soddisfatto i suoi bisogni di conquista e di vittoria. Una quarta dimensione ha fatto di lui un Homo Sapiens. E’ la grande tappa della parola e del linguaggio. L'Homo Sapiens ha trovato il mezzo di trasmettere i suoi messaggi, ha moltiplicato le lingue, ha inventato la scrittura (…). L'Homo Sapiens ha penetrato i misteri della materia e della forma. Per la trasmissione del suo messaggio, la sua invenzione della ruota rappresenta una autentica rivoluzione nella civiltà. Dal carro passerà alla nave, poi all'aereo, al missile, e un bel giorno arriva alla rivoluzione totale nella trasmissione dei messaggi: si servirà delle onde sonore e poi delle onde luminose. Per coronare le sue scoperte, ecco il satellite per le telecomunicazioni. L'Homo Erectus, Faber, Ludens, Sapiens è diventato il grande mago visto nella grotta paleolitica dei Tre Fratelli. Ma questo uomo ha una quinta dimensione, quella che fa di lui l'Homo Religiosus. Essa corona le altre quattro e conferisce all'uomo la sua autentica dimensione di completezza. L'Homo Religiosus è l'uomo normale nella storia dell'umanità. Nel suo meraviglioso, piccolo libro intitolato Il sacro ed il profano, Mircea Elicide, che doveva essere tra noi a questo Meeting, ma che ha lasciato questo mondo il 22 aprile scorso, dà una notevole definizione che vi cito: "L'Homo Religiosus crede sempre che esista una realtà assoluta, il Sacro, che trascende questo mondo, ma che in esso si manifesta, e in questo modo lo santifica e lo rende reale". Sulle grandi rocce della Valcamonica vediamo quest'uomo, rappresentato in centinaia di esemplari, innalzare lo sguardo, le braccia, le mani. Scruta il cielo, cerca in alto questa "realtà assoluta", questo "essere supremo, invisibile ma reale", simboleggiato dalla luce del sole. Questa ricerca si trova dappertutto, nel tempo e nello spazio, attraverso tutta l'umanità. (…) La realtà assoluta si manifesta nel mondo, lo santifica e gli conferisce la sua dimensione di completezza. Ci troviamo qui alla presenza di quello che Eliade chiama una ierofania. Si tratta della manifestazione di una realtà che non appartiene a questo mondo, ma che si manifesta in esseri od oggetti di questo mondo. Questa manifestazione mostra la potenza, la luce, lo splendore del divino che, per l'uomo delle religioni del vicino, antico Oriente, è segno di rinnovamento. Questo rinnovamento si colloca nella dimensione dei completamento. E’ così che agli occhi dell'Homo Religiosus l'universo assume un significato. La vita stessa appare come sacra. Nell'Antico Testamento, la manifestazione del sacro non è più una semplice ierofania. La realtà assoluta è Yahvé, un Dio personale che si manifesta nella storia del suo popolo e nella vita dei suoi fedeli. Proclama il suo nome = Yahvé, "io sono Colui che è". La teologia della storia fa indietreggiare la teologia cosmica. La ierofania lascia il posto alla teofania. E’ il passaggio dal sacro al santo. L'esperienza della storia come realizzazione del disegno di Dio diventa un'epifania di Dio. Al cuore di questa realtà si pone il sacro sotto la forma della santità divina perfetta. Lasciamo l'Antico Testamento per arrivare al Nuovo. La parola divina che era riecheggiata sul Sinai diventa una realtà misteriosa e visibile. "Verbum Caro Factum est". L'incarnazione di Dio in Gesù Cristo è la ierofania suprema della storia. E di più: una teofania unica per mezzo della quale Dio è presente in mezzo agli uomini mediante un viso, un corpo, una voce, una parola vivente. Il Verbo eterno di Dio è diventato presenza della Parola Vivente. Grazie al mistero della Resurrezione e dell'Ascensione, resterà presente nell'Eucaristia. Il messaggio ha appena raggiunto la perfezione perchè il Messaggero proclama: "Io sono la Via, la Verità, la Vita". In qualche istante, abbiamo assistito ad un magnifico crescendo nella visione della Realtà Suprema e della sua manifestazione agli occhi dell'Homo Religiosus. Dagli occhi volti verso il sole dell'uomo della Valcamonica, siamo passati ai fedeli di Marduk in Babilonia, agli Aztechi del Messico, a queste migliaia di uomini che sulle vette delle montagne hanno cercato la manifestazione del sacro, la ierofania e il suo messaggio. Hanno atteso una notizia. Lasciando il monte Meru dell'India, il monte Hara dell'Iran, il monte NemrudDagh di Commagene, abbiamo raggiunto Mosè sul Sinai. E’ stata la grande attesa che ha sigillato l'Alleanza. Eccoci accanto a Gesù sul Tabor, poi al mattino della Resurrezione, infine al monte dell'Ascensione. Questa volta, l'uomo è colmato: la sua attesa di novità si trasforma nella Buona Novella del Vangelo. La sua attesa di luce ha una risposta: "Io sono la Luce". L'Homo Religiosus si trova di fronte al Cristo, Homo Religiosa perfetto, messaggero e messaggio vivente nello stesso tempo. Tale è la visione grandiosa che ci dà la storia delle religioni. La sola antropologia completa è quella che sfocia nell'esperienza milienaria e nel comportamento dell'Homo Religiosa. E’ una antropologia del sacro. (…) Se l'uomo religioso, dalla preistoria ai nostri giorni, aspetta un messaggio che provenga da un Essere che trascende questo mondo ma nel quale si manifesta, anche l'uomo religioso trasmette il messaggio della sua esperienza dei sacro. Per comprenderlo dobbiamo decifrare i miti e i simboli, poichè l'Homo Religiosa è un Homo Simbolicus (…). Noi seguiamo l'Homo Religiosus nei balbettii delle sue preghiere e scrutiamo la vasta rete dei suoi riti di iniziazione e dei suoi riti di passaggio nei quali fa ricorso all'acqua, alla luce, alla montagna, alla foresta, al suono e al soffio per essere aiutato a superare la sua condizione umana e a raggiungere il mondo del sacro. Al termine di questa simbolica molto intensa, cerchiamo le parole chiave che ci aiutano ad entrare nell'intelligenza dei discorso e del pensiero dell'uomo religioso, che ci permettono di penetrare nella profondità della sua conoscenza fino al subconscio della sua esperienza religiosa. La storia delle religioni chiede aiuto alla psicologia religiosa, la psicologia delle profondità. L'amicizia che ha legato Eliade, Jung, Ricoeur e Dumézil, non è cosa fortuita ma normale. Questi studiosi hanno cercato, ognuno col proprio metodo, di esplorare le profondità oceaniche dell'anima, della psiche dell’Homo Religiosus. La storia delle religioni si trova di fronte ad un compito esaltante. (…) Qual è il significato di questo messaggio dell'Homo Religiosus per l'uomo d'oggi? Questo messaggio ci fa scoprire in profondità il senso della nostra condizione umana. Un primo dato è l'unità spirituale del genere umano. Tra l'infanzia spirituale dell'Homo Religiosus arcaico e la sua maturità manifestata nelle prime grandi civiltà, non esiste alcuna frattura. La messa in evidenza dell'unità spirituale dell'umanità dalla preistoria ai giorni nostri è certamente un castone della storia delle religioni. Questa unità spirituale costituisce la condanna più totale di tutte le teorie razziste e delle loro conseguenze. Nell'umanità esiste non soltanto una unità che deriverebbe dalla storia: abbiamo a che fare con una unità spirituale che illumina con luce nuova il lungo percorso dell'Homo Religiosus. Un secondo dato dei messaggio dice che la dimensione religiosa completa l'uomo. La religione fa parte della condizione umana. E’ il caso qui di ricordare la frase finale dell'omaggio reso a Eliade, il 28 aprile scorso, a Chicago, dai suoi colleghi: "Il senso della condizione umana è l'Homo Religiosus". Ecco il vostro programma per il XXI secolo. La storia delle religioni toglie qualsiasi fondamento scientifico alle ideologie che hanno falsato le ricerche dell'antropologia filosofica: materialismo, positivismo, laicismo. L'uomo religioso non è un alienato. Nella lunga storia dell'umanità egli è l'uomo normale. Un terzo dato del messaggio che l'Homo Religiosus ci rivolge può essere formulato in questo modo: "Dio è vivo nella storia umana". Sul suo letto di morte, il 31 luglio 1934, il grande storico delle religioni Nathan Soderblom d'Uppsala, pronunciava le ultime parole del suo messaggio spirituale: "Io so che Dio è vivo. Posso dimostrarlo attraverso la storia delle religioni". Al termine della sua ricerca, egli perveniva ad un fatto storico, un fatto che nessuno può negare: "La rivelazione cristiana, il messaggio cristiano ha preso la forma di un Uomo, l'Uomo-Dio, il Figlio che rivela il Padre" (…). Terminando, vorrei ancora una volta richiamare il ricordo di Mircea Eliade, che doveva essere qui con noi oggi, e rendergli, tramite voi tutti, un ultimo omaggio di amicizia e gratitudine. Nella sua opera Miti, sogni e misteri egli termina il capitolo VII con queste parole: "Poichè l'incarnazione ha avuto luogo nella storia, poiché la venuta di Cristo segna l'ultima e più alta manifestazione della sacralità nel mondo; il cristiano può salvarsi solo nella vita concreta, storica, la vita che è stata scelta e vissuta da Cristo".

Z. Seljan:

Racconterò la storia di Don Domingos, che visse in tempi di cambiamenti, quando il secolo XVII assistette alla decadenza del fugace impero portoghese d'oltremare, decadenza che venne accentuandosi negli anni dal 1600 in poi, nella lotta per il dominio in cui gli olandesi ebbero la meglio. (…) Per quanto riguarda la proposta che i padri fossero pagati con il prodotto della vendita degli schiavi, Ryder commenta: "Il punto di vista di allora non vedeva un’incongruenza nel far uso della schiavitù per sostentare economicamente l'attività missionaria, perché la prima considerazione andava all'aspetto spirituale e non all'aspetto umanitario". Promossi dal fervore missionario, gran parte dei contatti fra l'Europa e l'Africa nelle scoperte furono stabiliti; e l'influenza del Portogallo fu tanto incisiva che i nomi delle cose che le popolazioni locali conoscevano, a tutt'oggi sono portoghesi. La storia di Don Domingos, che il vescovo Villanova desiderava trasformare in un sacerdote, è riassunta nel documento del 10 Marzo 1608, in cui si dice che fu inviato a Lisbona da suo Padre, re di Oere, per studiare e per istruirsi nelle cose della civiltà, in modo tale da poter aiutare la conversione del suo popolo, nonché il governo del suo regno. Per ordine di Filippo II studiò a Coimbra per alcuni anni, ospitato nel collegio dell'Ordine di San Geronimo, e a Lisbona, a carico dei Padri della Compagnia di Gesù. (…) Sotto le cure dei Gesuiti, la sorte di Don Domingos sembra essere cambiata completamente; ora non è più uno studente che chiede; il viceré del Portogallo suggerisce al re, il 26 novembre 1607, che persi altri 40.000 reis per aumentare il conforto della casa di don Domingos. Nel marzo del 1610 don Domingos chiede al re di recarsi a corte per congedarsi. Il vescovo, viceré e inquisitore, che desiderava ardentemente fare di don Domingos un professore e un sacerdote, consiglia al re di non concedergli la possibilità di partire. (…) Arriviamo al 22 giugno 1625: don Domingos è principe, don Sebastiano probabilmente sta morendo. Il re manda i cappuccini verso Oere e, stando alle notizie di Bonaventura, arrivano in tempo per assistere alla morte di don Sebastiano. Don Domingos diventerà olu, re. Nella storia di don Domingos è fondamentale considerare l'epoca storica a cavallo tra la grandezza del Portogallo e la sua decadenza. Ora, in un interessante rovescio della medaglia, possiamo dire che il motivo che promosse le scoperte, vale a dire la diffusione della fede, portò gli Iberici ad un accanimento tanto grande nell'intransigenza religiosa, che questa stessa fede diventò la ragione della decadenza delle loro conquiste d'oltremare. Don Domingos, il grande re del popolo Itsekiri, è, tre secoli e mezzo dopo il suo regno, figura ben viva nella memoria della sua gente. Don Domingos ha assistito all'arrivo dei tempi moderni, ha vissuto in un periodo di grosse mutazioni; la sua presenza segnò la nazione, dandole una forza che sarebbe mancata ad altre comunità locali. Molto prima che l'Inghilterra, nel secolo XIX, si impadronisse della regione dei fiumi, la cultura europea e la fede in Gesù Cristo penetrarono nel regno di Oere, nel regno di Benin, in altre parti dell'Africa occidentale. E Oere Warri fu, a causa di Don Domingos, un punto fondamentale nella mescolanza culturale Africana-Europea, in quello strano e drammatico secolo XVII.

A. Olinto:

(…) L'invenzione del tamburo, uno strumento capace di produrre un suono abbastanza forte da innalzarsi a Dio, è stato un passo importante nel modo di rivolgersi a Dio da parte dell'uomo. Il tamburo era per l'uomo primitivo, come per tante altre popolazioni che lo hanno seguito fino ad oggi, uno strumento sacro, uno strumento di preghiera. La danza forse è stata la prima delle arti, ma la percussione è cominciata nello stesso periodo. Possiamo credere che l'uomo all'inizio danzasse al suono del vento, delle onde, ai movimenti silenziosi delle nubi. Ma nel momento in cui l'uomo ha cominciato ad usare i tamburi, la sua danza si è fatta più complessa, e cominciò ad esistere come forza di preghiera. Dobbiamo ricordare che tutte le arti sono state sacre prima di diventare secolari (…). Essendo sacre, erano anche anonime. L'artista era felice di essere parte di un tutto fornendo a un santuario degli strumenti migliori per compiacere e attirare l'attenzione di Dio. Accettare la danza ed i tamburi come parti essenziali dei sentimenti religiosi dell'uomo, ci può aiutare a valutare la loro importanza all'interno delle comunità. (…) Essendo una miscela di culture portoghese, africane ed indigene, la danza per noi brasiliani è uno strumento vitale per comunicare con il nostro prossimo, per parlare a Dio, uno strumento di preghiera. Il momento in cui la danza, o i tamburi, o altri strumenti musicali e religiosi diventano secolari, segna la perdita di qualcosa di molto prezioso nella nostra vita, in quanto comunità. Per un animista africano, ballare senza dio, senza gli dei, sarebbe un peccato, perché anche quando gli africani ballano per piacere, lo fanno per rendere un omaggio: per rendere omaggio al proprio re, di norma, a persone significative della comunità e all'interno della famiglia. Se la madre riappare dopo una lunga assenza, l'africano può ballare di fronte a lei per dimostrarle la gioia che prova. Può baciare la terra, e prostrarsi di fronte a questa in segno di gioia. In Brasile, invece di perdere il loro vigore, queste danze sono diventate più raffinate. Oltre alle danze che vengono fatte per scopi prettamente religiosi, ci sono anche, soprattutto a Bahia, danze per i defunti, danze per richiamare alla vita le persone morte nella propria famiglia, danze per scopi agricoli. (…) In tutto il Brasile, ci sono persone che ballano al suono di questi tamburi. I tamburi sono diventati il mezzo più forte di comunicazione fra le persone quaggiù sulla terra e Dio lassù nei cieli. Le comunità vengono mantenute compatte, unite attraverso l'ascolto di questi tamburi. Una importante cerimonia si tiene nella città di Salvador a Bahia, il primo mattino dell'anno, il 1° gennaio: si tratta di una processione sul mare di Nostro Signore dei Navigatori. Salvador rappresenta la città più antica di tutto il Brasile; là i navigatori portoghesi arrivarono all'inizio dei XVI secolo, per insediare la colonizzazione. L'immagine di Nostro Signore dei Navigatori, viene portata, nel corso di questa processione, da una bellissima nave, seguita da centinaia di diverse imbarcazioni grandi e piccole; nel corso della processione si odono fischi e suoni di corni, suono di tamburi, e altri strumenti musicali. A volte ci sono anche bande che suonano sulle imbarcazioni. Quando finisce la processione sul mare, l'immagine del Nostro Signore dei Navigatori viene portata nella chiesa davanti a una folla di persone che aspettano l'arrivo. A questo punto queste persone fanno una cosa che non ho mai sentito in nessun altro posto del mondo, che dimostra in maniera ineluttabile la gioia della fede: colpiscono con le loro mani l'acqua del mare, le onde, così forte che il suono di tutte queste mani si fonde con il suono dei corni, i fischi, i tamburi, i gruppi che suonano; tutto questo mentre Nostro Signore dei Navigatori viene portato con solennità dalla sua nave fino alla chiesa. Questa fusione della religiosità africana con la tradizione cattolica portoghese fa sì che il Brasile sia veramente un Paese mistico, ricco di feste e soprattutto di convinzioni religiose. I tamburi sono presenti nelle nostre cerimonie come forma di preghiera, si sentono da lontano e riescono a ingenerare un'attesa: la presenza di Dio. Dato che gli africani hanno avuto un'influenza molto importante nella nostra filosofia di vita di tutti i giorni, vorrei ricordarvi un santo africano, che viene commemorato proprio oggi; S. Agostino, che si convertì esattamente 1600 anni fa, nell'agosto del 386, uno dei pensatori più lucidi dell'umanità, e forse anche un simbolo di fede alla maniera africana. S. Agostino morì il 28 agosto dell'anno 430, visse in un momento di transizione, proprio come il nostro; come dice Don Luigi Giussani parlando dei santi, non era "un superman" ma un uomo reale. Agostino, scrittore filosofo, prete e filosofo della storia, vescovo e uomo africano, fu innanzitutto e soprattutto un santo e, come tale, uomo, un uomo vero. (…)