Sogno americano e realtà

 

 

Giovedì 27, ore 16.30

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Relatori:

Michael Shevack, Rabbino di New York

Onorato Grassi, Docente di Storia della Filosofia Medievale presso LUMSA di Roma

 

Shevack: Non credo che il titolo "La vita non è sogno" volesse dare a intendere che la vita non può essere goduta: penso che ognuno fra voi vorrebbe che la vita fosse un sogno, un bel sogno. E un bel sogno è un sogno vero. Ritengo che questo titolo voglia invece dire che la vita non è illusione, la vita ha una sua sostanza, una carne, delle sensazioni che i nostri corpi comprendono. Non è realtà virtuale, è reale: se la vita è un sogno, è un sogno vero.

Il problema di questi nostri tempi moderni è che il materialismo ha inibito la nostra capacità di comprendere la vita. La comprensione umana vive un ciclo che in realtà è un circolo vizioso: la religione assurge a livelli molto spirituali, così facendo smarrisce la realtà e si converte in superstizione; ad equilibrare questa situazione vedono il giorno nuove idee materialiste. Così, la cattiva spiritualità di religioni del passato ha dato vita al cattivo materialismo di oggi, e dal cattivo materialismo dei giorni nostri vediamo cominciare a sorgere una rinnovata cattiva spiritualità, nella quale la vita è considerata come una realtà virtuale, e non come una realtà reale creata dalle mani di Dio, ma una simulazione fatta al computer dalla menta umana. Ma è pericoloso credere che la spiritualità e la religione siano un illusione, così come è pericoloso credere che la vita sia solo materiale.

Molti di questi malintesi ci giungono dalla filosofia greca: il Papa di recente ha suggerito che la cristianità possa comprendersi con le categorie intellettuali dell’ebraismo e non della filosofia greca, perché proprio questa dicotomia tra spirito e corpo, tra anima e carne è quella che ha diviso gli ebrei dai cristiani per quindici secoli. Ma la Bibbia è ben chiara in merito, una tale divisione non esiste: gli esseri umani sono creati come anime viventi, con un corpo, che non è un cadavere, ma una anima vivente sotto forma di carne. Ognuno di noi è una forma vivente sotto forma di carne, non siamo invece corpi morti animati da anime viventi.

La questione della unità dell’essere umano non è diversa da quella della unità tra giudaismo e cristianesimo e tutte le altre religioni del mondo, perché considerare il corpo illusione è come dire che l’opera di Dio è un illusione. E così cadrebbero i fondamenti stessi dell’ebraismo e della cristianità. Perché ciò che abbiamo in comune è un’idea brillante che al mondo non era apparsa prima dell’ebraismo e del cristianesimo, l’idea della storia sacra: gli esseri umani sono il veicolo attraverso cui la divinità si esprime. Nell’antico popolo ebraico la presenza viva di Dio era percepita come vivente, similmente oggi la cristianità ritiene che questa presenza di Dio sia nella carne palpitante di Gesù Cristo. Sia che si parli della presenza di Gesù in termini collettivi sia che se ne parli in termini individuali, ciò di cui si parla è la presenza di Gesù nella vita, nella carne, nella pelle. Dov’è la differenza? Cosa fa sì che un sogno sia diverso dalla realtà? Su questa differenza c’è molta confusione perché sono ritenuti assai simili, soprattutto dopo la psicoanalisi, che ha stabilito che un sogno ha un proprio significato, così come ce l’hanno la scienza e la realtà - se si segue l’opera di don Giussani, risulta chiaro che la realtà ha un significato -. La differenza sta nel fatto che quando la mattina ci si sveglia c’è continuità col giorno precedente, e il vaso di frutta che era stato posto sul tavolo da pranzo è rimasto nella medesima posizione in cui si trovava la sera prima: se la vita fosse un sogno sarebbe un sogno assai strano, perché avrebbe in sé questo principio di continuità, che è un idea ebraica, cristiana, e musulmana. Questo principio stabilisce che c’è continuità e che noi di conseguenza troviamo qui il regno di Dio grazie alla storia sacra.

Nel mondo antico prima dell’ebraismo si credeva nei miti, che seguivano cicli di corsi e ricorsi, assurgevano a grande popolarità e poi decadevano; ma l’idea rivoluzionaria portata da Israele è quella della esistenza di una divinità che non è soggetta ai cicli naturali, che non subisce i vincoli del mondo visibile, che è soprannaturale. Questa divinità, questo Dio si è manifestato attraverso le mani dell’uomo in azioni continue e reali che permanevano, azioni che la stessa natura non poteva sciogliere. Attraverso gli esseri umani il carattere eterno di Dio si era reso visibile, e non sarebbe stato sciolto. E poiché anche le realizzazioni umane non necessariamente si dissolvono, non necessariamente dobbiamo assistere alla nascita e alla decadenza di ogni regno, possiamo anche assistere alla permanenza dei regni sulla terra. Questa fu l’idea di Israele, l’idea di un popolo permanente che sarebbe stato testimone della eternità di Dio. In virtù della rivelazione divina al popolo ebraico, questo popolo è diventato eterno, e la nostra natura eterna dà testimonianza della eternità di Dio nella storia sacra. Questo non è un sogno, è un fatto: quello degli ebrei è l’unico popolo della antichità che è sopravvissuto fino ai giorni nostri con una continuità storica senza nessuna interruzione.

Il Meeting di Rimini ha diciannove anni: anch’esso segue il cammino di Israele perché è testimone dell’eternità di Dio, ed è durato tutti questi anni perché Dio l’ha dotato di una misura della sua eternità. Il Meeting cresce, prospera e non decade, così come il popolo ebreo è cresciuto, prospera e non decade, così come il popolo cristiano e così come tutte le buone religioni continuano a crescere e a fiorire.

Per questo è pericoloso sentirsi dire che la vita è sogno, perché sarebbe come dire che gli esseri umani non sono nati dal Dio vivente, che non siamo soprannaturali, che siamo degli scimpanzé belli e vestiti, che siamo più degli scimmioni assurti a livelli più alti che degli angeli caduti. Una volta che si accetta l’idea che la vita sia un sogno si distrugge la storia sacra, si distrugge l’idea per cui Dio è più alto della natura, e gli esseri umani si ritrovano a dover dire "i nostri lavori, la nostra opera sono perituri come un albero, non c’è nulla di permanente in niente di ciò che facciamo, la nostra vita è futile, vuota, disperata ed è uno spreco di esistenza". Nell’istante in cui si dovesse accettare che la vita non è reale, si distruggerebbe la vita.

Questo mi conduce a don Giussani: egli non vuole che trascuriamo o ignoriamo il corpo, così come non vuole che diventiamo schiavi del corpo, ma vuole che ci rendiamo conto che il senso religioso che è presente in ogni essere umano indipendentemente dalla sua religione, marca il distinguo della nostra essenza nell’ordine della natura. La natura ci dà il corpo ma non lo spirito. Ciò risulta molto chiaro da uno studio attento della Genesi nella lingua ebraica: il Dio creatore nel primo capitolo della Genesi è nominato Elohim, nel secondo capitolo una volta che lo spirito di Dio è stato infuso nel corpo dell’uomo il nome di Dio cambia, e diventa YDVH, che più comunemente viene pronunciato Jahve. C’è quindi un aspetto di Dio che crea i nostri corpi e un altro che ci dà l’anima: i due aspetti dell’uomo, spirito e carne vengono da un solo Dio, ma da due aspetti diversi di questo Dio. Non è nuovo questo modo di vedere le cose per un cristiano, che sa che c’è un padre e un figlio: c’è un Dio che sta al di sopra della natura, Jahve, e un Dio che sta al livello della natura, Elohim. Tuttavia, questi due aspetti fanno parte di una stessa divinità, l’essere umano è creato da un solo Dio, un solo dominatore, una sola mente. Ma di questo non abbiamo nessuna percezione, non facciamo nessuna esperienza, perchéla nostra mente è in conflitto col cuore, il cuore col corpo e ognuna di queste tre entità ha i propri desideri, le proprie pulsioni, e quando ce ne accorgiamo abbiamo la sensazione che la vita sia un sogno, ma un brutto sogno. È impossibile accorgersi e percepire l’unità vivente di Dio senza disporre di un sistema che ci permetta di renderci conto della unità del nostro essere. Come dice Nietzsche, dèi falsi creano falsi dèi.

Monsignore Giussani ci fornisce una metodologia pratica per giungere all’unità tra le diverse parti del vivente, metodologia pratica che permette di mettere assieme mente, cuore e corpo. In cosa consiste questa metodologia? In primo luogo si tratta di allontanare l’arroganza dal nostro modo di pensare: nel primo capitolo del suo libro, Giussani dice che la vita non è sogno, che la vita è altra. Quanti di voi si sono svegliati oggi senza dipendere dalla vita, quanti si sono svegliati oggi senza doversi affidare al creato per ottenere il cibo, quanti tra voi portano abiti che non sono stati creati dalla sostanza del creato di Dio? La prima cosa di cui renderci conto è dunque questa nostra dipendenza dalla vita; ed è proprio in virtù di questa dipendenza che noi dobbiamo assumere che la vita non è reale. Una volta che si comincia ad accettare che al di fuori di noi esiste tutta questa realtà che non è stata creata da noi stessi, allora si è pronti ad incamminarsi per un processo spirituale, un viaggio spirituale.

Se questa realtà non l’abbiamo creata noi, da dove arriva? È questa la porta che conduce a Dio. Il secondo passo che don Giussani ci fa compiere è infatti quello di prendere sul serio la domanda sulla realtà della vita, di percorrere il cammino della vita alla ricerca della intelligenza della vita, per cominciare così a scoprire che la vita non è un sogno, ha un senso, è un linguaggio che una volta interpretato ci guiderà. Attraverso il fenomeno della vita si possono sentire le mani di Dio che passo dopo passo ci guidano: una volta compreso questo concetto sarà spento ogni conflitto fra la mente e il cuore, perché la vita è ragionevole. La mente di ognuno di noi è parte della fede, la mente è la porta che conduce alla vera fede del cuore e una volta che si sia scoperto che la vita è intellegibile e ragionevole, allora si saprà che la vita non può essere sogno; una volta che questa vita sia stata creata da qualcuno o qualcosa al di fuori di sé e una volta che sia stato visto e provato che questa vita è intelligente, allora necessariamente deve essere stata creata da un essere che è Dio.

È questo il momento di porsi la domanda religiosa: qual è il mio posto nell’ordine delle cose? Il nostro posto nell’ordine delle cose è quello di essere le mani di Dio in un mondo reale, è quello di partecipare come individui alla storia sacra. L’opera di don Giussani è molto importante non solo per permettere all’individuo di scoprire la fede nel mondo moderno, ma anche per riuscire ad usare la propria mente per una fede religiosa moderna. Viviamo in tempi scientifici ed è interessante rilevare che le parole ‘esperienza’ ed ‘esperimento’ in lingua italiana sono una parola sola: quello che don Giussani desidera che noi viviamo è l’esperienza della divinità nel nostro corpo di carne ogni giorno. All’inizio della vita cristiano un malinteso dell’opera di san Paolo ha creato questo dualismo tra carne e spirito; gli ebrei erano il popolo della carne e la carne non valeva lo spirito, e lo spirito era meglio della carne e il cuore era meglio della mente, e lo spirito era meglio della materia.

L’opera di Giussani ci porta così alla soluzione di tre problemi: il problema della vita moderna in cui la materia è considerata più importante dello spirito; il problema di persone dentro la Chiesa che non riescono a riconciliare il loro pensiero con il loro cuore; e il problema dei rapporti fra ebrei e cristiani, perché gli ebrei erano stati assegnati al corpo e i cristiani allo spirito.

Tutto questo può far comodo anche agli ebrei, perché anche noi ebrei dei tempi moderni abbiamo gli stessi identici problemi dei cristiani: le nostre menti e i nostri cuori sono separati da questa età moderna, anche noi siamo ebrei moderni e cominciamo a interrogarci in merito alla realtà della vita. Gli ebrei in questa fase della loro vita non si trovano perfettamente a loro agio nel trarre e diffondere insegnamenti partendo dal Libro, ci stiamo appena riprendendo da lunghi e numerosi anni di persecuzione da parte di una Chiesa che non è stata in passato gentile con noi tanto quanto lo è adesso, e dobbiamo aspettare di guarire. Nonostante questo abbiamo gli stessi problemi, e la bellezza del libro di Giussani è lo stesso fondamento della religione ebraica. Questo fondamento consiste nella unità della esperienza umana con Dio: come si può leggere nella Bibbia nella storia di Giacobbe, egli passa dall’inganno a essere Israele, che in ebraico vuol dire ‘colui che vede Dio’. Quando si comincia ad accostarsi al senso religioso, si comincia a vedere Dio, e il primo libro di don Giussani è una via moderna per l’insegnamento di questo spirito religioso di cui parliamo.

Così, ebrei e cristiani si possono avvicinare, eliminando la cattiva teologia che ha provocato nel passato reciproco odio, perché nel passato la cristianità ha dato vita a una teologia fondata sulla astrazione, ereditando dai greci la passione per le astrazioni. Ma quando il nuovo e l’antico testamento si uniscono in un abbraccio come quello che ha portato il Papa all’abbraccio della sinagoga a Roma, quando la Chiesa cerca la verità e il popolo ebraico cerca la verità, quando cristiani ed ebrei cercano la verità assieme, allora le divisioni fra i nostri cuori e le nostre menti - che hanno diviso l’unità di Dio nelle storia sacra dell’essere umano - scompaiono. Possiamo così cominciare ad agire con più umiltà, a considerarci dei semplici esseri umani che cercano di capire Dio e non degli dèi che cercano di capire la natura. Nel primo caso la vita è reale e non è un sogno, nel secondo la vita è solo un’illusione.

Sono ancora molte le cose che separano gli ebrei dai cristiani: gli ebrei continuano a considerare se stessi come l’unico popolo, e la Chiesa considera se stessa come l’unica vera religione; ma ciò che tutti sappiamo con massima certezza è che c’è uno e un solo Dio, solo un Dio e non è un sogno, è realtà. Non mi importa se vi volete chiamare il nuovo Israele, né io sono Dio da potervi dire che non siete il nuovo Israele; non starò qui davanti a voi come un rabbino per dirvi che tra le tante possibilità Dio non avrebbe potuto scegliere altro popolo che quello ebreo... Questi segni non sono dati dall’uomo, sono dati da Dio, quindi devo lasciare aperta la possibilità che esista un vecchio Israele e un nuovo Israele, e chissà che Dio non ci sorprenda tutti presentandoci altri e altri ancora Israele. Nel libro dei Numeri sta scritto "che tutti i figli di Dio siano profeti", e Mosè fu sfidato dalla presenza di altri due profeti, e non fu geloso. Così, io vorrei poter dire che tutte le nazioni e lre ligioni del mondo siano Israele, possano seguire l’idea di Israele com’è nella mente di Dio, l’idea secondo cui la volontà di Dio agisce nella storia sacra attraverso le nostre vite individualmente e collettivamente; in questo modo tutto il mondo può diventare Israele e noi possiamo vedere Dio nelle nostre vite. Non fa differenza se noi compiamo il primo passo leggendo il libro di Giussani, purché il primo passo sia quello di scoprire il senso religioso che è in noi, di affermare che la vita non è sogno, di avviarci insieme nella storia sacra. Se lo faremo, i problemi che probabilmente rimarranno tra noi si preoccuperà Dio di risolverli, perché Dio è quell’unità che sta al di là delle piccole contraddizioni delle nostre menti: tutte queste contraddizioni non hanno senso, non sono reali, esse sono il sogno, l’illusione.

La vita non è sogno, perché Dio è reale.

Grassi: L’America è molto più vicina a noi di quanto non lo siano altre realtà, altri paesi, altre culture; se parliamo di America e di sogno americano, parliamo dunque di qualcosa che non è lontano da noi ma che invece ci è molto prossimo, se non nell’immediato presente nell’immediato futuro; parliamo di qualcosa che diventerà il nostro modo di ragionare, di pensare. Questo non solo perché le pubblicità sono uguali, non solo perché le categorie diventano sempre più omogenee, ma specialmente perché ci si sta avvicinando a un processo di globalizzazione in cui la cultura americana ha un ruolo dominante e determinante.

Nel mio studio ho avuto per molto tempo una fotografia di una famiglia americana - padre, madre e figlioletto che arrivava a New York in piroscafo, e davanti a loro c’era la statua della libertà. Per noi italiani e per molti europei, il sogno americano è stata la possibilità di cambiare vita, il sogno americano era l’andarsene da una realtà per un qualcosa che sarebbe stato migliore. È vero che la vita non è sogno, ma sono anche convinto che il sogno abbia qualche funzione nella vita: il sogno per molti è stata l’apertura di una possibilità, sebbene ancora indefinita, ma di una possibilità. Pensavo a quella fotografia anche perché la realtà umana dei nostri anni è una realtà di forte immigrazione, nella quale i popoli si stanno spostando. La stessa America, che è terra di immigranti, sta subendo nuove immigrazioni che ne potranno cambiare il volto e la realtà. Don Giussani dava una lettura profonda - non solo sociologica, politica o economica o militare - di questa migrazione dei popoli: è uno dei momenti in cui avviene nell’umanità la scoperta del senso religioso, perché che l’uomo si sposti, lasci la sua terra per una possibilità, è il rendersi evidente nell’esistenza - con tutte le necessità e il dolore che essa comporta concretamente - del desiderio di qualcosa che compia la vita.

Stiamo passando da una società molto chiusa, molto statica, a una società in movimento; questo è un fenomeno importantissimo nella Chiesa. Giussani scrive: "Tutti i movimenti degli uomini - anche gli spostamenti di grandi masse di popolazione - in quanto tendono alla pace e alla gioia sono per la ricerca del Dio, di ciò in cui è la consistenza esauriente della loro vita". Che si affacci nella vita una possibilità - messa in moto non solo per necessità economica - è come un passo, una delle tappe che possono portare a quell’ultimo momento del rendersi evidente del senso religioso che è la scoperta dell’io. Mi sembra che il sogno americano abbia avuto questa funzione di trainare verso una dimensione religiosa questi fenomeni sociali così imponenti.

Questa è una lettura del sogno americano dall’esterno. Ma dall’interno, ovvero dal punto di vista di quei tre personaggi sul piroscafo che guardavano miss Liberty e speravano che la loro vita, per loro e la loro discendenza, sarebbe stata diversa, il sogno americano cos’è? Abbiamo riflettuto la settimana scorsa in una riunione del Centro studi sull’ecumenismo su questo problema: che cosa c’entra il senso religioso nella cultura americana? Monsignor Albacete ha ricordato come il sogno americano, come la visione americana della vita abbia nella dimensione religiosa la sua componente essenziale e fondamentale. Noi adesso siamo portati a considerare il mito americano come il mito del benessere, come un mito economico, ma si tratta invece di un mito profondamente religioso: per questo gli exit pool di settimana scorsa dicevano che il 94% degli americani crede in Dio, addirittura che il 47% dei non cristiani crede nella verginità della Madonna. Ma non è solo per questi dati o perché Clinton affida anche in pubblico la soluzione del caso Lewinski a sua moglie e a Dio, non solo perché i precedenti presidenti affidavano a Dio il destino della nazione, ma proprio perché il mito americano è un mito che nasce da una precisa e chiara scelta religiosa.

Il popolo americano ha afferrato il senso della sua storia presente e futura della sua storia come nazione, come categoria religiosa. All’origine stessa dell’America c’è l’idea di essere un popolo eletto. Le origine puritane degli Stati Uniti, che costituiscono il sogno americano sono ancora presenti nella cultura americana; quando John Winford sulla nave che stava sbarcando nelle coste del New England parlava della città posta sul mondo, pensava alla nuova Gerusalemme. C’era una nuova Gerusalemme da costruire, un nuovo Israele, una nuova storia sacra da costruire. Il bisogno di non restare contaminati dalla corruzione dell’Europa aveva spinto questi padri a fondare le nuove colonie: un popolo eletto per compiere una missione. Al fondo della mentalità americana sta dunque il concetto di elezione, il concetto di terra promessa, la convinzione di essere una nazione con un ruolo da giocare in tutto il mondo. Il popolo americano non è un popolo come tutti gli altri, è un popolo che ha una sua missione nel mondo.

Questa idea della vocazione - legata peraltro ad un ethos, ad un’etica in cui tutte le energie umane vengono rivolte ad uno sviluppo delle risorse personali - è durata poco nel suo contenuto religioso, perché, per motivi che ora non possiamo discutere, questo mito si è secolarizzato: la forma del mito, la forma del sogno è rimasta la stessa, ma si è perso qualsiasi riferimento alla trascendenza, al mistero. Questa secolarizzazione è ciò che costituisce oggi il sogno americano: la matrice fortemente religiosa dà oggi solamente la struttura del sogno, ma il contenuto si è totalmente secolarizzato. È quello che Will Herbet in un suo famoso volume del 1955 chiama "puritanesimo secolarizzato": rimane l’idea di questa vocazione, di questa elezione, di questa scelta, di questo essere terra preferita, ma senza più riferimento alla trascendenza, senza più il senso del mistero.

Il senso del mistero deve essere eliminato per due ragioni. La prima è intrinseca al puritanesimo stesso. Il puritanesimo è infatti una grande affermazione della dipendenza da Dio, ma senza un metodo con cui questa dipendenza possa essere affermata nella vita. La seconda causa è legata all’incontro di diverse razze, di culture e tradizioni religiose e al problema di realizzare una coscienza nazionale unitaria. Quando abbiamo una nazione che è fatta di razze, tradizioni differenti, lentamente gli elementi comuni vengono a ridursi a poche cose. Così, la coscienza nazionale deve privarsi di quelli che sono i riferimenti religiosi fondamentali, altrimenti la professione della propria fede sembra una prevaricazione sulla identità altrui. Questo è ciò che ha portato a quella che è stata definita la secolarizzazione del mito, nel senso del mantenimento dell’importanza formale del puritanesimo e del suo radicale svuotamento. Nel mito americano c’è una forte concezione dell’unità, della società e degli uomini: il pluralismo è un elemento indiscutibile della coscienza nazionale americana e di questo mito. Ma questi puritani non erano pluralisti, sebbene il pluralismo sia la condizione ineliminabile della permanenza di una coscienza unitaria. Questo è uno dei motivi per cui i cattolici negli Stati Uniti non sempre hanno avuto vita facile e non sempre hanno dato risposte adeguate al problema, solitamente chiudendosi in una loro nicchia per potersi salvaguardare.

Questo pluralismo, il contenuto della coscienza nazionale che deve tenere insieme tutti, a che cosa si riduce ultimamente? In uno degli ultimi numeri di Atlantic Revue, un opinionista arrivava a dire che in fondo non resta nient’altro che la sicurezza militare, la salvaguardia: all’interno possiamo fare tutto quello che vogliamo, possiamo essere totalmente differenti, ma c’è qualcosa che, dall’esterno, ci protegge. Questo dà una concezione dell’unità, concezione che rappresenta un modello che vuole essere universalizzato, esportato: questo modello, concepito non certamente in forma ingenua, pone coloro che non lo accettano nella posizione di avversari, di nemici. Nel sogno americano l’esistenza del nemico è importantissima: era il comunismo una volta, è l’integralismo islamico adesso, ma deve sempre essere qualcosa che non accetta questo modello. Al contrario, sia nella tradizione ebraica che nella tradizione cattolica, l’idea della universalità è da concepire in termini totalmente diversi. L’altro non è colui che si oppone al mio modello, l’altro è colui che io considero, con cui entro in rapporto nella sua alterità, non è colui che viene inglobato nella mia visione delle cose.

La realtà americana sta cambiando, c’è una progressiva riduzione del contenuto della identità nazionale, come abbiamo detto, ci sono minoranze sempre più consistenti e sempre più legate alle loro origini. Questo nuovo sogno o mito americano saprà inglobare queste novità producendo una sorta di sincretismo culturale e religioso o saranno le nuova realtà a porre in crisi questo sogno e questo mito? Questo è il problema. Nel passato è sempre per lo più avvenuto un assorbimento, ma che ne sarà del fatto che la minoranza più consistente non sono gli afroamericani, ma sono i latini, gli "ispano parlanti" Che problemi porrà? La matrice puritana, secolarizzata, questo modello sopravviverà o lascerà il posto ad una nuova forma, ad una nuova concezione? È certamente una domanda impegnativa, cui ora non pretendo di rispondere. Tuttavia vorrei segnalare due questioni su cui una proposta è destinata a confrontarsi per un recupero del senso religioso, e dunque - se il senso religioso è rapporto vero con la realtà - di un rapporto autentico con la realtà. L’uomo religioso infatti è colui che vive intensamente la realtà e non c’è modo di essere religiosi se non vivendo intensamente la realtà.

La prima grande questione è dimostrare la ragionevolezza della fede. Non si può oggi riproporre una dimensione religiosa senza cimentarsi con la grande sfida che questo rappresenta per la propria ragione, ovvero con la implicazione del senso religioso con la ragione e con la corrispondenza di una proposta con la propria esigenza umana. Non è un caso che l’opposizione fra grazia e natura nel puritanesimo sia stata all’origine della fine del senso religioso, della dimensione religiosa della concezione della vita. Il senso religioso non è dunque la proposta di una via parallela alla vita, ma di una via che ha a che fare profondamente con la ragione dell’uomo, con le sue esigenze, con le sue domande, in maniera che l’uomo viva di più, si realizzi di più.

La seconda questione fondamentale in America, ma non solo in America, è la dimostrazione che una proposta autenticamente religiosa, dal punto di vista giuridico-legale e politico non leda la libertà di coscienza. Questo è un problema a mio avviso fondamentale ed è la chiarificazione che con gli amici ebrei in America, ma anche con molti cattolici liberali, dovremmo arrivare a ottenere. Le conseguenze nella vita che la proposta religiosa implica non negano la libertà di coscienza. La libertà è una scelta, una adesione, ma tanto più questa scelta, questa adesione è fatta, tanto più il rispetto della libertà dell’altro viene mantenuto. E questo è un fondamento diverso dell’idea di democrazia, ed è tutto da riscoprire. La democrazia non è l’annullamento dell’esercizio della propria libertà, quindi della propria consistenza, ma è l’andare a fondo della propria identità nel profondo rispetto di quella dell’altro e dell’esercizio della sua libertà.

Il Senso religioso e gli altri volumi del ‘Percorso’ di Giussani, sono la possibilità che si mantenga nella vita questa dimensione religiosa, questo senso del mistero che rende le cose reali. La realtà infatti è comprensibile quando se ne afferra il suo significato, la realtà senza significato è pura illusione. Una realtà che non abbia un significato, una realtà che non sia presa, afferrata nel suo significato è una realtà che sfugge, che fa male, che ci illude; la realtà è reale, è realmente realtà quando si va a fondo di quello che essa è, di quello che ci dice, di ciò di cui essa è segno: la realtà è ciò che fa costituisce la nostra vita e la nostra esperienza.