Sabato 1 settembre, ore15

MEETING E BENI CULTURALI

partecipano:

Ennio Grassi,

assessore alla Cultura del Comune di Rimini

Francesco Sisinni,

direttore generale del Ministero per i Beni Cultura

Giovanni Marini Bettolo,

docente di chimica generale e inorganica alla facoltà di Scienze, università di Roma

Mario Scotti,

ordinario di Letteratura italiana all’università di Roma

Antonino Gullotti,

ministro per i Beni Culturali

E. Grassi:

Non so se il Meeting, parlo della cultura del Meeting, abbia molti e alleati, e comunque se ha molti alleati non so quanti amici ha, in genere ritengo che voi abbiate conosciuto in questi giorni molti alleati e l’alleanza in generale implica una tattica, implica un rapporto strumentale, implica un rapporto occasionale. L’alleato esalta la vostra cultura, esalta il Meeting, l’enfatizza, dice tutto il bene possibile perché probabilmente è disponibile a dire anche più avanti tutto il male possibile. Io vengo al Meeting a portare non il senso di un’alleanza ma di un’amicizia. Questa amicizia implica un modo di porsi di fronte alla realtà che è quello dell’interrogare, dell’interrogazione, del domandare. C’è un autore, un francese, un ebreo, della cui amicizia mi onoro: si chiama Edmond Sebel che ha scritto un libro dal titolo "Il libro delle interrogazioni", in quel caso si riferiva al Vecchio Testamento. Ecco io credo che nel segno di questa interrogazione anche un amministratore comunale sia legittimato a parlare di questa realtà. Di fronte a un argomento come quello che oggi si affronta non va dimenticato e anzi va riconosciuto un fatto molto importante: che il Meeting ha imposto a volte con violenza a volte in maniera scandalosa, a volte in maniera provocatoria, il fatto che il passato che si esprime attraverso il bene culturale è un passato che va riofferto nella condizione migliore possibile, che è quella della riflessione su questo passato. Con un atteggiamento che io in qualche periodo ho considerato non del tutto laico e che oggi riconosco nel Meeting come profondamente laico, ed è l'atteggiamento di chi interroga questo passato per ritrovarsi per riconfermare una identità, una cultura. Il Meeting non è certo un convegno di studio però ritengo che anche il modo, la modalità a volte spettacolare con cui si presenta il bene culturale abbia un senso, sia una occasione appunto per avviare un discorso. L’ultimo elemento, come vedete mi avvio brevissimamente alla fine, riguarda il rapporto fra un ente pubblico come l’amministrazione di Rimini e il Meeting. lo credo che in questi giorni, ma anche in questi ultimi anni sia maturato un rapporto francamente diverso nel segno di quella amicizia di cui si diceva, non nel senso dell’alleanza cui non credo. E nel senso di questa amicizia penso per la prima volta quest’anno, il Meeting presenta una mostra, quella del Tempio Mayor, che è anteprima di una mostra che avrà luogo qui a Rimini a cura del Comune. Il Meeting, cioè un privato, e una istituzione pubblica hanno ragionato insieme su un momento della cultura in questo caso americana e insieme hanno affrontato un’idea, un progetto. Mi pare che questa sia una modalità un tantino insolita, che permette al Meeting di rapportarsi, di mettere radici dentro una realtà, di mettere a dimora la propria presenza, che non può essere una presenza stravagante, occasionale ed insieme ad un’amministrazione di ragionare, nel senso dell’amicizia appunto con una realtà che non è soltanto far quadrare i conti al turismo riminese, che è un elemento importante, ma anche far quadrare i conti ad una cultura locale, una realtà locale che oggi credo sia in qualche modo il debito con il Meeting.

F. Sisinni:

Che cosa sono i beni culturali? Fino a una trentina di anni fa bene culturale era considerato un oggetto, quindi era riferito esclusivamente a cose: sia nella legislazione di stati preunitari, sia nella legislazione italiana si parla di beni materiali cioè di beni certi di cose ben definite. E di questi beni si vedeva soprattutto l'apparenza economica dunque l'atteggiamento era di valutazione patrimoniale. Nel tempo abbiamo capito che il bene culturale è sì, ma non solo, una cosa, quindi nei beni culturali dobbiamo inserire anche i beni immateriali, beni non tangibili, beni comunque espressione della creatività speculativa, filosofica, di pensiero ed estetica dell’arte dell’uomo. E così si è ampliata la sfera dei beni culturali e a fianco dei beni archeologici che sono l’espressione del passato la testimonianza del nostro passato, a fianco ai beni ambientali a fianco ai beni architettonici, quelli detti artistici e storici, ecco una vasta gamma di beni immateriali che sono i beni della parola non scritta, della parola orale o della parola visiva, pensate per esempio all’invenzione dell’uomo che è certamente un bene da tutelare, pensate alla musica, pensate al folklore, pensate alle immagini, pensate per esempio allo spettacolo classico o ancora pensate alle fonti orali della storia, che oggi sono insurrogabili perché integrano la immagine scritta e la immagine visiva. L’Unesco che ha censito molto sommariamente i monumenti emergenti sul territorio dei dieci paesi che costituiscono la comunità europea ha registrato 5.000.000 di monumenti, 4.000.000 sono in Italia. Abbiamo constatato scientificamente di possedere il terzo del patrimonio mondiale dei manoscritti; il nostro Istituto del catalogo per i libri ha registrato 120.000.000 di libri in oltre 6.000 biblioteche. Abbiamo ancora registrato in altro Istituto del catalogo, quello delle cosiddette Belle Arti, oltre 37.000.000 di reperti archeologici, oltre 3.700.000 di beni artistici e storici. Ora se tenete conto che oltre i 2/3 del patrimonio è nei depositi e che addirittura per i beni archeologici si può parlare di 4/5 e che questo patrimonio è solo in parte conosciuto perché lungi dall'essere stato schedato è stato sommariamente inventariato, voi vi potete rendere conto della entità quantitativa, almeno quantitativa, della ricchezza di questo patrimonio nazionale. Questi dati non ci devono dare solo l’orgoglio pur legittimo di essere i detentori di tanti beni e di tali beni, ma la responsabilità di custodire e di valorizzare tale responsabilità che ci chiama in patrimonio, causa innanzi al giovani, a voi soprattutto, a cui dobbiamo consegnare questo bene che speriamo di darvi arricchito della nostra esperienza di riflessione e di studio, ma soprattutto di amore e innanzi al mondo che si rivolge a noi per fruire di questo bene. In Italia sappiamo bene che il turismo è in auge, forse è l’unico campo in cui andiamo bene anche con la bilancia dei pagamenti, ma il turismo in Italia è strettamente, esplicitamente o quanto meno prevalentemente culturale. Le belle spiagge, il bel sole l’hanno anche altri paesi che fanno concorrenza all'Italia con successo, ma i nostri monumenti, ecco A Tempio Malatestiano ce l’ha Rimini, Firenze ce l’ha l’Italia, Venezia ce l’ha l’Italia, Napoli, Roma, sono beni in Italia dell’Italia Noi dobbiamo certamente essere preoccupati della tutela del patrimonio e dobbiamo però nello stesso tempo avere cura della valorizzazione, essere parimenti preoccupati di valorizzare questo patrimonio. Nel passato la tutela veniva considerata in termini strettamente giuridici e la legislazione di cui disponiamo ne è un riflesso. C’è la tutela dal punto di vista giuridico: si preoccupa della integrità della cosa e dimentica che questa cosa è per gente, è per dire qualche cosa. Perché - e torno al concetto, alla nuova concezione di bene culturale - per noi oggi il bene culturale non è solo un documento del passato, non è solo memoria storica, non è solo un testimone importante ed insurrogabile, ma è momento di nuova cultura, è eccitazione, è sollecitazione, provocazione di nuove suggestioni, suggestione di arti suggestione di pensiero. Suggestione di quella bellezza di cui oggi poco si parla perché quasi se ne ha paura di parlare come si ha paura di parlare per esempio del cuore lo diceva Pasolini: ‘abbiamo paura di parlare del cuore’. Abbiamo paura di parlare del bello, abbiamo paura di parlare dell’arte come grande momento di educazione individuale collettivo. Ma l’arte è educativa ed allora se l’arte è educativa non possiamo sottrarre al vasto pubblico queste grandi suggestioni, queste grandi occasioni, questi grandi momenti di incontro con l’arte, perché l'arte stimola, l’arte sollecita nuova cultura. Ed allora ecco il problema di passare da una concezione veramente giuridica che da una parte vede l’offesa e dall’altra la difesa quindi difendiamo rigidamente il patrimonio e nel caso di manomissione colpiamo cioè offendiamo e anche questo va rispettato perché guai se cedessimo su questo punto. Dobbiamo quindi tenere ferma la valenza giuridica, questa valenza giuridica si deve unire a quella scientifica ed ecco il secondo momento della tutela, la tutela dal punto di vista metodologico, di un intervento corretto, di un restauro inteso sempre come recupero del bene, la sua realtà storica nella sua memoria storica, dicevo prima la Chiesa, il monastero. Dobbiamo restituire questi ambienti alla loro funzione altrimenti li snaturiamo, altrimenti noi non facciamo opera di recupero culturale; ne facciamo opera di mera restaurazione, neppure di restauro. Certo mi rendo conto che i tempi sono diversi, che quelle situazioni in gran parte non esistono più, però bisogna ricreare una condizione di spirito in grado di comprendere da che cosa nascono questi beni, che cosa testimoniano e quando parliamo di appropriazione non parliamone più demagogicamente. Ci appropriamo del contenitore? No, appropriarsi significa interiorizzare, fare nostro l’oggetto esterno, il bene esterno, ma ciò esige una grande sensibilità, una gran educazione, una grande capacità di leggere quel documento, quel bene, lui allora si diventa nostro, diventa sangue del nostro sangue, diventa vita della nostra vita e noi cresciamo in conoscenza e quindi in cultura, e cresciamo come uomini perché il fine della tutela e della valorizzazione è solo uno: è la promozione dell’uomo. Se guardiamo la tutela e la valorizzazione indipendentemente dalla promozione umana, possiamo essere anche dei grandi tecnici, dei grandi scienziati, ma non sapremo mai essere dei veri operatori culturali che hanno fatto del loro servizio una missione perché vi assicuro che questa è una missione Vorrei anche dire che nei confronti del Meeting la mia gratitudine è addirittura esistenziale, io da anni seguo le vicende del Meeting e ne ho apprezzato sin dall'inizio la filosofia, gli obiettivi. E Meeting che è Meeting dell’amicizia, incontro al di là delle ideologie, al di là delle posizioni, incontro di giovani che vogliono costruire. Il nostro problema è proprio quello dei giovani; noi ci rivolgiamo soprattutto ai giovani, i giovani sono quelli che poi accorrono ovunque noi siamo, ovunque noi andiamo, sono i giovani che addirittura portano l’accademia di S. Cecilia a quintuplicare numero dei concerti e sono sempre assiepati. Noi facciamo la settimana dei beni musicali, non abbiamo spazio perché i giovani vengono dappertutto. Lo sabato scorso inauguravo una biblioteca a Ravello in un posto di villeggiatura e il chiostro del convento di Ravello non riusciva ad ospitare i giovani venuti a sentire chi parlava di libri; ma vi rendete conto di che grande momento stiamo vivendo? Certo è un momento per molti aspetti tragico: la lacerazione del tessuto umano, le grandi contraddizioni, le evasioni che arrivano alla droga e alle tante anomalie..; ma vi è anche una sete, una fame di cultura da parte della gioventù, vi è un'esigenza di umanità, di tornare all’uomo C’è la sete, lo diciamo senza remore, la sete del metafisico, di andare al di là del tempo e dello spazio, ed ecco lo sconfinare nel passato per proiettarsi nel futuro. Ed allora ecco la mia ultima parola, aiutateci perché il vostro futuro non sia privato della ricchezza del passato. Grazie.

G. Marini Bettolo:

Come scienziato, che ha vissuto tra le scienze sperimentali ed esatte tutta la sua vita, vorrei soffermarmi su alcuni aspetti di ciò che si dice della cultura Siamo artificiosamente di fronte A problema delle due culture; e come dice il prof. Sisinni io ritengo che la cultura deve essere soltanto una. Le due culture, ossia la cultura scientifico-sperimentale, esatta, e la cultura umanistica, nell’antichità si confondevano. I filosofi greci possono essere guardati come precursori della filosofia moderna da un lato ma dall’altro lato sono i precursori della fisica moderna. La cultura resta una fino all’illuminismo. Durante il 1800 con tentativi filosofici si tenta di riunire o separare queste due correnti della cultura, il positivismo da un certo punto. Infine rum, arriviamo all’epoca moderna. alla nostra epoca contemporanea dove questa differenza tra le due culture si fa sentire molto gravemente. lo a questo punto, vorrei fare presente una cosa: non esistono praticamente queste due culture, anche se la comunicazione il linguaggio dei due rami umanistici e scientifici è sempre più difficile. Non voglio terminare il mio intervento in questo meeting dell’amicizia tra i popoli senza ricordare i problemi anche delle due culture nei paesi in sviluppo. Nei paesi in sviluppo se noi stiamo soffrendo in questo modo, è ancora più difficile e traumatica, ed io ritengo che è dovere di tutti noi, soprattutto dei giovani assistere questi popoli nel loro momento di transizione, perché l’impatto della nuova cultura di questi sviluppi tecnologico che derivano dalla scienza, certe volte male amministrata, non travolga certi valori tradizionali che sono importanti per loro che hanno dei beni culturali e di grande importanza per loro. Questa breve sintesi che ho cercato di fare molto affrettatamente, vuole essere, diciamo, un appello alla necessità che gli umanisti da un lato, gli scienziati dall’altro cerchino una base sempre comune per la loro cooperazione perché devono lavorare per questo, per il bene di tutti e soprattutto per l’umanità. Grazie.

M. Scotti:

I beni culturali, la valorizzazione del patrimonio del passato potrebbe rappresentare un nuovo capitolo da aggiungere al primato giobertiano, capitolo scritto con i carismi delle moderne tecniche, il pericolo che la cultura divenuta celebrativa cessa di essere cultura. La cultura è memoria storica, ma la memoria non è unicomprensiva, la memoria è selettiva e lo stimolo è dato dalla urgenza contemporanea del nostro impegno. Siamo in fondo noi che interroghiamo il passato solo nella misura in cui vogliamo costruire qualcosa di nuovo e lo interroghiamo per differenziarci dal passato, per cui non farei troppe geremiadi sulla situazione dell'uomo contemporaneo, perché geremiadi del genere si trovano in ogni secolo. Ogni momento di rinnovamento culturale ha sempre creato uno strappo una rottura con la tradizione del passato; è il motivo per cui si seppelliscono i morti. Il pericolo è di vivere senza una identità, senza una dimensione storica e l'azione diventa cieca e la cultura diventa conservazione di un patrimonio accademico non vivo, e non è più in fondo cultura. Certo a differenza delle lamentele che ci sono sempre state sulla rottura di una tradizione, su costumi e modi di vivere, modi di pensare, che naufragavano e si perdevano nel passato indistinto, qualcosa di diverso certo vive nella coscienza contemporanea. Penso a quando, rinnegando se stesso e il suo fondamentale ottimismo storicistico, Croce si interrogava perplesso in due scritti estremamente drammatici: uno intitolato Fine della civiltà e l’altro l’anticristo che è in noi. Quello che l’uomo contemporaneo avverte drammaticamente non è la fine di questa o di quella civiltà, non è nemmeno il pericolo di una barbarie, barbarie che spesse volte ha rappresentato nella storia un elemento vivificatore (basterebbe pensare che il momento che la barbarie è stata avvertita come tale c’erano degli individui che le si opponevano) ma è il pensiero che questa forma o quell'altra forma di pensiero possa morire, ma che la civiltà stessa muoia. E questo ha portato alla rottura del senso di continuità; al lavorare pensando a un patrimonio da lasciare alle generazioni future, mentre oggi costa molta fatica il pensare che quello che noi possiamo fare è soltanto sentire l’assolutezza del valore dell’azione, del pensiero, dell’opera d’arte e sentirne come l’eternità dell’attimo, l’eternità del momento stesso in cui si realizza l’opera o l’azione. L’altro scritto L’anticristo che è in noi partiva da un rapido excursus storico sulle fantasie che ci sono state intorno all’anticristo, sull’averlo identificato ora in un personaggio, ora in una nazione, ora in una classe sociale, laddove l’anticristo è dentro ciascuno di noi e l'anticristo non è il male come momento dialettico del bene, come forza a cui contrastare, ma l’anticristo è l’idea stessa che non ci sia possibilità di bene, che gli uomini pensino, operino, creino mossi esclusivamente da una legge individuale di utilità. Eppure, e qui io credo di dire una verità ovvia, eppure l'uomo oggi forse meno che mai dovrebbe sentirsi solo, meno che mai proprio perché è la possibilità di una maggiore vicinanza, di una maggiore intesa, di uno scambio, perché nulla nasce dall’uomo solo; anche l’arte, anche il pensiero non nascono per ispirazione dalle stelle, ma da quella circolazione per cui non esiste un individuo e una massa, ma esiste una comunità umana di cui alcuni individui sono portavoce. I pensieri più grandi e più profondi non sono quelli che portano l’impronta di un individuo, ma sono l’espressione di un momento storico. Beni culturali, due culture, problemi certamente di una enorme complessità; quello che forse vorrei ribadire è che si superano le barriere tra quelle che impropriamente si chiamano le varie culture, nel momento in cui c'è una visione comune del mondo e credo questa oggi possa proprio trovarsi nella libertà. Chi vive e sente il peso della tradizione, chi vive pensando ad una società socialista conosce le difficoltà e le lotte necessarie per conciliare la libertà con quel tipo di società. Chi vive in società democratiche sa la necessità della lotta continua perché la ingiustizia non impedisca alla libertà di essere un privilegio di pochi ed un cattivo privilegio, il privilegio dei pochi di opprimere i più. Grazie.

A. Gullotti:

( ... ) La nuova visione culturale e scientifica dei beni culturali comporta grandi problemi nel calare di nuovo nella società tutto questo che rischiava di diventare soltanto un ricordo del passato e un ricordo sempre più pallido e sempre meno leggibile del passato, ma c’è una responsabilità ancora più grande che ci viene incontro se vogliamo anche se accresce la nostra responsabilità ed è la grande domanda di arte, di storia, di cultura che ci viene dalle più giovani generazioni, della quale voi non potete non essere i portatori e credo che lo siate pienamente e questo è anche il significato di questo incontro che avete voluto. Che cosa è tutto questo? lo non accetto che questo venga considerato una delle facce del frivolo del tempo di oggi, non sono convinto che sia cosi, sono convinto del contrario lo sono convinto di un’esigenza profonda dell’uomo e quindi in particolare delle generazioni che crescono: è quella di trovare il senso della propria esistenza, la forza per guardare alle difficoltà di oggi e per non aver paura dell’avvenire. Questa forza si nasce da tanti altri valori, nasce soprattutto dalla fede, ma deve nascere dal radicamento profondo nella storia, nell’arte, nella cultura, nella civiltà, del proprio paese e della propria regione. Con questo ci si sente più forti, ci si sente in un certo senso sicuri, sicuri di che cosa? Di non essere delle, immagini passeggere e temporanee, di non scrivere tutto sulla sabbia, di dare il conto che le cose che si fanno non muoiono, ma vivono al di là della vita dell’uomo e che si trasmettono da generazione a generazione e che ciascuna generazione costruisce su ciò che ha dato e lasciato la generazione precedente. Questo garantisce e dà il senso vivo di una eternità della vita, della crescita della civiltà e del suo sviluppo. Questa è, credo, la ragione per cui ci venne in un momento, ahimè, di grande solitudine, vero è che non dovrebbe essere un momento di solitudine, ma lo è lo è profondamente perché i grandi mezzi di comunicazione, che non sono dialogo ma sono spesso soltanto messaggio, aumentano L’isolamento e il senso dell’isolamento dell’uomo. Le grandi metropoli aumentano il senso dell’isolamento dell’uomo e da questo nascono tanti altri problemi, nasce lo scetticismo, e nasce lo scontento e nasce quasi un senso dell’inutilità dei propri sforzi e della propria vita, perché la misura materiale diretta ed immediata del proprio sforzo non potrà mai essere soddisfacente per ciò che l’uomo vuole, per il quale vive e per il quale opera. Questa è una grande forza che noi dobbiamo ridare, questa è una de risposta che noi dobbiamo dare, alla società di oggi per superare senso della paura del futuro e della difficoltà dei giorni d’oggi e dell’inutilità dei propri sforzi e della non capacità di costruire per l’avvenire. Bisogna trovare queste radici nella storia, nell'arte, nella civiltà, nella cultura e in tutto ciò che l'uomo ha saputo dare e trasmettere ai suoi successori e a e generazioni che sono venute. Ecco io non vorrei dire niente altro, soltanto una cosa, che cosa vuol dire questo e qual è il bersaglio, la finalità di tutto questo. Io credo che se noi intendiamo una frase ormai molto logora per l'uso, quella qualità della vita in senso non meramente materiale, noi diamo il senso di ciò che vogliamo dire e ciò che vogliamo fare con i nostri sforzi cioè, la qualità della vita viene ad essere potenziata e migliorata. Non dobbiamo quindi calcolare soltanto anche se è importante il valore finanziario dell'utilizzo sapiente, oculato, colto dei beni del nostro paese, del patrimonio culturale, artistico e storico del nostro paese. La qualità della vita è quella che dà la possibilità all’uomo su questa terra di poter guardare con serenità, di poter guardare con gioia a tutte le vicende e di potersi sentire fratello con tutti gli uomini di questa terra quindi anche la qualità della vita ha un effetto grande non solo sullo sviluppo ma sulla pace di tutti i continenti.