Giovedì 24 agosto, ore 15

PUBBLICITA’ E TELEVISIONE. PROMESSI SPOSI O SEPARATI IN CASA?

Tavola Rotonda

Partecipano:

Giuliano Adreani, Ugo Castellano, Gianni Letta, Vittorio Ravà, Giampaolo Sodano.

Modera:

Riccardo Bonacina.

R. Bonacina:

Il tema, il rapporto tra pubblicità e televisione, è dei più interessanti, sia perché siamo alla vigilia della regolamentazione del sistema televisivo italiano, sia perché è un problema che ci tocca tutti, essendo il messaggio pubblicitario un fatto con cui quotidianamente ognuno di noi si rapporta. Il tavolo dei relatori è dei più autorevoli. Abbiamo il dottor Giuliano Adreani, Vicedirettore della Sipra, la concessionaria di pubblicità pubblica, il dottor Gianni Letta, Vice residente della Fininvest Comunicazioni, la società che gestisce la programmazione delle tre reti Canale 5, Rete 4, Italia 1; il dottor Castellano, nella duplice veste di Amministratore delegato della Young & Rubicam, una delle più grandi agenzie di pubblicità del mondo, che ha fatto, tra le altre cose, la bellissima pubblicità del settimanale "Il Sabato", e di Presidente di Pubblicità Progresso, che crea messaggi pubblicitari a contenuto sociale; il dottor Giampaolo Sodano, da pochi mesi Direttore di Rai Due, già amministratore delegato della Sipra; il dottor Ravà, Direttore marketing della Benetton, una grande azienda che sulla pubblicità investe molto, non solo in termini di soldi, ma anche di immagine dell'azienda. Tra l'altro la Benetton è stata recentemente protagonista di un dibattito sulla sua ultima campagna pubblicitaria (…).

V. Ravà:

Delle cinque persone che sono sedute qua, tre rappresentano la televisione e due sono operatori indipendenti. Perché bisogna dire questo? Perché la televisione non è la pubblicità e la pubblicità non è la televisione. Ma passiamo al titolo della tavola rotonda: "Pubblicità e televisione. Promessi sposi o separati in casa?". Niente di tutto questo. La pubblicità è un'amante infedele della televisione, è una conquista che la televisione deve fare ogni giorno, minuto per minuto, dopo aver visto i risultati dei dati Auditel. L'infedeltà della pubblicità è destinata ad essere un fenomeno che si esaspera ogni giorno, perché il trend nel futuro sarà un mondo cori sempre più pubblicità e più cara. I mezzi dovranno sempre più segmentare i target per evitare dispersione, l'aumento dei costi sarà indirettamente proporzionale all'affollamento, mentre il problema della regolamentazione dovrà diventare, da suggerimento, obbligo, incitamento delle associazioni di pubblicità, l'ASSAP e l'UPA (l'Associazione degli Utenti Pubblicità), ad autoregolamentarsi per sopravvivere (…). Nel nostro Paese il fenomeno televisivo, anzi vorrei dire il fenomeno Berlusconi, è stato l’elemento che ha fatto esplodere la pubblicità in Italia, adeguando gli indici ai livelli europei. Nelle aziende sane oggi la pubblicità rappresenta la terza voce di spesa dopo il costo materie prime e il costo del lavoro. È insomma più importante degli oneri finanziari: infatti la maggior parte delle aziende investe in pubblicità tra il 3 e il 10% del fatturato, mentre un’azienda che supera il 6% di oneri finanziari è un’azienda a rischio. Per questa ragione, chi si occupa di pubblicità è il manager che ha la responsabilità di utilizzare importanti risorse finanziarie che possono fare il successo dell’azienda o portarla fuori mercato. Noi tutti che operiamo in questa industria dobbiamo essere grati a Berlusconi per quello che ha fatto: oggi noi siamo una realtà importante ed il pubblicitario è diventato un mestiere conosciuto al grande pubblico. Ma mentre Berlusconi si concentrava sulla pubblicità, perdeva di vista i desideri degli spettatori. Ciò che invece ha fatto la RAI è stato, utilizzando in modo dissennato le risorse pubbliche, vincere la battaglia delle audience. Ma la RAI non è un buon esempio, ha il canone e la pubblicità così diventa un elemento accessorio, così poco importante che la SIPRA arriva oggi, 24 agosto, senza sapere quale sarà il suo tetto di raccolta. La guerra tra RAI e Berlusconi è una guerra impari tra un imprenditore di razza vero e un carrozzone statale dove alla fine paga sempre Pantalone. Ma anche noi pubblicitari abbiamo i nostri torti e affrontiamo le problematiche della pubblicità televisiva in modo sbagliato. UPA e ASSAP, quando affrontano le problematiche della televisione, si preoccupano delle tariffe, senza capire che questo non è il loro mestiere. Gli interventi delle associazioni devono occuparsi solo di affollamento, concorrenza, posizione degli spot, controllo dell’audience. I prezzi e i costi sono un’esclusiva responsabilità di che deve far quadrare i conti delle emittenti (…). La televisione commerciale non è riuscita ad entrare nella fase di maturità del mercato, continua a proporsi come una alternativa alla stampa e a fare fa talent scout degli investitori pubblicitari. Per anni tutti gli industriali hanno creduto di poter investire in televisione, anche con prodotti non adatti (…). La pubblicità televisiva deve essere più cara e meno affollata per raggiungere in modo efficace il proprio target, mentre chi fa televisione deve concentrarsi sul fare spettacolo (…). La pubblicità può anche essere comunicazione, non solo prodotto istituzionale, bensì sociale e politica: come abbiamo fatto noi del gruppo Benetton, con la campagna "United Colours" che è stata denominata dall’ "Espresso" – che le ha dedicato la copertina – una campagna contro l’intolleranza. Abbiamo voluto essere internazionali, sovranazionali, antirazzisti. Ma quando si toccano certe problematiche, bisogna stare attenti. Una nostra maternità di una donna nera con un bimbo bianco ha toccato la sensibilità del neri d’America (…). Questo nostro esempio di linguaggio pubblicitario, esasperato ma semplice, che colpisce direttamente, ha un segreto: la semplicità di decodificazione, che è il vero problema della pubblicità. Il linguaggio televisivo deve essere semplice, elementare, perché la televisione non si vede in moviola e non si può rileggere come invece si fa coi libri e coi giornali. La pubblicità, che una volta era la sorella povera del cinema, oggi è la madre del cinema moderno. Perché chi sa raccontare una storia completa in 30 secondi, quando ne ha a disposizione 5400 può metterci dentro tutto l’Antico Testamento (…).

U. Castellano:

Siccome il mio amico Ravà ha già detto tutto quello che si poteva dire, in bene e in male, della pubblicità in televisione, io vorrei approfittare di quest'occasione per parlare dei linguaggi futuri, di cosa sia Pubblicità-Progresso e come, attraverso questa attività, tutto il mondo della comunicazione, in qualche maniera, si riscatti da eventuali peccati veniali che la pubblicità abbia nei confronti dei consumatori. Devo dire che Pubblicità Progresso esiste ormai da diciotto anni e, nonostante facciamo campagne sociali da tanto tempo, non abbiamo mai fatto una campagna a favore di Pubblicità Progresso. Chi siamo? Un'associazione senza fini di lucro, nata nel '7 1-72, rappresentiamo praticamente il punto di incontro tra tutte le componenti del mondo della comunicazione: gli editori, le televisioni, le agenzie di pubblicità, le case di produzione, i tecnici pubblicitari, gli editori. Tutto il nostro lavoro, dalla prima all'ultima parola e immagine, viene svolto gratuitamente, proprio come fate voi al Meeting. Quando siamo nati, in Italia cominciava a nascere l'epoca moderna della comunicazione e della pubblicità, siamo sorti sulla falsariga di istituzioni che da quarant'anni vivono in altri Paesi, come gli Stati Uniti, l'Inghilterra, la Francia, e con l'unico scopo di mettere la pubblicità al servizio dei cittadini e fare da promotori dei vantaggi della comunicazione nei confronti dello stato, della pubblica amministrazione, del governo, dei ministeri, dei grandi enti statali che, fino ad oggi, sono stati latitanti in Italia per quanto riguarda l'uso della comunicazione tra l’establishment e i cittadini. Abbiamo sviluppato qualcosa come 23 campagne sociali, dalla primissima che ancora oggi molti ricordano, una campagna a favore della donazione del sangue che in pochi mesi fece raddoppiare in Italia il volume di sangue raccolto volontariamente dalle varie associazioni locali, fino all'ultimissima che è ancora in giro su quotidiani, periodici, televisione, manifesti, che è una campagna in difesa del diritto all'informazione. In uno stato moderno, che ha superato i problemi di 30, 40 anni fa, quando dovevamo ancora mettere a punto la macchina dell'efficienza statale, quello che manca è oggi il rapporto di comunicazione tra chi fornisce un servizio (…) e chi lo fruisce (…). Questa nostra ultima campagna, e qui comincia la provocazione, può anche correre il rischio di essere l'ultima davvero, perché sono 18 anni che Pubblicità Progresso sta elemosinando spazi in televisione, sui quotidiani, sui periodici, e ogni volta è una battaglia (…). Due anni fa abbiamo fatto un accordo con i grandi mezzi e abbiamo ottenuto da loro questa che sembrava una concessione enorme,1'1% dello spazio pubblicitario (…). Dopo due anni io ho fatto i conti e ho constatato che l'anno scorso, ad esempio, ho portato a casa per tutte le campagne fatte da Pubblicità Progresso, non più dello 0.3%, meno di un terzo di quello che ci toccava. E tenete conto che si tratta di campagne sociali, come quella dell'anno scorso, contro la violenza sui minori, una delle più difficili ma anche più stimolanti (…). Sono queste le campagne per le quali noi chiediamo spazio ai mezzi, le briciole di questa torta pubblicitaria di 6500 miliardi che viene distribuita ogni anno in Italia. C'è una seconda cosa che volevo dire qui oggi: una cosa che manca in Italia in questo momento è mettere la pubblicità al servizio dello stato. Al Presidente del Consiglio vorrei chiedere di ricordarsi, tutte le volte che in futuro lo stato farà una legge, che non è sufficiente pubblicarla sulla "Gazzetta Ufficiale", ma è necessario predisporre quella che vorrei chiamare la copertura di comunicazione, per far sì che i cittadini vengano informati. Pubblicità Progresso compie 18 anni e, entrando nell'età matura, necessita di una rifondazione. L'unica maniera che ha per uscire dallo stato ambiguo in cui vive in questo momento, è gestire con più efficienza, sia i fondi messi a disposizione dai mezzi, sia le risorse che in futuro potremo raccogliere e coordinare. È una battaglia che già da due anni stiamo portando avanti, spero che nel prossimo biennio si riesca a realizzare anche il risultato di far diventare Pubblicità Progresso un Ente morale che sviluppi il lavoro fatto fino adesso in modo volontaristico e a volte improvvisato. Anche perché abbiamo in cantiere una campagna estremamente importante: abbiamo individuato, fra i vari temi sociali caldi, un argomento particolarmente vibrante sul quale abbiamo iniziato a fare le prime verifiche, strategie, discorsi. Come Pubblicità Progresso vorremmo affrontare per la prima volta in Italia una campagna pubblicitaria sul tema del razzismo, prima che questa maledetta malattia diventi cronica. È una campagna molto difficile, che prevede un impegno culturale e professionale enorme e io vorrei veramente non dovermi fermare alle soglie di questo impegno (…).

G. Adreani:

Intanto vorrei cercare di rispondere al quesito che ci pone la tavola rotonda. Secondo me, pubblicità e televisione si sono sposati da lungo tempo, e si tratta anche di un matrimonio abbastanza felice. sotto gli occhi di tutti la crescita della pubblicità in Italia negli ultimi dieci anni, l'incidenza della pubblicità sul prodotto nazionale lordo, che nel 1986 fu dello 0,29, nel 1988 dello 0,65, il che è equivalso in quell'anno ad un investimento complessivo di 6575 miliardi su TV, radio, stampa, cinema ed affissionistica, pari ad un incremento superiore del 13% rispetto al 1987: in altri termini, in otto anni il mercato pubblicitario italiano si è più che quintuplicato. Un andamento, dunque, positivo anche se per il futuro non credo potremo contare su crescite di queste dimensioni. Il dato quantitativo ci serve anche ad introdurre il primo tema della nostra riflessione: la crescita dell'investimento pubblicitario, nel momento in cui alimenta i mezzi di informazione, corrisponde ad una crescita del pluralismo a beneficio dell'intera società civile. Ma la crescita di questi ultimi anni ha aperto anche nuovi problemi ancora irrisolti, tutti o quasi riconducibili alla necessità di dare finalmente una regolamentazione al sistema radiotelevisivo del nostro Paese. Per affrontarli, una buona legge è dunque urgente e necessaria, la reclama a gran voce in particolare la Corte Costituzionale che attraverso la nota sentenza del 14 luglio dello scorso anno, ha mandato al legislatore un vero e proprio ultimatum. L'affollamento pubblicitario che ci viene proposto come secondo tema di riflessione dall'incontro di oggi, non può essere correttamente affrontato se non all'interno di un contesto più generale. Esso infatti solleva il problema di quali regole debbano essere fissate per un'equa regolamentazione della pubblicità televisiva che rappresenta il 100% dei ricavi della televisione commerciale e il 34% dei ricavi della RAI. Qual è la situazione che si presenta al legislatore alla fine di un decennio segnato da un forte sviluppo della televisione, dovuto all'iniziativa di imprenditori privati, gruppo FININVEST in testa, e alla capacità di risposta del servizio pubblico? (…) Non esiste televisione senza spettatori, si sbaglia dunque chi pensa alla RAI come a una specie di public television, secondo il modello americano dove i tre grandi network commerciali fanno audience e la public television fa programmi culturali che nessuno guarda. La RAI deve continuare a muoversi a tutto campo sul terreno dell'informazione, dello spettacolo, della cultura, dell'intrattenimento e dello sport. E stare sul mercato significa poter contare su risorse certe, poter programmare le proprie attività, poter affrontare quegli investimenti che consentano di non perdere il treno per l'Europa. Le risorse certe della RAI sono due: il canone e i ricavi pubblicitari regolati dall’istituto del tetto, il massimo di fatturato pubblicitario consentito in un anno, inventato all'indomani della riforma della RAI. Quest'ultimo istituto ha ormai fatto il suo tempo, basti dire che alla data odierna la SIPRA, la nostra società che raccoglie la pubblicità per la RAI, ancora non sa quale dovrà essere il tetto pubblicitario RAI del 1989 che avrebbe dovuto essere fissato entro il 31 luglio del 1988 dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza. Se infatti il canone può essere ricondotto a quella logica che attribuisce alla RAI una serie di compiti e di doveri propri del servizio pubblico, sono venute decisamente meno le ragioni che portarono all'istituzione del tetto, pensate a suo tempo come norma, in qualche modo protezionistica, nei confronti della carta stampata. È dunque venuto il momento di pensare al suo superamento in favore di una più rigorosa regolamentazione dell'affollamento pubblicitario, nell'interesse, soprattutto, di tutti quelli che guardano la televisione (…). E infine arriviamo al terzo tema della nostra riflessione, cioè il ruolo di una concessionaria pubblica. Senza entrare nel merito di come stia cambiando in generale, mi sembra di poter dire che una concessionaria di pubblicità pubblica multimediale come la SIPRA abbia oggi tre compiti principali: innanzitutto garantire nei limiti fissati dalle regole le risorse pubblicitarie necessarie al polo pubblico televisivo per crescere e rafforzarsi; in secondo luogo, sostenere lo sviluppo di quelle iniziative editoriali che possono dare un effettivo contributo alla crescita del pluralismo culturale e che salvaguardino una competitività tra i mezzi, non solo quantitativamente, ma qualitativamente. Penso per esempio all'impegno che in questi ultimi anni ha visto la SIPRA dare il suo importante contributo alla nascita del circuito televisivo "Cinque Stelle", e al consolidamento di un'esperienza importante come quella del settimanale "Il Sabato". In terzo luogo, e qui mi riallaccio a quello che diceva prima Castellano, è importante dare il proprio contributo al fine di garantire al pubblico destinatario una comunicazione pubblicitaria più rispettosa dell'utente consumatore, in particolare a riguardo di quei valori costituzionalmente protetti quali la tutela dei minori, la salute, la dignità della persona (…).

G. Letta:

La tentazione per uno spirito un po' polemico quale io riconosco di essere sarebbe quella di cogliere subito qualcuna delle provocazioni del mio amico Adreani e di rispondergli, magari polemizzando. Però penso di dovervi chiedere scusa per essere venuti a turbare quell'atmosfera di riflessione sui valori veri della vita che voi state facendo in questi giorni a Rimini. Qui avete sentito parlare di cifre, profitti, fatturato, polemiche, di leggi e di tetti, di Corte Costituzionale: tutti argomenti che richiamano a una realtà molto terrena (…). Però in quel titolo, bellissimo come del resto tutti quelli dei dieci meeting, c'è anche un sottotitolo che dice: "Approccio, investigazione e possesso della realtà: nel paradosso". Ecco, la pubblicità è una realtà e forse non è male che se ne parli (…). Molti di voi avranno visto un famoso film di Woody Allen, Io e Annie, dove lui racconta una storiella a un amico: il guaio - dice - è che noi in casa abbiamo un fratello matto, crede di essere una gallina e questo ci provoca un sacco di problemi… L'amico gli dice: ma è semplice, perché non lo portate dal medico? E lui: no, abbiamo bisogno delle uova. Pensavo a questa storiella perché tutti ci lamentiamo della pubblicità, ma tutti, nel mondo di oggi, abbiamo bisogno delle uova e anche della gallina: non solo noi che di pubblicità viviamo, noi televisione commerciale o anche la RAI o la stampa, ma tutti perché, come affermava Galbraith già vent'anni fa, oggi il sistema industriale, così come si è configurato, è basato sulla pubblicità, in particolare televisiva. Ecco perché proprio sulla pubblicità si scaricano, oggi più di ieri, tante polemiche che prima riguardavano i mass media in generale, o l'avvento della televisione, o la civiltà dei consumi. Oggi superate o dimenticate, va di moda puntare tutti gli strali e gli anatemi sulla pubblicità, come se essa fosse causa ed effetto insieme di quei paradossi, di quelle contraddizioni della civiltà che viviamo, che invece preesistono alla pubblicità e forse sono parte di un sistema molto più complesso. Sono polemiche superate, vecchie culturalmente e ideologicamente. Se c'è un fenomeno, l'avete sentito dai riferimenti di Ravà e dalle cifre di Adreani, che vive di mercato, questa è proprio la televisione commerciale e non c'è mercato sano se non interagisce con il destinatario, cioè con la società nella quale vive. La televisione commerciale, ma avete sentito dalle parole di Adreani che il discorso dell'audience vale anche per il servizio pubblico, vive di questa reazione, perché l'audience è la misura dell'impatto della televisione o della pubblicità sulla società (…). Adreani ricordava che in 8 anni l'investimento pubblicitario si è più che quintuplicato. Nell'80 la stampa aveva un investimento pubblicitario complessivo di 717 miliardi, arrivati a 2419 nel 1987, a superare i 3000 nel 1988. Mentre la televisione, che nell'80 aveva un investimento pubblicitario di 333 miliardi, è arrivata a 2753 nel 1987,a sfiorare i 3000 nel 1988. t vero che le percentuali tra stampa e televisione si sono parzialmente invertite e di qui una ricorrente polemica tra stampa e televisione abbastanza speciosa, perché è stata proprio la televisione, e mi permetterò di aggiungere, in particolare la televisione commerciale, a svegliare un mercato che era forse stanco e depresso, che comunque non aveva avuto ancora la capacità di cogliere tutto il suo potenziale dinamismo. È vero che nel 1980 la televisione occupava il 26% soltanto del totale degli investimenti pubblicitari contro un 57% della stampa, mentre nell'88 la stampa è scesa al 42 e la televisione è salita al 57. Ma è meglio il 57% di 700 miliardi o è meglio il 42% di 3000 miliardi? Io credo che non ci sarebbe stata questa vertiginosa lievitazione dell'investimento pubblicitario in Italia se non ci fosse stato l'avvento della televisione commerciale (…). Oggi in Italia abbiamo, non solo l'offerta quantitativamente più ricca, ma anche una delle migliori televisioni del mondo proprio perché l'effetto della concorrenza ha migliorato nel suo complesso il sistema, arricchendo quel pluralismo che è certamente una delle condizioni necessarie in un Paese che voglia vivere, per intero la sua libertà e la sua democrazia. Grazie alla pubblicità e alla televisione commerciale, questo Paese ha potuto allinearsi ai suoi competitori europei, ha potuto crescere e darsi una struttura industriale moderna, di livello e dimensioni tali da consentire il confronto con le altre realtà europee (…). Ecco perché della pubblicità dobbiamo parlare, e sopportarla anche quando è un po’ fastidiosa.

G. Sodano:

Vorrei cercare, proprio in finale, di dare una risposta alla domanda: rapporto tra televisione e pubblicità è un matrimonio? C'è bisogno di fare una premessa, e chiedersi quali siano i presupposti sui quali è lecito parlare di matrimonio. Perché se alla base dell'istituzione del matrimonio c'è stato anche un criterio di interesse economico, non c'è dubbio che allo stato attuale le televisioni commerciali nel nostro Paese vivano un matrimonio di tipo ottocentesco, in cui il legame fra marito e moglie, fra pro messi sposi, era codificato e stretto, senza possibilità di scioglimento, dopo una accurata definizione della dote della sposa e delle rendite dello sposo. Nella televisione pubblica, invece, siamo in un'altra condizione, quella della coabitazione fra ex-coniugi di cui l'uno è padrone della casa mentre l'altro corrisponde un congruo assegno alimentare. Sia nel caso della televisione pubblica, sia in quello della televisione privata, si tratta di situazioni rigide, cioè di una sorta di rapporto fine a se stesso, che garantisce la sopravvivenza della coppia con minore o maggiore ricchezza dei due partner, ma che non prevede forme di crescita della famiglia, insomma un matrimonio sterile, dove né la televisione privata né quella pubblica mostrano di preoccuparsi del domani. Nella televisione pubblica questo vuol dire, fuor di metafora, che l'importante è che quadrino i conti, che l'assegno alimentare, il tetto di cui parlava Adreani, sia fissato in modo tale che il bilancio non chiuda in rosso. Nella televisione commerciale, il problema è metter dentro risorse, pubblicità, senza chiedersi a cosa debbano poi servire. Se noi invece pensiamo ad un matrimonio per quello che rappresenta, cioè una unione con delle affinità creative e innanzitutto ambizioni riproduttive, questo matrimonio, sia nella televisione pubblica che nella privata, è ricco di stimoli, opportunità, possibilità. La condizione è che i due partner si conoscano meglio (…). Posso portarvi la mia testimonianza di quando, negli anni 50 o 60, nella cultura comunista e anche in certa cultura cattolica, si guardava alla pubblicità come a un male (…). No, signori, le cose non stanno così non è un male necessario, è un volano essenziale, finanziario, che garantisce al nostro Paese il più ricco sistema di comunicazione in Europa. Quale altro Paese può vantare di dare ad ogni cittadino, ogni giorno, un'offerta televisiva così vasta, articolata, pluralista, dalla televisione locale ai network commerciali, dalla televisione pubblica alla piccola televisione cittadina? E in quali città americane o inglesi, di fronte a due, quattro, dieci quotidiani nazionali ci sono quotidiani locali e sottolocali, in quale altro Paese ci sono duemila testate periodiche? Chi finanzia tutto questo? Questo male necessario, le uova di Woody Allen? Tutte galline? Cerchiamo di essere realisti fino in fondo, la necessità, per una azienda che produce beni e servizi, è comunicare ciò che produce. Questa informazione da la possibilità al consumatore di scegliere, è una risorsa che va garantita: allora la questione è che tutto ciò va regolamentato (…). Il problema è mettersi attorno ad un tavolo e stabilire che, siccome questa risorsa non è infinita, può deperire, che questo rischio non lo vogliamo correre. Dobbiamo cercare di garantire che lo sviluppo continui, con un trend di crescita equilibrato e programmato (…). Non ci facciamo prendere, mi rivolgo a Letta e Adreani, dalla sindrome euforica che c'è stata in questi anni di una sorta di crescita, sempre e comunque, del mercato pubblicitario. I dati certo parlano chiaro, di una crescita dei 20%, dei 30%, del 15% per anno: ma è una crescita che può essere stata in una certa fase impetuosa, perché lo sviluppo del sistema della comunicazione televisiva viveva una fase di impetuoso sviluppo, che può non continuare all'infinito (…). Se le forze politiche, economiche, imprenditoriali si mettessero intorno ad un tavolo e definissero queste regole, credo che allora non avremmo da rispondere alla domanda, dicendo che il matrimonio fra televisione e pubblicità è una buona unione: ci auguriamo tutti che si possa consumare felicemente nel comune interesse.